La riforma a partire dalla gente
Nella Chiesa cattolica ci sono problemi
ecclesiali causati dalla gerarchia e altri dalla gente. Tra i primi il pesante clericalismo che può rendere
insopportabile la frequenza ecclesiale, le bizzarrie in materia di relazioni d’amore
e procreazione, la strumentalizzazione del sacro a fini di politica ecclesiale,
la propensione a raggiungere concordati con gli altri poteri sociali; tra i secondi l’ipocrisia
per cui non si vuole andare oltre l’apparire, la credulità verso narrazioni
magiche sul sacro, la conoscenza superficiale del vangelo e della storia delle
Chiese cristiane, la ritualizzazione della religione, la sacralizzazione religiosa
della posizione sociale propria e del gruppo di riferimento a scapito degli altri,
l’incapacità di lavorare insieme agli altri su un piano di parità e
argomentando ragionevolmente.
Gerarchia e gente sono collegate,
anche se la prima si considera ancora autoreferenziale, capace di esistere per
se stessa, anche perdendo la gente. La gente pensa di non poter esistere a
prescindere dalla gerarchia così com’è, mentre ciò che le è veramente
essenziale è il servizio del pastore: spesso si riferisce alla “Chiesa”
intendendo la gerarchia.
Storicamente la gerarchia ecclesiastica si è affermata come una
organizzazione rigida del potere sacro, che è quello di stabilire chi è dentro
e chi fuori della Chiesa e in pace con essa
e con il Cielo, basata su definizioni normative dei contenuti di
fede, su un ceto specializzato che ha l’esclusiva di quel potere e che è
distinto per gradi e sulla regola che l’inferiore deve obbedienza al
superiore. In questo contesto, il clero viene considerato radicalmente diverso
dal resto della gente di fede, un corpo sacro, nel senso di sottratto alla
critica sociale in relazione al suo mandato dal Cielo. Da ciò che si sa questo
sviluppo è stato abbastanza precoce e va situato a cavallo tra il Primo e il
Secondo secolo e si è consolidato nel Quarto secolo, quando alla gerarchia
ecclesiastica vennero attribuiti poteri pubblici dello stato.
L’esperienza storica ha dimostrato chiaramente che una riforma
ecclesiale di questo assetto della politica della Chiesa non può essere condotta
a termine dalla gerarchia stessa. Essa, in altre parole, è incapace di
riformare se stessa. Nel corso del Concilio Vaticano 2°, svoltosi a Roma tra il
1962 e il 1965, tuttavia, la gerarchia ha enunciato i principi di una riforma
ecclesiale, le definizioni che potevano guidare quel processo,
introducendone di nuove che abilitavano la gente ad un ruolo più attivo nelle
cose ecclesiali. Tuttavia il sistema di potere gerarchico è rimasto da allora
più o meno lo stesso.
In Europa la vera novità è venuta dal processo di secolarizzazione, che non
significa non credere più nel soprannaturale,
ma affrancarsi dai poteri ecclesiastici, in questo desacralizzandoli, e
desacralizzare quelli civili. Ciò che è sacro è sottratto alla critica sociale, desacralizzare
è ammetterla più ampiamente. Dal
punto di vista lessicale, la secolarizzazione è quel processo per cui una persona
o una cosa escono dall’area del sacro e vengono ridotte al secolo, vale
a dire nella condizione di tutte le altre. Dal Quarto secolo la sacralizzazione
dei poteri politici secondo la fede cristiana, definita normativamente proprio a quell’epoca, fu un
aspetto molto importante della vita religiosa e politica e costituisce ciò che
viene chiamato radici cristiane dell’Europa.
Prendendo realisticamente atto di tutto ciò, papa Francesco ha ordinato,
con il suo potere gerarchico che sulla carta è assoluto (di fatto non lo è, ma
comunque è molto forte), un processo di riforma del quale sia partecipe tutta
la gente di fede e, anzitutto, vorrebbe che quest’ultima fosse ascoltata.
Naturalmente, una volte che tutto è finito nelle mani della gerarchia, quest’ultima
ha organizzato le cose in modo da ascoltare solo quello che ritiene debba
essere detto. Con il che li processo
salterebbe. E tuttavia non deve sottovalutarsene le opportunità. Il problema è
che, noi gente, siamo ancora poco preparati a lavorare insieme a
processi di riforma secondo i principi del Concilio Vaticano 2°. E’ proprio del
lavorare insieme che abbiamo poca esperienza: di solito siamo solo una
platea nel teatro delle liturgie praticate dal clero. Inoltre, quando ci
ritroviamo insieme, emergono i nostri peculiari difetti, che ho sopra
ricordato.
I teologi sostengono che, tutti insieme, noi gente e il clero gerarchizzato, avremmo qualcosa come
un intuito per procedere come si
deve nelle cose di fede. Io ne ho sempre preso atto, pur non ritenendola cosa
particolarmente evidente, anzi. Se ne parla, usando espressioni latine
sacralizzanti, come di sensus fidei o di sensus fidelium, espressioni che
significano che quell’intuizione di cui dicevo è diffusa in tutti i fedeli, in blocco, anche se non
specificamente a questo o a quello, salvo il Papa, che la manifesterebbe in
massimo grado. Beh, che vi devo dire?,
speriamo sia come dicono. Ma certo l’intuizione deve essere corroborata con l’acquisizione di
conoscenze specifiche, riflesse, tematizzate come si dice, perché altrimenti tutto rimane
al livello di emozioni.
In effetti, dai processi innescati dal moto di riforma del Concilio
Vaticano 2°, sono emerse esperienze sociali
nuove tra i fedeli cattolici, alcune, in base ai risultati, piuttosto
buone, altre meno, altre ancora francamente deleterie, a prescindere dalle
buone intenzioni, che quasi sempre ci sono. Da qui sono emerse le novità più interessanti
in materia di riforma. La sinodalità diffusa che si è cercato di produrre nella
prima fase dei cammini sinodali, mondiale e nazionale, in corso da noi può
essere l’occasione per migliorarci e per portare contributi più validi ad una
trasformazione della nostra Chiesa perché diventi più libera e partecipata da
tutti.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli