La pace come processo artigianale
https://www.youtube.com/watch?v=IsFX0lDey3w
«C’è una “architettura” della pace, nella quale intervengono le varie
istituzioni della società, ciascuna secondo la propria competenza, però c’è
anche un “artigianato” della pace che ci coinvolge tutti.»
217. La pace sociale è laboriosa, artigianale.
Sarebbe più facile contenere le libertà e le differenze con un po’ di astuzia e
di risorse. Ma questa pace sarebbe superficiale e fragile, non il frutto di una
cultura dell’incontro che la sostenga.
Integrare le realtà diverse è molto più difficile e lento, eppure è la garanzia
di una pace reale e solida. Ciò non si ottiene mettendo insieme solo i puri,
perché persino le persone che possono essere criticate per i loro errori hanno
qualcosa da apportare che non deve andare perduto. E nemmeno consiste in una pace che nasce mettendo a tacere le
rivendicazioni sociali o evitando che facciano troppo rumore, perché non è «un consenso a tavolino o un’effimera
pace per una minoranza felice. Quello che conta è avviare processi di incontro, processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le
differenze. Armiamo i nostri figli con le armi del dialogo! Insegniamo loro la
buona battaglia dell’incontro!
226. Nuovo incontro non significa tornare a un
momento precedente ai conflitti. Col tempo tutti siamo cambiati. Il dolore
e le contrapposizioni ci hanno trasformato. Inoltre, non c’è più spazio per
diplomazie vuote, per dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone
maniere che nascondono la realtà. Quanti
si sono confrontati duramente si parlano a partire dalla verità, chiara e nuda.
Hanno bisogno di imparare ad esercitare una memoria penitenziale, capace di
assumere il passato per liberare il futuro dalle proprie insoddisfazioni,
confusioni e proiezioni. Solo dalla
verità storica dei fatti potranno nascere lo sforzo perseverante e duraturo di
comprendersi a vicenda e di tentare una nuova sintesi per il bene di tutti.
La realtà è che il processo di pace è
quindi un impegno che dura nel tempo. È
un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la
memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più
forte della vendetta. Come hanno affermato i Vescovi del Congo a
proposito di un conflitto che si ripete, gli
accordi di pace sulla carta non saranno mai sufficienti. Occorrerà andare più
lontano, includendo l’esigenza di verità sulle origini di questa crisi
ricorrente. Il popolo ha il diritto di sapere che cosa è successo.
231. Molte volte c’è un grande bisogno di negoziare e così
sviluppare percorsi concreti per la pace. Tuttavia, i processi effettivi di una
pace duratura sono anzitutto trasformazioni artigianali operate dai popoli, in
cui ogni persona può essere un fermento efficace con il suo stile di vita quotidiana.
Le grandi trasformazioni non si
costruiscono alla scrivania o nello studio. Dunque, ognuno svolge un ruolo fondamentale, in un unico progetto creativo,
per scrivere una nuova pagina di storia,
una pagina piena di speranza, piena di pace, piena di riconciliazione. C’è
una “architettura” della pace, nella quale intervengono le varie istituzioni
della società, ciascuna secondo la propria competenza, però c’è anche un
“artigianato” della pace che ci coinvolge tutti. A partire da diversi
processi di pace che si sviluppano in vari luoghi del mondo, abbiamo imparato
che queste vie di pacificazione, di primato della ragione sulla vendetta, di
delicata armonia tra la politica e il diritto, non possono ovviare ai percorsi della
gente. Non è sufficiente il disegno di quadri normativi e accordi istituzionali
tra gruppi politici o economici di buona volontà. […] Inoltre, è sempre
prezioso inserire nei nostri processi di pace l’esperienza di settori che, in
molte occasioni, sono stati resi invisibili, affinché siano proprio le comunità
a colorare i processi di memoria collettiva».
232. Non c’è un punto finale nella costruzione
della pace sociale di un Paese, bensì si tratta di un compito che non dà tregua
e che esige l’impegno di tutti. Lavoro che ci chiede di non venir meno
nello sforzo di costruire l’unità della nazione e, malgrado gli ostacoli, le
differenze e i diversi approcci sul modo di raggiungere la convivenza pacifica,
persistere nella lotta per favorire la cultura dell’incontro, che esige di
porre al centro di ogni azione politica, sociale ed economica la persona umana,
la sua altissima dignità, e il rispetto del bene comune. Che questo sforzo ci
faccia rifuggire da ogni tentazione di vendetta e ricerca di interessi solo
particolari e a breve termine. Le
manifestazioni pubbliche violente, da una parte e dall’altra, non aiutano a
trovare vie d’uscita. Soprattutto perché, come bene hanno osservato i
Vescovi della Colombia, quando si incoraggiano mobilitazioni cittadine, non
sempre risultano chiari le loro origini e i loro obiettivi, ci sono alcune
forme di manipolazione politica e si riscontrano appropriazioni a favore di
interessi particolari».
240.
Tuttavia, quando riflettiamo sul perdono, sulla pace e sulla concordia sociale,
ci imbattiamo in un’espressione di
Cristo che ci sorprende: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla
terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare
l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e
nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa» (Mt 10,34-36). È importante situarla nel
contesto del capitolo in cui è inserita. Lì è chiaro che il tema di cui si
tratta è quello della fedeltà alla propria scelta, senza vergogna, benché ciò
procuri contrarietà, e anche se le persone care si oppongono a tale scelta. Pertanto, tali parole non invitano a cercare
conflitti, ma semplicemente a sopportare il conflitto inevitabile, perché il
rispetto umano non porti a venir meno alla fedeltà in ossequio a una presunta
pace familiare o sociale. San Giovanni Paolo 2° ha affermato che la Chiesa non intende condannare ogni e qualsiasi
forma di conflittualità sociale: la Chiesa sa bene che nella storia i conflitti
di interessi tra diversi gruppi sociali insorgono inevitabilmente e che di
fronte ad essi il cristiano deve spesso prender posizione con decisione e
coerenza».
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La parola pace ricorre 99
volte nell’enciclica Fratelli tutti. L’enciclica è quindi centrata
anche sulla pace.
Nelle
sue esortazioni si rivolge a tutti noi, non solo ai governanti, perché
la pace, si legge nel documento, è un
processo artigianale, che non ha successo senza una vasta collaborazione.
Non può essere del tutto progettata come si fosse in un laboratorio e richiede,
proprio come nelle lavorazioni artigianali, la capacità dell’operatore di
adattare il progetto alla materia su cui sta lavorando. Questo riferimento
all’artigianato, quindi anche alla sapienza pratica dell’artigiano,
rende anche l’idea che la pace non si improvvisa e che richiede di fare apprendistato delle procedure per produrle, come lo stesso
papa Francesco ha fatto.
All’inizio del suo ministero, cercò di sviluppare un processo di pace
intendendosi con esponenti religiosi dei gruppi in lotta in Palestina, ma
quelli finirono con il litigare durante la conferenza stampa convocata per
esporre il risultato dell’incontro. Poi gli andò meglio, sempre meglio, in
varie altre parti del mondo, laggiù però non ancora, perché le situazioni di conflitto
si sono cristallizzate.
Il
Papa è convinto che le religioni possono aiutare nello sviluppare processi di
pace e questo, purtroppo, non trova gran conferma nella storia, in particolare
per la nostra religione che, nonostante
l’impostazione mite del vangelo, ha fornito moltissime mitologie di conflitto.
Anche questo, come per la pace, è stato un processo culturale, naturalmente. E’
bastato recuperare, e fondere con principi evangelici, l’immagine del
soprannaturale iracondo e vendicativo che indubbiamente si ricava da molte
parti delle Scritture che abbiamo recepito dall’antico ebraismo.
L’enciclica altrove è più realistica
nell’affrontare il tema della conflittualità nelle e tra le società umane: il
suo autore si rende conto che si manifesterà costantemente e, quindi,
costantemente occorre riprendere processi di pace. Del resto, e si citano
gli insegnamenti di Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°, non sarebbe neppure
etico rifiutare sempre il conflitto: quel Papa addirittura fu l’elemento
fondamentale di una rivoluzione contro il regime comunista nella Polonia degli
anni ’80, a cominciare dall’enciclica Lavorando - Laborem exercens, del 1981, su lavoro, lavoratori e diritti
dei lavoratori, che fornì
l’ideologia politica che occorreva al principale e illegale movimento di
opposizione, il sindacato-partito, Solidarnosc - Solidarietà, fondato l’anno
precedente. A certi principi occorre
mantenersi fedeli a costo di suscitare conflitti sociali.
Così,
non c’è un punto finale
nella costruzione della pace sociale di un Paese, - si legge nel documento - bensì
si tratta di un compito che non dà tregua e che esige l’impegno di tutti.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli