Ripubblico, dal 2018
La pace come valore religioso. Ci crediamo veramente?
Ogni anno, nei pressi del Vaticano, si tiene la Carovana della pace, l’annuale iniziativa dell’Azione Cattolica Ragazzi dedicata alla formazione religiosa sulla pace. Nel 2018 la nostra parrocchia non partecipò. Non si riuscì a coalizzare un numero minimo di adesioni.
Lo scarso interesse non dipende solo, penso, da un’insufficiente consapevolezza dell’importanza che il tema della pace ha nell’attuale dottrina sociale, e che dunque dovrebbe avere anche nella formazione religiosa fin da quella di primo livello. Ho percepito anche un ragionato dissenso sul quell’argomento, che, del resto, corrisponde ad orientamenti diffusi tra la gente nella società d’oggi.
Mentre si ritiene utile tentare di ottenere l’obbedienza dai più giovani, ai
genitori innanzi tutto, agli insegnanti, istruttori, preti e via via ad ogni
tipo di autorità sociale accreditata, secondo una concezione sociale fortemente
gerarchizzata, si pensa, in definitiva, che sia addirittura controproducente
formarli alla pace, perché così facendo poi li si disincentiva a farsi largo in
società per risalire, crescendo, la catena gerarchica. Infatti le società
fortemente gerarchizzate non sono pacifiche, ma violente, e le gerarchie
vengono imposte sulla base di rapporti di forza. Il modello religioso della
persona pacifica è il prete di parrocchia, che però viene visto come un po’
come emarginato sociale. E’ a lui,
tuttavia, che si affidano bambini e ragazzi per la prima formazione religiosa e
si teme, che lasciandolo troppo fare, vengano su male. Certo, Papa e vescovi insegnano la pace, ma
li si tollera perché si è convinti che lo debbano fare, come dire, per dovere
d’ufficio, come anche fanno i politici che riescono ad accaparrarsi una
qualsiasi forma di autorità: si ascolta distrattamente il loro bla-bla sulla pace, sapendo che non è quello che conta
per loro; conta solo la carriera, il posto di potere che occupano e il desiderio
di salire ancora più in alto, ciò che gli antichi romani chiamavano il corso
degli onori, vale a dire risalire la scala gerarchica facendosi largo
sfruttando qualsiasi occasione, copertura, appoggio, prevalendo sui concorrenti
e su chi occupa il posto che si ambisce. E, in un certo senso, è effettivamente
così, salvo che per il Papa, che in teoria è sovrano assoluto, con pienezza di potestà, e ha sopra di sé solo
Colui di cui si afferma luogotenente. In realtà chi è in alto deve difendersi
dall’assalto dal basso, dai pretendenti al suo posto, e certo, da quello che si
legge e si sente, l’attuale Papa non può sicuramente sentirsi al sicuro sotto
quel profilo. Del resto vive la sua alta carica gerarchica con lo spirito di
chi è pronto a lasciarla da un momento
all’altro e si è sistemato non nella
reggia, ma in una stanza d’albergo. E una reggia vuota fa gola a molti. Una
volta si riteneva che da quell’ufficio non ci si potesse esimere, ora non più.
La via è stata aperta per il pensionamento anche da quel potere supremo. Di
modo che, a parte la realtà dei preti di base, tutto l’insieme appare veramente
poco pacifico, al di là delle chiacchiere che si sentono in giro in
quell’ambiente, che sono tali in quanto parole smentite dai fatti.
Il prete di parrocchia è un modello veramente
diverso.
Del resto
la pace è veramente divenuta un nostro valore religioso solo di recente,
diciamo da metà Ottocento, circa un secolo e mezzo. Fin dalle origini e per
gran parte della loro lunga e travagliata storia, i cristiani sono stati
veramente poco pacifici, anche se tra loro grandi anime hanno intuito le
potenzialità religiose del valore della pace, vi hanno ragionato sopra,
costituendo le basi, quando la mancanza di pace ha cominciato mettere in pericolo la sopravvivenza del
genere umano, con l’enorme potenziamento degli strumenti di guerra, di una teologia della pace, che è al centro
dell’attuale dottrina sociale. L’argomento principale in favore della pace è quello
esposto in due frasi contenute nel radiomessaggio dell’agosto 1939 diffuso con
l’autorità del papa Eugenio Pacelli -
Pio 12°, ma attribuito alla penna di Giovanni Battista Montini: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra.»
Il Papa si riferiva ai propositi di guerra che all’epoca venivano
manifestandosi in Europa, in particolare per l’azione politica dei fascismi
europei, il capostipite e modello dei quali era stato quello italiano
capeggiato da Benito Mussolini. La guerra poi scoppiò nel settembre di quello
stesso anno, con l’invasione tedesca della Polonia.
Poteva il Cielo approvare un simile flagello?
In realtà le Scritture sono ambivalenti. Da
una parte c’è sicuramente l’anelito alla pace e la violenza è considerata un
male, d’altra parte le guerre vengono presentate come occasioni di penitenza,
per la conversione. In guerra si rischia e si muore e, a certe condizioni,
l’impegnarsi in guerra è proposto come
via religiosa per migliorarsi e migliorare la società. Nelle Scritture che
abbiamo ricevuto dall’ebraismo c’è molta violenza, molta guerra, e sono queste che sono state storicamente
sfruttate per costruire un’ideologia bellica di matrice religiosa. Una
manifestazione tipica di quest’ultima sono state le Crociate, le guerre mosse
nel Medioevo dai cristiani europei alle potenze del Vicino Oriente,
islamizzatesi, per conquistare la Palestina, tra l’Undicesimo e il Tredicesimo
secolo. La teologia della pace è stata dunque sviluppata essenzialmente su base
evangelica, reinterpretando in tale chiave alcuni passi degli antichi profeti,
in particolare quelli attribuiti ad Isaia.
Del resto, il Maestro non si presentò come un
condottiero militare, ma come un medico e un riformatore religioso. Questo
perché non mostrò di ambire al potere politico e nemmeno a quello religioso del
suo tempo. L’autorità da lui esercitata sui suoi primi seguaci fu, nei primi
tempi, essenzialmente quella di un
rabbino, di un maestro religioso, e solo verso la fine della sua vita cominciò
a manifestarne un’altra, sulla quale nei secoli seguenti si è costruita
concettualmente la cristologia, non venendo bene compreso
nemmeno nella sua cerchia.
Dopo la morte del Fondatore, le comunità
religiose che a lui si richiamavano furono poco pacifiche, sia al loro interno
che verso la società intorno, con cui entrarono presto in aspra polemica, che
si fece violente quando, in un processo durato circa tre secoli, i cristiani
cominciarono ad avere seguaci nella politica di governo tra allora, in una
storia ancora poco nota, il cui ricordo è inquinato fortemente da una mitologia
ideologica di tipo apologetico, edificante. Di fatto, piuttosto rapidamente,
dopo le persecuzioni delle origini, si ebbe un trapasso di civiltà
caratterizzato da molta violenza contro i seguaci degli antichi culti,
sanzionato poi, nel Quarto secolo, da leggi che li proibivano. Gli archeologi
lamentano i grandi danni fatti al patrimonio artistico antico dalla furia
cristiana: i cristiani furono grandi decapitatori di statue pagane di dei e
semidei.
La pace, insegna la dottrina sociale sulla
scorta della sociologia, è una costruzione sociale, non solo un sentimento. E’
un sistema di relazioni sociali centrato su collaborazione e solidarietà. Esse
possono essere imposte da una qualche autorità, ma si richiede anche un certo
grado di acculturazione popolare. Nessun sistema sociale e politico regge se
non raggiunge un certo livello di pace, vale a dire se quel sistema di
relazioni virtuose si mantiene anche senza la minaccia di violenza contro i trasgressori,
quindi quando da obbligo giuridico diventa direttiva etica condivisa. Questa è
una conquista culturale che richiede uno sforzo e che va rinnovata di
generazione in generazione. Vale a dire che la pace non si riesce a mantenere
se non si sviluppa un cultura di pace,
se la pace non si riesce a imporre come valore culturale in una certa società. A
lungo la dottrina sociale ha pensato alla costruzione sociale della pace come
il frutto di un ordine giuridico che, per via di formazione popolare, si fa direttiva
etica. Nel Medioevo fu al Papato che si pensò come autorità sovrana di pace.
Questo originò dure controversie con i sovrani civili che pretendevano di
esercitare un’autorità simile. Il Papato obiettava che solo un’autorità
religiosa poteva essere veramente universale,
le altre avendo di mira sempre interessi politici particolari, per quanto
esteso fosse il loro dominio.
La grande conquista culturale della dottrina
sociale contemporanea in materia di pace è stata di invertire l’ordine dei
fattori di pace, presentando l’ordine giuridico pacifico come una conseguenza di un’affermazione della pace come direttiva
etica nelle culture di riferimento. Questo è dipeso dall’affermarsi, dalla fine
del Settecento, dei processi democratici nelle culture europee che dominavano
la politica del Papato. In questo quadro, come strumento per varie conquiste
culturali tra le quali quella della pace, venne costituita la nostra Azione
Cattolica, che si è data tra i suoi compiti più importanti quello della
formazione alla pace. Da qui, poi, iniziative come la Carovana della Pace
dell’ACR.
Costruire la pace nella società, in quella
nazionale, ma anche a livello internazionale, richiede un impegno e un
tirocinio, fin da piccoli. Non basta che la pace sia ordinata dall’alto, da una qualche autorità, deve
essere condivisa come valore diffuso tra la gente, nelle concrete relazioni
sociali. Da qui poi, per via democratica, si può affermare anche la pace come
ordine giuridico, creando in tal modo non solo una cultura ma anche una civiltà. E fu proprio ad una civiltà dell’amorei che
Giovanni Battista Montini, regnando come Paolo 6°, fece riferimento nell’omelia
della Messa di Natale del 1975, di chiusura del Giubileo celebratosi
quell’anno:
«Non l'odio,
non la contesa, non l'avarizia sarà la sua dialettica, ma l'amore, l'amore
generatore d'amore, l'amore dell'uomo per l'uomo, non per alcun provvisorio ed
equivoco interesse, o per alcuna amara e mal tollerata condiscendenza, ma per
l'amore a Te; a Te, o Cristo scoperto nella sofferenza e nel bisogno di ogni
nostro simile. La civiltà dell'amore
prevarrà nell'affanno delle implacabili lotte sociali, e darà al mondo la
sognata trasfigurazione dell'umanità finalmente cristiana. Così, così si
conclude, o Signore, questo Anno Santo; così o uomini fratelli riprenda
coraggioso e gioioso il nostro cammino nel tempo verso l'incontro finale, che
fin d'ora mette sulle nostre labbra l'estrema invocazione: Vieni, o Signore
Gesù (Apoc. 22, 20).»
[http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1975/documents/hf_p-vi_hom_19751225.html]
e, sempre
quell’anno, nell’udienza generale del 31 dicembre:
«Dunque, anche
nelle nuove circostanze, il discorso
continua, e vuole riallacciarsi a quella espressione programmatica, che venne
alle nostre labbra proprio alla chiusura dell’Anno giubilare, quando esortammo
tutti a promuovere, quasi a suo felice coronamento, « la civiltà dell’amore ».
Sì, questa vorrebbe essere, specialmente sul piano della vita pubblica, la
conclusione dell’ora di grazia e di buon volere, che fu l’Anno Santo, anzi il
principio della nuova ora di grazia e di buon Volere, che il calendario della
storia ci apre davanti: la civiltà dell’amore!»
[https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1975/documents/hf_p-vi_aud_19751231.html]
Mario Ardigò -
Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli