Dialogo, vla della pace (2)
Non è scritto per nessun cristiano il Libro delle Giovani Marmotte. Non so se avete letto Paperino. Quando mancava Paperino, non sapevano che fare quelle oche lì; allora c'era un libro nel quale andavano a leggersi come fare un uovo fritto, lo prendi così, lo spacchi cosà, come fanno i vostri mariti quando non ci siete voi a casa. Telefonano "Come faccio a fare questo?", eh? Il Libro delle Giovani Marmotte, dove c'è scritto tutto quello che devi fare quando manca il capo. Non abbiamo il Libro delle Giovani Marmotte perché manca Gesù, dove c'è scritto tutto, già definito, tutto quello che si deve fare. Quante volte voi mamme e papà avete dovuto tribolare per decidere cosa fare nella vostra famiglia, pur essendo cristiani, pur sapendo il Vangelo, pur sapendo tutti i Comandamenti! Perché la nostra vita non è mai all'altezza del Vangelo, se non c'è lo Spirito Santo che ci illumina. "Prendi questa decisione!", "Prendi quest'altra". Siamo sempre aperti, non abbiate in tasca nessuno la verità! La verità è sempre Gesù ed è lo Spirito Santo, che ci aiuta ad essere più docili. C'è solo lo Spirito Santo. La nostra docilità e la nostra umanità, affidata tutta a Dio e soltanto a Dio.
[dall’omelia svolta
da monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, nel corso della Messa di
Pentecoste, l'8-6-14, presso il Centro dello Spirito Santo – Palestrina]
Spiegare il
significato epocale che ebbero nelle nostre collettività religiose, a livello
mondiale, il Concilio Vaticano 2° e lo sviluppo di una nuova cultura di pace
basata sul dialogo presenta qualche difficoltà, perché non si può dare per
scontato che i lettori possiedano informazioni di base essenziali per capire
quel processo storico. Ciò può essere certamente imputato a insufficienze del
nostro sistema scolastico. Non è che certe nozioni fondamentali non
vengano trasmesse, ma non ne viene evidenziata l’importanza per ciò che ci
accade nella vita di oggi, qui ed ora. Rimangono quindi sempre al livello
di materie di esame, da tenere presenti per le interrogazioni
decisive e, al più, per qualche lavoro scritto. Passate quelle emergenze non
ci si cura di conservarne, e all’occorrenza ravvivarne e approfondirne,
memoria. Ma l’insufficienza più grave è quella che si riscontra nella
formazione religiosa di secondo livello, diciamo il dopo-Cresima.
Talvolta la vedo concentrata su una asfissiante sequela di bigotterie a sfondo sessuale
e sul forzare l’inquadramento delle persone in formazione in gruppi piuttosto
chiusi, in cui ci si sforza di adeguarsi a ricettine semplicistiche di vita
buona, e dominati da un avvilente clima paternalistico che mi pare
stimolare negli adepti atteggiamenti infantili. Questo quadro allontana in
particolare i giovani i quali, nello sforzo, per legge di natura, di acquisire
una maggiore autonomia dalle famiglie di origine, sono in genere piuttosto
riluttanti a farsi coartare in nuove famiglie allargate, per
di più di impronta abbastanza autoritaria. Come ho ripetutamente scritto, mi
pare che questo potrebbe suggerire a chi nella nostra città ha la
responsabilità di orientare la formazione religiosa un qualche intervento per
consentire, a chi voglia i approfondire certi temi, di farlo qui, nel
nostro quartiere, senza dover bussare a una delle diverse università
specializzate che ci sono da noi. Ma, comunque, non sarebbe male che, in
generale, nella formazione dei laici ci fossero un po’ più di storia e un
po’ meno intrusive prescrizioni sessuali (sessuofobiche?).
Dagli
anni ’50 del secolo scorso si cominciò a parlare di depurare le nostre
concezioni religiose dalle molte incrostazioni intellettualistiche che vi si
erano depositate nei secoli e di prendere esempio dalle nostre
collettività delle origini. Si voleva sburocratizzare le
nostre collettività di fede, recuperando quegli aspetti comunitari,
con forti fondamenti teologici, che si avvertivano nelle esperienze delle
origini.
Nel prendere ad esempio ipotetiche comunità come quelle descritte molto sommariamente negli Atti degli apostoli bisogna capire però che le nostre collettività delle origini, nella loro travolgente espansione culturale prima nel mondo ellenizzato e poi in quello romano, furono ben presto molto più che gruppi dediti alla gratificazione personale dei propri membri e al proselitismo, delle famiglie allargate al modo di quelle che talvolta oggi si vuole costruire, ma un potente fattore di cambiamento di civiltà, che nel giro di quattro secoli sostituì l’ideologia religiosa, filosofica e politica della grande comunità politica in cui si erano sviluppate. Questo fu possibile sulla base di due importanti elementi: la rapida strutturazione di una gerarchia religiosa, basata sul potere di vescovi che sorvegliavano e dirigevano l’evoluzione collettiva, e poi sullo sviluppo di una filosofia di impronta religiosa che presto assunse anche le caratteristiche che oggi si riconoscono nella teologia propriamente detta. Molto rapidamente dalle nostre collettività religiose emerse anche una teologia della politica, intesa come l’ideologia su come conciliare le convinzioni religiose della nostra fede con i doveri che derivavano dall'appartenenza politica. Un esempio di questa evoluzione culturale viene considerata l’opera di Giustino, nato nella attuale Cisgiordania nel secondo secolo e fondatore di una scuola di filosofia a Roma.
Insomma,
per quanto indubbiamente una persona possa vivere la propria vita di fede in
maniera per così dire ingenua, centrandola su una forte rete di rapporti
personali di prossimità nel quadro di una sorta di famiglia allargata,
bisogna avere sempre bene presente che la nostra fede è stata sempre molto più
di questo e non cedere alla tentazione, per semplificare i problemi
ignorandoli, di ridurla, coartarla direi, in quell’ambito familistico.
Insomma, per
quanto indubbiamente una persona possa vivere la propria vita di fede in
maniera per così dire ingenua, centrandola su una forte rete di
rapporti personali di prossimità nel quadro di una sorta di famiglia
allargata, bisogna avere sempre bene presente che la nostra fede è stata
sempre molto più di questo e non cedere alla tentazione, per semplificare i problemi
ignorandoli, di ridurla, coartarla direi, in quell’ambito familistico.
Di seguito incollo una cartina dell’impero romano al tempo della straordinaria espansione delle nostre collettività di fede al suo interno. Come ho scritto, la nostra fede, originata ai suoi estremi confini, nel giro di quattro secoli lo conquistò.
Nel primo secolo
l’impero aveva realizzato l’obiettivo di una pace politica,
organizzando intorno al bacino del Mediterraneo e in parte del Nord
Europa, mediante un ordine giuridico e un sistema culturale e l'esercizio
dell'autorità con un complesso ma efficiente apparato amministrativo, un’unica
collettività politica che aveva integrato popoli di varia etnia, lingua e
cultura, nel quale si parlavano due lingue veicolo, il latino e il greco.
Questo fu un fattore estremamente favorevole per lo sviluppo delle nostre prime
collettività di fede, che molto presto, distaccandosi dal contesto ebraico
delle origini a partire dalla Siria e dall'Asia Minore, si integrarono nella
lingua e nella cultura greca e poi in quella latina. Esse non rimasero
mai chiuse in sé stesse, al modo ad esempio dei fedeli del dio Mitra le cui collettività
furono a lungo coeve con quelle della nostra fede. Non furono mai culti iniziatici,
ad accesso limitato e segreto, ma esperienze sociali aperte,
proiettate verso la conquista delle masse.
A questo
punto bisogna far rilevare un concetto molto importante: l’idea di pace propria
delle nostre concezioni religiose presto si ibridò con quella che
caratterizzava l’impero mediterraneo in cui la nostra fede si era diffusa in
maniera travolgente. Quindi: pace come soggezione ad
un’autorità centralizzata, al vertice di una propria burocrazia con
ramificazioni sull’intero territorio della comunità politica.
La conquista
culturale e politica dell’impero romano fu la prima grande metamorfosi della
nostra esperienza di fede, che può essere idealmente suddivisa in quattro tappe
storiche nei suoi due millenni di vita. E’ importante rilevare che la conquista
dell’impero romano, che in realtà era all’epoca una collettività
latino-ellenistica, avvenne sul piano culturale, senza azioni militari.
Mario Ardigò –
Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.