Cuori in guerra
Parliamo di guerra quando combattono organizzazioni politiche,
come stati, partiti, organizzazioni insurrezionali o di resistenza. Il loro strumento
operativo sono gli eserciti. I soldati non hanno scelta: devono combattere (bisogna sempre ricordarselo). Nei
regimi democratici, però, gli adulti che hanno i diritti politici sono
corresponsabili delle guerre, perché, con lo strumento della politica, possono
impedirle. E’ importante, quindi, che si facciano un’idea realistica del
problema.
Fino a tutto l’Ottocento le guerre furono
combattute essenzialmente tra eserciti, anche se potevano avere pesanti
ripercussioni sulla popolazione, la più pesante delle quali fu storicamente il
saccheggio, che veniva consentito per qualche giorno ai soldati della milizia vincitrice
dopo la sottomissione di città del nemico. Con lo sviluppo dei cannoni, si
aggiunsero i danni dei bombardamenti, inizialmente volti ad aprire brecce nelle
mura fortificate di città e castelli, ma poi usati anche per fiaccare la resistenza
degli assediati.
Le due guerre mondiali combattute nel
Novecento in Europa e poi in tutto il mondo ebbero carattere diverso: vennero
organizzate come guerre tra popoli e quindi come totali. I
bombardamenti delle città come quelli di Coventry, Dresda, Hiroshima, Nagasaki
ne furono manifestazioni. Queste guerre richiedono una pesante opera di propaganda
per armare i cuori della
popolazione e renderla disposta alle atroci sofferenze belliche. Guerre di
questo tipo scoppiano quando la sopravvivenza di uno dei sistemi politici che
le combattono viene posta in questione e chi è minacciato ha a sua volta la concreta possibilità di
minacciare quella del nemico.
La guerra che è scoppiata in Ucraina non è,
per ora, di quel tipo. Non è, ancora, totale. L’Ucraina infatti può
attaccare i militari russi che l’hanno invasa, ma non la Russia. Quest’ultima
si propone essenzialmente di prendere il controllo del governo ucraino, non di
annientarlo o di annientare la popolazione. E’ una guerra più simile a quelle
coloniali che gli europei, e anche l’Italia, hanno scatenato in tutto il mondo
dal Seicento. Si cercava di prendere il controllo di altre popolazioni per sfruttarle
e sfruttare le ricchezze dei territori su cui erano stanziate. I colonizzati potevano
attaccare gli invasori ma non la potenza colonizzatrice. Quest’ultima non
voleva annientare gli invasi, ma colonizzarli, vale a dire sfruttarli.
E tuttavia si tratta di una guerra che può
diventare totale, nel caso di coinvolgimento della N.A.T.O. Questo perché N.A.T.O. e Federazione Russa
hanno la capacità tecnologica di annientarsi. Una guerra tra loro sarebbe una
guerra tra popoli, uno scontro di civiltà, in particolare se si dovesse cominciare
a impiegare le bombe nucleari. Da qualche decennio ne sono state costruiti tipi
molto meno potenti di quelle che distrussero le città giapponesi di Hiroshima e
Nagasaki, in particolare capaci di annientare la vita umana in un raggio di
qualche centinaia di metri facendo molto meno danni fisici nel territorio e,
soprattutto, con molte meno conseguenze letali a lungo termine per le radiazioni
scatenate. Ho letto che a più riprese i capi militari dei due schieramenti
hanno proposto di utilizzarle. Finora non lo si è fatto essenzialmente perché
non si può essere sicuri che il nemico non risponda con le bombe nucleari più
potenti, che oggi, montate su missili trasportati su sottomarini e camion, sono
difficilmente intercettabili al momento del lancio e, per le velocità altissime
che raggiungono i vettori, nemmeno in volo.
I prodromi di una guerra totale ci sono. Nei
due schieramenti si nota una intensa opera di propaganda contro il nemico.
E’ propagandistica l’informazione che non dà realisticamente conto del punto di
vista degli altri e che ricostruisce la genesi del conflitto
selezionando solo gli eventi che possano giustificare la guerra. Inoltre
si sta sciogliendo la stretta integrazione economica che legava Occidentali e
Russi. Si tratta, naturalmente, di un’arma a doppio taglio, come si suol dire.
In questo modo però la guerra totale apparirà progressivamente nei due fronti
una soluzione plausibile per sopravvivere.
Noi non pensiamo solo con il cervello, ma con
tutto il corpo, ci avvertono gli scienziati dei processi cognitivi, quindi
anche con i visceri, e il cuore è un viscere. Noi sentiamo le emozioni con
i visceri e il cervello ne è fortemente condizionato. Razionalmente nessuno
sano di mente, come si dice, si determinerebbe a una guerra, soprattutto
partendo da una condizione di stretta e proficua integrazione economica e sociale
come quella che si era prodotta tra la Russia e gli altri europei. E, certo, razionalmente
erano pensabili delle vie praticabili per non giungere a quello che stiamo vivendo,
che però i rispettivi governi non hanno ritenuto di seguire. Ma adesso, nel clima
pesantemente propagandistico di questi giorni, stiamo pensando con il cuore, e ora è un cuore in guerra.
Per nostri limiti cognitivi connessi alla
nostra fisiologia, siamo portati a personalizzare molto i fenomeni sociali
complessi come quelli che conducono i sistemi politici ad ordinare le guerre. A
metterla, insomma, in termini di cattiveria o di pazzia di qualcuno, il nemico. Quindi
ora agli occidentali viene proposto lo scenario secondo il quale uno cattivo
e pazzo sta mettendo in pericolo la nostra sopravvivenza.
In realtà la cosa è certamente molto più complessa. Possiamo dire questo: i governi
europei che ora sono coinvolti nella crisi non hanno saputo gestire l’integrazione
continentale e ora, visceralmente, ritengono plausibile la soluzione della guerra totale, che
fino a qualche decennio fa non lo era. Plausibile è una soluzione accettabile come tale, una via
percorribile. In Italia abbiamo un divieto
costituzionale a questo modo di pensare: all’art.11 la nostra Costituzione dichiara che l’Italia ripudia
(avendola in passato praticata) la guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali.
Avverto in questi giorni un evidentissimo
mutamento dello stato d’animo degli italiani verso la possibilità di una
guerra. Anche per la popolazione è tornata ad essere plausibile. Ed è un
sentire che percorre tutta l’Europa. D’altra parte il martellamento mediatico in
questo senso è impressionante.
Il pacifismo che chiede di combattere con una
delle parti belligeranti non è veramente tale. Chi fornisce armi ad una delle
parti belligeranti è già coinvolto e se le fornisce la N.A.T.O. contro un esercito della Federazione russa siamo a un
passo da una guerra totale.
Purtroppo noi, come Chiesa, siamo riusciti a
fare poco. E’ così le altre Chiese cristiane europee.
Paradossalmente si fu più al sicuro dalla
guerra quando dall’altra parte c’erano regimi che contrastavano apertamente le
religioni, ma che non ritennero plausibile una guerra totale in Europa e non solo non la
combatterono, ma cercarono di disinnescarne i presupposti. D’altra parte all’epoca
vigeva un complesso di accordi concluso a Jalta nel febbraio 1945 (e c’era ancora
in corso nelle sue ultime fasi la guerra mondiale per cui si sapeva bene l'orrore che era stata), che fu vigente fino
all’inizio degli anni ’90. Manca un trattato che regoli ciò che si è prodotto dopo.
E’ sorprendente
constatare che i preti cristiani delle due parti in lotta abbiano ripreso a
benedire i propri combattenti, senza minimamente manifestare di essere
consapevoli del controsenso che ciò comporta, dal punto di vista evangelico.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.