Guerra immorale
La mia generazione impedì una nuova guerra mondiale. Lo fece non solo contro la politica di guerra, ma anche contro la teologia di guerra
delle Chiese cristiane, quella che condusse lo stesso Montini, come ho letto, a
dare dei vigliacchi agli obiettori di coscienza.
Tuttora la teologia cattolica segue il principio che una guerra può
talvolta essere giusta, obbliga le persone cristiane ad adoperarsi per evitare le guerre ma non ad impedirle con l’azione politica. Segue il principio
della presunzione, per cui presume che i poteri politici istituiti siano i soli
in grado di capire quando vi sono
le condizioni di una guerra giusta
e ritiene quindi che le persone loro soggette non siano in colpa personale
lasciandosi inquadrare negli eserciti in guerra. Per questa via, nell’ultima
guerra mondiale, combattuta in Europa tra il 1939 e il 1945, e dal Regno d’Italia
dal 1940, ognuna delle nazioni europee in guerra pregò per la vittoria del proprio stato. La mia
generazione, nel complesso, ripudiò questa teologia, come anch’io ancora,
profondamente, la ripudio.
Due popoli cristiani, profondamente legati da etnia, cultura, storia,
sono stati trascinati in guerra dai loro governi. Altri popoli cristiani lo
sono proprio in queste ore. Da una parte e dall’altra si è preso a parlare di guerra
mondiale con impiego delle immonde
armi nucleari, purtroppo piazzate anche in Italia. Nelle piazze vedo che si
manifesta per una pace contro una delle parti in guerra. Non era così
che fece la mia generazione: si manifestava e lottava politicamente contro i progetti di guerra della propria parte.
In Italia, Aldo Capitini, l’ideatore della marcia della pace Perugia –
Assisi, insegnò la nonviolenza secondo l’insegnamento di Mohāndās Karamchand Gāndhi, grande anima (Mahatma ):
la lotta contro la prevaricazione sui popoli, che è sempre alla radice della
guerra, è doverosa, ma è immorale se non è praticata in modo nonviolento. Con
il metodo della nonviolenza Ghandi liberò l’India dalla pervicace dominazione
europea, che aveva prevalso in ogni guerra. La nonviolenza non è vigliaccheria,
perché ci si espone alla violenza altrui, ma ripudia la profonda ingiustizia
della guerra, di ogni guerra. È l’unica compatibile con il vangelo dell’agàpe,
che ordine di fare agàpe anche
con i propri nemici.
Di
fronte a qualsiasi teologia che giustifichi in qualsiasi modo la guerra, sento
l’obbligo dell’ateismo. Il dio della guerra è un’impostura, un inganno, e sono impostori i
suoi sacerdoti, in particolari se si dicono cristiani.
Nella
Bibbia c’è tanta guerra? È perché essa
non è un libriccino devozionale. I paleoantropologi hanno trovato tracce
di guerre in senso proprio, vale a dire ordinate da poteri sociali costituiti non solo scatenate
da istinti animaleschi, fin dalle prime società umane evolute in epoca preistorica.
La guerra è un flagello connaturato alla socialità umana. Ma la Bibbia narra di
tremende guerre antiche, aprendo però alla prospettiva della pace universale
come destino dell’umanità. E’ storia di una religiosità che cambia il
mondo liberandolo dalla guerra.
Alla
fine il monte dove sorge il tempio del Signore
sarà
il più alto di tutti e dominerà i colli.
Tutti
i popoli si raduneranno ai suoi piedi e diranno:
«Saliamo
sul monte del Signore,
andiamo
al tempio del Dio d’Israele.
Egli
c’insegnerà quel che dobbiamo fare;
noi
impareremo come comportarci».
Gli
insegnamenti del Signore
vengono
da Gerusalemme;
da Sion proviene
la sua parola.
Egli
sarà il giudice delle genti, e l’arbitro dei popoli.
Trasformeranno
le loro spade in aratri e le lance in falci.
Le
nazioni non saranno più in lotta tra loro
e
cesseranno di prepararsi alla guerra.
Ora,
Israeliti, seguiamo il Signore.
Egli
è la nostra luce.
[dal libro del profeta Isaia, capitolo 2,
versetti da 2 a 5 – Is 2, 2-5]
Giorgio
La Pira, grande anima e grande politico, parlava dei tempi di Isaia
riferendosi alla sua epoca, in cui una nuova guerra mondiale sembrava non più plausibile.
Oggi lo è diventata nuovamente.
Si è
annunciato orgogliosamente di stare distribuendo armi letali ad una delle parte in guerra. Noi ancora le
produciamo. Questo è profondamente immorale.
Scrisse il filosofo cristiano illuminista Immanuel Kant nell’opera Per la
pace perpetua del 1795
«Non sarebbe male che un popolo, a guerra finita
e dopo aver concluso il trattato di pace, dopo la festa del ringraziamento
decretasse un giorno di espiazione per chiedere perdono al cielo, in nome dello
Stato, per la grave colpa della quale il genere umano continua a macchiarsi,
rifiutando di sottomettersi ad una costituzione legale che regoli i rapporti
con gli altri popoli, e preferendo usare, fiero della sua indipendenza, il
barbaro mezzo della guerra (mediante il quale tuttavia non si decide ciò che si
cerca, vale a dire il diritto dello Stato). I festeggiamenti coi quali si rende
grazie per una vittoria conseguita in
guerra, gli inni cantati … al Signore
degli eserciti, non contrastano meno nettamente con l’idea morale del padre
degli uomini; infatti, a parte la già abbastanza triste indifferenza a riguardo
dei mezzi coi quali i popoli perseguono il proprio reciproco diritto, esprimono
per di più la soddisfazione d’avere annientato un bel numero di uomini, o
distrutto la loro felicità».
Aldo Capitini teorizzò il diritto della
ribellione religiosa contro la società che ordina la guerra:
«La società
non è un qualche cosa di staccato da me. E perciò come io, in quanto individuo,
ho il dovere di interiorizzarla e di rendermi conto delle sue ragioni, ho anche
il diritto di andare eventualmente oltre di essa. Non quando io fossi ribelle,
disordinato, ex lege, per natura; ma se seguo le leggi che ritengo giuste, se
attuo ciò che è ordine, se continuamente utilizzo l'esperienza tradizionale
della società, posso bene, quando sia in gioco un valore, quando nel resto
della mia vita sia solito a stare in guardia contro il gusto personale e
l'originalità di proposito, innovare, prendere un'iniziativa, dare un
contributo, e in questo caso sentire, vivere, e far vivere, che la vera società
è oltre quella dell'ordine sociale, della difesa dei diritti, del mantenimento
dei pubblici servizi; ma è oltre, nel regno degli spiriti, cioè dei soggetti,
cioè dell'amore da instaurare subito a costo di sacrifici. Accanto ad una
società che usa la guerra come via alla pace, la violenza come via all'amore, la
dittatura come via alla libertà, la religione mi porta ad anticipare di colpo
il fine nel mezzo; e ad attuare comunque, qui e subito, pace, amore, libertà.
La religione è impazienza dell'attendere il fine; e oggi che l'universo, il
tempo, lo spazio, non sono sentiti in dualismo stabile con l'infinito e
l'eterno, porremo noi questo dualismo nella società tra il mezzo e il fine?» (da “Elementi di un’esperienza religiosa”, 1937)
E ciò vale anche per la ribellione contro
qualsiasi dottrina religiosa che giustifichi in qualsiasi modo qualunque guerra. Dicono che
lo si fa per realismo, ma una religione realista non vale nulla.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli