Sinodalità dei capi o di popolo
[da Juan Marìa Laboa, Altante dei concilio
e dei sinodi nella storia della Chiesa, Città Nuova / Jaka Book, 2008,
pag.20]
A partire
dalla metà del 2° secolo [anno 150], quando il canone delle Scritture e la Regola
della fede erano già stati fissati,
assistiamo alla celebrazione delle prime assemblee episcopali nel senso di
regolari relazioni tra i vescovi di una singola regione - più o meno estesa , sia
per trattare argomenti della vita quotidiana
dei cristiani sia per affrontare
problematiche più complesse e straordinarie.
Risulta indicativa e chiarificatrice la
riflessione sui diversi fattori che influenzarono e condizionarono la
convocazione e la celebrazione dei primi concili.
Anzitutto, bisogna tener conto del fatto che
i vescovi stavano prendendo coscienza di essere una comunità di carattere
apostolico, che si prolungava nel tempo per mezzo del susseguirsi di
successioni episcopali, tra loro collegate attraverso il misterioso ma
indelebile vincolo di unione tra gli apostoli e i vescovi. Sant’Ireneo [35-107:
fu vescovo di Antiochia in Siria ] spiegò nei suoi scritti come il vescovo,
grazie alla successione che avviene in
ogni Chiesa, sia il testimone vivente della tradizione apostolica all’interno
di una singola comunità. San Cipriano [210-2058, fu vescovo di Cartagine, nel
nord Africa] dedusse da questa considerazione il principio dell’autorità
apostolica dei vescovi. Inoltre, questi primi scrittori ecclesiastici sostennero
con determinazione la convinzione che i vescovi costituissero un “ordine
episcopale” solidalmente responsabile del gregge affidato loro dal Signore. Da
questa consapevolezza traevano la convinzione di poter adottare decisioni
comuni.
I sinodi locali e regionali costituiscono la
conseguenza più rilevante e pratica di questa consapevolezza: i vescovi vi
esercitavano il loro ministero in comune e prendevano autorevoli decisioni in
merito a questiono su cui la tradizione precedente non si era pronunciata o non
lo aveva fatto con sufficiente chiarezza.
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Il primo sinodo documentato, dopo quello datato
nell’anno 49 narrato negli atti degli apostoli detto Concilio di Gerusalemme,
fu quello di Cartagine del 225. Quell’esperienza
sinodale, come le successive della Chiesa cattolica, fino ai Sinodi cattolici
dell’epoca nostra prima dell’ottobre dello scorso anno, compreso il Concilio Vaticano
2°, furono assemblee di capi religiosi, studiosi di religione e, fino al Quattrocento,
di capi civili. La teologia cattolica corrispondente si riferisce a quel modo
di essere sinodali.
Gli attuali cammini sinodali che riguardano
tutte le Chiese cattoliche del mondo, la nostra Chiesa nazionale e la Chiesa
tedesca sono diversi: riguardano tutto il popolo, non solo come oggetto di
governo, ma come soggetto attivo.
L’antica teologia sostiene che il popolo
abbia il senso della fede, per il quale sarebbe capace di intuire la verità senza tanto rifletterci sopra. Una
affermazione non proprio evidente. Non si capisce come mai nel secondo Millennio
sia stata necessaria tanta efferata violenza per purificarlo di ciò che veniva considerato eretico.
D’altra parte è solo in quel modo che si può giustificare una sinodalità
aperta, quindi non solo limitata ai capi religiosi e agli studiosi.
Il popolo comunque non è una realtà unitaria, ma un soggetto
complesso, organizzato a strati, come ci dicono gli antropologi e i sociologi.
Questa dimensione emerge poco o nulla nella Bibbia, ma oggi, con la libertà di
pensiero e di parola consentita dalla democrazie contemporanee, è piuttosto
evidente.
Né basta fare appello allo Spirito per risolvere
tutto. Infatti ogni persona ode dallo Spirito quello che vuole udire. Come
smentirla? In passato si passava alle vie di fatto e si cercava di eliminare il
dissenso con il dissenziente.
Secondo la teologia cattolica corrente sembra
che la raccomandazione genuina dello Spirito sia quella di obbedire alla
gerarchia, composta dal Papa e dai vescovi. Ma, messa così, la sinodalità di
popolo è difficilmente realizzabile. D’altronde, secondo papa Francesco, essa è
indispensabile per cominciare a produrre una riforma dal basso che dall’alto non si è mai riusciti
nemmeno ad iniziare. Nelle sue strutture fondamentali la nostra Chiesa è come
la si progettò tra l’Undicesimo e il Quattordicesimo secolo, sulle fondamenta
gettate nel Quarto secolo.
Una sinodalità di popolo, va detto, iniziò a
svilupparsi e risale fondamentalmente al Dodicesimo / Tredicesimo secolo. Essa
fu però in genere duramente avversata quando non si riuscì a inquadrarla in
ordini religiosi. La profonda diffidenza che circonda ogni esperienza
associativa progettata dalle persone laiche per vivere comunitariamente la fede
né è insieme residuo e testimonianza. Ma lo
è anche la resistenza a far partecipare le persone laiche alle decisione
che le riguardano nella Chiesa, anche a quelle minime. Addirittura ora, da
persone trattate sempre in questo
modo, ci si aspetta che inneschino moti di riforma generale.
Direi che sarebbe meglio cominciare da realtà
di base come le parrocchie, dove viene lasciato (relativamente) più spazio all’immaginazione
e dove spesso i parroci, diciamo i mandatari dei gerarchi (gerarca è chi
esercita un potere sacro) e gerarchi loro stessi, detentori di potestà sacre
secondo teologia e diritto canonico, hanno più familiarità con noi, questa
consuetudine potendo a volte manifestarsi come una maggiore fiducia.
Bisogna prendere coscienza, tuttavia, che,
anche in questa realtà di prossimità, occorre progettare, non basta
lasciarsi andare all’emozione spiritualista. E, per progettare, occorre imparare
a stabilire relazioni nelle quali si
riesca ad adottare decisioni collettive veramente condivise e sentite come impegnative
da tutti. Sembra facile, ma non lo è. L’antropologo Robin Dunbar, nel suo
recente libro Amici, ha spiegato che l’evoluzione, proprio per risolvere
i problemi di convivenza, ci ha dotati di aree del cervello dedicate. Infatti
la socialità ci ha dato vantaggi competitivi, per cui oggi siamo tra le specie
viventi più potenti (ce la giochiamo forse con formiche e batteri), ma ci ha causato
diversi crucci, perché vivere con gli altri, rispettandoli nella loro alterità,
non è sempre piacevole. Tanto che ancora oggi siamo tentati di ricorrere alla
guerra mettendo in capo tutti gli strumenti di sterminio a cui dedichiamo tanto
nostro ingegno.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli