Pensare il nuovo
Sto leggendo Amici. Comprendere il potere
delle nostre relazioni più importanti, Einaudi 2022 (anche in e-book), dell’antropologo
e psicologo evolutivo inglese Robin Dunbar.
Tra i vertebrati ci siamo molto avvantaggiati
di forme molto sofisticate di socialità. Realizzarla crea però grossi problemi:
per fronteggiarli l’evoluzione ci ha dotati di aree del cervello molto efficaci
in questo campo. Ci hanno resi capaci di linguaggio e di pensiero. In noi si è così
sviluppata una mente, che ci ha staccati dal presente, nel quale sembrano
confinati gli animali, anche quelli a noi molto vicini, in particolare gli
altri primati. Ricordiamo il passato e prefiguriamo il futuro. Nelle immagini
che ne abbiamo nella mente, realtà e fantasia non sono nettamente distinte.
Nelle elaborazioni mentali le emozioni svolgono un ruolo molto importante.
Al contempo, Dunbar ci avverte che, come ha
dimostrato con i suoi studi, la nostra mente non ci consente più di circa 150
relazioni intense, quelle che definiamo amicizie. Ne ha dato
dimostrazione sperimentale piuttosto convincente.
Chi è l’amico? E’ stato detto che è la
persona a cui vi avvicinereste senza esitazioni se vi capitasse di vederla alle
tre del mattino nella sala di attesa di
un aeroporto: si renderebbe immediatamente conto di chi siete e in quale
rapporto siete con lei, così come anche voi fareste con lei.
Come abbiamo fatto ad evadere da queste piccole comunità di circa 150 persone,
nelle quali siamo realmente ancora rinchiusi? Con le immagini create dalla
mente. La religione è appunto fatta essenzialmente di questo. E’ un complesso di
immagini strutturate che ci ha consentito di iniziare a pensare l’infinito,
il tutto, la moltitudine, il passato e il futuro lontanissimi. Ora non è più
il solo strumento che abbiamo per quella funzione, ma è ancora molto importante
e pervade tutti i campi del pensiero nei quali si cerca di immaginare la stabilità.
Il diritto ha ancora connotati religiosi. Un pensiero si presenta come
religioso quando cerca di fondare la stabilità, prescindendo dalla
generale evoluzione e trasformazione che caratterizzano tutto ciò che c’è
quando lo si osserva realisticamente.
Nelle religioni è quindi molto importante la
tradizione, ciò che si è ricevuto in società nel passato. Gli avi e le forze della natura furono le prime
manifestazione della divinità.
Bisogna però considerare che la storia umana è un seguito di trasformazioni sociali,
talvolta molto rapide, come sta appunto avvenendo ai tempi nostri. Tutto cambia
intorno a noi e chi non si adatta alla nuova situazione soccombe. Da qualche
anno si parla di resilienza per
definire la caratteristica di una persona o di una collettività di mantenere
una certa integrità pur in contestati traumatici, adattandosi.
Le religioni si sono mostrate molto
efficienti in questo campo. Non per la loro capacità di durare intatte, ma per
quella di durare trasformandosi. Esse, in particolare, riescono molto bene a
integrare l’emotività personale, dando senso
alla vita.
Le
istituzioni sono strutture sociali create per rendere stabile la società. Fino
ad epoca recente in Occidente si servivano anche delle religioni. Oggi molto
meno. In una società che sta cambiando rapidamente, anch’esse sono messe in questione.
In un certo senso stiamo vivendo la fine di un mondo, quello ordinato secondo
confini rigidi, nel quale la sicurezza era legata all’idea di sentirsi a
casa propria in un certo contesto geografico e sociale. Il
mondo è molto più intrecciato in una rete di relazioni che sono divenute
vitali.
Le immagini
religiose che ci sono servite nel passato possono funzionare anche nella nuova
situazione che si sta producendo? No, senz’altro no. E lo stesso deve dirsi per
le istituzioni religiose, così come per tutte le altre istituzioni. Occorre pensare e poi sperimentare
qualcosa di più adatto ai tempi.
Ad esempio, nel passato, anche recente, il
problema della guerra era meno pressante da un punto di vista religioso, per
cui, tutto sommato, quando scoppiavano guerre, in ogni stato si benedicevano i
propri eserciti nazionali senza troppi problemi di coscienza. In un mondo globalizzato
come quello in cui viviamo, nel
quale, ad esempio, gran parte degli oggetti di uso comune in Italia vengono dal
lontano Oriente, un conflitto generalizzato produrrebbe conseguenza catastrofiche
come mai è avvenuto nel passato. La tradizionale dottrina sulla guerra
giusta e anche quella sul guerriero cristiano, che è a posto con la
coscienza servendo la propria nazione anche andando ad ammazzare altra gente -
cristiani compresi, non vanno più bene.
Pensare il nuovo in modo che dia senso a ciò che viviamo, e un senso in cui ci sia
ancora posto per la maggior parte possibile di noi, deve essere lavoro
collettivo o altrimenti non funziona. Non è qualcosa che possiamo trarre dal
passato, perché quasi nulla di ciò che caratterizza ciò stiamo oggi
sperimentando c’era prima, né qualcosa che è alla portata di gruppi di poche
persone, o addirittura di una sola: va sperimentato su larga scala per vedere se
e come funziona. La sinodalità alla quale anche la nostra Chiesa si vorrebbe
aprire serve appunto a questo.
Pensare alla religione come a qualcosa che evolve,
che cambia, può sconcertare
qualche fedele. Ma la nostra, in particolare,
è una fede in cui si è ricevuta la promessa che tutte le cose saranno
fatte nuove.
Allora Dio dal suo
trono disse: «Ora faccio nuova ogni cosa». Poi mi disse: «Scrivi, perché ciò
che dico è vero e degno di essere creduto». [Apocalisse 21, 5]