Pluralismo e complessità
Una società è pluralistica quando al suo interno coesistono gruppi che si
orientano secondo valori diversi
e la repressione organizzata da quelli dominanti non riesce a impedirlo. Definiamo
valore un orientamento di vita che caratterizza un
gruppo sociale nelle questioni fondamentali. Un orientamento di vita diviene valore
quando la società che lo condivide resiste al suo mutamento. Un valore è sempre una manifestazione sociale,
anche quando viene interiorizzato dalla singola persona. Le società generano e
demoliscono continuamente valori, nei processi di adattamento alle nuove condizioni
ambientali e sociali. Nessun valore è innato, come lo sono i riflessi di suzione nei neonati.
Questo comporta che i valori si
apprendono in società. Ve ne sono
alcuni che sono legati al sistema di governo. In un sistema di governo totalitario
si cerca di ottenere che esauriscano tutti quelli condivisi nella società
di riferimento. Questo richiede livelli più o meno intensi di violenza politica,
morale, ma anche fisica. Le società totalitarie sono sempre violente. La
nostra Chiesa è attualmente organizzata secondo criteri totalitari ed esprime
quindi violenza politica, per nostra buona sorte non più fisica, ma solo
morale, sociale ed economica. I dissenzienti sono emarginati e chi lavora nell’organizzazione
ecclesiastica ne viene allontanato, dovendo procurarsi altri mezzi di sussistenza.
I cammini sinodali in corso sono
fondamentalmente finalizzati a passare dall’attuale organizzazione totalitaria,
portato degli ultimi due secoli, ad una pluralistica. Questo spiega l’importanza
che si dà al tema dell’ascolto.
Una società pluralistica è
necessariamente complessa.
Mio zio Achille, sociologo bolognese, ne parlò a me e a mio, cugino Sergio durante un viaggio di formazione
in cui ci guidò in Provenza nell’aprile del 1980, vent’anni prima che Zygmunt Bauman
pubblicasse il suo Modernità liquida, che trattava lo stesso tema.
Ecco gli appunti che presi all’epoca:
10-4-1980
La sera si mangia in un
ristorante in rue de la Libertè, vicino alla stazione di St. Charles.
Discutiamo sull’intervista a Ferrarotti e su quella allo zio. Lo zio disegna
schemi su una tovaglietta di carta del ristorante: il sistema E-P-C,
Economia-Politica-Cultura, che prima creava il senso della vita è in crisi; ci
sono una pluralità di centri creatori di senso. Ferrarotti: la crisi è la manifestazione di uno stato
aurorale, di un mondo diverso, post-cristiano e post-socialista; la crisi ha
una funzione epifanica, di rivelazione del nuovo; il mondo di oggi, basato su
mercato, si mostra insufficiente a dare senso alla vita, in quanto ha una
logica interna puramente utilitaria; vi è la necessità di mettersi in ascolto,
di sospendere il giudizio (Husserl: sospensione epocale), di mettersi in
atteggiamento religioso, perché l’uomo religioso è l’uomo dell’ascolto e
dell’attesa. Ardigò: al di là di una
rassomiglianza superficiale, c’è una profonda differenza tra sacro, religione e
fede; ogni società ha bisogno del suo sacro, ma l’uomo di fede no; il sacro è
un modo di dare una risposta razionale all’ignoto, alla prova, all’oscurità
della meta; ogni società ha bisogno del suo sacro, soprattutto quelle che si
ispirano a concezioni dichiaratamente atee, ma l’uomo di fede no; la decadenza
della società ha come effetto il riemergere del sacro e si tratta di sacralità
pagana; nel cristianesimo si ha una radicale demistificazione e
secolarizzazione del sacro, è il centro della rivelazione cristiana; la
liberazione per i cristiani non passa attraverso il collettivo, ma attraverso
la metànoia, la conversione personale, un cambio profondo della personalità, la
spada di Dio taglia, la parola di Dio separa fin dentro le midolla il cristico
dal pagano; il rapporto con Cristo deve essere sempre razionalizzabile, ci deve
essere sempre un rapporto positivo verso l’altro e verso la storia,
l’atteggiamento del cristiano deve essere solare, non può essere un
atteggiamento irrazionale; è difficile rallegrarsi di una ripresa privatizzata
del sacro, perché il sacro privatizzato è un sorta di epifenomeno della
decadenza di una civiltà, e si manifesta in quelle sue componenti che mancano
di un atteggiamento aperto e positivo nei confronti dell’uomo e della sua
storia o che mancano di speranza cristiana; l’individualismo ne è certamente la
premessa maggiore, non c’è più dono, non c’è più solidarietà se non attraverso
sforzi faticosissimi; rifondare il rapporto con l’altro diventa il problema dei
problemi; si tratta di partire da questo mondo vitale quotidiano, nel quale si
ricreano nuclei di gente che vivono la propria vita affidandosi a un rapporto
di conoscenza diretta, che ricostruiscono la trama sociale attraverso una
moltitudine di atti di comprensione piena di senso, d’amore, di dono, di
solidarietà, di fiducia, di responsabilità; il punto di ripresa oggi è
certamente nella possibilità di fondare un rapporto non narcisistico con
l’altro, e quindi di rifondare i mondi vitali quotidiani e il rapporto con la società,
dove il bisogno di sacro viene in qualche modo assorbito e superato da una
forza vitale della coscienza nel rapporto davvero interpersonale; ciò che
colpisce è che ci sono dei periodi in cui la gente torna a cercare il pagano;
il fondamento della ripresa dei mondi vitali quotidiani sta nella crescita
della capacità di stare con gli altri senza essere succubi o marginali o
dominanti, in rapporto di comunicazione familiare; per fare questo occorre
essere capaci di autodirezione, che a sua volta è possibile a partire da una
nuova nascita; bisogna essere capaci di capire “sei mesi prima”.
Negli anni ’90 la CEI sbagliò (lo capiamo bene ora con il senno del poi,
ma mio zio Achille aveva messo in guardia la gerarchia su questo, venendone
duramente emarginato per circa vent’anni) nell’intendere il fenomeno che
iniziava a manifestarsi impetuosamente. Vi vide l’espressione di un totalitarismo
liberale che premeva per escludere
religione e Chiesa dalla società e reagì opponendogli un totalitarismo di segno
opposto, nell’organizzazione del cosiddetto Progetto culturale.
Ha scritto Fulvio De Giorgi in Ardigò. Educare le comunità politiche.
Coscienza etica e impegno civile (a cura di F. De Giorgi e di F. Caneri), Scholè
2021, pag.41:
Ma la globalizzazione neoliberale non era un neototalitarismo,
anzi era la decostruzione post-moderna, preventiva e metodica, di ogni orizzonte
totale di discorso. E così la pastorale del Progetto culturale fu facilmente
neutralizzata, decostruita, metabolizzata, rubricandola come formulazione di
interessi cattolici, da accontentare, corporativamente, quanto basta, e da
accogliere finché si può, cioè nella misura in cui non si intaccavano l’individualismo
ruggente, il mercato e il profitto. Si realizzò dunque anche in Italia, in quel
periodo quasi ventennale, quello che è stato definito un disastro antropologico:
giudizio corretto ma lacunoso e omissivo, perché andrebbe completato con l’ammissione,
appunto di un grande fallimento pastorale.
Nella società pluralistica,
fattasi complessa per le opportunità che offre, i centri di potere sociale fluttuano
muovendosi secondo linee di minor resistenza
o di reciproca convenienza, ma la struttura sociale che ne risulta è in
continuo movimento e non è più completamente governabile dai sistemi politici,
sociali e religiosi, con i loro strumenti di controllo. Tutte le teorie
politiche, economiche, sociali, epistemologiche (anche teologiche), disse mio
zio in una scuola di politica tenutasi nel 1987, si stanno rivelando
superate. Nessuna delle antiche sicurezze resiste. Ma, concludeva mio zio, le
possibilità di uscire da questo sistema che definiva struttura di
dissipazione, sono legate fondamentalmente proprio da un fermentazione di aggregazioni di mondo vitale, nei
quali si riesca a recuperare un’interiorità sul senso della vita adeguata ai
tempi, che poi acquisti dimensione rilevante di macro-sistema.
Disse:
Certe fermentazioni – nel bene come nel male per le
istituzioni democratiche – che nelle società a sistema stabile sono condannate
alla marginalità sociale, possono invece, nelle società con sistemi in
persistente squilibrio, fare il salto di
qualità dal piccolo al grande livello e divenire, a certe condizioni ed eventi,
facitrici, co-facitrici di un nuovo ordine politico. [citazione da Ardigò.Educare le comunità politiche di
cui sopra].
Va aggiunto una notazione molto importante:
noi mai e poi mai potremo tornare indietro. Infatti l’umanità,
che nel 1980 aveva raggiunto i cinque miliardi di persone, è fatta di otto
miliardi che per la loro sopravvivenza dipendono dalla società globalizzata e pluralistica
com’è ora. Una prova evidente: quasi tutti gli oggetti di nostro uso comune in Italia,
compreso il computer che sto utilizzando per scrivere, sono costruiti in Oriente,
la gran parte in Cina, ma anche in Sud Corea, Vietnam, Giappone.
La nostra Chiesa in Europa si sta dissolvendo perché è governata secondo
strutture obsolete che impediscono, vietandolo, lo sviluppo di una nuova
interiorità di mondo vitale che possa innescare cambiamenti con rilevanza nei
macro-sistemi. Sopravvive dove si giova di finanziamenti pubblici, con l’incarico
di inscenare rappresentazioni identitarie ad uso politico, come sta avvenendo
in alcuni stati dell’Europa Orientale, in Germania e in Italia, o ancora dispone
di risorse proprie e nella misura in cui esse sono sufficienti. Si mette in
scena una cristianità nella quale
la maggior parte della gente non confida più e che in nessun caso potrà
essere recuperata. Le Chiese europee dedicano molte delle loro energie in
questo, in particolare per tenere in piedi quei grandi teatri che sono
le gigantesche chiesone disseminate nei centri dell’antico potere e
che sono usate per creare un fantasma di radici cristiane.
Tuttavia cammini sinodali sono stati aperti. E’, questa, una grande opportunità
in una società fortemente pluralistica
come la nostra. Ma non è il momento della gerarchia, che si trova incatenata
nella propria efferata e inutile teologia e non sa come uscirne, è il momento
nostro, di noi persone laiche. E’ ora che dobbiamo darci da fare, senza attendere
ordini dai gerarchi.
Disse mio zio Achille nella scuola del 1987:
L’irreversibilità e la larga imprevedibilità delle dinamiche
politiche e di quelle societarie in genere, accrescono l’importanza, anzi la
necessità della comunicazione interpersonale, intersoggettiva non alienata, di
mondo vitale e di affinità elettive sia perché da esse deriva la sola
possibilità di senso della vita e di adattamento – resistenza alle fluttuazioni
altrui, sia perché e anche da relazioni intersoggettive, primarie, che possono
scaturire le fluttuazioni capaci, in date contingenze, di dare ordine alla
stabilità.
Richiamando il mito di Parsifal, il cavaliere
scombinato che ridà vita al regno, caduto nella desolazione, del Re Pescatore,
detentore del segreto di dove si trova il Graal, chiedendo al Re “Dove
si trova il Graal?”, quindi ponendo la domanda fondamentale sul senso della
vita, mio zio consigliava nel 1982:
a) decisione nel formulare
la domanda centrale sapendo che
cosa si cerca. Commenta Mircea Eliade: «Nessuno prima di Parsifal aveva
pensato a formulare questa domanda
centrale, e il mondo periva a causa di tale indifferenza metafisica e religiosa,
a causa di tale mancanza d’immaginazione e assenza del desiderio del reale»;
b) ignorare o non rispettare le buone maniere di corte;
c) presentarsi come un
cavaliere povero sconosciuto e perfino un po’ ridicolo.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli