Sinodalità democratica in parrocchia
Il prossimo 25 febbraio, alle 18, in un incontro del MEIC – Movimento
ecclesiale di impegno culturale del
Lazio in Zoom, svilupperò alcune idee sullo sviluppo di una sinodalità
democratica in parrocchia (non credo però che avrò mai modo di discuterne nella
nostra parrocchia o di sperimentarle). Di solito non se ne ha esperienza e i
preti ne diffidano.
Come ha detto ieri Thomas Sternberg, membro del Cammino sinodale della
Chiesa cattolica tedesco e fino a novembre scorso presidente dello ZKT –
Comitato centrale dei cattolici e, come tale, membro dei Presidium di quel Cammino sinodale,
La chiesa si
manifesta in tutte le persone che vi
operano con l'autocomprensione di una persona moderna e questa è un'autocomprensione
democratica. Trovo assolutamente ridicolo pensare che la Chiesa cattolica
possa essere un'impresa non democratica.
I gruppi sinodali che
finora abbiamo animato in parrocchia non sono democratici perché non prevedono
che si giunga a decisioni condivise: sono state solo estemporanei scambi di
opinioni su temi dei quali si è saputo il giorno stesso della riunione.
Per via democratica i cristiani democratici hanno cambiato le società
europee, in particolare secondo i principi di pacificazione e di solidarietà ai
quali ai tempi nostri anche la dottrina sociale cattolica fa riferimento. Nel
momento in cui si vorrebbe applicarli anche nella vita della nostra Chiesa si è impediti dal farlo dalla
gerarchia che sbarra la via, ripetendo stucchevolmente che “la Chiesa non è
una democrazia”. E’ la triste eredità della politica cosiddetta intransigente
che circa cinquant’anni, tra Ottocento e Novecento, vietò la democrazia ai
cattolici italiani per le assurde rivendicazioni territoriali del Papato
riassunte nell’espressione Questione romana. Quest’ultima poi condusse i
cattolici italiani e la Chiesa tutta tra le braccia del fascismo mussoliniano,
che offrì la tanto sospirata conciliazione.
Se si vuole realizzare una reale partecipazione di tutti alle decisioni
che riguardano tutti, lo si può fare solo per via democratica. Questo significa
che non vi è altra via per attuare una vera sinodalità. Nell’interpretazione
dei nostri vescovi essa appare come un nostro parlare e in loro ascoltare
quello che credono, per poi decidere tra loro quello che riguarda tutti per poi
imporcelo a titolo di verità. In realtà, per come si sta sviluppando la
nostra sinodalità, l’ascoltare non sembra poi così importante, come del resto
era già prima. I vescovi sembrano avere già in mente quello che poi diranno di
avere ascoltato. Ma lo decideranno con più precisione quando sapranno dal Papa
che cosa dovranno pensare e dire. Il Papa non sembra tanto soddisfatto di
quello che si prospetta, ma l’organizzazione è quella che è, e in fondo l’ha
assentita lui.
Come anche ha detto Sternberg ieri, il diritto canonico non consente una
vera sinodalità, e allora, se si vuole provare ad attuarla, occorre
prescinderne fin dove si può, come appunto si sta facendo in Germania, ma lì
con l’assenso della maggioranza dei vescovi.
In una parrocchia, dove non si deve
decidere su verità, ma solo organizzare un lavoro comune di prossimità
fatto di cose concrete, spazi ci sono già adesso. Un’organizzazione veramente
sinodale può essere costruita a partire dai pur limitati spazi di autonomia
consentiti al Consiglio parrocchiale pastorale. Nella nostra parrocchia
non sembra funzionare a ciò che so. Farlo funzionare è però obbligatorio nella
Diocesi di Roma, per specifiche disposizioni normative. Quindi siamo in
difetto. Ho saputo che quando si riuniva c’erano problemi proprio perché non si
aveva pratica di sinodalità democratica e le correnti fondamentaliste
pretendevano di imporre una sola via, la loro. Così naturalmente non si va da
nessuna parte. Si passa a vie di fatto.
Così, invece di cercare di cambiare, si
è sospeso tutto. Del resto il clero diffida delle istituzioni
partecipative ed esse non sono così tanto diffuse nei cosiddetti movimenti,
una buona parte dei quali ha orientamenti reazionari e hanno di mira la Chiesa
del Concilio.
La democrazia, come oggi la si
intende, è un sistema di limiti all’esercizio di qualsiasi potere. Per questa
via si fa spazio ai molti.
Rispettando questo presupposto, e innanzi tutto la dignità delle altre persone,
si può partecipare in tanti. Su questo principio, che nessun potere possa
essere illimitato, quindi il rifiuto del
totalitarismo, non si decide a maggioranza: i deve essere tutti d’accordo. Del
resto il Maestro non istituì alcun potere totalitario perché ci comandò
l’agàpe, parola che il termine amore non traduce bene e che
consiste nello stare insieme con benevolenza e solidarietà, cercando di
capire e addirittura anticipare le esigenze delle altre persone che stanno con
noi. E’ lo spirito di servizio, che caratterizza l’esercizio del potere
democratico come oggi lo intendiamo.
Nello stare insieme in parrocchia
vengono in luce le cose concrete da fare e come collaborarvi. Così non si ha
l’impaccio della nostra sofisticata ed efferata teologia che in genere finisce
per guastare tutto, e lo dico perché storicamente è sempre andata così quando
ci si è affidati ad essa. Ma c’è ancora qualche persona che ha veramente
desiderio di impegnarsi nelle cose concrete da fare, non solo a chiacchiere? Al
dunque sembrano molto poche. Abbiamo poco tempo che ci residua e non è solo per
nostra cattiva volontà. Considerando la vita di chi ha lavoro e famiglia dei
quali occuparsi, si è calcolato che rimane solo parte del sabato e la domenica,
nella quale però si ha anche piacere di incontrarsi in famiglia, in una cerchia
ristretta. Ma non c’è democrazia, né vera sinodalità, se non si trova un tempo
sufficiente da condividere con altre persone.
Al dunque il tempo condiviso è poco
e bisogna imparare a impiegarlo bene, in modo produttivo. A questo servono le
procedure nelle quali si articola in pratica la democrazia, insegnate
dall’esperienza. Ognuno dovrebbe avere qualcosa da fare e tra le cose da fare ognuno dovrebbe a turno
occuparsi della funzione che definiamo presidenza e che possiamo assimilare alla mansione del direttore
d’orchestra, il quale, essendo in una posizione che gli consente di ascoltare
tutti gli strumenti, può anche coordinarne l’azione collettiva.
Tutto ciò che si fa dovrebbe essere
posto sotto la regola del provando e riprovando, che significa fare e
correggersi secondo i risultati dell’esperienza. Un fondamentalista, invece,
proverà e proverà nuovamente andando all’infinito a sbattere contro i muri contro
i quali si è schiantato, incapace di cambiare, convinto di avere il monopolio della
verità. Non crede ai muri e quindi non
riesce a capacitarsi che gli sbarrino la strada. E’ proprio per questa via che
la nostra Chiesa, come la conosciamo, sta iniziando a dissolversi. Certi muri, certo, dovrebbero cadere, ad esempio
tutti quelli costruiti a formare i palazzoni e chiesoni che costituiscono
ancora uno degli assili principali dei nostri gerarchi ecclesiastici. Si iniziò a costruirli dal Quarto secolo,
fondamentalmente per dare l’idea di un potere immane e immodificabile, sacralizzato
quindi, e da allora non si è più finito. Ai tempi nostri si stanno svuotando di
gente, perché non si è dedicata altrettanto impegno nella costruzione sociale,
pretendendo che, anche nell’affermarsi delle democrazie europee, le persone
accettassero di essere ridotte a mero oggetto di potere, in una condizione propriamente
servile, addirittura di gregge che va dove gli si dice e non ha voce, non articola pensieri, ma
emette solo versi al modo delle pecore. Come ha detto ha detto Sterberg,
oggi l’autocomprensione è democratica e la costruzione sociale, anche quella
ecclesiale, può essere solo democratica. Questo non significa mettere Dio ai
voti, ma rendere possibile in concreto la critica evangelica di ogni potere,
non consentendo alcun potere senza limiti.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro,
Valli