Il prof. Pietro Ramellini su democrazia
ecclesiale
[La prima decisione è quella sul metodo
di decisione – un metodo di decisione per ogni tipo (teologica, liturgica,
amministrativa ecc.) e scala (locale di prossimità, locale regionale, generale)
di decisione]
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Su Pax Romana – Journal – 2021 è stato pubblicato un articolo del prof.
Pietro Ramellini sul tema della democrazia ecclesiale.
La richiesta di maggiore democrazia nei processi
decisionali ecclesiali è legato, ha
scritto l’autore, al formarsi di una classe media riflessiva, teologicamente
preparata e impegnato nelle comunità.
Come risolvere questo problema di democrazia ecclesiale?
La democrazia è una forma di governo delle
comunità politiche, ma include anche valori, emozioni, aspirazioni, ricordi,
che variano molto nel tempo e nelle società di riferimento. Le Chiese, però,
non sono principalmente comunità politiche, con risvolti giuridici, ma fraternità
di persone che sperano e credono nel Dio di Gesù di Nazaret.
Quando parliamo di democrazia ecclesiale pensiamo ad un
ordinamento politico, a una società ideale, ad un’etica di convivenza di
persone libere e uguali, o a una miscela
di tutto questo?
Politica
è il processo collettivo umano
mediante il quale decisioni vincolanti per tutti su questioni rilevanti per una
società generalista [=che comprende tutti su un certo territorio e ogni questione
pubblica] sono prese e attuate.
La comunità ecclesiale, però, non è un sistema umano generalista. Quindi
non si potrà parlare di una forma politica per le comunità ecclesiali, né democratica, né
monarchica, né oligarchica.
Però ci si può chiedere quali siano i modi per prendere e attuare nel
modo migliore le decisioni vincolanti nella Chiesa. Nei Vangeli ci viene
presentato il modo di Gesù di decidere e l’evangelista Luca ci presenta quello
delle nostre comunità primitive. Si può
anche prendere in considerazione come si fece nelle diverse Chiese cristiane
nei tempi storici, o come si decide in altre comunità religiose. Si può, però,
partire chiedendosi come si debbano
prendere decisioni in una comunità fondata sulla carità cristiana e sull’agàpe,
nonché sull’assenso libero e adulto dei suoi membri.
Ramellini propone un’altra strada. Bisognerebbe porsi periodicamente,
come comunità di credenti, davanti al Dio di Gesù di Nazaret chiedendosi e
chiedendoGli, in spirito di preghiera e mediazione, come si può elaborare,
prendere e attuare decisioni vincolanti nella situazione concreta, qui ed ora,
della nostra comunità. E’ possibile farlo senza dimenticare la storia
millenaria del Cristianesimo, ma neanche senza lasciarsene imprigionare?
L’autore è convinto che, sotto quel profilo, occorra più democrazia
nelle cose ecclesiali, ma anche che non esista un modo unico praticabile per
decidere. La richiesta di democratizzazione può essere accettata con riserva.
Bisogna distinguere tra la fase di elaborazione della decisione, il
processo decisionale, e quella di deliberazione della decisione. Alcune
decisioni possono essere meglio ponderate e prese in piccoli gruppi
(commissioni liturgiche, consigli pastorali), altre da grandi assemblee
(concili, sinodi), altre ancora facendo affidamento al sensus fidelium (l’intuizione
della verità) universale. A volta conviene prendere decisioni a
maggioranza, altra richiedere su di esse l’unanimità, in altri casi addirittura
tirando a dadi. E’ necessario un pluralismo metodologico per gestire la
diversità ed eterogeneità delle problematiche su cui è necessario decidere:
enunciare il principio è semplice, praticarlo molto meno. Che accadrebbe al
ministero del Papa: l’autore ritiene che è questione che riguarda solo la
Chiesa cattolica romana e che quindi, in un primo approccio, possa essere messa
da parte.
Non si tratta solo di distinguere il metodo a seconda della materia del
decidere (ambito teologico, liturgico, amministrativo ecc.), ma anche di
stabilire chi debba decidere (uno,
alcuni o tutti, secondo una nota divisione tripartita che si fa in filosofia
politica) e come si debba
deliberare.
La questione democratica riguarda principalmente l’esercizio del potere
(kràtos nel greco antico), che implica anche dominio e violenza: dopo
tutto, osserva l’autore, il potere politico risiede in definitiva nel monopolio
della forza, anche come coercizione fisica. Però al centro dell’insegnamento di
Gesù in merito all’esercizio dei poteri specifici dati agli apostoli e a Pietro
c’è al centro il servizio non il potere. Trattando di
organizzazione ecclesiale non dovremmo allora porre l’accento sulla diaconia/servizio
più che sul kratos-potere? Chi serve chi, oggi? C’è nella questione
una tensione tra la dimensione kerigmàtica-carismatica e quella
gerarchico-giuridica della Chiesa. Non si dovrebbe rafforzare la diaconia piuttosto che democratizzare la Chiesa?
Bisogna chiedersi, scrive l’autore, che tipo di governo debba avere la
Chiesa. Si tratta di una forma fissata una volta per tutte, per sempre, o si
tratta di una forma dinamica, capace di metamorfosi? Secondo l’antico principio
ecclèsia semper reformanda – la Chiesa ha bisogno di costante riforma
la soluzione migliore è la seconda.
Nella questione del governo ecclesiale la
Bibbia ci presenta due metafore.
Una è quella pastorale, che presenta il governo come l’azione del
pastore di un gregge di pecore, che nutre e accudisce gli animali: può essere
svolta conducendo il gregge dove può
rinfrescarsi e riposare o tenerlo nascosto gelosamente o per paure nell’ovile. L’altra è quella del nocchiere di una nave (in
greco antico kibernetes, da cui
deriva la parola che significa governatore), abbastanza coraggioso da
partire per mare alla ricerca di posti pescosi, fino quasi a romper le reti; in
caso contrario la navigazione si riduce a navigare sotto costa o peggio a
rimanere ancorati in un porto sicuro.
Di solito si conviene che lo scopo del governo ecclesiale non è il
blocco, la chiusura, la difesa, ma piuttosto l’abbondanza del pascolo, della
pesca, del rigoglio della vita: il nutrimento e la crescita costante del Popolo
di Dio.
Che rapporto ci dovrebbe essere tra ambito locale e universale, si chiede Ramellini? Il metodo
dovrebbe essere lo stesso? Sì e no, risponde.
I processi decisionali di un municipio come dell’Unione Europea si
basano, ad esempio, su principi comuni: isegoria (libertà di parola per ogni
persona), votazioni, maggioranze. la democrazia formale è la stessa. Ma poi ci
sono delle differenze.
Spesso si sente dire: “alle elezioni
politiche nazionali voto per il partito, ma a livello locale la persona”.
Gli elettori avvertono la differenza tra particolare e generale.
A livello teorico vari filosofi della politica, ricorda l’autore, hanno
proposto diverse forma di governo per comunità politiche diverse. Ad esempio in
Cina si sono proposti totalitarismo e autocrazie per i grandi stati, la
monarchia per quelli di mezzo e perfino
l’anarchia per i più piccoli. Nella teoria della decisione si distingue tra
comitati, in cui si interagisce personalmente sui tempi di affrontare, e i
gruppi più grandi, con interazione personale minima. Infine l’iter legislativo
nazionale è diverso da quello regionale e locale.
Trattando di Chiese, è giusto che le decisioni si prendano nello stesso
modo per la Chiesa universale e per la parrocchia vicino a casa. Evidentemente,
su questo tema, non si considera tanto la forma di governo (ad esempio democrazia
contro autocrazia), ma ci si concentra piuttosto sulla scala locale, regionale
o globale, che nella Chiesa cattolica corrisponde più o meno alle dimensioni
della parrocchie, delle diocesi, alle Conferenze episcopali, agli organismi
continentali e a quelli con competenza mondiale.
Attualmente la disciplina del governo delle parrocchie è la stessa di
quella che vale per il governo dell’intera Chiesa, perché l’ordinamento
gerarchico comporta un trasferimento di metodi dall’alto verso il basso, ed
anche perché la Chiesa locale, nell’urbe, è, ecclesiologicamente
parlando, la Chiesa di Cristo quando la Chiesa globale, diffusa nell’orbe;
e questo anche se nella prassi si può pensare che a livello locale i rapporti umani
contino più che nella Curia Roma (pur consapevoli di quanto siano importanti
certe entrature in Vaticano).
Il prof. Ramellini immagina due modi di procedere,
in una parrocchia. Il primo dall’alto verso il basso: il pastore convoca
un incontro aperto e informale in cui i partecipanti si pongono davanti a Dio,
interrogandosi e chiedendoGli come si possa decidere nella comunità
ecclesiale a seconda del tipo e delle dimensioni di ciò di cui si deve trattare.
Potrebbero poi seguire incontri più strutturati, nei quali esaminare le
questioni rilevanti e decidere con le modalità scelte. Un secondo metodo è
quello di cui sono i singoli cristiani, o gruppi spontanei di cristiani, che
porteranno avanti la riflessione sul metodo, per poi esporre alla comunità i
risultati raggiunti proponendone l’adozione. I due metodi, osserva l’autore,
possono andare di pari passo e possono essere adottati per quanto riguarda la ekklesio-diakonia,
chiedendosi come si può servire meglio la comunità.
Può sembrare che quei modi di procedere indeboliscano il ruolo
ministeriale del pastore, scrive il prof. Ramellini, ma non è necessariamente
così. Nell’azione top-down, dall’alto verso il basso, l’azione parte dal
parroco, e quindi l’ordine gerarchico è pienamente rispettato; allo stesso
modo, nella procedura dal basso verso l’alto, l’azione culmina nel parroco, il
quale fa sintesi dei vari contributi. Quindi l’elaborazione di nuovi metodi decisionali
avviene attraverso i pastori e la gerarchia.
Ovviamente la possibilità di evoluzioni e sviluppi
più radicali, al di fuori della gerarchia, resta aperta, come nel caso delle
Chiese coreane sorte indipendentemente da Roma, o, in attesa della gerarchia,
come è accaduto per tante figure profetiche a lungo avversate e poi riconosciute
in tutta la loro grandezza; ma anche contro la gerarchia, come accade per i
movimenti ritenuti eretici e scismatici, che poi si esaurirono, o si distaccarono
e eventualmente ritornarono. Ma, osserva il prof. Ramellini, se avessimo
seguito la Regola d’oro di Cipriano nihil sine episcopo, nihil sine consilio
vestro, nihil sine consensu plebis meae [=niente senza il vescovo, niente senza il vostro
parere, niente senza il consenso del mio popolo] molti conflitti – e non solo locali
avrebbero potuto essere risolti. L’autore nota che l’attuale riscoperta dell’antico
principi giustinianeo, e poi canonico, del “quod omnes tangit, ab omnibus
tractari et approbari debet” (ciò che interessa a tutti, deve essere affrontato
e approvato da tutti) va nella stessa direzione, anche se spesso la sua ultima
parte viene dimenticata.
In conclusione, l’autore ritiene che i problemi
più urgenti delle Chiese (locali o non, cattoliche o meno) siano quelli ad
extra, vale a dire quelli delle società in cui le Chiese sono immerse, e
non quelli ab intra, vale a dire interni delle Chiese, e, più in generale,
quelli del Regno di Dio piuttosto che quelli delle Chiesa. Tuttavia, osserva,
se è bene affrontare le grandi questioni legate al giudizio e all’amore di Dio,
non è necessario, nell’occuparsene, trascurare quelle relative alle decime
sulle erbe aromatiche (richiama Lc 11,42).
Mario Ardigò
– Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli – per acvivearomavalli.blogspot.com