Trasformarci come popolo
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Da: Hervé Legrand – Michel Camdessus, Una
Chiesa trasformata dal popolo, Paoline 2021
[San Paolo scriveva al discepolo
Timoteo]: «Bisogna che il vescovo sia sposo di una sola donna … che sappia
dirigere bene la propria famiglia … perché se uno non sa dirigere la propria
famiglia, come poterà aver cura della Chiesa di Dio? E’ necessario che quelli
di fuori [i non cristiani] gli rendano una buona testimonianza» (1Tm 3,2-7) [v. sotto una citazione più ampia].
[…]
Al di là dei consigli di san Paolo, è importante ricordare che i primi
papi e i vescovi dell’antichità erano sposati. Non è la Chiesa ma l’imperatore
Giustiniano che “nel 535” rende obbligatorio il celibato dei soli vescovi, allo
scopo dichiarato di custodire i beni della Chiesa al servizio dei poveri,
invece di disperderli per successione tra i loro figli [gli autori richiamano
le Costituzioni latine di Giustiniano, Novella 6].
Da quel momento, questa ragione divenne
determinante per eleggere dei monaci (senza famiglia) come vescovi, cosa che la
Chiesa aveva cominciato a fare prima che la legislazione imperiale lo
imponesse.
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La storicità della regola del celibato sacerdotale, vale a dire che non
rientri nei costumi delle comunità cristiane delle origini né negli
insegnamenti evangelici, non è generalmente contestata. Ciò posto, essa,
tuttavia, non è al centro dei problemi delle nostre Chiese. E’ considerata tale
nella Chiesa cattolica per il pesante clericalismo che la caratterizza.
Nel libro di Hervé Legrand – Michel Camdessus che sto utilizzando come
traccia per le mie riflessioni, il primo capitolo si intitola Uscire dal
clericalismo e il gruppo di amici
del quale gli autori riportano le conclusioni prese spunto per affrontare questo
tema dagli abusi sessuali, in particolare su minori, compiuti dal clero.
Tuttavia, da ciò che ho letto altrove, non vi sono forti argomenti per
sostenere che la causa di quegli abusi, in danno delle persone e tra loro dei
fanciulli che frequentano gli ambienti ecclesiali, sia stata il celibato
sacerdotale del clero cattolico latino (il clero cattolico di rito bizantino
può sposarsi), per cui ripristinando tra i cattolici di rito latino l’antica
regola che ammetteva il matrimonio dei consacrati, essi cesserebbero o
diminuirebbero in modo consistente. La statistica giudiziaria a livello
mondiale dimostra che abusi del genere sono praticati anche da persone che
intrattengono relazioni sessuali stabili con partner maturi, liberi e consapevoli.
Mi pare significativa in questo senso sia l’esperienza giudiziaria italiana,
che conosco meglio, sia la notizia che, ad esempio, abusi analoghi a quelli
emersi negli Stati Uniti d’America nel clero cattolico statunitense sono stati
scoperti in organizzazioni scoutistiche, dunque al di fuori di ambienti
religiosi (cfr . https://en.wikipedia.org/wiki/Boy_Scouts_of_America_sex_abuse_cases
).
Non è detto, poi, che abolendo il celibato sacerdotale ne conseguirebbe
anche la fine del clericalismo, perché è pensabile, ed in effetti esistente,
anche un clericalismo in Chiese nelle quali servono sacerdoti sposati, come mi
pare di osservare nel mondo dell’ortodossia orientale e, in genere, nelle
Chiese cristiane diverse da quella cattolica che hanno mantenuto un ministero
propriamente sacerdotale pur consentendo il matrimonio del clero.
Tenendo presenti le fermissime pronunzie dei Papi degli ultimi secoli,
in particolare, da ultimo, quelle del papa Giovanni Paolo 2°, che si è voluto
santo proprio per cercare di vincolare anche per il futuro la Chiesa cattolica
al suo insegnamento, legare il superamento del clericalismo a quello del
celibato sacerdotale imprime una estrema drammatizzazione alla questione che
poi finisce per rafforzare, per reazione, il clericalismo. Del resto gli
storici osservano che proprio questo fu l’intento della gerarchia nell’imporre
strenuamente il celibato al clero cattolico latino: separare il clero dal resto del popolo per legarlo
strettamente a sé, rendendolo dipendente per la propria condizione di vita solo
dal vincolo gerarchico.
Ciò che invece verrà superato nel giro di qualche decina d’anni nella
Chiesa cattolica europea, un periodo di tempo troppo lungo perché un
sessantacinquenne come me possa prevedere realisticamente di vederne gli
sviluppi conclusivi, non sarà, credo, il celibato sacerdotale del clero
cattolico latino, ma proprio il sacerdozio come ancora oggi lo si concepisce,
strettamente legato, esso sì, al clericalismo ecclesiale. Accadrà semplicemente
per naturale consunzione di quel ceto di preti, già oggi assai anziano, senza
possibilità di ricambio. Dunque i preti-sacerdoti come oggi li vediamo ancora tra noi saranno
sempre meno e finiranno per essere assimilati a monaci e frati, dei quali anche
il clero diocesano, quindi non consacrato in ordini religiosi, condivide gran
parte degli impegni di vita. Emergeranno nuovi ministeri, come ad esempio è
accaduto con quello del Catechista, istituito con la Lettera
apostolica in forma di «motu proprio» Antiquum minsterium – Un antico ministero il 10 maggio 2021 da papa Francesco, sulla base di una
prassi diffusa e consolidata risalente in Europa agli anni Sessanta. Questi
nuovi ministeri saranno sicuramente aperti anche alle donne. Anche nel governo
ecclesiale emergeranno, accanto al ministero consacrato dei vescovi, altri
uffici o ministeri ecclesiali di direzione o coordinamento, più caratterizzati
in senso sinodale e partecipativo. I teologi poi rifletteranno su queste nuove
organizzative e sicuramente ne scopriranno il radicamento evangelico, in
particolare nei costumi delle nostre comunità più antiche.
Personalmente, quindi, non mi propongo assolutamente, in questa fase
entusiasmante di riforma ecclesiale di sinodalità popolare dal basso,
di chiedere o di proporre di superare il celibato del clero e anche solo di
prendere la parola su questo tema. Sarà lo stesso clero a dover ragionare, e
anche decidere, come vorrà essere in futuro, tenendo presente che la vera
minaccia alla sua missione non è il celibato, ma il clericalismo, che è
divenuto ormai intollerabile e che, volente o nolente la gerarchia, verrà
sicuramente superato in tempi non lunghi, almeno in Europa.
Certamente non verrà invece
superato il ministero del pastore che è essenziale nella vita
delle nostre comunità di fede e, aggiungo, non sinodalizzabile, perché,
implicando anche il dovere personale della profezia, deve
potersi svolgere anche contro le
comunità di riferimento. Quello che non
è essenziale è che chi fa il pastore abbia un diritto assoluto ed esclusivo di
amministrare i beni ecclesiali e di
dirigere le attività ecclesiali, sia a livello di una parrocchia, sia a livello
di una diocesi o a livelli superiori. In tutti questi campi occorre creare
forme di sinodalità popolare e di larga partecipazione, in modo che tutti possano aver voce in tutto ciò che li riguarda, secondo forme
organizzative che, seguendo l’idea del prof. Ramellini che ieri ho sintetizzato
dal suo articolo apparso su Pax Romana – Journal - 2021, devono essere
adattate a seconda dei temi e degli ambiti (locale di prossimità, diocesano,
nazionale, continentale, generale).
Questa nuova ministerialità dovrà emergere da
noi popolo di fede. Anche noi, come il clero cattolico latino, dovremo
riflettere in modo molto approfondito e insieme su come vogliamo essere Chiesa
in aderenza alla missione evangelica. Dobbiamo uscire dal comodo espediente di delegare
tutta l’ecclesialità al clero,
facendone non un’accolita di pastori ma, in qualche modo, di teatranti ai quali
affidare di inscenare la Chiesa
negli eventi rilevanti della vita personale e comunitaria. Dobbiamo imparare ad
agire nella Chiesa con lo stesso senso di responsabilità condivisa che mettiamo
nella nostra condizione di cittadinanza attiva nelle altre faccende pubbliche.
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Questa parola è degna di fede: se uno
aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro. Bisogna dunque che il
vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente,
dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento
ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia guidare bene
la propria famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi, perché, se uno
non sa guidare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di
Dio? Inoltre non sia un convertito da poco tempo, perché, accecato
dall'orgoglio, non cada nella stessa condanna del diavolo. È necessario
che egli goda buona stima presso quelli che sono fuori della comunità, per non
cadere in discredito e nelle insidie del demonio.
Allo
stesso modo i diaconi siano persone degne e sincere nel parlare, moderati
nell'uso del vino e non avidi di guadagni disonesti, 9e conservino il
mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a
una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro
servizio. Allo stesso modo le donne siano persone degne, non maldicenti,
sobrie, fedeli in tutto. I diaconi siano mariti di una sola donna e capaci
di guidare bene i figli e le proprie famiglie. Coloro infatti che avranno
esercitato bene il loro ministero, si acquisteranno un grado degno di onore e
un grande coraggio nella fede in Cristo Gesù.
[Dalla prima lettera di Paolo di Tarso a
Timoteo, capitolo 3, versetti da 1 a 13 – 1Tm 3, 1-13 - versione CEI 2008]
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Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli, per acvivearomavalli@blogspot.com