L’inutilità della religione e il
clericalismo
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Da: Hervé Legrand – Michel Camdessus, Una
Chiesa trasformata dal popolo, Paoline
2021, pag. 28
Il
clericalismo ha origine, in buona parte, nel fatto che, lungo il corso della
storia, il ministero sacerdotale si è a poco a poco sottratto al suo
inserimento nell’assemblea celebrante - come era nei primi tempi della Chiesa -, al
punto che oggi un prete può celebrare la “sua” mensa da solo. Dal 13° secolo, e
soprattutto dopo il concilio di Trento (1542), il sacerdozio comune dei fedeli
è divenuto sempre più una parola vuota. I preti sono ormai chiamati “sacerdoti”
e si vedono attribuire un potere intrinseco alla loro persona, poco compreso
come un servizio al popolo di Dio tutto sacerdotale, come nel primo millennio.
Nel brano che ho sopra trascritto vi sono diverse affermazioni che trovo
problematiche.
La prima è che, alle origini, vale a
dire nelle prime comunità che in Palestina, poi in Siria e in Asia Minore,
iniziarono a vivere insieme la nostra
fede e a dirsi cristiane, fosse praticato un ministero sacerdotale. La
seconda è che, nel primo millennio, tutto il popolo sia stato sacerdotale.
La terza è che il clericalismo, inteso come male ecclesiastico, si
sia sviluppato a causa della
formazione di un clero, vale a dire di un ceto che accentrò il potere
basato sul sacro. La quarta è il riferire il clericalismo alla Chiesa, senza specificazioni, e
non solo alle Chiese cristiane che ebbero e ancora hanno un clero, che sono
solo una parte del totale, ma anche le più antiche.
Certamente potere del sacro
è una forma di governo sociale, e più precisamente delle Chiese. Nel
linguaggio giuridico ecclesiastico viene definito potestà, perché
esercitato per interessi e finalità pubblici. Storicamente, tra la fine del
Primo secolo e l’inizio del Secondo, fu dall’esercizio del potere ecclesiastico
basato sul sacro, in particolare da parte dei vescovi che iniziò a svilupparsi
un clero. E bisogna rendersi consapevoli di una circostanza molto importante:
la sinodalità, che probabilmente cominciò
ad essere praticata verso la fine del Secondo secolo (il primo sinodo storicamente
documentato in modo ritenuto affidabile venne celebrato a Cartagine, in Africa,
nel 225), fu lo strumento organizzativo fondamentale per lo sviluppo del potere
sacro episcopale e quindi di un clero. Oggi invece la si immagina come via di
riforma della Chiesa per contrastarne il modo di governo basato
sull’accentramento in un ceto, il clero, del potere sacro.
Nel Quarto e Quinto secolo, quando la stupefacente riforma dell’impero
romano ideata e prodotta sotto l’autorità di Costantino 1° inglobò rapidamente
cristianesimi, potere sacro e clero ormai organizzato in una gerarchia
nell’organizzazione dello stato, nel corso di una serie di sinodi generali denominati
concili, convocati e presieduti
da imperatori romani ormai trasferitisi a Costantinopoli in Tracia, o
sotto la loro autorità, venne definito lo statuto fondamentale della nostra fede, o, detto nel
gergo clericale, il sistema di verità che occorre non solo proclamare ritualmente e pubblicamente, ma credere interiormente, per essere considerati parte di
una Chiesa. Una verità in quel
senso è una definizione religiosa. Una definizione religiosa diventa verità quando è condizione per l’appartenenza
ecclesiale. La gerarchia ecclesiastica è una verità per la Chiesa cattolica, ma non fa parte dello
statuto di cui dicevo, se non molto alla lontana, dove si deve
dichiarare di credere nella Chiesa
apostolica: infatti l’assetto gerarchico della nostra Chiesa è molto
cambiato nei due millenni della sua storia, lasciando più o meno invariato il
nucleo centrale della nostra fede, che è la cristologia come definita dal Quarto al Settimo secolo in
una serie di concili.
Ciò non toglie che, almeno fino al Cinquecento, il potere sacro
sia stato esercitato tra i cristiani mediante un clero gerarchizzato e che questa sia ancora oggi la condizione
della Chiesa cattolica: si tratta quindi di un costume assai radicato.
Il moto sinodale aperto lo scorso ottobre da papa Francesco ha un
significato nettamente diverso dalla sinodalità vissuta in precedenza nella
Chiesa cattolica. Esso vuole partire, infatti, dal Popolo di Dio,
nel quale sono compresi clero e gerarchi ecclesiastici, ma non solo essi. Si vorrebbe
che tutti avessero un ruolo
attivo. Naturalmente sono subito scoccate scintille e gli inizi, dove ci sono
stati, sono stati molto difficoltosi.
Ma Gesù come voleva la sua comunità? E’ il titolo di un interessante
libro del biblista Gerhard Lohfink, che mi è stato consigliato (Gerhard Lohfink,
Gesù come voleva la sua comunità? La chiesa quale dovrebbe essere, Edizioni
San Paolo 1987, ancora in commercio). Lohfink ha insegnato nell’Università di Tubinga, in Germania, Baden-Württemberg. I teologi sviluppano appassionate considerazioni
in merito e mi pare che l’impostazione dei teologi dogmatici differisca un po’
dai biblisti. Io penso che non sia possibile ricostruire in modo realmente affidabile come Gesù pensava la sua Chiesa,
posto che il dato evangelico ci dice che sicuramente volle associare gente alla
sua missione. Questo perché non rinvengo nelle sue parole, tramandate dai
Vangeli ritenuti come normativi per la nostra fede, il disegno di un impianto
organizzativo preciso.
Sulla
base della storia delle nostre Chiese, mi pare di capire che lo stimolo
fondamentale per le innovazioni in materia di organizzazione ecclesiastica sia
stato costituito dai problemi sociali e
politici che, in spirito di fede, ci si trovò ad affrontare nei secoli.
Fare
affidamento su un ceto specializzato di gerarchi ai quali tutti gli
altri si dovevano sottomettere fu una via per fare ordine. Il problema del
potere basato sul sacro, al pari di ogni potere, è che esso punta anzitutto al
proprio mantenimento: tramanda innanzi tutto se stesso. Da qui, poi, l’ideologia
clericale che, ad un certo punto,
considerò la parte essenziale della Chiesa il clero, e tutto il resto del popolo
come parte accessoria ed eventuale. Una virata da questa concezione si ebbe nel
corso del Concilio Vaticano 2°, che fu sostanzialmente un grande sinodo sulla
Chiesa, prima che della Chiesa.
Ciò
che chiamiamo clericalismo si
presenta tra i cattolici come un orientamento politico e religioso che ha vari
aspetti.
Il
primo è quando si ritiene che il potere del sacro debba prevalere su ogni altro
potere pubblico e che, quindi, non vi siano ambiti nei quali la gerarchia
ecclesiastica cattolica, oggi appannaggio esclusivo del clero, non possa
intervenire d’autorità, pretendendo di essere obbedita dai fedeli.
Poi c’è
la concezione secondo la quale nella Chiesa possa partecipare a qualsiasi
decisione solo chi abbia il potere
sacro, quindi il clero. Speculare è quella di chi rifiuti ogni partecipazione
a decisioni ecclesiastiche nel presupposto che competano solo al clero, quale
detentore del potere sacro.
Paradossalmente,
poi, talvolta il clero accusa i fedeli di clericalismo quando pretendono di aver qualche parte nelle
attività e decisioni specificamente ecclesiali: si vorrebbe, allora, rimandarli
nel secolo, o nel mondo come si dice, perché quello sarebbe il
solo ambito loro e non dovrebbero impicciarsi d’altro.
Il clericalismo
storicamente non dipese dalla
formazione di un clero per l’esercizio di poteri sacri, ma da quella di un gerarchia
basata sull’episcopato monarchico, del quale il papato romano è uno
sviluppo. Anzi, sempre considerando storicamente, i ministeri ecclesiastici furono
clericalizzati proprio ad opera della gerarchia episcopale, che poi indusse il
clericalismo per consolidare il suo potere, anzi l’accentramento su se stessa del potere sacro. Alle origini i
ministeri, per ciò che sappiamo e da ciò che risulta già nel Nuovo Testamento,
negli Atti degli Apostoli ad esempio, i ministeri scaturivano dal basso,
vale a dire da una comunità riunita, in progresso di tempo conquistò sempre più
spazio l’investitura dall’alto, fino ad oggi in cui nella Chiesa cattolica
è rimasta solo quest’ultima e i preti sono stati ridotti a collaboratori dei vescovi. E, naturalmente, come è stato
giustamente osservato da un amico qualche giorno fa, la distinzione tra l’alto e il basso, che poi sarebbe
la stragrande maggioranza del Popolo di Dio è la prima cosa che dovrebbe
essere superata nel costruire una nuova sinodalità popolare, come sembra
immaginarla papa Francesco.
Se
consideriamo gli eventi di questi giorni, una guerra europea tra stati in cui prevalgono
i cristiani e che anche strumentalizzano i loro cristianesimi a fini bellici,
come è apparso evidente dalle incredibili dichiarazioni di un gerarca
ecclesiastico di una delle parti in lotta (con il quale sarebbe bene troncare
immediatamente ogni ecumenismo per non esserne contagiati), un dato appare evidente: la religione
controllata dai poteri sacri, quindi dai gerarchi religiosi e dal clero loro sottoposto,
si è rivelata inutile.
Come
nei millenni passati, i cristiani stanno praticando una guerra feroce assistiti
e benedetti dai loro rispettivi cleri.
Il
problema principale del mondo di oggi, globalizzato e quindi estremamente connesso, è sicuramente il mantenimento
della pace, ormai condizione di sopravvivenza per tutta l’umanità: su questo le
gerarchie ecclesiastiche, la nostra, come le altre dei popoli in guerra (l’Europa
occidentale, quindi anche l’Italia, di fatto è già in guerra), non hanno
saputo, né voluto, esercitare il potere sacro che si attribuiscono nell’unico
modo in cui doveva essere fatto,
cioè vietando la guerra come prescrizione religiosa, su base evangelica.
Sono venuti solo i consueti, rituali, inani, appelli alla pace, per dovere d’ufficio
come si suol dire. Questo ha fatto risaltare tutta l’obsolescenza di un potere
sacro che si vorrebbe esercitare come si faceva più o meno dal Quarto secolo e
la necessità di costruire una nuova sinodalità popolare, qualcosa che storicamente non è mai esistita
tra i cattolici, basata non sul ritorno ad immaginifiche, quanto
irrealistiche, origini, ma sulla scoperta di come il vangelo possa, e quindi
debba, essere attuato nel mondo di oggi.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro Valli, per acvivearomavalli@blogspot.com
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