Vie di pace in
religione: dall’impero alla repubblica religiosa
1.I concetti fondamentali
della teologia della nostra fede, il nostro “Credo”, furono stabiliti nel
quarto e quinto secolo nel corso dei primi cinque concili ecumenici, che furono
convocati da imperatori romani e si svolsero nella parte orientale dell’impero,
a Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia, indizio dello spostarsi
dell’autorità suprema dello stato ad oriente. A quell’epoca era centrale, anche
come capo religioso, il ruolo dell’imperatore romano. A questo proposito si
parla di cesaropapismo, per definire
l’unificazione di potere politico e religioso in un’unica autorità. Uno degli ideologi di questa forma politica è considerato il
padre della Chiesa Eusebio di Cesarea, vissuto tra il terzo e il quarto secolo.
Il consolidamento della nostra teologia di
fede avvenne quindi prima del prodursi della gigantesca catastrofe politica,
con forte impatto religioso, che colpì l’impero a partire dal sesto secolo, con
le invasioni militari, da oriente, prima dei popoli del nord, a partire dal
Nord Europa, e poi degli arabi, in Asia e Nord Africa.
Rimase sempre, nella nostra teologia politica,
il ricordo e la nostalgia dei tempi di quel grande impero religioso che unificò tutte le aree geografiche di prima
espansione delle nostre collettività di fede. E ciò anche sulla base delle
teologia politica elaborata da quegli scrittori molto importanti che definiamo Padri della Chiesa e che fu fondamentale
per costruire la nuova ideologia politica della stato romano-ellenistico a
partire del quarto secolo. Esso rimase sempre come modello ideale di sistema politico-religioso che, in
vari modi, si tentò storicamente di ricostituire nella nostra confessione
religiosa, in particolare, a partire dal secondo millennio, cercando di
riorganizzarlo intorno al Papa romano.
2. Perciò tutte le
devastazioni, stragi, saccheggi, incendi, rovine commessi in questo
recentissimo sacco di Roma [la scorreria dei Visigoti guidati dal re Alarico a
Roma, nel 410] sono venuti dal costume di guerra. Si è riscontrato però anche
un comportamento diverso: la rozzezza barbara, per un incredibile cambiamento
di cose, è apparsa tanto mite che le più grandi basiliche furono scelte e
destinate a riempirsi di gente che doveva essere risparmiata, dove nessuno
potesse essere colpito o trascinato via, dove molti che dovevano esser liberati
erano condotti dal nemico compassionevole; donde nessuno, in conclusione,
poteva essere prelevato, neppure da un nemico crudele, per essere fatto
prigioniero. Tutto ciò deve essere attribuito al nome di Cristo e ai tempi
cristiani: è cieco chi non lo vede, è ingrato chi, pur vedendolo, non lo
riconosce, è folle chiunque si oppone a chi lo riconosce.
Non sarà mai che un uomo assennato possa
attribuire tutto questo alla ferocia dei barbari. A trattenere quegli spiriti
così selvaggi e incredibilmente violenti, a frenarli, a moderarli
meravigliosamente fu colui che molto tempo prima per mezzo del profeta disse: Punirò con la verga il loro peccato e con
flagelli la loro colpa. Ma non toglierò la loro grazia (Libro 1°, 7).
[…]
E’ accaduto perciò che, nonostante tutti i
popoli che vivono sulla terra e hanno diverse religiosi, diversi costumi e si
distinguono per la diversità delle lingue, delle armi, dell’abbigliamento, non
esistono che due generi di società umane, che opportunamente potremmo chiamare,
secondo le nostre Scritture, due città. Evidentemente l’una è formata
dagli uomini che vogliono vivere secondo
la carne, l’altra da quelli che vogliono vivere secondo lo spirito, ciascuno
nella propria pace, che essi raggiungono quando conseguono ciò che ricercano
(Libro 14°, 1).
[…]
Una volta gettato il seme della buona novella,
per quel ch’era necessario con la sua presenza fisica, Egli è morto ed è
risorto, mostrando con la sua passione ciò che dobbiamo soffrire per la verità
e con la sua risurrezione ciò che dobbiamo sperare per l’eternità, oltre alla
profondità del mistero per cui ha sparso il suo sangue per la remissione dei
peccati.
Visso poi sulla terra per quaranta giorni
assieme ai suoi discepoli e dinanzi ai loro occhi ascese al cielo, inviando
dopo dieci giorni lo Spirito Santo che aveva promesso. Il segno più grande e
più essenziale della sua venuta in coloro che avevano creduto era che ciascuno parlava le lingue di tutte le
nazioni, segno dell’unità della Chiesa cattolica, che si sarebbe diffusa in
tutte le nazioni e avrebbe parlato tutte le lingue (Libro 18°,49).
[citazioni da: Agostino di
Ippona, La città di Dio, 5° secolo]
Per capire il senso di ciò che oggi ci accade,
occorre talvolta fare memoria di eventi molto, molto risalenti nel tempo, e ciò
in particolare quando dobbiamo capire l’evoluzione delle culture umane.
Di fronte al fatto storico traumatico della
rottura dell’integrità territoriale e culturale del grande impero mediterraneo
nel quale si era espansa in modo travolgente la nostra fede, una vera fine di
un mondo, Agostino, intellettuale e poi capo religioso vissuto tra il quarto e
il quinto secolo, nato e formatosi nel Nord Africa e convertitosi a Milano,
nell’opera che ho sopra citato ripercorre la storia della civiltà romana e
greca e di alcune di quelle bibliche,
individuando le origini delle loro crisi in
insufficienze morali. La critica delle civiltà del passato è la premessa
a una nuova ideologia universalizzante basata sulla nostra fede che costituirà
la base di quel gigantesco lavoro di mediazione culturale da cui originò
l’assimilazione degli invasori provenienti dall’Europa orientale, in
particolare dei popoli germanici, in una nuova civiltà, nell’Europa occidentale.
In questo processo anche le nostre collettività religiose, nell’Europa
occidentale, subirono una significativa metamorfosi, distaccandosi sempre più
dai modelli che, ancora a lungo, rimasero praticati nella parte orientale
dell’Impero romano, che sopravvisse addirittura fino al Quattrocento. In
particolare, l’organizzazione del papato, come ancora oggi lo si concepisce,
deriva da quel processo. Infatti, degli antichi patriarcati, i maggiori centri intorno ai quali gravitavano le
nostre antiche collettività religiose, quelle che conquistarono la civiltà
romana, vale a dire quelli di Antiochia,
Alessandria, Costantinopoli, Gerusalemme, Roma, solo quest’ultimo ebbe
l’evoluzione storica che lo portò ad essere una monarchia propriamente
territoriale, con un proprio apparato feudale e con vocazione imperiale. Di
solito si collega questo sviluppo alla questione del primato del vescovo di Roma, in quanto successore dell’apostolo
Pietro, ma essa, che sicuramente ha una notevole importanza nel campo
teologico, non mi pare centrale per quanto riguarda gli aspetti sociologici e
giuridici dell’istituzione papale. L’organizzazione di quest’ultima ha
risentito fortemente delle dinamiche che, a partire dalla fine del quinto
secolo, coinvolsero le nostre collettività di fede dell’Europa occidentale in
quel processo di mediazione culturale di cui dicevo.
Le invasioni dei popoli germanici, a partire
dal quinto secolo, ruppero l’unità culturale latino-ellenistica che aveva
costituito il bacino di incubazione della stupefacente espansione delle nostre
collettività di fede, fino alla conquista dell’impero mediterraneo che
inizialmente le aveva contrastate. Da quell’epoca la storia dell’Occidente e
dell’Oriente della fede cominciò a procedere per vie separate, pur nell’affermazione
di una persistente unità ideologica. La rottura fu però formalizzata solo
all’inizio del secondo millennio, quando il papato romano, emerso da quella
storia a cui ho accennato come impero feudale al modo di quelli germanici, in
particolare di quello carolingio, pretese di imporre la sua autorità sull’altra
parte del nostro mondo di fede.
Il processo di assimilazione degli invasori
germanici poté attuarsi in quanto questi ultimi erano già stati esposti a
contatti con la civiltà latino-ellenistica inculturata dalla nostra fede e ne
avevano, per così dire, subito il fascino. In sostanza, i sovrani degli
invasori ambirono ad essere imperatori
così come lo erano stati gli ultimi imperatori cristiani d’occidente. Al centro
delle nuove organizzazioni politiche sorte dal crollo dell’impero d’occidente
fu quindi una questione di civiltà, in cui certamente era compresa anche la fede,
come fondamento religioso dell’ideologia politica. In questo contesto, lo
strumento di attuazione della pace
era ancora visto, come nella precedente fase storica, nella sottomissione dei
popoli ad un’unica autorità politica, in un impero
politico-religioso, il cui modello, dal quinto secolo in avanti, fu visto
nell’imperatore romano di
Costantinopoli.
Anticipo
che riguarda proprio questo tema
la novità epocale portata dal Concilio Vaticano 2° nell’ideologia religiosa
sulla pace. Infatti, le concezioni conciliari, e ancor più il loro sviluppi,
individuano in un’azione di popolo, anzi meglio dei popoli, lo strumento principale per raggiungere la pace
universale. Negli anni ’60, in sostanza, ci si iniziò a distaccare
dall’ideologia dell’impero religioso,
come strumento per attuare la pace universale, che era stata adottata, in varie
forme, dagli inizi del secondo millennio, uscendo dal Basso Medioevo e in
particolare dall’era carolingia. Questa è la via che si è storicamente
affermata in Occidente per impedire che lo scontro di civiltà si risolva
in una crisi di civiltà, ciò che nel mondo molto popolato, complesso e
interconnesso di oggi metterebbe in pericolo la sopravvivenza. Iniziarono ad
esserci guerre che non potevano essere combattute, e il cristianesimo
come religione degli Occidentali, coloro che dall’Ottocento e fino a pochi anni
addietro decisero della guerra e della pace, cambiò profondamente.
Mario Ardigò – Azione Cattolica
in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli