Dall’enciclica Lavorando - Laborem exercens, diffusa il 14 settembre 1981 sotto l’autorità
del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°- L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte
della missione evangelizzatrice della Chiesa. -
From the encyclical Through Work - Laborem
exercens, released September
14, 1981 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 ° - The teaching and spreading of her social
doctrine are part of the Church's evangelizing mission.
Nota:
Dopo il testo italiano del brano
dell’enciclica che ho citato, c’è il
testo ufficiale in inglese pubblicato dalla Santa Sede
Note:
After the Italian text of
the passage from the encyclical I quoted, there is the official text in English
published by the Holy See.
40. La solidarietà è indubbiamente una
virtù cristiana. Già nella precedente esposizione era possibile intravedere
numerosi punti di contatto tra essa e la carità, che è il segno distintivo dei
discepoli di Cristo (Gv 13,35). Alla luce della fede, la
solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni
specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della
riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi
diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva
immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto
l'azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato,
anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui
bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: «Dare la vita per i
propri fratelli» (1 Gv 3,16). Allora la coscienza della
paternità comune di Dio, della fratellanza di tutti gli uomini in Cristo,
«figli nel Figlio», della presenza e dell'azione vivificante dello Spirito
Santo, conferirà al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per
interpretarlo. Al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e stretti,
si prospetta alla luce della fede un nuovo modello di unità del genere umano,
al quale deve ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo
modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, è ciò
che noi cristiani designiamo con la parola «comunione». Tale comunione,
specificamente cristiana, gelosamente custodita, estesa e arricchita, con
l'aiuto del Signore, è l'anima della vocazione della Chiesa ad essere
«sacramento», nel senso già indicato. La solidarietà, perciò, deve contribuire
all'attuazione di questo disegno divino tanto sul piano individuale, quanto su
quello della società nazionale e internazionale. I «meccanismi perversi» e le
«strutture di peccato», di cui abbiamo parlato, potranno essere vinte solo
mediante l'esercizio della solidarietà umana e cristiana, a cui la Chiesa
invita e che promuove instancabilmente. Solo così tante energie positive
potranno pienamente sprigionarsi a vantaggio dello sviluppo e della pace. Molti
Santi canonizzati dalla Chiesa offrono mirabili testimonianze di tale
solidarietà e possono servire di esempio nelle difficili circostanze presenti.
Fra tutti desidero ricordare san Pietro Claver, col suo servizio agli schiavi
di Cartagena de Indias, e san Massimiliano Maria Kolbe, con l'offerta della sua
vita in favore di un prigioniero a lui sconosciuto nel campo di concentramento
di Auschwitz-Oswiecim.
[…]
41. […]. La dottrina sociale della
Chiesa non è una «terza via» tra capitalismo liberista e collettivismo
marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno
radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure
un'ideologia, ma l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta
riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e
nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale.
Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità
o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua
vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il
comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell'ideologia,
ma della teologia e specialmente della teologia morale.
L'insegnamento
e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione
evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina indirizzata a
guidare la condotta delle persone, ne deriva di conseguenza l'«impegno per la
giustizia» secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni di ciascuno.
All'esercizio del ministero dell'evangelizzazione in campo sociale, che è un
aspetto della funzione profetica della Chiesa, appartiene pure la denuncia dei
mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire che l'annuncio è sempre più
importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che le offre
la vera solidità e la forza della motivazione più alta.
42. La dottrina sociale della Chiesa,
oggi più di prima, ha il dovere di aprirsi a una prospettiva internazionale in
linea col Concilio Vaticano II, con le più recenti Encicliche e,
in particolare, con quella che stiamo ricordando [enciclica Populorum Progressio, del papa Paolo 6° - 1967]. Non sarà,
pertanto, superfluo riesaminarne e approfondirne sotto questa luce i temi e gli
orientamenti caratteristici, ripresi dal Magistero in questi anni. Desidero qui
segnalarne uno: l'opzione, o amore preferenziale per i poveri. É, questa, una opzione,
o una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana,
testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita
di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica
egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle
decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni. Oggi
poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo
amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non
abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza
assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si
può non prendere atto dell'esistenza di queste realtà. L'ignorarle
significherebbe assimilarci al «ricco epulone», che fingeva di non conoscere
Lazzaro il mendico, giacente fuori della sua porta (Lc 16,19).
La nostra vita quotidiana deve essere
segnata da queste realtà, come pure le nostre decisioni in campo politico ed
economico. Parimenti i responsabili delle Nazioni e degli stessi Organismi
internazionali, mentre hanno l'obbligo di tener sempre presente come
prioritaria nei loro piani la vera dimensione umana, non devono dimenticare di
dare la precedenza al fenomeno della crescente povertà. Purtroppo, invece di
diminuire, i poveri si moltiplicano non solo nei Paesi meno sviluppati, ma, ciò
che appare non meno scandaloso, anche in quelli maggiormente sviluppati.
Bisogna ricordare ancora una volta il
principio tipico della dottrina sociale cristiana: i beni di questo mondo sono
originariamente destinati a tutti. Il
diritto alla proprietà privata è valido e necessario, ma non annulla il valore
di tale principio: su di essa, infatti, grava «un'ipoteca sociale», cioè
vi si riconosce, come qualità intrinseca, una funzione sociale, fondata e
giustificata precisamente sul principio della destinazione universale dei beni.
Né sarà da trascurare, in questo impegno per i poveri, quella speciale forma di
povertà che è la privazione dei diritti fondamentali della persona, in
particolare del diritto alla libertà religiosa e del diritto, altresì,
all'iniziativa economica.
43. La preoccupazione stimolante verso
i poveri - i quali, secondo la significativa formula, sono «i poveri del
Signore» - deve tradursi, a tutti i livelli, in atti concreti fino a
giungere con decisione a una serie di necessarie riforme. Dipende dalle singole
situazioni locali individuare le più urgenti ed i modi per realizzarle; ma non
bisogna dimenticare quelle richieste dalla situazione di squilibrio
internazionale, sopra descritto. Al riguardo, desidero ricordare in
particolare: la riforma del sistema internazionale di commercio, ipotecato dal
protezionismo e dal crescente bilateralismo; la riforma del sistema monetario e
finanziario mondiale, oggi riconosciuto insufficiente; la questione degli
scambi delle tecnologie e del loro uso appropriato; la necessità di una
revisione della struttura delle Organizzazioni internazionali esistenti, nella
cornice di un ordine giuridico internazionale. Il sistema internazionale di
commercio oggi discrimina frequentemente i prodotti delle industrie incipienti
dei Paesi in via di sviluppo, mentre scoraggia i produttori di materie prime.
Esiste, peraltro, una sorta di divisione internazionale del lavoro, per cui i
prodotti a basso costo di alcuni Paesi, privi di leggi efficaci sul lavoro o
troppo deboli per applicarle, sono venduti in altre parti del mondo con
considerevoli guadagni per le imprese dedite a questo tipo di produzione, che
non conosce frontiere. Il sistema monetario e finanziario mondiale si
caratterizza per l'eccessiva fluttuazione dei metodi di scambio e di interesse,
a detrimento della bilancia dei pagamenti e della situazione di indebitamento
dei Paesi poveri. Le tecnologie e i loro trasferimenti costituiscono oggi uno
dei principali problemi dell'interscambio internazionale e dei gravi danni, che
ne derivano. Non sono rari i casi di Paesi in via di sviluppo, a cui si negano
le tecnologie necessarie o si inviano quelle inutili. Le Organizzazioni internazionali,
secondo l'opinione di molti, sembrano trovarsi a un momento della loro
esistenza, in cui i meccanismi di funzionamento, i costi operativi e la loro
efficacia richiedono un attento riesame ed eventuali correzioni. Evidentemente,
un processo così delicato non si potrà ottenere senza la collaborazione di
tutti. Esso suppone il superamento delle rivalità politiche e la rinuncia ad
ogni volontà di strumentalizzare le stesse Organizzazioni, che hanno per unica
ragion d'essere il bene comune. Le Istituzioni e le Organizzazioni esistenti
hanno operato bene a favore dei popoli. Tuttavia l'umanità, di fronte a una
fase nuova e più difficile dei suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un
grado superiore di ordinamento internazionale, a servizio delle società, delle
economie e delle culture del mondo intero.
44. Lo sviluppo richiede soprattutto
spirito d'iniziativa da parte degli stessi Paesi che ne hanno bisogno. Ciascuno
di essi deve agire secondo le proprie responsabilità, senza sperare tutto dai
Paesi più favoriti ed operando in collaborazione con gli altri che sono nella
stessa situazione. Ciascuno deve scoprire e utilizzare il più possibile lo
spazio della propria libertà. Ciascuno dovrà rendersi capace di iniziative
rispondenti alle proprie esigenze di società. Ciascuno dovrà pure rendersi
conto delle reali necessità, nonché dei diritti e dei doveri che gli impongono
di risolverle. Lo sviluppo dei popoli inizia e trova l'attuazione più adeguata
nell'impegno di ciascun popolo per il proprio sviluppo, in collaborazione con
gli altri. É importante allora che le stesse Nazioni in via di sviluppo
favoriscano l'autoaffermazione di ogni cittadino mediante l'accesso a una
maggiore cultura ed a una libera circolazione delle informazioni. Tutto quanto
potrà favorire l'alfabetizzazione e l'educazione di base che l'approfondisce e
completa, come proponeva l'Enciclica Populorum Progressio - mete
ancora lontane dall'attuazione in tante parti del mondo - è un diretto
contributo al vero sviluppo. Per incamminarsi su questa via, le stesse Nazioni
dovranno individuare le proprie priorità e riconoscer bene i propri bisogni
secondo le particolari condizioni della popolazione, dell'ambiente geografico e
delle tradizioni culturali. Alcune Nazioni dovranno incrementare la produzione
alimentare, per aver sempre a disposizione il necessario al nutrimento e alla
vita. Nel mondo contemporaneo- in cui la fame miete tante vittime, specie in
mezzo all'infanzia-ci sono esempi di Nazioni non particolarmente sviluppate,
che pure sono riuscite a conseguire l'obiettivo dell'autosufficienza alimentare
e a divenire perfino esportatrici di generi alimentari.
Altre Nazioni hanno bisogno di
riformare alcune ingiuste strutture e, in particolare, le proprie istituzioni
politiche, per sostituire regimi corrotti, dittatoriali o autoritari con quelli
democratici e partecipativi. É un processo che ci auguriamo si estenda e si
consolidi, perché la «salute» di una comunità politica-in quanto si esprime
mediante la libera partecipazione e responsabilità di tutti i cittadini alla
cosa pubblica, la sicurezza del diritto, il rispetto e la promozione dei
diritti umani-è condizione necessaria e garanzia sicura di sviluppo di «tutto
l'uomo e di tutti gli uomini».
From the encyclical Through Work - Laborem
exercens, released September
14, 1981 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 ° - The teaching and spreading of her social
doctrine are part of the Church's evangelizing mission.
Note:
I transcribe the official
text of the encyclical published by the Holy See in English below
40. Solidarity is undoubtedly a
Christian virtue. In what has been said so far it has been possible to identify
many points of contact between solidarity and charity, which is the
distinguishing mark of Christ's disciples (cf. Jn 13:35). In the light of faith,
solidarity seeks to go beyond itself, to take on the specifically Christian
dimension of total gratuity, forgiveness and reconciliation. One's neighbor is
then not only a human being with his or her own rights and a fundamental
equality with everyone else, but becomes the living image of God the Father,
redeemed by the blood of Jesus Christ and placed under the permanent action of
the Holy Spirit. One's neighbor must therefore be loved, even if an enemy, with
the same love with which the Lord loves him or her; and for that person's sake
one must be ready for sacrifice, even the ultimate one: to lay down one's life
for the brethren (cf. 1 Jn 3:16).
At that point, awareness of the common
fatherhood of God, of the brotherhood of all in Christ - "children in the
Son" - and of the presence and life-giving action of the Holy Spirit will
bring to our vision of the world a new criterion for interpreting it. Beyond
human and natural bonds, already so close and strong, there is discerned in the
light of faith a new model of the unity of the human race, which must
ultimately inspire our solidarity. This supreme model of unity, which is a
reflection of the intimate life of God, one God in three Persons, is what we
Christians mean by the word "communion." This specifically Christian
communion, jealously preserved, extended and enriched with the Lord's help, is
the soul of the Church's vocation to be a "sacrament," in the sense
already indicated.
Solidarity therefore must play its part
in the realization of this divine plan, both on the level of individuals and on
the level of national and international society. The "evil
mechanisms" and "structures of sin" of which we have spoken can
be overcome only through the exercise of the human and Christian solidarity to
which the Church calls us and which she tirelessly promotes. Only in this way
can such positive energies be fully released for the benefit of development and
peace. Many of the Church's canonized saints offer a wonderful witness of such
solidarity and can serve as examples in the present difficult circumstances.
Among them I wish to recall St. Peter Claver and his service to the slaves at
Cartagena de Indias, and St. Maximilian Maria Kolbe who offered his life in
place of a prisoner unknown to him in the concentration camp at Auschwitz.
[…]
41.[…] The Church's social doctrine is
not a "third way" between liberal capitalism and Marxist
collectivism, nor even a possible alternative to other solutions less radically
opposed to one another: rather, it constitutes a category of its own. Nor is it
an ideology, but rather the accurate formulation of the results of a careful
reflection on the complex realities of human existence, in society and in the
international order, in the light of faith and of the Church's tradition. Its
main aim is to interpret these realities, determining their conformity with or
divergence from the lines of the Gospel teaching on man and his vocation, a
vocation which is at once earthly and transcendent; its aim is thus to guide
Christian behavior. It therefore belongs to the field, not of ideology, but of
theology and particularly of moral theology.
The teaching and spreading of her
social doctrine are part of the Church's evangelizing mission. And since it is
a doctrine aimed at guiding people's behavior, it consequently gives rise to a
"commitment to justice," according to each individual's role,
vocation and circumstances.
The condemnation of evils and
injustices is also part of that ministry of evangelization in the social field
which is an aspect of the Church's prophetic role. But it should be made clear
that proclamation is always more important than condemnation, and the latter
cannot ignore the former, which gives it true solidity and the force of higher
motivation.
42. Today more than in the past, the
Church's social doctrine must be open to an international outlook, in line with
the Second Vatican Council, the most recent Encyclicals, and particularly in line with the
Encyclical which we are commemorating [encyclical Populorum Progressio, by Pope Paul 6th - 1967]. It will not be superfluous
therefore to reexamine and further clarify in this light the characteristic
themes and guidelines dealt with by the Magisterium in recent years.
Here I would like to indicate one of
them: the option or love of preference for the poor. This is an option, or a
special form of primacy in the exercise of Christian charity, to which the
whole tradition of the Church bears witness. It affects the life of each
Christian inasmuch as he or she seeks to imitate the life of Christ, but it
applies equally to our social responsibilities and hence to our manner of
living, and to the logical decisions to be made concerning the ownership and
use of goods.
Today, furthermore, given the worldwide
dimension which the social question has assumed, this love of preference for the
poor, and the decisions which it inspires in us, cannot but embrace the immense
multitudes of the hungry, the needy, the homeless, those without medical care
and, above all, those without hope of a better future. It is impossible not to
take account of the existence of these realities. To ignore them would mean
becoming like the "rich man" who pretended not to know the beggar
Lazarus lying at his gate (cf. Lk 16:19-31).
Our daily life as well as our decisions
in the political and economic fields must be marked by these realities.
Likewise the leaders of nations and the heads of international bodies, while
they are obliged always to keep in mind the true human dimension as a priority
in their development plans, should not forget to give precedence to the
phenomenon of growing poverty. Unfortunately, instead of becoming fewer the
poor are becoming more numerous, not only in less developed countries but-and
this seems no less scandalous-in the more developed ones too.
It is necessary to state once more the
characteristic principle of Christian social doctrine: the goods of this world
are originally meant for all. The right to private property is
valid and necessary, but it does not nullify the value of this principle.
Private property, in fact, is under a "social mortgage," which means that it has an
intrinsically social function, based upon and justified precisely by the
principle of the universal destination of goods. Likewise, in this concern for
the poor, one must not overlook that special form of poverty which consists in
being deprived of fundamental human rights, in particular the right to
religious freedom and also the right to freedom of economic initiative.
43. The motivating concern for the poor
- who are, in the very meaningful term, "the Lord's poor" - must be translated at all levels
into concrete actions, until it decisively attains a series of necessary
reforms. Each local situation will show what reforms are most urgent and how
they can be achieved. But those demanded by the situation of international
imbalance, as already described, must not be forgotten.
In this respect I wish to mention
specifically: the reform of the international trade system, which is mortgaged
to protectionism and increasing bilateralism; the reform of the world monetary
and financial system, today recognized as inadequate; the question of
technological exchanges and their proper use; the need for a review of the
structure of the existing international organizations, in the framework of an
international juridical order.
The international trade system today
frequently discriminates against the products of the young industries of the
developing countries and discourages the producers of raw materials. There
exists, too, a kind of international division of labor, whereby the low-cost
products of certain countries which lack effective labor laws or which are too
weak to apply them are sold in other parts of the world at considerable profit
for the companies engaged in this form of production, which knows no frontiers.
The world monetary and financial system
is marked by an excessive fluctuation of exchange rates and interest rates, to
the detriment of the balance of payments and the debt situation of the poorer
countries.
Forms of technology and their transfer
constitute today one of the major problems of international exchange and of the
grave damage deriving therefrom. There are quite frequent cases of developing
countries being denied needed forms of technology or sent useless ones.
In the opinion of many, the
international organizations seem to be at a stage of their existence when their
operating methods, operating costs and effectiveness need careful review and
possible correction. Obviously, such a delicate process cannot be put into
effect without the collaboration of all. This presupposes the overcoming of
political rivalries and the renouncing of all desire to manipulate these
organizations, which exist solely for the common good.
The existing institutions and
organizations have worked well for the benefit of peoples. Nevertheless,
humanity today is in a new and more difficult phase of its genuine development.
It needs a greater degree of international ordering, at the service of the
societies, economies and cultures of the whole world.
44. Development demands above all a
spirit of initiative on the part of the countries which need it. Each of them must act in
accordance with its own responsibilities, not expecting everything from the
more favored countries, and acting in collaboration with others in the same
situation. Each must discover and use to the best advantage its own area of
freedom. Each must make itself capable of initiatives responding to its own
needs as a society. Each must likewise realize its true needs, as well as the
rights and duties which oblige it to respond to them. The development of
peoples begins and is most appropriately accomplished in the dedication of each
people to its own development, in collaboration with others.
It is important then that as far as
possible the developing nations themselves should favor the self-affirmation of
each citizen, through access to a wider culture and a free flow of information.
Whatever promotes literacy and the basic education which completes and deepens
it is a direct contribution to true development, as the Encyclical Populorum
Progressio proposed.These goals are still far from
being reached in so many parts of the world.
In order to take this path, the nations
themselves will have to identify their own priorities and clearly recognize
their own needs, according to the particular conditions of their people, their
geographical setting and their cultural traditions.
Some nations will have to increase food
production, in order to have always available what is needed for subsistence
and daily life. In the modern world - where starvation claims so many victims,
especially among the very young - there are examples of not particularly
developed nations which have nevertheless achieved the goal of food
self-sufficiency and have even become food exporters.
Other nations need to reform certain
unjust structures, and in particular their political institutions, in order to
replace corrupt, dictatorial and authoritarian forms of government by
democratic and participatory ones. This is a process which we hope will spread
and grow stronger. For the "health" of a political community - as
expressed in the free and responsible participation of all citizens in public
affairs, in the rule of law and in respect for the promotion of human rights -
is the necessary condition and sure guarantee of the development of "the
whole individual and of all people."