Dall’enciclica La sollecitudine
sociale - Sollicitudo rei socialis, diffusa il 30 dicembre 1987 sotto
l’autorità del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°.
From the encyclical The social
concern - Sollicitudo rei socialis, released December 30, 1987 under the
authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 °
[testo italiano: http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_30121987_sollicitudo-rei-socialis.html
testo inglese. http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/en/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_30121987_sollicitudo-rei-socialis.html
]
Notes:
- after the Italian text there is the official English text published by
the Holy See;
-l’enciclica prende spunto dalla
precedente enciclica Lo sviluppo dei popoli
- Populorum
progressio, diffusa il
26 marzo 1967 sotto l’autorità del papa Giovanni Battista Montini - Paolo 6°;
- the encyclical takes its cue from the previous encyclical The progressive development of peoples -
Populorum progressio, released on March 26, 1967 under the authority of
Pope Giovanni Battista Montini - Paolo 6th;
5. Già al suo apparire,
il documento di Papa Paolo VI richiamò l'attenzione dell'opinione pubblica
per la sua novità. Si ebbe modo di verificare, in concreto e con grande
chiarezza, dette caratteristiche della continuità e del rinnovamento
all'interno della dottrina sociale della Chiesa. Perciò, l'intento di
riscoprire numerosi aspetti di questo insegnamento, mediante una rilettura
attenta dell'Enciclica, costituirà il filo conduttore delle presenti
riflessioni. Ma prima desidero soffermarmi sulla data di pubblicazione: l'anno
1967. Il fatto stesso che il Papa Paolo VI prese la decisione di
pubblicare una sua Enciclica sociale in quell'anno, invita a considerare il
documento in relazione al Concilio Ecumenico Vaticano II, che si era
chiuso l'8 dicembre 1965.
6. In tale fatto
dobbiamo vedere qualcosa di più che una semplice vicinanza cronologica.
L'Enciclica Populorum Progressio si pone, in certo modo, quale documento di
applicazione degli insegnamenti del Concilio. E ciò non tanto perché essa fa
continui riferimenti ai testi conciliari,(8) quanto perché scaturisce
dalla preoccupazione della Chiesa, che ispirò tutto il lavoro conciliare-in
particolar modo la Costituzione pastorale Gaudium et spes nel coordinare e sviluppare non
pochi temi del suo insegnamento sociale. Possiamo affermare, pertanto, che
l'Enciclica Populorum Progressio è come
la risposta all'appello conciliare, col quale ha inizio la Costituzione Gaudium
et spes «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi,
dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le
speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è più
genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».(9) Queste parole
esprimono il motivo fondamentale che ispirò il grande documento del Concilio,
il quale parte dalla constatazione dello stato di miseria e di sottosviluppo,
in cui vivono milioni e milioni di esseri umani. Questa miseria e sottosviluppo
sono, sotto altro nome, «le tristezze e le angosce» di oggi, «dei poveri
soprattutto»: di fronte a questo vasto panorama di dolore e di sofferenza, il
Concilio vuole prospettare orizzonti di gioia e di speranza. Al medesimo
obiettivo punta l'Enciclica di Paolo VI, in piena fedeltà all'ispirazione
conciliare.
7. Ma anche nell'ordine
tematico l'Enciclica, attenendosi alla grande tradizione dell'insegnamento
sociale della Chiesa, riprende in maniera diretta la nuova esposizione e la
ricca sintesi, che il Concilio ha elaborato segnatamente nella Costituzione
Gaudium et spes. Quanto ai contenuti e temi, riproposti dall'Enciclica, sono da
sottolineare: la coscienza del dovere che ha la Chiesa, «esperta in umanità»,
di «scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo»;(10) la
coscienza, egualmente profonda, della sua missione di «servizio», distinta
dalla funzione dello Stato, anche quando essa si preoccupa della sorte delle
persone in concreto;(11) il riferimento alle differenze clamorose nelle
situazioni di queste stesse persone;(12) la conferma dell'insegnamento
conciliare, eco fedele della tradizione secolare della Chiesa, circa la «destinazione
universale dei beni»;(13) l'apprezzamento della cultura e della civiltà
tecnica che contribuiscono alla liberazione dell'uomo,(14) senza trascurare
di riconoscere i loro limiti;(15) infine, sul tema dello sviluppo, che è
proprio dell'Enciclica, l'insistenza sul «dovere gravissimo», che incombe sulle
Nazioni più sviluppate, di «aiutare i Paesi in via di sviluppo».(16) Lo
stesso concetto di sviluppo, proposto dall'Enciclica, scaturisce direttamente
dall'impostazione che la Costituzione pastorale dà a questo problema. (17)
Questi ed altri espliciti riferimenti alla Costituzione pastorale portano alla
conclusione che l'Enciclica si presenta come applicazione dell'insegnamento
conciliare in materia sociale al problema specifico dello sviluppo e del
sottosviluppo dei popoli.
8. La breve analisi, ora
fatta, ci aiuta a valutar meglio la novità dell'Enciclica, che si può precisare
in tre punti. Il primo è costituito dal fatto stesso di un documento, emanato
dalla massima autorità della Chiesa cattolica e destinato, a un tempo, alla
stessa Chiesa e «a tutti gli uomini di buona volontà»,(18) sopra una
materia che a prima vista è solo economica e sociale: lo sviluppo dei popoli.
Qui il termine «sviluppo» è desunto dal vocabolario delle scienze sociali ed
economiche. Sotto tale profilo l'Enciclica Populorum Progressio si colloca
direttamente nel solco dell'Enciclica Rerum Novarum, che tratta della
«condizione degli operai».(19) Considerati superficialmente, entrambi i
temi potrebbero sembrare estranei alla legittima preoccupazione della Chiesa
vista come istituzione religiosa; anzi, lo «sviluppo» ancor più della
«condizione operaia».
In continuità con
l'Enciclica di Leone XIII, al documento di Paolo VI bisogna riconoscere il
merito di aver sottolineato il carattere etico e culturale della problematica
relativa allo sviluppo e, parimenti, la legittimità e la necessità
dell'intervento in tale campo da parte della Chiesa. Con ciò la dottrina
sociale cristiana ha rivendicato ancora una volta il suo carattere di
applicazione della Parola di Dio alla vita degli uomini e della società così
come alle realtà terrene, che ad esse si connettono, offrendo «principi di
riflessione», «criteri di giudizio» e «direttrici di azione».(20) Ora, nel
documento di Paolo VI si ritrovano tutti i tre elementi con un
orientamento prevalentemente pratico, ordinato cioè alla condotta morale. Di
conseguenza, quando la Chiesa si occupa dello «sviluppo dei popoli», non può
essere accusata di oltrepassare il suo campo specifico di competenza e, tanto
meno, il mandato ricevuto dal Signore.
9. Il secondo punto è la
novità della Populorum Progressio, quale si rivela dall'ampiezza di orizzonte
aperto a quella che comunemente è conosciuta come la «questione sociale». In
verità, l'Enciclica Mater et Magistra di Papa Giovanni XIII era
già entrata in questo più ampio orizzonte (21) ed il Concilio se ne era
fatto eco nella Costituzione Gaudium et Ses.(22) Tuttavia, il
magistero sociale della Chiesa non era ancora giunto ad affermare in tutta
chiarezza che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale, (23) né
aveva fatto di questa affermazione, e dell'analisi che l'accompagna, una
«direttrice di azione», come fa Papa Paolo VI ella sua Enciclica. Una simile
presa di posizione così esplicita offre una grande ricchezza di contenuti, che
è opportuno indicare.
Anzitutto, occorre
eliminare un possibile equivoco. Riconoscere che la «questione sociale» abbia
assunto una dimensione mondiale, non significa affatto che sia venuta meno la
sua forza di incidenza, o che abbia perduto la sua importanza nell'ambito
nazionale e locale. Significa, al contrario, che le problematiche nelle imprese
di lavoro o nel movimento operaio e sindacale di un determinato Paese o regione
non sono da considerare isole sparse senza collegamenti, ma che dipendono in
misura crescente dall'influsso di fattori esistenti al di là dei confini
regionali e delle frontiere nazionali. Purtroppo, sotto il profilo economico, i
Paesi in via di sviluppo sono molti di più di quelli sviluppati: le moltitudini
umane prive dei beni e dei servizi, offerti dallo sviluppo, sono assai più
numerose di quelle che ne dispongono. Siamo, dunque, di fronte a un grave
problema di diseguale distribuzione dei mezzi di sussistenza, destinati in
origine a tutti gli uomini, e così pure dei benefici da essi derivanti. E ciò
avviene non per responsabilità delle popolazioni disagiate, né tanto meno per
una specie di fatalità dipendente dalle condizioni naturali o dall'insieme delle
circostanze. L'Enciclica di Paolo VI, nel dichiarare che la questione sociale
ha acquistato dimensione mondiale, si propone prima di tutto di segnalare un
fatto morale, avente il suo fondamento nell'analisi oggettiva della realtà.
Secondo le parole stesse dell'Enciclica, «ognuno deve prendere coscienza» di
questo fatto,(24) appunto perché tocca direttamente la coscienza, ch'è fonte
delle decisioni morali. In tale quadro, la novità dell'Enciclica non consiste
tanto nell'affermazione, di carattere storico circa l'universalità della
questione sociale quanto nella valutazione morale di questa realtà. Perciò, i
responsabili della cosa pubblica, i cittadini dei Paesi ricchi personalmente
considerati, specie se cristiani, hanno l'obbligo morale-secondo il rispettivo
grado di responsabilità-di tenere in considerazione, nelle decisioni personali
e di governo, questo rapporto di universalità, questa interdipendenza che
sussiste tra i loro comportamenti e la miseria e il sottosviluppo di tanti
milioni di uomini. Con maggior precisione l'Enciclica paolina traduce l'obbligo
morale come «dovere di solidarietà», (25) ed una tale affermazione, anche
se nel mondo molte situazioni sono cambiate, ha oggi la stessa forza e validità
di quando fu scritta.
D'altra parte, senza
uscire dalle linee di questa visione morale, la novità dell'Enciclica consiste
anche nell'impostazione di fondo, secondo cui la concezione stessa dello
sviluppo, se lo si considera nella prospettiva dell'interdipendenza universale,
cambia notevolmente. Il vero sviluppo non può consistere nella semplice
accumulazione di ricchezza e nella maggiore disponibilità dei beni e servizi,
se ciò si ottiene a prezzo del sottosviluppo delle moltitudini, e senza la
dovuta considerazione per le dimensioni sociali, culturali e spirituali
dell'essere umano. (26)
10. Come terzo punto
l'Enciclica fornisce un considerevole apporto di novità alla dottrina sociale
della Chiesa nel suo complesso ed alla concezione stessa di sviluppo.
Questa novità è
ravvisabile in una frase, che si legge nel paragrafo conclusivo del documento e
che può esser considerata come la sua formula riassuntiva, oltre che la sua
qualifica storica: «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace». (27) In
realtà, se la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale, è perché
l'esigenza di giustizia può essere soddisfatta solo su questo stesso piano.
Disattendere tale esigenza potrebbe favorire l'insorgere di una tentazione di
risposta violenta da parte delle vittime dell'ingiustizia, come avviene
all'origine di molte guerre. Le popolazioni escluse dalla equa distribuzione
dei beni destinati originariamente a tutti, potrebbero domandarsi: perché non
rispondere con la violenza a quanti ci trattano per primi con la violenza? E se
si esamina la situazione alla luce della divisione del mondo in blocchi
ideologici già esistente nel 1967 e delle conseguenti ripercussioni e
dipendenze economiche e politiche, il pericolo risulta ben maggiore.
A questa prima
considerazione sul drammatico contenuto della formula dell'Enciclica se ne
aggiunge un'altra, a cui lo stesso documento fa allusione (28): come
giustificare il fatto che ingenti somme di danaro che potrebbero e dovrebbero
essere destinate a incrementare lo sviluppo dei popoli, sono invece utilizzate
per l'arricchimento di individui o di gruppi, ovvero assegnate all'ampliamento
degli arsenali di armi, sia nei Paesi sviluppati sia in quelli in via di
sviluppo, sconvolgendo così le vere priorità? Ciò è ancor più grave attese le
difficoltà che non di rado ostacolano il passaggio diretto dei capitali
destinati a portare aiuto ai Paesi in condizione di bisogno. Se «lo sviluppo è
il nuovo nome della pace», la guerra e i preparativi militari sono il maggior
nemico dello sviluppo integrale dei popoli.
In tal modo, alla luce
dell'espressione di Papa Paolo VI siamo invitati a rivedere il concetto di
sviluppo, che non coincide certamente con quello che si limita a soddisfare le
necessità materiali mediante la crescita dei beni, senza prestare attenzione
alle sofferenze dei più e facendo dell'egoismo delle persone e delle Nazioni la
principale motivazione. Come acutamente ci ricorda la Lettera di san Giacomo, è
da qui che «derivano le guerre e le liti. [...] Non vengono forse dalle vostre
passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a
possedere» (Gc 4,1). Al contrario, in un mondo diverso, dominato
dalla sollecitudine per il bene comune di tutta l'umanità, ossia dalla
preoccupazione per lo «sviluppo spirituale e umano di tutti», anziché dalla
ricerca del profitto particolare, la pace sarebbe possibile come frutto di una
«giustizia più perfetta tra gli uomini».(29)
Anche questa novità
dell'Enciclica ha un valore permanente ed attuale, considerata la mentalità di
oggi che è così sensibile all'intimo legame esistente tra il rispetto della
giustizia e l'instaurazione della vera pace.
Note:
8.
L'Enciclica Populorum
Progressio cita i Documenti del Concilio Vaticano II 19 volte, di cui
ben 16 si riferiscono alla Cost. past. su la Chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et Spes.
9. Gaudium et Spes, 1.
10. Ibid., 4; cf. Lett.
Enc. Populorum Progressio. 13: l.c.. nn. 263-264.
11. Cf. Gaudium et
Spes, 3; Lett. Enc. Populorum Progressio, 13: l.c., p. 264.
12. Cf. Gaudium et
Spes, 63; Lett. Enc. Populorum Progressio, 9: l..c., pp. 261s.
13. Cf. Gaudium et Spes, 69; Lett.
Enc. Populorum Progressio, 22:
14. Cf. Gaudium et
Spes, 57; Lett. Enc. Populorum Progressio, 41: l.c., p. 277.
15. Cf. Gaudium et
Spes, 19; Lett. Enc. Populorum Progressio, 41: l.c., pp. 277 s.
16. Cf. Gaudium et
Spes, 86; Lett. Enc. Populorum Progressio, 48: l.c., p. 281.
17. Cf. Gaudium et
Spes, 69: Lett. Enc. Populorum Progressio, 1421:1.c.,pp.264-268.
18. Cf. l'inscriptio
dell'Enciclica Populorum Progressio: l.c., p. 257.
19. L'Enciclica Rerum
Novarum di Leone XIII ha come argomento principale «la condizione
degli operai»: Leonis XIII P. M. Acta Romae 1892, p. 97.
20.
Cf. CONGR. PER LA DOTTRINA
DELLA FEDE, Istruzione su Libertà Cristiana e Liberazione: Libertatis
Conscientia (22 marzo 1986), 72: A,AS 79 (1987), P. 586; PAOLO VI Epist.
Apost. Octogesima Adveniens (14 maggio 1971), 4: AAS 63
(1971), PP. 403 S.
21. Cf. Lett. Enc. Mater
et Magistra (15 maggio 1961): A,AS 53 (1961), P. 440
22. Gaudium et Spes, 63.
23. Cf. Lett. Enc. Populorum
Progressio, 3: L.c., p. 258; cf. anche ibid., 9: l.c., p. 261.
24. Cf. ibid., 3 I.C., P.
258.
25. Ibid., 48.
26. Cf. ibid., 14: 1.c., p.
264: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere
autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla
promozione di ogni uomo e di tutto l uomo».
27. Ibid., 87: I.C., p- 299
28. Cf. ibid., 53: l.c., p.
283.
29. Cf. ibid., 76: l.c., p.
295.
II. ORIGINALITY OF THE ENCYCLICAL POPULORUM PROGRESSIO
5. As soon as it appeared, the document of Pope Paul VI captured
the attention of public opinion by reason of its originality. In a concrete
manner and with great clarity, it was possible to identify the above mentioned
characteristics of continuity and renewal within the Church's social doctrine.
The intention of rediscovering numerous aspects of this teaching, through a
careful rereading of the Encyclical, will therefore; constitute the main thread
of the present reflections.
But first I wish to say a few words about the date of publication;
the year 1967. The very fact that Pope Paul VI chose to publish a social
Encyclical in that year invites us to consider the document in relationship to
the Second Vatican Ecumenical Council, which had ended on December 8, 1965.
6. We should see something more in this than simple chronological
proximity. The Encyclical Populorum Progressio presents
itself, in a certain way, as a document which applies the teachings of the
Council. It not only makes continual reference to the texts of the Council, (8)
but it also flows from the same concern of the Church which inspired the whole
effort of the Council-and in a particular way the Pastoral Constitution Gaudium
et Spes - to coordinate and develop a number of themes of her social
teaching.
We can therefore affirm that the Encyclical Populorum
Progressio is a kind of response to the Council's appeal with which the
Constitution Gaudium et Spes begins: "The joys and the
hopes. the griefs and the anxieties of the people of this age, especially those
who are poor or in any way afflicted, these too are the joys and hopes, the
griefs and anxieties of the followers of Christ. Indeed, nothing genuinely
human fails to raise an echo in their hearts.” (9) These words express the
fundamental motive inspiring the great document of the Council, which begins by
noting the situation of poverty and of underdevelopment in which millions of
human beings live.
This poverty and underdevelopment are, under another name, the
"griefs and the anxieties" of today, of "especially those who
are poor." Before this vast panorama of pain and suffering, the Council
wished to suggest horizons of joy and hope. The Encyclical of Paul VI has the
same purpose, in full fidelity to the inspiration of the Council.
7. There is also the theme of the Encyclical which, in keeping
with the great tradition of the Church's social teaching, takes up again in a
direct manner the new exposition and rich synthesis which the Council produced,
notably in the Constitution Gaudium et Spes.
With regard to the content and themes once again set forth by the
Encyclical, the following should be emphasized: the awareness of the duty of
the Church, as "an expert in humanity," "to scrutinize the signs
of the times and to interpret them in the light of the Gospel"; the
awareness, equally profound, of her mission of "service," a (10) mission distinct from the function of the
State, even when she is concerned with people's concrete situation”(11); the
reference to the notorious inequalities in the situations of those same people
(12); the confirmation of the Council's teaching, a faithful echo of the
centuries - old tradition of the Church regarding the "universal purpose
of goods" (13); the appreciation of the culture and the technological
civilization which contribute to human liberation,(14) without failing to
recognize their limits's (15); finally, on the specific theme of development,
which is precisely the theme of the Encyclical, the insistence on the
"most serious duty" incumbent on the more developed nations "to
help the developing countries."(16) The same idea of development
proposed by the Encyclical flows directly from the approach which the Pastoral
Constitution takes to this problem.(17)
These and other explicit references to the Pastoral Constitution
lead one to conclude that the Encyclical presents itself as an application of
the Council's teaching in social matters to the specific problem of the
development and the underdevelopment of peoples.
8. This brief analysis helps us to appreciate better the
originality of the Encyclical, which can be stated in three points.
The first is constituted by the very fact of a document, issued by
the highest authority of the Catholic Church and addressed both to the Church
herself and "to all people of good will," (18) on a matter which at
first sight is solely economic and social: the development of peoples. The term
"development" is taken from the vocabulary of the social and economic
sciences. From this point of view, the Encyclical Populorum Progressio follows
directly in the line of the Encyclical Rerum Novarum, which deals
with the "condition of the workers." (19) Considered superficially,
both themes could seem extraneous to the legitimate concern of the Church seen
as a religious institution - and "development" even more so than the
"condition of the workers."
In continuity with the Encyclical of Leo XIII, it must be
recognized that the document of Paul VI possesses the merit of having
emphasized the ethical and cultural character of the problems connected with
development, and likewise the legitimacy and necessity of the Church's
intervention in this field.
In addition, the social doctrine of the Church has once more
demonstrated its character as an application of the word of God to people's
lives and the life of society, as well as to the earthly realities connected
with them, offering "principles for reflection," "criteria of
judgment" and "directives for action."(20) Here, in the document
of Paul VI, one finds these three elements with a prevalently practical
orientation, that is, directed towards moral conduct.
In consequence, when the Church concerns herself with the
"development of peoples," she cannot be accused of going outside her
own specific field of competence and, still less, outside the mandate received
from the Lord.
9. The second point of originality of Populorum Progressio is
shown by the breadth of outlook open to what is commonly called the
"social question."
In fact, the Encyclical Mater et Magistra of Pope
John XXIII had already entered into this wider outlook, (21) and the
Council had echoed the same in the Constitution Gaudium et Spes.
(22) However, the social teaching of the Church had not yet reached the point
of affirming with such clarity that the social question has acquired a
worldwide dimension,(23) nor had this affirmation and the accompanying
analysis yet been made into a "directive for action," as Paul VI did
in his Encyclical.
Such an explicit taking up of a position offers a great wealth of
content, which it is appropriate to point out.
In the first place a possible misunderstanding has to be
eliminated. Recognition that the "social question" has assumed a
worldwide dimension does not at all mean that it has lost its incisiveness or
its national and local importance. On the contrary, it means that the problems
in industrial enterprises or in the workers' and union movements of a
particular country or region are not to be considered as isolated cases with no
connection. On the contrary they depend more and more on the influence of
factors beyond regional boundaries and national frontiers.
Unfortunately, from the economic point of view, the developing
countries are much more numerous than the developed ones; the multitudes of
human beings who lack the goods and services offered by development are much
more numerous than those who possess them.
We are therefore faced with a serious problem of unequal
distribution of the means of subsistence originally meant for everybody, and
thus also an unequal distribution of the benefits deriving from them. And this
happens not through the fault of the needy people, and even less through a sort
of inevitability dependent on natural conditions or circumstances as a whole.
The Encyclical of Paul VI, in declaring that the social question
has acquired worldwide dimensions, first of all points out a moral fact, one
which has its foundation in an objective analysis of reality. In the words of
the Encyclical itself, "each one must be conscious" of this fact,
(24) precisely because it directly
concerns the conscience, which is the source of moral decisions.
In this framework, the originality of the Encyclical consists not
so much in the affirmation, historical in character, of the universality of the
social question, but rather in the moral evaluation of this reality. Therefore
political leaders, and citizens of rich countries considered as individuals,
especially if they are Christians, have the moral obligation, according to the
degree of each one's responsibility, to take into consideration, in personal
decisions and decisions of government, this relationship of universality, this
interdependence which exists between their conduct and the poverty and underdevelopment
of so many millions of people. Pope Paul's Encyclical translates more
succinctly the moral obligation as the "duty of solidarity"(25); and
this affirmation, even though many situations have changed in the world, has
the same force and validity today as when it was written.
On the other hand, without departing from the lines of this moral
vision, the originality of the Encyclical also consists in the basic insight
that the very concept of development, if considered in the perspective of
universal interdependence, changes notably. True development cannot consist in
the simple accumulation of wealth and in the greater availability of goods and
services, if this is gained at the expense of the development of the masses,
and without due consideration for the social, cultural and spiritual dimensions
of the human being.(26)
10. As a third point, the Encyclical provides a very original
contribution to the social doctrine of the Church in its totality and to the
very concept of development. This originality is recognizable in a phrase of
the document's concluding paragraph, which can be considered as its summary, as
well as its historic label: "Development is the new name for peace."
(27)
In fact, if the social question has acquired a worldwide
dimension, this is because the demand for justice can only be satisfied on that
level. To ignore this demand could encourage the temptation among the victims
of injustice to respond with violence, as happens at the origin of many wars.
Peoples excluded from the fair distribution of the goods originally destined
for all could ask themselves: why not respond with violence to those who first
treat us with violence? And if the situation is examined in the light of the
division of the world into ideological blocs a division already existing in
1967 - and in the light of the subsequent economic and political repercussions
and dependencies, the danger is seen to be much greater.
The first consideration of the striking content of the
Encyclical's historic phrase may be supplemented by a second consideration to which
the document itself alludes (28): how can one justify the fact that huge sums
of money, which could and should be used for increasing the development of
peoples, are instead utilized for the enrichment of individuals or groups, or
assigned to the increase of stockpiles of weapons, both in developed countries
and in the developing ones, thereby upsetting the real priorities? This is even
more serious given the difficulties which often hinder the direct transfer of
capital set aside for helping needy countries. If "development is the new
name for peace," war and military preparations are the major enemy of the
integral development of peoples.
In the light of this expression of Pope Paul VI, we are thus
invited to re-examine the concept of development. This of course is not limited
to merely satisfying material necessities through an increase of goods, while
ignoring the sufferings of the many and making the selfishness of individuals
and nations the principal motivation. As the Letter of St. James pointedly
reminds us: "What causes wars, and what causes fighting among you? Is it
not your passions that are at war in your members? You desire and do not have"
(Js 4:1-2).
On the contrary, in a different world, ruled by concern for the
common good of all humanity, or by concern for the "spiritual and human
development of all" instead of by the quest for individual profit, peace
would be possible as the result of a "more perfect justice among
people." (29)
Also this new element of the Encyclical has a permanent and
contemporary value, in view of the modern attitude which is so sensitive to the
close link between respect for justice and the establishment of real peace.
Notes:
8. The Encyclical Populorum Progressio cites the documents of the Second
Vatican Ecumenical Council nineteen times, and sixteen of the references are to
the Pastoral Constitution on the Church in the Modern World, Gaudium et Spes.
9. Gaudium et Spes, n. 1.
10. Ibid., n. 4; cf. Populorum
Progressio, n. 13: loc.
cit., pp. 263, 264.
11. Cf. Gaudium et Spes, n. 3; Populorum Progressio, n. 13: loc. cit., p. 264.
12. Cf. Gaudium
et Spes, n. 63; Populorum
Progressio, n. 9: loc.
cit., p. 269.
13. Cf Gaudium et Spes. n. 69; Populorum Progressio, n. 22: loc. cit., p. 269.
14. Cf. Gaudium
et Spes, n. 57; Populorum
Progressio, n. 41: loc.
cit., p. 277.
15. Cf. Gaudium
et Spes, n. 19; Populorum
Progressio, n. 41: loc.
cit., pp. 277f.
16. Cf. Gaudium
et Spes, n. 86; Populorum
Progressio, n. 48: loc.cit.,
p. 281.
17. Cf. Gaudium
et Spes, n. 69; Populorum
Progressio, nn. 14- 21: loc.
cit., pp. 264-268.
18. Cf. the Inscriptio of the Encyclical Populorum Progressio: loc. cit., p. 257.
19. The Encyclical Rerum Novarum of Leo XIII has as its principal subject
"the condition of the workers" Leonis XIII P. M. Acta, XI, Romae 1892, p. 97.
20. Cf. Congregation for the Doctrine of the Faith,
Instruction on Christian Freedom and Liberation, Libertatis Conscientia (March 22, 1986), n. 72: AAS 79 (1987), p. 586; Paul VI,
Apostolic Letter Octogesima
Adveniens (May 14, 1971); n. 4: AAS 63 (1971), pp. 403f.
21. Cf. Encyclical Mater et Magistra (May 15, 1961): AAS 53 (1961), p.
440.
22. Gaudium et Spes, n. 63.
23.Cf. Encyclical Populorum Progressio, n. 3: loc. cit., p. 258: cf. also ibid., n. 9: loc. cit., p. 261.
24. Cf. ibid.,
n. 3: loc. cit., p.
258.
25. Ibid., n. 48: loc.
cit., p. 281.
26. Cf. ibid.,
n. 14: loc. cit., p. 264:
"Development cannot be limited to mere economic growth. In order to be
authentic, it must be complete: integral, that is, it has to promote the good
of every man and of the whole man."
27. Ibid., n. 87: loc.
cit., p. 299.
28. Cf. ibid.,
n. 53: loc. cit., p.
283.
29. Cf. ibid.,
n. 76: loc. cit., p.
295.