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  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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giovedì 14 marzo 2019

Dall’enciclica La sollecitudine sociale - Sollicitudo rei socialis, diffusa il 30 dicembre 1987 sotto l’autorità del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°. From the encyclical The social concern - Sollicitudo rei socialis, released December 30, 1987 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 °


Dall’enciclica La sollecitudine sociale - Sollicitudo rei socialis, diffusa il 30 dicembre 1987 sotto l’autorità del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°.
From the encyclical The social concern - Sollicitudo rei socialis, released December 30, 1987 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 °

[testo italiano: http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_30121987_sollicitudo-rei-socialis.html
testo inglese. http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/en/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_30121987_sollicitudo-rei-socialis.html ]

Notes:
- after the Italian text there is the official English text published by the Holy See;
 -l’enciclica prende spunto dalla precedente enciclica Lo sviluppo dei popoli - Populorum progressio,  diffusa il 26 marzo 1967 sotto l’autorità del papa Giovanni Battista Montini - Paolo 6°;
- the encyclical takes its cue from the previous encyclical The progressive development of peoples - Populorum progressio, released on March 26, 1967 under the authority of Pope Giovanni Battista Montini - Paolo 6th;

II - Novità dell'enciclica "Populorum progressio"
5. Già al suo apparire, il documento di Papa Paolo VI richiamò l'attenzione dell'opinione pubblica per la sua novità. Si ebbe modo di verificare, in concreto e con grande chiarezza, dette caratteristiche della continuità e del rinnovamento all'interno della dottrina sociale della Chiesa. Perciò, l'intento di riscoprire numerosi aspetti di questo insegnamento, mediante una rilettura attenta dell'Enciclica, costituirà il filo conduttore delle presenti riflessioni. Ma prima desidero soffermarmi sulla data di pubblicazione: l'anno 1967. Il fatto stesso che il Papa Paolo VI prese la decisione di pubblicare una sua Enciclica sociale in quell'anno, invita a considerare il documento in relazione al Concilio Ecumenico Vaticano II, che si era chiuso l'8 dicembre 1965.
6. In tale fatto dobbiamo vedere qualcosa di più che una semplice vicinanza cronologica. L'Enciclica Populorum Progressio si pone, in certo modo, quale documento di applicazione degli insegnamenti del Concilio. E ciò non tanto perché essa fa continui riferimenti ai testi conciliari,(8) quanto perché scaturisce dalla preoccupazione della Chiesa, che ispirò tutto il lavoro conciliare-in particolar modo la Costituzione pastorale Gaudium et spes nel coordinare e sviluppare non pochi temi del suo insegnamento sociale. Possiamo affermare, pertanto, che l'Enciclica Populorum Progressio  è come la risposta all'appello conciliare, col quale ha inizio la Costituzione Gaudium et spes «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è più genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».(9) Queste parole esprimono il motivo fondamentale che ispirò il grande documento del Concilio, il quale parte dalla constatazione dello stato di miseria e di sottosviluppo, in cui vivono milioni e milioni di esseri umani. Questa miseria e sottosviluppo sono, sotto altro nome, «le tristezze e le angosce» di oggi, «dei poveri soprattutto»: di fronte a questo vasto panorama di dolore e di sofferenza, il Concilio vuole prospettare orizzonti di gioia e di speranza. Al medesimo obiettivo punta l'Enciclica di Paolo VI, in piena fedeltà all'ispirazione conciliare.
7. Ma anche nell'ordine tematico l'Enciclica, attenendosi alla grande tradizione dell'insegnamento sociale della Chiesa, riprende in maniera diretta la nuova esposizione e la ricca sintesi, che il Concilio ha elaborato segnatamente nella Costituzione Gaudium et spes. Quanto ai contenuti e temi, riproposti dall'Enciclica, sono da sottolineare: la coscienza del dovere che ha la Chiesa, «esperta in umanità», di «scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo»;(10) la coscienza, egualmente profonda, della sua missione di «servizio», distinta dalla funzione dello Stato, anche quando essa si preoccupa della sorte delle persone in concreto;(11) il riferimento alle differenze clamorose nelle situazioni di queste stesse persone;(12) la conferma dell'insegnamento conciliare, eco fedele della tradizione secolare della Chiesa, circa la «destinazione universale dei beni»;(13) l'apprezzamento della cultura e della civiltà tecnica che contribuiscono alla liberazione dell'uomo,(14) senza trascurare di riconoscere i loro limiti;(15)  infine, sul tema dello sviluppo, che è proprio dell'Enciclica, l'insistenza sul «dovere gravissimo», che incombe sulle Nazioni più sviluppate, di «aiutare i Paesi in via di sviluppo».(16) Lo stesso concetto di sviluppo, proposto dall'Enciclica, scaturisce direttamente dall'impostazione che la Costituzione pastorale dà a questo problema. (17) Questi ed altri espliciti riferimenti alla Costituzione pastorale portano alla conclusione che l'Enciclica si presenta come applicazione dell'insegnamento conciliare in materia sociale al problema specifico dello sviluppo e del sottosviluppo dei popoli.
8. La breve analisi, ora fatta, ci aiuta a valutar meglio la novità dell'Enciclica, che si può precisare in tre punti. Il primo è costituito dal fatto stesso di un documento, emanato dalla massima autorità della Chiesa cattolica e destinato, a un tempo, alla stessa Chiesa e «a tutti gli uomini di buona volontà»,(18) sopra una materia che a prima vista è solo economica e sociale: lo sviluppo dei popoli. Qui il termine «sviluppo» è desunto dal vocabolario delle scienze sociali ed economiche. Sotto tale profilo l'Enciclica Populorum Progressio si colloca direttamente nel solco dell'Enciclica Rerum Novarum, che tratta della «condizione degli operai».(19) Considerati superficialmente, entrambi i temi potrebbero sembrare estranei alla legittima preoccupazione della Chiesa vista come istituzione religiosa; anzi, lo «sviluppo» ancor più della «condizione operaia».
In continuità con l'Enciclica di Leone XIII, al documento di Paolo VI bisogna riconoscere il merito di aver sottolineato il carattere etico e culturale della problematica relativa allo sviluppo e, parimenti, la legittimità e la necessità dell'intervento in tale campo da parte della Chiesa. Con ciò la dottrina sociale cristiana ha rivendicato ancora una volta il suo carattere di applicazione della Parola di Dio alla vita degli uomini e della società così come alle realtà terrene, che ad esse si connettono, offrendo «principi di riflessione», «criteri di giudizio» e «direttrici di azione».(20) Ora, nel documento di Paolo VI  si ritrovano tutti i tre elementi con un orientamento prevalentemente pratico, ordinato cioè alla condotta morale. Di conseguenza, quando la Chiesa si occupa dello «sviluppo dei popoli», non può essere accusata di oltrepassare il suo campo specifico di competenza e, tanto meno, il mandato ricevuto dal Signore.
9. Il secondo punto è la novità della Populorum Progressio, quale si rivela dall'ampiezza di orizzonte aperto a quella che comunemente è conosciuta come la «questione sociale». In verità, l'Enciclica  Mater et Magistra di Papa Giovanni XIII era già entrata in questo più ampio orizzonte (21) ed il Concilio se ne era fatto eco nella Costituzione  Gaudium et Ses.(22) Tuttavia, il magistero sociale della Chiesa non era ancora giunto ad affermare in tutta chiarezza che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale, (23) né aveva fatto di questa affermazione, e dell'analisi che l'accompagna, una «direttrice di azione», come fa Papa Paolo VI ella sua Enciclica. Una simile presa di posizione così esplicita offre una grande ricchezza di contenuti, che è opportuno indicare.
Anzitutto, occorre eliminare un possibile equivoco. Riconoscere che la «questione sociale» abbia assunto una dimensione mondiale, non significa affatto che sia venuta meno la sua forza di incidenza, o che abbia perduto la sua importanza nell'ambito nazionale e locale. Significa, al contrario, che le problematiche nelle imprese di lavoro o nel movimento operaio e sindacale di un determinato Paese o regione non sono da considerare isole sparse senza collegamenti, ma che dipendono in misura crescente dall'influsso di fattori esistenti al di là dei confini regionali e delle frontiere nazionali. Purtroppo, sotto il profilo economico, i Paesi in via di sviluppo sono molti di più di quelli sviluppati: le moltitudini umane prive dei beni e dei servizi, offerti dallo sviluppo, sono assai più numerose di quelle che ne dispongono. Siamo, dunque, di fronte a un grave problema di diseguale distribuzione dei mezzi di sussistenza, destinati in origine a tutti gli uomini, e così pure dei benefici da essi derivanti. E ciò avviene non per responsabilità delle popolazioni disagiate, né tanto meno per una specie di fatalità dipendente dalle condizioni naturali o dall'insieme delle circostanze. L'Enciclica di Paolo VI, nel dichiarare che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale, si propone prima di tutto di segnalare un fatto morale, avente il suo fondamento nell'analisi oggettiva della realtà. Secondo le parole stesse dell'Enciclica, «ognuno deve prendere coscienza» di questo fatto,(24) appunto perché tocca direttamente la coscienza, ch'è fonte delle decisioni morali. In tale quadro, la novità dell'Enciclica non consiste tanto nell'affermazione, di carattere storico circa l'universalità della questione sociale quanto nella valutazione morale di questa realtà. Perciò, i responsabili della cosa pubblica, i cittadini dei Paesi ricchi personalmente considerati, specie se cristiani, hanno l'obbligo morale-secondo il rispettivo grado di responsabilità-di tenere in considerazione, nelle decisioni personali e di governo, questo rapporto di universalità, questa interdipendenza che sussiste tra i loro comportamenti e la miseria e il sottosviluppo di tanti milioni di uomini. Con maggior precisione l'Enciclica paolina traduce l'obbligo morale come «dovere di solidarietà», (25) ed una tale affermazione, anche se nel mondo molte situazioni sono cambiate, ha oggi la stessa forza e validità di quando fu scritta.
D'altra parte, senza uscire dalle linee di questa visione morale, la novità dell'Enciclica consiste anche nell'impostazione di fondo, secondo cui la concezione stessa dello sviluppo, se lo si considera nella prospettiva dell'interdipendenza universale, cambia notevolmente. Il vero sviluppo non può consistere nella semplice accumulazione di ricchezza e nella maggiore disponibilità dei beni e servizi, se ciò si ottiene a prezzo del sottosviluppo delle moltitudini, e senza la dovuta considerazione per le dimensioni sociali, culturali e spirituali dell'essere umano. (26)
10. Come terzo punto l'Enciclica fornisce un considerevole apporto di novità alla dottrina sociale della Chiesa nel suo complesso ed alla concezione stessa di sviluppo.
Questa novità è ravvisabile in una frase, che si legge nel paragrafo conclusivo del documento e che può esser considerata come la sua formula riassuntiva, oltre che la sua qualifica storica: «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace». (27) In realtà, se la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale, è perché l'esigenza di giustizia può essere soddisfatta solo su questo stesso piano. Disattendere tale esigenza potrebbe favorire l'insorgere di una tentazione di risposta violenta da parte delle vittime dell'ingiustizia, come avviene all'origine di molte guerre. Le popolazioni escluse dalla equa distribuzione dei beni destinati originariamente a tutti, potrebbero domandarsi: perché non rispondere con la violenza a quanti ci trattano per primi con la violenza? E se si esamina la situazione alla luce della divisione del mondo in blocchi ideologici già esistente nel 1967 e delle conseguenti ripercussioni e dipendenze economiche e politiche, il pericolo risulta ben maggiore.
A questa prima considerazione sul drammatico contenuto della formula dell'Enciclica se ne aggiunge un'altra, a cui lo stesso documento fa allusione (28):  come giustificare il fatto che ingenti somme di danaro che potrebbero e dovrebbero essere destinate a incrementare lo sviluppo dei popoli, sono invece utilizzate per l'arricchimento di individui o di gruppi, ovvero assegnate all'ampliamento degli arsenali di armi, sia nei Paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo, sconvolgendo così le vere priorità? Ciò è ancor più grave attese le difficoltà che non di rado ostacolano il passaggio diretto dei capitali destinati a portare aiuto ai Paesi in condizione di bisogno. Se «lo sviluppo è il nuovo nome della pace», la guerra e i preparativi militari sono il maggior nemico dello sviluppo integrale dei popoli.
In tal modo, alla luce dell'espressione di Papa Paolo VI siamo invitati a rivedere il concetto di sviluppo, che non coincide certamente con quello che si limita a soddisfare le necessità materiali mediante la crescita dei beni, senza prestare attenzione alle sofferenze dei più e facendo dell'egoismo delle persone e delle Nazioni la principale motivazione. Come acutamente ci ricorda la Lettera di san Giacomo, è da qui che «derivano le guerre e le liti. [...] Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere» (Gc 4,1). Al contrario, in un mondo diverso, dominato dalla sollecitudine per il bene comune di tutta l'umanità, ossia dalla preoccupazione per lo «sviluppo spirituale e umano di tutti», anziché dalla ricerca del profitto particolare, la pace sarebbe possibile come frutto di una «giustizia più perfetta tra gli uomini».(29)
Anche questa novità dell'Enciclica ha un valore permanente ed attuale, considerata la mentalità di oggi che è così sensibile all'intimo legame esistente tra il rispetto della giustizia e l'instaurazione della vera pace.
Note:
8. L'Enciclica Populorum Progressio cita i Documenti del Concilio Vaticano II 19 volte, di cui ben 16 si riferiscono alla Cost. past. su la Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes.
9. Gaudium et Spes, 1.
10. Ibid., 4; cf. Lett. Enc. Populorum Progressio. 13: l.c.. nn. 263-264.
11. Cf. Gaudium et Spes, 3; Lett. Enc. Populorum Progressio, 13: l.c., p. 264.
12. Cf. Gaudium et Spes, 63; Lett. Enc. Populorum Progressio, 9: l..c., pp. 261s.
13. Cf. Gaudium et Spes, 69; Lett. Enc. Populorum Progressio, 22:
14. Cf. Gaudium et Spes, 57; Lett. Enc. Populorum Progressio, 41: l.c., p. 277.
15. Cf. Gaudium et Spes, 19; Lett. Enc. Populorum Progressio, 41: l.c., pp. 277 s.
16. Cf. Gaudium et Spes, 86; Lett. Enc. Populorum Progressio, 48: l.c., p. 281.
17. Cf. Gaudium et Spes, 69: Lett. Enc. Populorum Progressio, 1421:1.c.,pp.264-268.
18. Cf. l'inscriptio dell'Enciclica Populorum Progressio: l.c., p. 257.
19. L'Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII ha come argomento principale «la condizione degli operai»: Leonis XIII P. M. Acta Romae 1892, p. 97.
20.  Cf. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su Libertà Cristiana e Liberazione: Libertatis Conscientia (22 marzo 1986), 72: A,AS 79 (1987), P. 586; PAOLO VI Epist. Apost. Octogesima Adveniens (14 maggio 1971), 4: AAS 63 (1971), PP. 403 S.
21. Cf. Lett. Enc. Mater et Magistra (15 maggio 1961): A,AS 53 (1961), P. 440
22.  Gaudium et Spes, 63.
23. Cf. Lett. Enc. Populorum Progressio, 3: L.c., p. 258; cf. anche ibid., 9: l.c., p. 261.
24. Cf. ibid., 3 I.C., P. 258.
25. Ibid., 48. 
26. Cf. ibid., 14: 1.c., p. 264: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l uomo».
27. Ibid., 87: I.C., p- 299
28. Cf. ibid., 53: l.c., p. 283.
29. Cf. ibid., 76: l.c., p. 295.

II. ORIGINALITY OF THE ENCYCLICAL POPULORUM PROGRESSIO
5. As soon as it appeared, the document of Pope Paul VI captured the attention of public opinion by reason of its originality. In a concrete manner and with great clarity, it was possible to identify the above mentioned characteristics of continuity and renewal within the Church's social doctrine. The intention of rediscovering numerous aspects of this teaching, through a careful rereading of the Encyclical, will therefore; constitute the main thread of the present reflections.
But first I wish to say a few words about the date of publication; the year 1967. The very fact that Pope Paul VI chose to publish a social Encyclical in that year invites us to consider the document in relationship to the Second Vatican Ecumenical Council, which had ended on December 8, 1965.
6. We should see something more in this than simple chronological proximity. The Encyclical Populorum Progressio presents itself, in a certain way, as a document which applies the teachings of the Council. It not only makes continual reference to the texts of the Council, (8) but it also flows from the same concern of the Church which inspired the whole effort of the Council-and in a particular way the Pastoral Constitution Gaudium et Spes - to coordinate and develop a number of themes of her social teaching.
We can therefore affirm that the Encyclical Populorum Progressio is a kind of response to the Council's appeal with which the Constitution Gaudium et Spes begins: "The joys and the hopes. the griefs and the anxieties of the people of this age, especially those who are poor or in any way afflicted, these too are the joys and hopes, the griefs and anxieties of the followers of Christ. Indeed, nothing genuinely human fails to raise an echo in their hearts.” (9) These words express the fundamental motive inspiring the great document of the Council, which begins by noting the situation of poverty and of underdevelopment in which millions of human beings live.
This poverty and underdevelopment are, under another name, the "griefs and the anxieties" of today, of "especially those who are poor." Before this vast panorama of pain and suffering, the Council wished to suggest horizons of joy and hope. The Encyclical of Paul VI has the same purpose, in full fidelity to the inspiration of the Council.
7. There is also the theme of the Encyclical which, in keeping with the great tradition of the Church's social teaching, takes up again in a direct manner the new exposition and rich synthesis which the Council produced, notably in the Constitution Gaudium et Spes.
With regard to the content and themes once again set forth by the Encyclical, the following should be emphasized: the awareness of the duty of the Church, as "an expert in humanity," "to scrutinize the signs of the times and to interpret them in the light of the Gospel"; the awareness, equally profound, of her mission of "service," a  (10) mission distinct from the function of the State, even when she is concerned with people's concrete situation”(11); the reference to the notorious inequalities in the situations of those same people (12); the confirmation of the Council's teaching, a faithful echo of the centuries - old tradition of the Church regarding the "universal purpose of goods" (13); the appreciation of the culture and the technological civilization which contribute to human liberation,(14) without failing to recognize their limits's (15); finally, on the specific theme of development, which is precisely the theme of the Encyclical, the insistence on the "most serious duty" incumbent on the more developed nations "to help the developing countries."(16) The same idea of development proposed by the Encyclical flows directly from the approach which the Pastoral Constitution takes to this problem.(17)
These and other explicit references to the Pastoral Constitution lead one to conclude that the Encyclical presents itself as an application of the Council's teaching in social matters to the specific problem of the development and the underdevelopment of peoples.
8. This brief analysis helps us to appreciate better the originality of the Encyclical, which can be stated in three points.
The first is constituted by the very fact of a document, issued by the highest authority of the Catholic Church and addressed both to the Church herself and "to all people of good will," (18) on a matter which at first sight is solely economic and social: the development of peoples. The term "development" is taken from the vocabulary of the social and economic sciences. From this point of view, the Encyclical Populorum Progressio follows directly in the line of the Encyclical Rerum Novarum, which deals with the "condition of the workers." (19) Considered superficially, both themes could seem extraneous to the legitimate concern of the Church seen as a religious institution - and "development" even more so than the "condition of the workers."
In continuity with the Encyclical of Leo XIII, it must be recognized that the document of Paul VI possesses the merit of having emphasized the ethical and cultural character of the problems connected with development, and likewise the legitimacy and necessity of the Church's intervention in this field.
In addition, the social doctrine of the Church has once more demonstrated its character as an application of the word of God to people's lives and the life of society, as well as to the earthly realities connected with them, offering "principles for reflection," "criteria of judgment" and "directives for action."(20) Here, in the document of Paul VI, one finds these three elements with a prevalently practical orientation, that is, directed towards moral conduct.
In consequence, when the Church concerns herself with the "development of peoples," she cannot be accused of going outside her own specific field of competence and, still less, outside the mandate received from the Lord.
9. The second point of originality of Populorum Progressio is shown by the breadth of outlook open to what is commonly called the "social question."
In fact, the Encyclical Mater et Magistra of Pope John XXIII had already entered into this wider outlook, (21)  and the Council had echoed the same in the Constitution Gaudium et Spes. (22) However, the social teaching of the Church had not yet reached the point of affirming with such clarity that the social question has acquired a worldwide dimension,(23) nor had this affirmation and the accompanying analysis yet been made into a "directive for action," as Paul VI did in his Encyclical.
Such an explicit taking up of a position offers a great wealth of content, which it is appropriate to point out.
In the first place a possible misunderstanding has to be eliminated. Recognition that the "social question" has assumed a worldwide dimension does not at all mean that it has lost its incisiveness or its national and local importance. On the contrary, it means that the problems in industrial enterprises or in the workers' and union movements of a particular country or region are not to be considered as isolated cases with no connection. On the contrary they depend more and more on the influence of factors beyond regional boundaries and national frontiers.
Unfortunately, from the economic point of view, the developing countries are much more numerous than the developed ones; the multitudes of human beings who lack the goods and services offered by development are much more numerous than those who possess them.
We are therefore faced with a serious problem of unequal distribution of the means of subsistence originally meant for everybody, and thus also an unequal distribution of the benefits deriving from them. And this happens not through the fault of the needy people, and even less through a sort of inevitability dependent on natural conditions or circumstances as a whole.
The Encyclical of Paul VI, in declaring that the social question has acquired worldwide dimensions, first of all points out a moral fact, one which has its foundation in an objective analysis of reality. In the words of the Encyclical itself, "each one must be conscious" of this fact, (24)  precisely because it directly concerns the conscience, which is the source of moral decisions.
In this framework, the originality of the Encyclical consists not so much in the affirmation, historical in character, of the universality of the social question, but rather in the moral evaluation of this reality. Therefore political leaders, and citizens of rich countries considered as individuals, especially if they are Christians, have the moral obligation, according to the degree of each one's responsibility, to take into consideration, in personal decisions and decisions of government, this relationship of universality, this interdependence which exists between their conduct and the poverty and underdevelopment of so many millions of people. Pope Paul's Encyclical translates more succinctly the moral obligation as the "duty of solidarity"(25); and this affirmation, even though many situations have changed in the world, has the same force and validity today as when it was written.
On the other hand, without departing from the lines of this moral vision, the originality of the Encyclical also consists in the basic insight that the very concept of development, if considered in the perspective of universal interdependence, changes notably. True development cannot consist in the simple accumulation of wealth and in the greater availability of goods and services, if this is gained at the expense of the development of the masses, and without due consideration for the social, cultural and spiritual dimensions of the human being.(26)
10. As a third point, the Encyclical provides a very original contribution to the social doctrine of the Church in its totality and to the very concept of development. This originality is recognizable in a phrase of the document's concluding paragraph, which can be considered as its summary, as well as its historic label: "Development is the new name for peace." (27)
In fact, if the social question has acquired a worldwide dimension, this is because the demand for justice can only be satisfied on that level. To ignore this demand could encourage the temptation among the victims of injustice to respond with violence, as happens at the origin of many wars. Peoples excluded from the fair distribution of the goods originally destined for all could ask themselves: why not respond with violence to those who first treat us with violence? And if the situation is examined in the light of the division of the world into ideological blocs a division already existing in 1967 - and in the light of the subsequent economic and political repercussions and dependencies, the danger is seen to be much greater.
The first consideration of the striking content of the Encyclical's historic phrase may be supplemented by a second consideration to which the document itself alludes (28): how can one justify the fact that huge sums of money, which could and should be used for increasing the development of peoples, are instead utilized for the enrichment of individuals or groups, or assigned to the increase of stockpiles of weapons, both in developed countries and in the developing ones, thereby upsetting the real priorities? This is even more serious given the difficulties which often hinder the direct transfer of capital set aside for helping needy countries. If "development is the new name for peace," war and military preparations are the major enemy of the integral development of peoples.
In the light of this expression of Pope Paul VI, we are thus invited to re-examine the concept of development. This of course is not limited to merely satisfying material necessities through an increase of goods, while ignoring the sufferings of the many and making the selfishness of individuals and nations the principal motivation. As the Letter of St. James pointedly reminds us: "What causes wars, and what causes fighting among you? Is it not your passions that are at war in your members? You desire and do not have" (Js 4:1-2).
On the contrary, in a different world, ruled by concern for the common good of all humanity, or by concern for the "spiritual and human development of all" instead of by the quest for individual profit, peace would be possible as the result of a "more perfect justice among people." (29)
Also this new element of the Encyclical has a permanent and contemporary value, in view of the modern attitude which is so sensitive to the close link between respect for justice and the establishment of real peace.
Notes:
8. The Encyclical Populorum Progressio cites the documents of the Second Vatican Ecumenical Council nineteen times, and sixteen of the references are to the Pastoral Constitution on the Church in the Modern World, Gaudium et Spes
9.  Gaudium et Spes, n. 1. 
10. Ibid., n. 4; cf. Populorum Progressio, n. 13: loc. cit., pp. 263, 264. 
11. Cf. Gaudium et Spes, n. 3; Populorum Progressio, n. 13: loc. cit., p. 264. 
12. Cf. Gaudium et Spes, n. 63; Populorum Progressio, n. 9: loc. cit., p. 269. 
13.  Cf Gaudium et Spes. n. 69; Populorum Progressio, n. 22: loc. cit., p. 269. 
14. Cf. Gaudium et Spes, n. 57; Populorum Progressio, n. 41: loc. cit., p. 277. 
15. Cf. Gaudium et Spes, n. 19; Populorum Progressio, n. 41: loc. cit., pp. 277f. 
16. Cf. Gaudium et Spes, n. 86; Populorum Progressio, n. 48: loc.cit., p. 281. 
17. Cf. Gaudium et Spes, n. 69; Populorum Progressio, nn. 14- 21: loc. cit., pp. 264-268. 
18. Cf. the Inscriptio of the Encyclical Populorum Progressioloc. cit., p. 257. 
19. The Encyclical Rerum Novarum of Leo XIII has as its principal subject "the condition of the workers" Leonis XIII P. M. Acta, XI, Romae 1892, p. 97. 
20. Cf. Congregation for the Doctrine of the Faith, Instruction on Christian Freedom and Liberation, Libertatis Conscientia (March 22, 1986), n. 72: AAS 79 (1987), p. 586; Paul VI, Apostolic Letter Octogesima Adveniens (May 14, 1971); n. 4: AAS 63 (1971), pp. 403f. 
21. Cf. Encyclical Mater et Magistra (May 15, 1961): AAS 53 (1961), p. 440. 
22. Gaudium et Spes, n. 63. 
23.Cf. Encyclical Populorum Progressio, n. 3: loc. cit., p. 258: cf. also ibid., n. 9: loc. cit., p. 261. 
24. Cf. ibid., n. 3: loc. cit., p. 258. 
25. Ibid., n. 48: loc. cit., p. 281. 
26. Cf. ibid., n. 14: loc. cit., p. 264: "Development cannot be limited to mere economic growth. In order to be authentic, it must be complete: integral, that is, it has to promote the good of every man and of the whole man." 
27. Ibid., n. 87: loc. cit., p. 299. 
28. Cf. ibid., n. 53: loc. cit., p. 283. 
29. Cf. ibid., n. 76: loc. cit., p. 295.