Tirocinio democratico
/ Democratic apprenticeship
Note: after the
Italian text there is the translation in English, done with the help of Google
Translator. I tried to correct, within the limits of my knowledge of English,
some inaccuracies that automatic translation still inevitably entails. I have
experimented that even with these inaccuracies the translation allows us to be
understood by those who speak English, in the many national versions of the
world, or who use it as a second or third language. It is the function that in
ancient times carried out the Greek. Trying to be understood by other peoples
corresponds to an ancient vocation of the Church of Rome, which is still
current.
Il tirocinio democratico va ben oltre
l’assimilazione di alcune norme di buona creanza pubblica. Significa imparare a
collaborare a dirigere una società. Una società si distingue dalla semplice
folla, dal radunarsi di individui che rimangono tali, ad esempio in una
stazione della metropolitana, per le relazioni più intense tra le persone. In
ogni società si osservano rapporti di dominio e di obbedienza, per cui c’è chi
conduce e chi segue: questo le dà stabilità e coerenza, ma anche la pacifica e
la orienta nel lavoro collettivo. Questa manifestazione sociale è la politica.
Quando si cerca di realizzare la più vasta partecipazione possibile ad essa si
ha una politica democratica, che ha a fondamento la decisione di riconoscere la
dignità delle persone e quindi dei limiti a ciò che i singoli e la stessa
collettività possono fare di loro. Di solito quando si parla di politica si ha
in mente grandi collettività, una federazione di stati, uno stato, una regione,
un comune, ma l’agire politico riguarda ogni società, anche le più piccole. Lo
si può osservare, ad esempio, anche in una parrocchia, che esprime una sua
politica. Essa è fondamentalmente di orientamento monarchico, basato sul potere
di un parroco, ma la religione non impone che sia così: questa organizzazione è
il frutto di una particolare storia. Vi sono altre comunità della nostra stessa
fede che sono organizzate diversamente, con una partecipazione di tipo
democratico. Dal Concilio Vaticano 2° in poi (1962-1965) si è voluto intensificare
ed estendere una partecipazione dei fedeli, ma non si è andati molto lontano.
Questo perché manca, nella nostra organizzazione religiosa, l’occasione di un
tirocinio democratico. Si sostiene di non aver il tempo per attivarlo, ma la
realtà è che lo si teme. Questo perché non si ha molta fiducia nella gente,
nonostante il presupposto di un senso innato della fede in essa. La sfiducia
dipende dal fatto che la si vede impreparata e lo è effettivamente perché non
viene istruita a certe cose e non ne fa tirocinio. Un circolo vizioso che è
difficile da rompere.
ll tirocinio democratico comprende una dimensione sperimentale che può
realizzarsi anche in un piccolo gruppo, diciamo in una collettività di una
decina di persone, e vale anche in ambiti molto più vasti. Questo perché, per
limiti cognitivi di specie, siamo sempre confinati in piccoli gruppi, anche
quando governiamo grandi stati o addirittura il mondo. Faccio un esempio molto
significativo: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che si occupa di
risolvere le grandi crisi mondiali con la partecipazione stabile dei rappresentanti delle più grandi potenze e
con quella a rotazione di altri stati membri dell’O.N.U, (Organizzazione delle
Nazioni Unite). E’ composto di quindici membri, cinque permanenti e gli altri
eletti ogni due anni dall’Assemblea generale. Il teatro sfrutta proprio questo
nostro limite cognitivo biologico per cui siamo incapaci di connetterci alle
moltitudini, ma siamo capaci di figurarcele semplificando. Così in uno
spettacolo teatrale si può mettere in scena il mondo intero con non più di una
decina di interpreti. Non va diversamente nel cinema, anche se possono esserci
più interpreti principali, ma mai molto oltre, perché altrimenti non sapremmo
seguire la storia. Un romanzo come Guerra
e pace del russo Lev Toltstoj
(1828-1910), che mette in scena molto personaggi, è una lettura impegnativa
anche per lettori colti. Da quello che ho scritto consegue che, facendo
tirocinio democratico in un piccolo gruppo, si impara qualcosa che può servire
a governare il mondo, e comunque società molto più ampie.
Naturalmente, in un piccolo gruppo si può fare
tirocinio anche di altre forme di politica, come di quella dispotica. Certi
atteggiamenti delle persone si manifestano presto e persistono, anche se
possono essere corretti. Anche in questo caso entra in gioco la nostra
biologia. Da questo punto di vista la scienza ci classifica tra i primate e tra
esse, come in ogni altro gruppo di animali superiori, si notano individui
dominanti e altri recessivi, che seguono e si sottomettono. In natura queste
relazioni si regolano con la violenza, nelle società umane interviene la
cultura, un importante fatto sociale, che ci consente di figurarci gruppi molto
grandi e, al limite, il mondo intero, come se fosse un piccolo gruppo alla
nostra portata. Quando nella dottrina sociale si parla di voler fare
dell’umanità un’unica famiglia si ragiona in questa prospettiva. Nelle
biografie degli individui dominanti delle nostre società si possono in genere
individuare caratteristiche personali manifestate fin da bambini e un certo
modo di relazionarsi in società. Anche nelle società democratiche esse in
genere si osservano in chi viene elevato a posizioni di comando, ma, rispetto a
ciò che accade nelle società dispotiche, in cui prevale la via della natura e
ogni potere dura finché la sua violenza è in grado di sottomettere o eliminare
altri aspiranti despoti, l’indole personale è corretta da un atteggiamento
etico per cui, nell’interesse generale, proprio e altrui, si accettano dei
limiti, in particolare nell’estensione e nella durata del potere esercitato.
Esso, in linea generale, viene condiviso e viene fatto oggetto di critica
sociale. Queste sono le basi della politica democratica.
Le società dei più piccoli nascono di solito dispotiche e ciascuno ha
fatto esperienza di questo. Nell’organizzazione dei giochi collettivi si impara
ad accettare dei limiti e a rispettare delle regole. In questo si imitano i
grandi. Un gioco collettivo non dà soddisfazione se il risultato è preordinato
e quindi si sa sempre chi vince. Di solito ci sono varie squadre in
competizione e si cerca che abbiano forze equivalenti. Questo rende il
risultato non scontato. C’è però qualcosa di condiviso ancor prima che il gioco
inizi e sono proprio quelle regole del gioco, che non sono decise a maggioranza
e non dipendono da chi vince nel gioco. Vengono condivise all’unanimità da
quelli che partecipano al gioco. Anche in democrazia è così. Non tutto viene
deciso dai più forti o dai più numerosi. Questo significa che la democrazia si
basa su un sistema di valori che poi consente la partecipazione collettiva e
individuale alle decisioni comuni.
Nella dinamica di un piccolo gruppo si possono notare tutti i problemi
che affliggono la politica su grande scala. Ma è molto più facile correggerli,
perché l’azione di ciascuno è veramente alla portata degli altri e la libertà
di critica è maggiore, perché ci si considera e si vuole essere uguali. Ecco la
grande utilità del tirocinio democratico, fin da molto piccoli.
La dottrina sociale vuole spingerci a cambiare il mondo e quindi stimola
un pensiero sociale e un’azione sociale. Da essa è nata la nostra Azione
Cattolica: l’azione dell’Azione
cattolica è essenzialmente azione
sociale, vale a dire politica. Si vuole influire sulla società per cambiare il
mondo. Un grande obiettivo certo, ma finché di certe cose non si inizia a fare
tirocinio, esso rimane materia di teologia, vale dire di persone dotte che immaginano come
dovrebbe andare il mondo e la finiscono lì. Per cui poi si ha una teologia
sociale molto avanzata e realizzazione sociali che lasciano a desiderare, a
partire anche dai piccoli gruppi, come quelli parrocchiali. Non è sempre andata
così. La nostra Repubblica e l’Unione Europea si sono fatte con il contributo
determinate di un pensiero sociale orientato dalla fede e capace di azione
sociale. Allora, perché è così difficile organizzare tirocini sociali nelle
realtà di base? E’, appunto, per la ragione che ho detto: li si teme perché si
teme di perderne il controllo, come, in Italia, si è persa la capacità di
influenzare la politica. Da alcuni anni la politica semplicemente ignora il
pensiero sociale orientato dalla fede. Questo
è dipeso da un lungo inverno vissuto nelle nostre comunità di fede in
quel settore, più o meno dagli anni ’80, al quale fatica a succedere la
primavera, un risveglio sociale. Lo si desidererebbe, ma troppo a lungo è mancata l’attività formativa.
Ricominciarla, però, è possibile. In definitiva il pensiero sociale su base
democratica non fu innato, ebbe un inizio, nella vivace società della seconda
metà dell’Ottocento. La dottrina seguì ed è quasi sempre così nella fede:
l’esperimento sociale precede la teologia e la orienta. Poi la teologia inizia
a influire sulla pratica sociale e, anzi, ad un certo punto, può presumere
troppo di sé e ritenere di averla determinata. Non è mai così. Si ragiona
sempre sulla società del proprio tempo e la società precede. Esserne membri
attivi significa anche porre le basi di una sua riforma e la riforma è sempre
necessaria, perché, di generazione in generazione, le società cambiano e, con
loro, cambiano anche i problemi da risolvere. Questo significa anche che le
società del nostro tempo, Chiese comprese, non possono essere governate
efficacemente prendendo a modello ciò che si faceva nei Primo secolo della
nostra era, o l’ideologia del Papato romano dell’Undicesimo secolo. Dal passato,
dalla cultura del passato, non abbiamo ereditato modelli sociali validi per
ogni tempo, ma semmai la consapevolezza storica di tante esperienze sociali che
ci dicono come vanno a finire le cose agendo in un certo modo e alcuni aneliti universali che da
quelle esperienze si manifestarono, come quelli che parlano di salvezza, di
liberazione, di pace, di Cieli Nuovi e Nuova Terra, risanando e consolando
sulle orme del Maestro, fino a vincere,
stretti a lui, l’ultimo nemico, la morte.
Mario Ardigò - Azione Cattolica
in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
Democratic
apprenticeship
The democratic apprenticeship goes far beyond the assimilation of some
rules of good public manners. It means learning to collaborate in running a society. A society distinguishes itself from the simple crowd, from the
gathering of individuals who remain such, for example in a subway station, for
the most intense relationships between people. In every society we observe
relationships of domination and obedience, so there are those who lead and
those who follow: this gives them stability and coherence, but also peace and
orientation in collective work. This social manifestation is politics. When one
tries to achieve the widest possible participation in it one has a democratic
policy, which has as its foundation the decision to recognize the dignity of
people and therefore the limits to what individuals and the community itself
can do with them. Usually when we talk about politics we have great communities
in mind, a federation of states, a state, a region, a municipality, but
political action concerns every society, even the smallest. It can be observed,
for example, even in a parish, which expresses its own policy. It is
fundamentally of monarchic orientation, based on the power of a parish priest,
but religion does not require it to be this way: this organization is the fruit
of a particular history. There are other communities of our own faith that are
organized differently, with democratic participation. From the Second Vatican
Council on (1962-1965) we wanted to intensify and extend the participation of
the faithful, but we did not go very far. This is because there is no
opportunity for a democratic internship in our religious organization. It is
claimed that there is no time to activate it, but the reality is that it is
feared. This is because there is not much trust in people, despite the
assumption of an innate sense of faith in it. The mistrust depends on the fact
that it is seen unprepared and indeed it is because it is not instructed in
certain things and does not do training. A vicious circle that is difficult to
break.
The democratic apprenticeship includes an
experimental dimension that can be realized even in a small group, let's say in
a community of a dozen people, and it also applies in much wider areas. This is
because, due to species' cognitive limitations, we are always confined to small
groups, even when we govern large states or even the world. I make a very
significant example: the United Nations Security Council, which deals with
solving the major global crises with the stable participation of
representatives of the greatest powers and with the rotating one of other UN
member states, (Organization of Nations United). It is composed of fifteen
members, five permanent members and others elected every two years by the General
Assembly. The theater exploits precisely this our biological cognitive limit
for which we are unable to connect to the multitudes, but we are able to figure
them out by simplifying. Thus in a theatrical show the whole world can be
staged with no more than a dozen performers. It doesn't go differently in the
cinema, even though there may be more main performers, but never much more,
because otherwise we wouldn't know how to follow the story. A novel like War
and Peace by the Russian Lev Toltstoj (1828-1910), which portrays a lot of
characters, is a challenging read even for educated readers. From what I wrote
it follows that, by doing democratic training in a small group, you learn
something that can serve to govern the world, and in any case much larger societies.
Of course, in a small group you can also do
training in other forms of politics, such as the despotic one. Some people's
attitudes manifest themselves early and persist, although they can be
corrected. Also in this case our biology comes into play. From this point of
view science classifies us among the primates and among them, as in every other
group of higher animals, we notice dominant and other recessive individuals,
who follow and submit. In nature these relationships are regulated by violence,
in human societies culture, an important social fact, that allows us to picture
very large groups and, in the limit, the whole world, as if it were a small
group within our reach intervenes. When in social doctrine we talk about
wanting to make humanity a single family, we think in this perspective. In the
biographies of the dominant individuals of our societies it is generally
possible to identify personal characteristics manifested as children and a
certain way of relating in society. Even in democratic societies they are
generally observed in those who are elevated to positions of command, but, with
respect to what happens in despotic societies, in which the way of nature
prevails and every power lasts until its violence is able to subdue or
eliminating other aspiring despots, the personal nature is corrected by an
ethical attitude whereby, in the general interest, one's own and that of
others, limits are accepted, in particular in the extension and duration of the
power exercised. It is generally shared and is the object of social criticism.
These are the bases of democratic politics.
Children's societies are usually born despotic
and each has experienced this. In the organization of collective games you
learn to accept limits and to respect the rules. This is where the adults are
imitated. A collective game does not give satisfaction if the result is
prearranged and therefore we always know who wins. There are usually several
competing teams and they try to have equivalent forces. This makes the result
not obvious. However, there is something shared even before the game begins and
it is precisely those rules of the game, which are not decided by majority and
do not depend on who wins in the game. They are unanimously shared by those who
participate in the game. Even in democracy it is so. Not everything is decided
by the strongest or by the most numerous. This means that democracy is based on
a system of values which then allows collective and individual participation
in common decisions.
In the dynamics of a
small group we can see all the problems afflicting large-scale politics. But it
is much easier to correct them, because the action of each is truly within the
reach of others and the freedom of criticism is greater, because one considers
oneself and wants to be equal. Here is the great usefulness of the democratic
training, from a very young age.
The social doctrine wants to push us to change the world and therefore
stimulates a social thought and a social action. Our Catholic Action was born
from it: the action of Catholic Action is essentially social action, that is to
say political. We want to influence society to change the world. A great goal
of course, but as long as certain things do not begin to be taught, it remains
the subject of theology, that is to say of learned people who imagine how the
world should go and end up there. So then there is a very advanced social
theology and social fulfillment that they leave to be desired, starting even
from small groups, such as the parish ones. It's not always like that. Our
Republic and the European Union have made themselves with the determined
contribution of a faith-oriented social thought capable of social action. So
why is it so difficult to organize social internships in grassroots realities?
It is, in fact, for the reason I said: we fear them because we are afraid of
losing control, as, in Italy, the capacity to influence politics has been lost.
For some years politics has simply ignored faith-oriented social thought. This
has depended on a long winter lived in our faith communities in that sector,
more or less since the 1980s, to which spring is struggling to happen, a social
awakening. It would be desired, but training activity has been lacking for too
long. It is possible, however, to start it again. Ultimately, social thinking
on a democratic basis was not innate, it had a beginning, in the lively society
of the second half of the nineteenth century. The doctrine followed and is
almost always so in the faith: the social experiment precedes theology and
orients it. Then theology begins to influence social practice and, indeed, at a
certain point, it can assume too much of itself and believe to have determined
it. It is never like this. We always think about the society of our time and
the society precedes it. Being an active member also means laying the
foundations for its reform and reform is always necessary, because, from
generation to generation, societies change and, with them, the problems to be
solved also change. This also means that the societies of our time, including
churches, cannot be effectively governed by taking as a model what was done in
the first century of our era, or the ideology of the Roman Papacy of the
eleventh century. From the past, from the culture of the past, we have not
inherited valid social models for all time, but rather the historical awareness
of so many social experiences that tell us how things end up by acting in a
certain way and some universal yearnings that from those experiences they
manifested, like those who speak of salvation, of liberation, of peace, of New
Skies and New Earth, healing and consoling in the footsteps of the Master, to
the point of winning over, the last enemy, death.
Mario Ardigò - Catholic Action in the
Catholic parish of San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli district