INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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giovedì 21 marzo 2019

Dall’enciclica Lavorando - Laborem exercens, diffusa il 14 settembre 1981 sotto l’autorità del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°- Liberazione ed Eucaristia From the encyclical Through Work - Laborem exercens, released September 14, 1981 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 ° - Liberation and the Eucharist


Dall’enciclica Lavorando - Laborem exercens,  diffusa il 14 settembre 1981 sotto l’autorità del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°-  Liberazione ed Eucaristia
From the encyclical Through Work - Laborem exercens, released September 14, 1981 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 ° -  Liberation and the Eucharist

Nota:
 Dopo il testo italiano del brano dell’enciclica che ho citato,  c’è il testo ufficiale in inglese pubblicato dalla Santa Sede.
Note:
After the Italian text of the passage from the encyclical I quoted, there is the official text in English published by the Holy See. The English translation of my initial reflection was done with the help of Google Translator.

La dottrina sociale contemporanea della Chiesa cattolica è rimasta nell’ambito della teologia morale, che definisce le condotte che sono coerenti con gli impegni della fede religiosa, o è diventata ideologia, nel senso di direttiva per l’azione sociale collettiva che si basa su una realistica rappresentazione di ciò che accade nella società? La distinzione è importante, perché la teologia viene cosiderata un pensiero che discende dall’alto, mentre l’ideologia, proprio perché tiene conto di come va la società, la si pensa legata a ciò che avviene in basso. Un pensiero legato all’alto viene ritenuto in qualche modo più resistente al trascorrere del tempo e all’evoluzione storica, l’ideologia viene pensata invece come strettamente connessa ad un’epoca storica, proprio per la funzione che deve svolgere.
 In realtà, non  è così semplice tracciare i confini tra teologia e ideologia nel senso che ho detto. Nel momento in cui si dà impulso a un mutamento della società, per farla corrispondere agli ideali religiosi e in questo senso secondo certi orientamenti teologici, si costruisce un’ideologia. Ad esempio, in Europa la Chiesa cattolica ha promosso e attuato, in linea con il Magistero sociale, una vera e propria rivoluzione, rispetto a come andava la politica fino al crollo dei fascismi europei, nel 1945. E, ancora, ha  contribuito a suscitarla negli anni ’80  e ’90.  Infine, la sta promuovendo anche ora a livello mondiale, sempre in linea con il Magistero sociale,  tutto sommato nella direzione indicata dall’enciclica Popolurum Progressio  del 1967, diffusa sotto l’autorità del papa Paolo 6°, quindi chiamando ad un impegno collettivo tutte le persone di buona volontà, indipendentemente dalla loro fede religiosa, ma in particolar modo i fedeli cattolici, chiedendo loro di essere come il fermento di una nuova umanità.
 Una liberazione collettiva, di una società intera, non può essere realizzata senza un’ideologia sociale. Questo non rientra nella dottrina sociale, ma nel pensiero sociale cristiano che deve essere elaborato con la collaborazione di tutti, non è solo opera di una gerarchia religiosa, come quella del Papa e degli altri vescovi.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

  Has the contemporary social doctrine of the Catholic Church  remained in the sphere of moral theology, which defines the behaviors that are consistent with the commitments of religious faith, or has become ideology, in the sense of a directive for collective social action based on a realistic representation of what happens in society? The distinction is important, because theology is considered as a thought that descends from above, while ideology, precisely because it takes into account how society is doing, is thought to be linked to what happens below. A thought tied to the top is considered in some way more resistant to the passage of time and to the historical evolution, the ideology is thought instead as strictly connected to a historical epoch, precisely because of the function it must perform.
 In reality, it is not so easy to draw the boundaries between theology and ideology in the sense I have said. The moment an impulse is given to a change of society, to make it correspond to religious ideals and in this sense according to certain theological orientations, an ideology is constructed. For example, in Europe the Catholic Church has promoted and implemented, in line with the Social Magisterium, a real revolution, compared to how politics was until the collapse of European fascisms, in 1945. And, again, it helped to stir it up in the 80s and 90s. Finally, he is promoting it even now at the world level, always in line with the social Magisterium, all in the direction indicated by the encyclical Popolurum Progressio of 1967, diffused under the authority of Pope Paul 6, thus calling for a collective commitment all people of good will, regardless of their religious faith, but especially the Catholic faithful, asking them to be like the ferment of a new humanity.
 A collective liberation of an entire society cannot be achieved without a social ideology. This is not part of the social doctrine, but  of the  Christian social thought that must be developed with the collaboration of all, it is not only the work of a religious hierarchy, like that of the Pope and other bishops.
Mario Ardigò - Catholic Action in the Catholic parish of San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli district

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46. Popoli e individui aspirano alla propria liberazione: la ricerca del pieno sviluppo è il segno del loro desiderio di superare i molteplici ostacoli che impediscono di fruire di una «vita più umana». Recentemente, nel periodo seguito alla pubblicazione dell'Enciclica Populorum Progressio, in alcune aree della Chiesa cattolica, in particolare nell'America Latina, si è diffuso un nuovo modo di affrontare i problemi della miseria e del sottosviluppo, che fa della liberazione la categoria fondamentale e il primo principio di azione. I valori positivi, ma anche le deviazioni e i pericoli di deviazione, connessi a questa forma di riflessione e di elaborazione teologica, sono stati convenientemente segnalati dal Magistero ecclesiastico.  É bene aggiungere che l'aspirazione alla liberazione da ogni forma di schiavitù, relativa all'uomo e alla società, è qualcosa di nobile e valido. A questo mira propriamente lo sviluppo, o piuttosto la liberazione e lo sviluppo, tenuto conto dell'intima connessione esistente tra queste due realtà. Uno sviluppo soltanto economico non è in grado di liberare l'uomo, anzi, al contrario, finisce con l'asservirlo ancora di più. Uno sviluppo, che non comprenda le dimensioni culturali, trascendenti e religiose dell'uomo e della società nella misura in cui non riconosce l'esistenza di tali dimensioni e non orienta ad esse i propri traguardi e priorità, ancor meno contribuisce alla vera liberazione. L'essere umano è totalmente libero solo quando e se stesso, nella pienezza dei suoi diritti e doveri: la stessa cosa si deve dire dell'intera società.
L'ostacolo principale da superare per una vera liberazione è il peccato e le strutture da esso indotte, man mano che si moltiplica e si estende.  La libertà, con la quale Cristo ci ha liberati (Gal5,1), stimola a convertirci in servi di tutti. Così il processo dello sviluppo e della liberazione si concreta in esercizio di solidarietà, ossia di amore e servizio al prossimo, particolarmente ai più poveri: «Là dove vengono meno la verità e l'amore, il processo di liberazione porta alla morte di una libertà, che non ha più sostegno». 
47. Nel quadro delle tristi esperienze degli anni recenti e del panorama prevalentemente negativo del momento presente la Chiesa deve affermare con forza la possibilità del superamento degli intralci che, per eccesso o per difetto, si frappongono allo sviluppo, e la fiducia per una vera liberazione. Fiducia e possibilità fondate, in ultima istanza sulla consapevolezza che ha la Chiesa della promessa divina, volta a garantire che la storia presente non resta chiusa in se stessa, ma è aperta al Regno di Dio. La Chiesa ha fiducia anche nell'uomo, pur conoscendo la malvagità di cui è capace, perché sa bene che-nonostante il peccato ereditato e quello che ciascuno può commettere-ci sono nella persona umana sufficienti qualità ed energie, c'è una fondamentale «bontà» (Gen1,31), perché è immagine del Creatore, posta sotto l'influsso redentore di Cristo, «che si è unito in certo modo a ogni uomo»,  e perché l'azione efficace dello Spirito Santo «riempie la terra» (Sap 1,7). Non sono, pertanto, giustificabili né la disperazione né il pessimismo, né la passività. Anche se con amarezza occorre dire che, come si può peccare per egoismo, per brama di guadagno esagerato e di potere, si può anche mancare, di fronte alle urgenti necessità di moltitudini umane immerse nel sottosviluppo, per timore, indecisione e, in fondo, per codardia. Siamo tutti chiamati, anzi obbligati, ad affrontare la tremenda sfida dell'ultima decade del secondo Millennio. Anche perché i pericoli incombenti minacciano tutti: una crisi economica mondiale, una guerra senza frontiere, senza vincitori né vinti. Di fronte a simile minaccia, la distinzione tra persone e Paesi ricchi, tra persone e Paesi poveri, avrà poco valore, salvo la maggiore responsabilità gravante su chi ha di più e può di più.
Ma tale motivazione non è né l'unica né la principale. É in gioco la dignità della persona umana la cui difesa e promozione ci sono state affidate dal Creatore, e di cui sono rigorosamente e responsabilmente debitori gli uomini e le donne in ogni congiuntura della storia. Il panorama odierno-come già molti più o meno chiaramente avvertono-non sembra rispondente a questa dignità. Ciascuno è chiamato a occupare il proprio posto in questa campagna pacifica, da condurre con mezzi pacifici, per conseguire lo sviluppo nella pace, per salvaguardare la stessa natura e il mondo che ci circonda. Anche la Chiesa si sente profondamente implicata in questo cammino, nel cui felice esito finale spera Perciò, sull'esempio di Papa Paolo VI con l'Enciclica  Populorum Progressio,  desidero rivolgermi con semplicità e umiltà a tutti, uomini e donne senza eccezione, perché, convinti della gravità del momento presente e della rispettiva, individuale responsabilità, mettano in opera-con lo stile personale e familiare della vita, con l'uso dei beni, con la partecipazione come cittadini, col contributo alle decisioni economiche e politiche e col proprio impegno nei piani nazionali e internazionali-le misure ispirate alla solidarietà e all'amore preferenziale per i poveri. Così richiede il momento, così richiede soprattutto la dignità della persona umana, immagine indistruttibile di Dio creatore, ch'è identica in ciascuno di noi.
In questo impegno debbono essere di esempio e di guida i figli della Chiesa, chiamati, secondo il programma enunciato da Gesù stesso nella sinagoga di Nazareth, ad «annunciare ai poveri un lieto messaggio [...], a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18). Conviene sottolineare il ruolo preponderante, che spetta ai laici, uomini e donne, come è stato ripetuto nella recente Assemblea sinodale. A loro compete animare, con impegno cristiano, le realtà temporali e, in esse, mostrare di essere testimoni e operatori di pace e di giustizia. Desidero rivolgermi specialmente a quanti, per il sacramento del Battesimo e la professione dello stesso Credo, sono compartecipi di una vera comunione, sia pure imperfetta, con noi. Sono sicuro che sia la sollecitudine che questa Lettera esprime, sia le motivazioni chela animano saranno loro familiari, perché ispirate dal Vangelo di Cristo Gesù. Possiamo trovare qui un nuovo invito a dare testimonianza unanime delle nostre comuni convinzioni sulla dignità dell'uomo, creato da Dio, redento da Cristo, santificato dallo Spirito, e chiamato in questo mondo a vivere una vita conforme a questa dignità. A coloro che condividono con noi l'eredità di Abramo «nostro padre nella fede»  (Rm 4,11), e la tradizione dell'Antico Testamento, ossia gli Ebrei, a coloro che, come noi, credono in Dio giusto e misericordioso, ossia i Mussulmani, rivolgo parimenti questo appello, che si estende, altresì, a tutti i seguaci delle grandi religioni del mondo. L'incontro del 27 ottobre dell'anno passato ad Assisi, la città di san Francesco, per pregare ed impegnarci per la pace-ognuno in fedeltà alla propria professione religiosa-ha rivelato a tutti fino a che punto la pace e, quale sua necessaria condizione, lo sviluppo di «tutto l'uomo e di tutti gli uomini» siano una questione anche religiosa, e come la piena attuazione dell'una e dell'altro dipenda dalla fedeltà alla nostra vocazione di uomini e di donne credenti. Perché dipende, innanzitutto, da Dio. 
48. La Chiesa sa bene che nessuna realizzazione temporale s'identifica col Regno di Dio, ma che tutte le realizzazioni non fanno che riflettere e, in un certo senso, anticipare la gloria del Regno, che attendiamo alla fine della storia, quando il Signore ritornerà. Ma l'attesa non potrà esser mai una scusa per disinteressarsi degli uomini nella loro concreta situazione personale e nella loro vita sociale, nazionale e internazionale, in quanto questa-ora soprattutto-condiziona quella.
Nulla, anche se imperfetto e provvisorio, di tutto ciò che si può e si deve realizzare mediante lo sforzo solidale di tutti e la grazia divina in un certo momento della storia, per rendere «più umana» la vita degli uomini, sarà perduto né sarà stato vano. Questo insegna il Concilio Vaticani II in un testo luminoso della Costituzione Gaudium et Spes: «I beni della dignità umana, l'unione fraterna e la libertà, in una parola tutti i frutti eccellenti della natura e del nostro sforzo, dopo averli diffusi per la terra nello Spirito del Signore e in accordo al suo mandato, torneremo a ritrovarli, purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, quando Cristo consegnerà al Padre il Regno eterno e universale [...], già misteriosamente presente sulla nostra terra».  Il Regno di Dio si fa presente, ora, soprattutto con la celebrazione del Sacramento dell'Eucaristia, che è il Sacrificio del Signore. In tale celebrazione i frutti della terra e del lavoro umano-il pane e il vino-sono trasformati misteriosamente, ma realmente e sostanzialmente per opera dello Spirito Santo e delle parole del ministro nel Corpo e nel Sangue del Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria, per il quale il Regno del Padre si è fatto presente in mezzo a noi. I beni di questo mondo e l'opera delle nostre mani-il pane e il vino-servono per la venuta del Regno definitivo, giacché il Signore mediante il suo Spirito li assume in se, per offrirsi al Padre e offrire noi con lui nel rinnovamento del suo unico sacrificio, che anticipa il Regno di Dio e ne annuncia la venuta finale. Così il Signore mediante l'Eucaristia, sacramento e sacrificio, ci unisce con sé e ci unisce tra di noi con un vincolo più forte di ogni unione naturale; e uniti ci invia al mondo intero per dare testimonianza, con la fede e con le opere, dell'amore di Dio, preparando la venuta del suo Regno e anticipandolo pur nelle ombre del tempo presente. Quanti partecipiamo dell'Eucaristia, siamo chiamati a scoprire, mediante questo Sacramento, il senso profondo della nostra azione nel mondo in favore dello sviluppo e della pace; ed a ricevere da esso le energie per impegnarci sempre più generosamente, sull'esempio di Cristo che in tale Sacramento dà la vita per i suoi amici (Gv15,13). Come quello di Cristo e in quanto unito al suo, il nostro personale impegno non sarà inutile, ma certamente fecondo. 

From the encyclical Through Work - Laborem exercens, released September 14, 1981 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 ° -  Liberation and the Eucharist

Note:
The text of the passage of the encyclical that I transcribe below is the one published in English by the Holy See
46. Peoples and individuals aspire to be free: their search for full development signals their desire to overcome the many obstacles preventing them from enjoying a "more human life."
Recently, in the period following the publication of the encyclical Populorum Progressio, a new way of confronting the problems of poverty and underdevelopment has spread in some areas of the world, especially in Latin America. This approach makes liberation the fundamental category and the first principle of action. The positive values, as well as the deviations and risks of deviation, which are damaging to the faith and are connected with this form of theological reflection and method, have been appropriately pointed out by the Church's Magisterium.
It is fitting to add that the aspiration to freedom from all forms of slavery affecting the individual and society is something noble and legitimate. This in fact is the purpose of development, or rather liberation and development, taking into account the intimate connection between the two.
Development which is merely economic is incapable of setting man free, on the contrary, it will end by enslaving him further. Development that does not include the cultural, transcendent and religious dimensions of man and society, to the extent that it does not recognize the existence of such dimensions and does not endeavor to direct its goals and priorities toward the same, is even less conducive to authentic liberation. Human beings are totally free only when they are completely themselves, in the fullness of their rights and duties. The same can be said about society as a whole.
The principal obstacle to be overcome on the way to authentic liberation is sin and the structures produced by sin as it multiplies and spreads.
The freedom with which Christ has set us free (cf. Gal 5:1) encourages us to become the servants of all. Thus the process of development and liberation takes concrete shape in the exercise of solidarity, that is to say in the love and service of neighbor, especially of the poorest: "For where truth and love are missing, the process of liberation results in the death of a freedom which will have lost all support."
47. In the context of the sad experiences of recent years and of the mainly negative picture of the present moment, the Church must strongly affirm the possibility of overcoming the obstacles which, by excess or by defect, stand in the way of development. And she must affirm her confidence in a true liberation. Ultimately, this confidence and this possibility are based on the Church's awareness of the divine promise guaranteeing that our present history does not remain closed in upon itself but is open to the Kingdom of God.
The Church has confidence also in man, though she knows the evil of which he is capable. For she well knows that - in spite of the heritage of sin, and the sin which each one is capable of committing -  there exist in the human person sufficient qualities and energies, a fundamental "goodness" (cf. Gen 1:31), because he is the image of the Creator, placed under the redemptive influence of Christ, who "united himself in some fashion with every man," and because the efficacious action of the Holy Spirit "fills the earth" (Wis 1:7).
There is no justification then for despair or pessimism or inertia. Though it be with sorrow, it must be said that just as one may sin through selfishness and the desire for excessive profit and power, one may also be found wanting with regard to the urgent needs of multitudes of human beings submerged in conditions of underdevelopment, through fear, indecision and, basically, through cowardice. We are all called, indeed obliged, to face the tremendous challenge of the last decade of the second Millennium, also because the present dangers threaten everyone: a world economic crisis, a war without frontiers, without winners or losers. In the face of such a threat, the distinction between rich individuals and countries and poor individuals and countries will have little value, except that a greater responsibility rests on those who have more and can do more.
This is not however the sole motive or even the most important one. At stake is the dignity of the human person, whose defense and promotion have been entrusted to us by the Creator, and to whom the men and women at every moment of history are strictly and responsibly in debt. As many people are already more or less clearly aware, the present situation does not seem to correspond to this dignity. Every individual is called upon to play his or her part in this peaceful campaign, a campaign to be conducted by peaceful means, in order to secure development in peace, in order to safeguard nature itself and the world about us. The Church too feels profoundly involved in this enterprise, and she hopes for its ultimate success.
Consequently, following the example of Pope Paul VI with his Encyclical Populorum Progressio, I wish to appeal with simplicity and humility to everyone, to all men and women without exception. I wish to ask them to be convinced of the seriousness of the present moment and of each one's individual responsibility, and to implement - by the way they live as individuals and as families, by the use of their resources, by their civic activity, by contributing to economic and political decisions and by personal commitment to national and international undertakings - the measures inspired by solidarity and love of preference for the poor. This is what is demanded by the present moment and above all by the very dignity of the human person, the indestructible image of God the Creator, which is identical in each one of us.
In this commitment, the sons and daughters of the Church must serve as examples and guides, for they are called upon, in conformity with the program announced by Jesus himself in the synagogue at Nazareth, to "preach good news to the poor...to proclaim release to the captives and recovering of sight to the blind, to set at liberty those who are oppressed, to proclaim the accept able year of the Lord" (Lk 4:18-19). It is appropriate to emphasize the preeminent role that belongs to the laity, both men and women, as was reaffirmed in the recent Assembly of the Synod. It is their task to animate temporal realities with Christian commitment, by which they show that they are witnesses and agents of peace and justice. I wish to address especially those who, through the sacrament of Baptism and the profession of the same Creed, share a real, though imperfect, communion with us. I am certain that the concern expressed in this Encyclical as well as the motives inspiring it will be familiar to them, for these motives are inspired by the Gospel of Jesus Christ. We can find here a new invitation to bear witness together to our common convictions concerning the dignity of man, created by God, redeemed by Christ, made holy by the Spirit and called upon in this world to live a life in conformity with this dignity. I likewise address this appeal to the Jewish people, who share with us the inheritance of Abraham, "our father in faith" (cf. Rm 4:11f.) and the tradition of the Old Testament, as well as to the Muslims who, like us, believe in a just and merciful God. And I extend it to all the followers of the world's great religions.
The meeting held last October 27 in Assisi the city of St. Francis, in order to pray for and commit ourselves to peace - each one in fidelity to his own religious profession - showed how much peace and, as its necessary condition, the development of the whole person and of all peoples, are also a matter of religion, and how the full achievement of both the one and the other depends on our fidelity to our vocation as men and women of faith. For it depends, above all, on God.
48. The Church well knows that no temporal achievement is to be identified with the Kingdom of God, but that all such achievements simply reflect and in a sense anticipate the glory of the Kingdom, the Kingdom which we await at the end of history, when the Lord will come again. But that expectation can never be an excuse for lack of concern for people in their concrete personal situations and in their social, national and international life, since the former is conditioned by the latter, especially today.
However imperfect and temporary are all the things that can and ought to be done through the combined efforts of everyone and through divine grace, at a given moment of history, in order to make people's lives "more human," nothing will be lost or will have been in vain. This is the teaching of the Second Vatican Council, in an enlightening passage of the Pastoral Constitution Gaudium et Spes: "When we have spread on earth the fruits of our nature and our enterprise - human dignity, fraternal communion, and freedom - according to the command of the Lord and in his Spirit, we will find them once again, cleansed this time from the stain of sin, illumined and transfigured, when Christ presents to his Father an eternal and universal kingdom...here on earth that kingdom is already present in mystery."
The Kingdom of God becomes present above all in the celebration of the sacrament of the Eucharist, which is the Lord's Sacrifice. In that celebration the fruits of the earth and the work of human hands - the bread and wine - are transformed mysteriously, but really and substantially, through the power of the Holy Spirit and the words of the minister, into the Body and Blood of the Lord Jesus Christ, the Son of God and Son of Mary, through whom the Kingdom of the Father has been made present in our midst.
The goods of this world and the work of our hands-the bread and wine-serve for the coming of the definitive Kingdom, since the Lord, through his Spirit, takes them up into himself in order to offer himself to the Father and to offer us with himself in the renewal of his one Sacrifice, which anticipates God's Kingdom and proclaims its final coming.
Thus the Lord unites us with himself through the Eucharist- Sacrament and Sacrifice-and he unites us with himself and with one another by a bond stronger than any natural union; and thus united, he sends us into the whole world to bear witness, through faith and works, to God's love, preparing the coming of his Kingdom and anticipating it, though in the obscurity of the present time.
All of us who take part in the Eucharist are called to discover, through this sacrament, the profound meaning of our actions in the world in favor of development and peace; and to receive from it the strength to commit ourselves ever more generously, following the example of Christ, who in this sacrament lays down his life for his friends (cf. Jn 15:13). Our personal commitment, like Christ's and in union with his, will-not be in vain but certainly fruitful.