Dall’enciclica Lavorando - Laborem exercens, diffusa il 14 settembre 1981 sotto l’autorità
del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°- Liberazione ed Eucaristia
From the encyclical Through Work - Laborem
exercens, released September
14, 1981 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 ° - Liberation and the Eucharist
Nota:
Dopo il testo italiano del brano
dell’enciclica che ho citato, c’è il
testo ufficiale in inglese pubblicato dalla Santa Sede.
Note:
After the Italian text of
the passage from the encyclical I quoted, there is the official text in English
published by the Holy See. The English translation of my initial reflection was done with the help
of Google Translator.
La dottrina sociale
contemporanea della Chiesa cattolica è rimasta nell’ambito della teologia
morale, che definisce le condotte che sono coerenti con gli impegni della fede
religiosa, o è diventata ideologia, nel senso di direttiva per l’azione sociale
collettiva che si basa su una realistica rappresentazione di ciò che accade
nella società? La distinzione è importante, perché la teologia viene cosiderata
un pensiero che discende dall’alto, mentre l’ideologia, proprio perché tiene
conto di come va la società, la si pensa legata a ciò che avviene in basso. Un pensiero
legato all’alto viene ritenuto in qualche modo più resistente al trascorrere
del tempo e all’evoluzione storica, l’ideologia viene pensata invece come
strettamente connessa ad un’epoca storica, proprio per la funzione che deve
svolgere.
In realtà, non
è così semplice tracciare i confini tra teologia e ideologia nel senso
che ho detto. Nel momento in cui si dà impulso a un mutamento della società,
per farla corrispondere agli ideali religiosi e in questo senso secondo certi
orientamenti teologici, si costruisce un’ideologia. Ad esempio, in Europa la
Chiesa cattolica ha promosso e attuato, in linea con il Magistero sociale, una
vera e propria rivoluzione, rispetto a come andava la politica fino al crollo
dei fascismi europei, nel 1945. E, ancora, ha
contribuito a suscitarla negli anni ’80 e ’90. Infine,
la sta promuovendo anche ora a livello mondiale, sempre in linea con il
Magistero sociale, tutto sommato nella
direzione indicata dall’enciclica Popolurum
Progressio del 1967, diffusa sotto l’autorità
del papa Paolo 6°, quindi chiamando ad un impegno collettivo tutte le persone
di buona volontà, indipendentemente dalla loro fede religiosa, ma in particolar
modo i fedeli cattolici, chiedendo loro di essere come il fermento di una nuova
umanità.
Una liberazione collettiva, di una società
intera, non può essere realizzata senza un’ideologia sociale. Questo non
rientra nella dottrina sociale, ma nel pensiero sociale cristiano che deve
essere elaborato con la collaborazione di tutti, non è solo opera di una
gerarchia religiosa, come quella del Papa e degli altri vescovi.
Mario Ardigò - Azione
Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
Has the contemporary social doctrine of the Catholic Church remained in the sphere of moral theology,
which defines the behaviors that are consistent with the commitments of
religious faith, or has become ideology, in the sense of a directive for
collective social action based on a realistic representation of what happens in
society? The distinction is important, because theology is considered as a
thought that descends from above, while ideology, precisely because it takes
into account how society is doing, is thought to be linked to what happens
below. A thought tied to the top is considered in some way more resistant to
the passage of time and to the historical evolution, the ideology is thought
instead as strictly connected to a historical epoch, precisely because of the
function it must perform.
In reality, it is not so easy to
draw the boundaries between theology and ideology in the sense I have said. The
moment an impulse is given to a change of society, to make it correspond to
religious ideals and in this sense according to certain theological
orientations, an ideology is constructed. For example, in Europe the Catholic
Church has promoted and implemented, in line with the Social Magisterium, a
real revolution, compared to how politics was until the collapse of European
fascisms, in 1945. And, again, it helped to stir it up in the 80s and 90s.
Finally, he is promoting it even now at the world level, always in line with
the social Magisterium, all in the direction indicated by the encyclical
Popolurum Progressio of 1967, diffused under the authority of Pope Paul 6, thus
calling for a collective commitment all people of good will, regardless of
their religious faith, but especially the Catholic faithful, asking them to be
like the ferment of a new humanity.
A
collective liberation of an entire society cannot be achieved without a social
ideology. This is not part of
the social doctrine, but of the Christian social thought that must be
developed with the collaboration of all, it is not only the work of a religious
hierarchy, like that of the Pope and other bishops.
Mario Ardigò - Catholic Action in the Catholic parish of San Clemente
Pope - Rome, Monte Sacro, Valli district
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46. Popoli e individui aspirano alla
propria liberazione: la ricerca del pieno sviluppo è il segno del loro
desiderio di superare i molteplici ostacoli che impediscono di fruire di una
«vita più umana». Recentemente, nel periodo seguito alla pubblicazione
dell'Enciclica Populorum Progressio, in alcune aree della
Chiesa cattolica, in particolare nell'America Latina, si è diffuso un nuovo
modo di affrontare i problemi della miseria e del sottosviluppo, che fa della
liberazione la categoria fondamentale e il primo principio di azione. I valori
positivi, ma anche le deviazioni e i pericoli di deviazione, connessi a questa
forma di riflessione e di elaborazione teologica, sono stati convenientemente
segnalati dal Magistero ecclesiastico. É bene aggiungere che
l'aspirazione alla liberazione da ogni forma di schiavitù, relativa all'uomo e
alla società, è qualcosa di nobile e valido. A questo mira propriamente lo
sviluppo, o piuttosto la liberazione e lo sviluppo, tenuto conto dell'intima
connessione esistente tra queste due realtà. Uno sviluppo soltanto economico
non è in grado di liberare l'uomo, anzi, al contrario, finisce con l'asservirlo
ancora di più. Uno sviluppo, che non comprenda le dimensioni culturali,
trascendenti e religiose dell'uomo e della società nella misura in cui non
riconosce l'esistenza di tali dimensioni e non orienta ad esse i propri
traguardi e priorità, ancor meno contribuisce alla vera liberazione. L'essere
umano è totalmente libero solo quando e se stesso, nella pienezza dei suoi
diritti e doveri: la stessa cosa si deve dire dell'intera società.
L'ostacolo principale da superare per
una vera liberazione è il peccato e le strutture da esso indotte, man mano che
si moltiplica e si estende. La libertà, con la quale Cristo ci ha
liberati (Gal5,1), stimola a convertirci in servi di tutti. Così il
processo dello sviluppo e della liberazione si concreta in esercizio di
solidarietà, ossia di amore e servizio al prossimo, particolarmente ai più
poveri: «Là dove vengono meno la verità e l'amore, il processo di liberazione
porta alla morte di una libertà, che non ha più sostegno».
47. Nel quadro delle tristi esperienze
degli anni recenti e del panorama prevalentemente negativo del momento presente
la Chiesa deve affermare con forza la possibilità del superamento degli
intralci che, per eccesso o per difetto, si frappongono allo sviluppo, e la
fiducia per una vera liberazione. Fiducia e possibilità fondate, in ultima
istanza sulla consapevolezza che ha la Chiesa della promessa divina, volta a
garantire che la storia presente non resta chiusa in se stessa, ma è aperta al
Regno di Dio. La Chiesa ha fiducia anche nell'uomo, pur conoscendo la malvagità
di cui è capace, perché sa bene che-nonostante il peccato ereditato e quello
che ciascuno può commettere-ci sono nella persona umana sufficienti qualità ed
energie, c'è una fondamentale «bontà» (Gen1,31), perché è immagine del
Creatore, posta sotto l'influsso redentore di Cristo, «che si è unito in certo
modo a ogni uomo», e perché l'azione efficace dello Spirito Santo
«riempie la terra» (Sap 1,7). Non sono, pertanto, giustificabili né
la disperazione né il pessimismo, né la passività. Anche se con amarezza
occorre dire che, come si può peccare per egoismo, per brama di guadagno
esagerato e di potere, si può anche mancare, di fronte alle urgenti necessità
di moltitudini umane immerse nel sottosviluppo, per timore, indecisione e, in
fondo, per codardia. Siamo tutti chiamati, anzi obbligati, ad affrontare la
tremenda sfida dell'ultima decade del secondo Millennio. Anche perché i
pericoli incombenti minacciano tutti: una crisi economica mondiale, una guerra
senza frontiere, senza vincitori né vinti. Di fronte a simile minaccia, la
distinzione tra persone e Paesi ricchi, tra persone e Paesi poveri, avrà poco
valore, salvo la maggiore responsabilità gravante su chi ha di più e può di
più.
Ma tale motivazione non è né l'unica né
la principale. É in gioco la dignità della persona umana la cui difesa e
promozione ci sono state affidate dal Creatore, e di cui sono rigorosamente e
responsabilmente debitori gli uomini e le donne in ogni congiuntura della
storia. Il panorama odierno-come già molti più o meno chiaramente avvertono-non
sembra rispondente a questa dignità. Ciascuno è chiamato a occupare il proprio
posto in questa campagna pacifica, da condurre con mezzi pacifici, per
conseguire lo sviluppo nella pace, per salvaguardare la stessa natura e il
mondo che ci circonda. Anche la Chiesa si sente profondamente implicata in
questo cammino, nel cui felice esito finale spera Perciò, sull'esempio di
Papa Paolo VI con l'Enciclica Populorum Progressio, desidero
rivolgermi con semplicità e umiltà a tutti, uomini e donne senza eccezione,
perché, convinti della gravità del momento presente e della rispettiva,
individuale responsabilità, mettano in opera-con lo stile personale e familiare
della vita, con l'uso dei beni, con la partecipazione come cittadini, col
contributo alle decisioni economiche e politiche e col proprio impegno nei
piani nazionali e internazionali-le misure ispirate alla solidarietà e
all'amore preferenziale per i poveri. Così richiede il momento, così richiede
soprattutto la dignità della persona umana, immagine indistruttibile di Dio
creatore, ch'è identica in ciascuno di noi.
In questo impegno debbono essere di
esempio e di guida i figli della Chiesa, chiamati, secondo il programma
enunciato da Gesù stesso nella sinagoga di Nazareth, ad «annunciare ai poveri
un lieto messaggio [...], a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai
ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di
grazia del Signore» (Lc 4,18). Conviene sottolineare il ruolo
preponderante, che spetta ai laici, uomini e donne, come è stato ripetuto nella
recente Assemblea sinodale. A loro compete animare, con impegno cristiano, le
realtà temporali e, in esse, mostrare di essere testimoni e operatori di pace e
di giustizia. Desidero rivolgermi specialmente a quanti, per il sacramento del
Battesimo e la professione dello stesso Credo, sono compartecipi di una vera
comunione, sia pure imperfetta, con noi. Sono sicuro che sia la sollecitudine
che questa Lettera esprime, sia le motivazioni chela animano saranno loro
familiari, perché ispirate dal Vangelo di Cristo Gesù. Possiamo trovare qui un
nuovo invito a dare testimonianza unanime delle nostre comuni convinzioni sulla
dignità dell'uomo, creato da Dio, redento da Cristo, santificato dallo Spirito,
e chiamato in questo mondo a vivere una vita conforme a questa dignità. A
coloro che condividono con noi l'eredità di Abramo «nostro padre nella
fede» (Rm 4,11), e la tradizione dell'Antico Testamento,
ossia gli Ebrei, a coloro che, come noi, credono in Dio giusto e
misericordioso, ossia i Mussulmani, rivolgo parimenti questo appello, che si
estende, altresì, a tutti i seguaci delle grandi religioni del mondo.
L'incontro del 27 ottobre dell'anno passato ad Assisi, la città di san
Francesco, per pregare ed impegnarci per la pace-ognuno in fedeltà alla propria
professione religiosa-ha rivelato a tutti fino a che punto la pace e, quale sua
necessaria condizione, lo sviluppo di «tutto l'uomo e di tutti gli uomini»
siano una questione anche religiosa, e come la piena attuazione dell'una e
dell'altro dipenda dalla fedeltà alla nostra vocazione di uomini e di donne
credenti. Perché dipende, innanzitutto, da Dio.
48. La Chiesa sa bene che nessuna
realizzazione temporale s'identifica col Regno di Dio, ma che tutte le
realizzazioni non fanno che riflettere e, in un certo senso, anticipare la
gloria del Regno, che attendiamo alla fine della storia, quando il Signore
ritornerà. Ma l'attesa non potrà esser mai una scusa per disinteressarsi degli
uomini nella loro concreta situazione personale e nella loro vita sociale,
nazionale e internazionale, in quanto questa-ora soprattutto-condiziona quella.
Nulla, anche se imperfetto e
provvisorio, di tutto ciò che si può e si deve realizzare mediante lo sforzo
solidale di tutti e la grazia divina in un certo momento della storia, per
rendere «più umana» la vita degli uomini, sarà perduto né sarà stato vano.
Questo insegna il Concilio Vaticani II in un testo luminoso della
Costituzione Gaudium et Spes: «I beni della dignità umana, l'unione
fraterna e la libertà, in una parola tutti i frutti eccellenti della natura e
del nostro sforzo, dopo averli diffusi per la terra nello Spirito del Signore e
in accordo al suo mandato, torneremo a ritrovarli, purificati da ogni macchia,
illuminati e trasfigurati, quando Cristo consegnerà al Padre il Regno eterno e
universale [...], già misteriosamente presente sulla nostra terra». Il
Regno di Dio si fa presente, ora, soprattutto con la celebrazione del
Sacramento dell'Eucaristia, che è il Sacrificio del Signore. In tale
celebrazione i frutti della terra e del lavoro umano-il pane e il vino-sono
trasformati misteriosamente, ma realmente e sostanzialmente per opera dello
Spirito Santo e delle parole del ministro nel Corpo e nel Sangue del Signore
Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria, per il quale il Regno del Padre
si è fatto presente in mezzo a noi. I beni di questo mondo e l'opera delle
nostre mani-il pane e il vino-servono per la venuta del Regno definitivo,
giacché il Signore mediante il suo Spirito li assume in se, per offrirsi al
Padre e offrire noi con lui nel rinnovamento del suo unico sacrificio, che
anticipa il Regno di Dio e ne annuncia la venuta finale. Così il Signore
mediante l'Eucaristia, sacramento e sacrificio, ci unisce con sé e ci unisce
tra di noi con un vincolo più forte di ogni unione naturale; e uniti ci invia
al mondo intero per dare testimonianza, con la fede e con le opere, dell'amore
di Dio, preparando la venuta del suo Regno e anticipandolo pur nelle ombre del
tempo presente. Quanti partecipiamo dell'Eucaristia, siamo chiamati a scoprire,
mediante questo Sacramento, il senso profondo della nostra azione nel mondo in
favore dello sviluppo e della pace; ed a ricevere da esso le energie per
impegnarci sempre più generosamente, sull'esempio di Cristo che in tale
Sacramento dà la vita per i suoi amici (Gv15,13). Come quello di Cristo
e in quanto unito al suo, il nostro personale impegno non sarà inutile, ma
certamente fecondo.
From the encyclical Through Work - Laborem
exercens, released September
14, 1981 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 ° - Liberation and the Eucharist
Note:
The
text of the passage of the encyclical that I transcribe below is the one
published in English by the Holy See
46. Peoples and individuals aspire to
be free: their search for full development signals their desire to overcome the
many obstacles preventing them from enjoying a "more human life."
Recently, in the period following the
publication of the encyclical Populorum Progressio, a new way of confronting
the problems of poverty and underdevelopment has spread in some areas of the
world, especially in Latin America. This approach makes liberation the
fundamental category and the first principle of action. The positive values, as
well as the deviations and risks of deviation, which are damaging to the faith
and are connected with this form of theological reflection and method, have
been appropriately pointed out by the Church's Magisterium.
It is fitting to add that the
aspiration to freedom from all forms of slavery affecting the individual and
society is something noble and legitimate. This in fact is the purpose of
development, or rather liberation and development, taking into account the
intimate connection between the two.
Development which is merely economic is
incapable of setting man free, on the contrary, it will end by enslaving him
further. Development that does not include the cultural, transcendent and
religious dimensions of man and society, to the extent that it does not
recognize the existence of such dimensions and does not endeavor to direct its
goals and priorities toward the same, is even less conducive to authentic
liberation. Human beings are totally free only when they are completely
themselves, in the fullness of their rights and duties. The same can be said
about society as a whole.
The principal obstacle to be overcome
on the way to authentic liberation is sin and the structures produced by sin as
it multiplies and spreads.
The freedom with which Christ has set
us free (cf. Gal 5:1) encourages us to become the servants of all. Thus the
process of development and liberation takes concrete shape in the exercise of
solidarity, that is to say in the love and service of neighbor, especially of
the poorest: "For where truth and love are missing, the process of
liberation results in the death of a freedom which will have lost all
support."
47. In the context of the sad
experiences of recent years and of the mainly negative picture of the present
moment, the Church must strongly affirm the possibility of overcoming the
obstacles which, by excess or by defect, stand in the way of development. And
she must affirm her confidence in a true liberation. Ultimately, this
confidence and this possibility are based on the Church's awareness of the
divine promise guaranteeing that our present history does not remain closed in
upon itself but is open to the Kingdom of God.
The Church has confidence also in man,
though she knows the evil of which he is capable. For she well knows that - in
spite of the heritage of sin, and the sin which each one is capable of
committing - there exist in the human person sufficient qualities and
energies, a fundamental "goodness" (cf. Gen 1:31), because he is the
image of the Creator, placed under the redemptive influence of Christ, who
"united himself in some fashion with every man," and because the
efficacious action of the Holy Spirit "fills the earth" (Wis 1:7).
There is no justification then for
despair or pessimism or inertia. Though it be with sorrow, it must be said that
just as one may sin through selfishness and the desire for excessive profit and
power, one may also be found wanting with regard to the urgent needs of
multitudes of human beings submerged in conditions of underdevelopment, through
fear, indecision and, basically, through cowardice. We are all called, indeed
obliged, to face the tremendous challenge of the last decade of the second Millennium,
also because the present dangers threaten everyone: a world economic crisis, a
war without frontiers, without winners or losers. In the face of such a threat,
the distinction between rich individuals and countries and poor individuals and
countries will have little value, except that a greater responsibility rests on
those who have more and can do more.
This is not however the sole motive or
even the most important one. At stake is the dignity of the human person, whose
defense and promotion have been entrusted to us by the Creator, and to whom the
men and women at every moment of history are strictly and responsibly in debt.
As many people are already more or less clearly aware, the present situation
does not seem to correspond to this dignity. Every individual is called upon to
play his or her part in this peaceful campaign, a campaign to be conducted by
peaceful means, in order to secure development in peace, in order to safeguard
nature itself and the world about us. The Church too feels profoundly involved
in this enterprise, and she hopes for its ultimate success.
Consequently, following the example of
Pope Paul VI with his Encyclical Populorum Progressio, I wish to appeal
with simplicity and humility to everyone, to all men and women without
exception. I wish to ask them to be convinced of the seriousness of the present
moment and of each one's individual responsibility, and to implement - by the
way they live as individuals and as families, by the use of their resources, by
their civic activity, by contributing to economic and political decisions and
by personal commitment to national and international undertakings - the
measures inspired by solidarity and love of preference for the poor. This is
what is demanded by the present moment and above all by the very dignity of the
human person, the indestructible image of God the Creator, which is identical
in each one of us.
In this commitment, the sons and
daughters of the Church must serve as examples and guides, for they are called
upon, in conformity with the program announced by Jesus himself in the
synagogue at Nazareth, to "preach good news to the poor...to proclaim
release to the captives and recovering of sight to the blind, to set at liberty
those who are oppressed, to proclaim the accept able year of the Lord" (Lk
4:18-19). It is appropriate to emphasize the preeminent role that belongs to
the laity, both men and women, as was reaffirmed in the recent Assembly of the
Synod. It is their task to animate temporal realities with Christian
commitment, by which they show that they are witnesses and agents of peace and
justice. I wish to address especially those who, through the sacrament of
Baptism and the profession of the same Creed, share a real, though imperfect,
communion with us. I am certain that the concern expressed in this Encyclical
as well as the motives inspiring it will be familiar to them, for these motives
are inspired by the Gospel of Jesus Christ. We can find here a new invitation
to bear witness together to our common convictions concerning the dignity of
man, created by God, redeemed by Christ, made holy by the Spirit and called upon
in this world to live a life in conformity with this dignity. I likewise
address this appeal to the Jewish people, who share with us the inheritance of
Abraham, "our father in faith" (cf. Rm 4:11f.) and the tradition
of the Old Testament, as well as to the Muslims who, like us, believe in a just
and merciful God. And I extend it to all the followers of the world's great
religions.
The meeting held last October 27 in
Assisi the city of St. Francis, in order to pray for and commit ourselves to
peace - each one in fidelity to his own religious profession - showed how much
peace and, as its necessary condition, the development of the whole person and
of all peoples, are also a matter of religion, and how the full achievement of
both the one and the other depends on our fidelity to our vocation as men and
women of faith. For it depends, above all, on God.
48. The Church well knows that no
temporal achievement is to be identified with the Kingdom of God, but that all
such achievements simply reflect and in a sense anticipate the glory of the
Kingdom, the Kingdom which we await at the end of history, when the Lord will come
again. But that expectation can never be an excuse for lack of concern for
people in their concrete personal situations and in their social, national and
international life, since the former is conditioned by the latter, especially
today.
However imperfect and temporary are all
the things that can and ought to be done through the combined efforts of
everyone and through divine grace, at a given moment of history, in order to
make people's lives "more human," nothing will be lost or will have
been in vain. This is the teaching of the Second Vatican Council, in an
enlightening passage of the Pastoral Constitution Gaudium et Spes: "When
we have spread on earth the fruits of our nature and our enterprise - human
dignity, fraternal communion, and freedom - according to the command of the
Lord and in his Spirit, we will find them once again, cleansed this time from
the stain of sin, illumined and transfigured, when Christ presents to his
Father an eternal and universal kingdom...here on earth that kingdom is already
present in mystery."
The Kingdom of God becomes present
above all in the celebration of the sacrament of the Eucharist, which is the
Lord's Sacrifice. In that celebration the fruits of the earth and the work of
human hands - the bread and wine - are transformed mysteriously, but really and
substantially, through the power of the Holy Spirit and the words of the
minister, into the Body and Blood of the Lord Jesus Christ, the Son of God and
Son of Mary, through whom the Kingdom of the Father has been made present in
our midst.
The goods of this world and the work of
our hands-the bread and wine-serve for the coming of the definitive Kingdom,
since the Lord, through his Spirit, takes them up into himself in order to
offer himself to the Father and to offer us with himself in the renewal of his
one Sacrifice, which anticipates God's Kingdom and proclaims its final coming.
Thus the Lord unites us with himself
through the Eucharist- Sacrament and Sacrifice-and he unites us with himself
and with one another by a bond stronger than any natural union; and thus
united, he sends us into the whole world to bear witness, through faith and
works, to God's love, preparing the coming of his Kingdom and anticipating it,
though in the obscurity of the present time.
All of us who take part in the
Eucharist are called to discover, through this sacrament, the profound meaning
of our actions in the world in favor of development and peace; and to receive
from it the strength to commit ourselves ever more generously, following the
example of Christ, who in this sacrament lays down his life for his friends
(cf. Jn 15:13). Our personal commitment, like Christ's and in union with his,
will-not be in vain but certainly fruitful.