Contro gli imperialismi - il Magistero
dell’enciclica La sollecitudine sociale
(della Chiesa) - Sollicitudo rei
socialis - diffusa il 30 dicembre
1987 sotto l’autorità del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo II
After the Italian text of
my reflections ther’is the english translation, done with help of Google
Traslator. The translation in english of the passages of the encyclical The social concern of the Church . Sollicitudo rei socialis, which I
quote below, is instead the English text circulated by the Holy See.
In Italia di questi tempi si è tornati a
parlare di imperialismo. Tra pochi giorni sarà in Italia il presidente della
Repubblica Popolare Cinese e Segretario generale del Partito Comunista Cinese
Xi Jinping per concludere con l’Italia un accordo internazionale per orientare
l’azione dei due stati per favorire la realizzazione di un sistema sicuro e
veloce di comunicazione tra la Cina e l’Europa denominato dai cinesi BRI Belt and road iniziative - Iniziativa
di cintura e strada. L’accordo definisce un quadro politico di futuri
accordi di dettaglio, i quali in particolare avranno ad oggetto la
realizzazione di importanti opere strutturali o l’ampliamento di strutture già
esistenti, ad esempio nel campo dei trasporti, dei porti, delle stazioni
ferroviarie, dei centri di immagazzinamento e smistamento di merci.
Attualmente la Repubblica Popolare Cinese è il
più potente e popoloso stato comunista mai esistito con circa un miliardo e
mezzo di abitanti e un’economia che ormai produce gran parte delle merci di uso
comune in Occidente. La sua ideologia politica
è un socialismo secondo una
variante del marxismo-leninismo. Alle origini ebbe del marxismo la forza di
critica sociale diffusa, che oggi non è più ammessa verso l’interno e non è più
esercitata, per ragioni tattiche, per mantenere buoni rapporti commerciali con
gli stati capitalisti, verso l’esterno. La sua forma di governo è centrata sul
Partito Comunista Cinese. Il suo sistema politico è comunque una forma di
democrazia, perché vi è la reale possibilità di un’influenza politica dei
cittadini, ma molto diversa dai sistemi liberali democratici dell’Occidente
capitalistico. La politica è infatti consentita solo nel Partito Comunista o
negli altri partiti ammessi che riconoscano la sua egemonia e non è quindi
ammessa l’opposizione politica come negli stati Occidentali, e la libera
formazione di altri partiti.
La bandiera cinese riassume bene quell’ideologia.
Il rosso indica che si tratta di uno stato nato da una rivoluzione sociale e
politica. La stella gialla grande sulla sinistra è il simbolo del Partito
Comunista cinese. Le quattro stelle vicine che le fanno corona rappresentano i
popoli della Cina. Nel complesso la bandiera rappresenta popoli impegnati
in una rivoluzione sociale sotto la guida del Partito Comunista Cinese. Dagli
anni ’80 la Repubblica Popolare Cinese ha promosso uno sviluppo di economia
capitalista, in particolare creando grandi centri industriali e commerciali in
alcune parti del suo immenso territorio, ma ciò è consentito solo nel quadro di
una rigida programmazione pubblica controllata dal Partito Comunista. Ogni
altro aspetto della vita sociale, compresi quelli religiosi, è consentito solo
nell’ambito di quella programmazione. Nata come movimento dal basso, oggi la rivoluzione
cinese appare dominata dall’alto, da un’oligarchia di partito, per cui appare
che la carriera politica possa farsi solo per cooptazione, vale a dire per
scelta dall’alto, di organi superiori che assegnano a un candidato un posto tra
loro o comunque più in alto nella gerarchia sociale. Non vi sono, ad esempio,
elezioni politiche sul modello di quelle europee, che possono riservare molte
sorprese. La Repubblica Popolare Cinese appare uno stato più ordinato di quelli
occidentali, ma vi si avverte molto più che in Occidente la pressione dei
poteri pubblici. L’informazione è rigidamente controllata dal Partito
Comunista. Non sono note inchieste sociali condotte con i criteri Occidentali
che possano rendere un’idea affidabile dei moti sociali che percorrono quel
grande stato e delle condizioni delle popolazioni e, in particolare, dei
lavoratori. Nell’aprile 1989 si
manifestarono nella Repubblica Popolare Cinese moti sociali per la
riforma del regime comunista che vennero repressi sanguinosamente. Da allora
periodicamente filtrano notizie sulla repressione contro singole personalità
dissenzienti o gruppi sociali, come quelli
religiosi.
Dagli anni ’90 si è sviluppato un imponente
fenomeno migratorio cinese verso l’Occidente. Questo verosimilmente potrebbe
portare all’assimilazione di alcuni elementi politici degli stati liberali
democratici occidentali che potrebbe rifluire in Cina. Vi è stata però anche
una migrazione in senso inverso e non può escludersi un’assimilazione da parte
degli occidentali dei costumi politici cinesi, che consentono il governo
ordinato di una società molto popolosa e complessa, con buoni risultati in
termini di efficienza economica.
La costruzione di un sistema capitalistico
nella Repubblica Popolare di Cina fu avviata a seguito di accordi, del genere
di quello che l’Italia sta per stabilire con quello stato, conclusi con gli
Stati Uniti D’America dagli anni ’70, sotto la presidenza di Richard Nixon. Le
imprese occidentali iniziarono a trasferire parti della propria produzione in
Cina, sfruttando il più basso costo del lavoro. Le autorità cinesi pretesero
che queste iniziative fossero condotte con la collaborazione di imprenditori
cinesi, i quali poi iniziarono a fare da soli. Ora la Repubblica Popolare di
Cina è al secondo posto tra i Paesi più industrializzati del mondo in termini
di Prodotto Interno Lordo, che misura la ricchezza prodotta da una nazione.
La Repubblica Popolare di Cina finora non ha
sviluppato una politica imperialistica paragonabile a quella che fu realizzata dall’Unione Sovietica o è attuata dagli Stati Uniti d’America. Imperialismo è
quando uno stato impone con il proprio peso politico, economico o militare una
politica ad un altro stato. La Repubblica Popolare Cinese non ha sviluppato, in particolare, un imperialismo
ideologico, che creerebbe problemi alla sua espansione commerciale. Oggi in
Occidente acquistiamo prodotti cinesi, che sono la gran parte di quelli di uso
comune, senza collegarli al regime comunista che domina in Cina. Né gli
immigrati cinesi sono considerati veicoli dell’ideologia comunista, infatti i
loro costumi in Occidente non differiscono dai nostri.
Gli accordi che si stanno per concludere in
Italia con la Repubblica Popolare Cinese non possono essere considerati
manifestazione di imperialismo cinese,
nel senso che sono stati ricercati dall’Italia nel corso di una lunga storia di
incontri politici bilaterali, condotti dai vari governi che si sono succeduti
da una decina d’anni, perché il mercato cinese comincia ad essere interessante
per gli esportatori italiani, con l’aumento del reddito individuale dei cinesi.
Certamente però nel tempo avranno importanti conseguenze politiche ed
economiche. Questo ha irritato gli Stati Uniti d’America, che stanno attuando
una guerra commerciale contro la Repubblica Popolare Cinese, senza però i
connotati ideologici che caratterizzarono la Guerra fredda combattuta fino al 1991 contro l’Unione Sovietica. La
strategia politica del presidente statunitense Donald Trump è quella di contrattare
con i singoli stati le varie questioni rilevanti, in modo che gli Stati Uniti d’America
abbiano sempre la meglio in quanto parte più grande e forte. Con la Repubblica Popolare Cinese, un’entità
più grossa degli Stati Uniti d’America, questa strategia non funziona tanto
bene, tanto più se la Repubblica Popolare Cinese riesce a stringere accordi con
altri stati che le aprano altri mercati.
Per contrastare l’intesa tra l’Italia e la
Repubblica Popolare Cinese gli Stati Uniti d’America nelle settimane passate
hanno esercitato una pressione tipicamente imperialistica, minacciando
conseguenze gravi, essenzialmente nel presupposto che con quell’accordo siano
colpiti gli interessi statunitensi. Si è trattato di un’influenza svolta in
forme dure come da molto tempo non accadeva, essenzialmente affidate a moniti
recati per via diplomatica, come appunto si usa nella politica imperialistica. Le
controversie politiche tra stati che si considerano
alleati e con pari dignità avvengono invece, e vengono risolte, a livello politico e al più alto
livello.
A seguito degli accordi di Jalta del 1945,
nelle fasi terminali della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ricadde nella
sfera di influenza delle potenze occidentali guidate dagli Stati Uniti d’America.
Questi ultimi mantengono in Italia importanti basi militari. In particolare a
Napoli è stanziata la Sesta Flotta degli Stati Uniti d’America, essenziale per il mantenimento dell'egemonia militare statunitense nel mar Mediterraneo.
Dal 1945 gli Stati Uniti d’America hanno
esercitato, in forme più o meno intense, condizionamenti di tipo imperialistico
sulla politica e sull’economia italiana. Nessuna svolta politica è stata
possibile in Italia senza l’assenso
statunitense. Quella che si è prodotta lo scorso anno deve ancora ottenerlo, in
quanto il presidente statunitense non ha ancora incontrato, dopo le elezioni
italiane, i capi politici dei partiti del contratto di governo, ma solo il Presidente del Consiglio dei ministri, che è una figura di mediazione tra quei partiti, garante ed esecutore dei contratto di governo concluso tra quei partiti.
Il papa Karol
Wojtyla nell’enciclica La
sollecitudine sociale (della Chiesa) - Sollicitudo rei socialis, del 1987,
si occupò dell’imperialismo, che all’epoca caratterizzava la politica dei due blocchi
guidati dagli Stati Uniti d’America
e dall’Unione Sovietica, ostacolando la ricomposizione della civiltà europea che
quel Papa auspicava. Il suo magistero può essere utile ancora oggi per impostare una posizione politica da cittadini
italiani riguardo a quel tema e alla situazione che si sta creando.
Mario Ardigò - Azione
Cattolica nella parrocchia di San Clemente papa - Roma,Monte Sacro, Valli
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Dall’enciclica La sollecitudine sociale (della Chiesa) - Sollicitudo rei socialis
20. Se, a questo punto,
esaminiamo le cause di tale grave ritardo nel processo dello sviluppo,
verificatosi in senso opposto alle indicazioni dell'Enciclica Populorum Progressio, che aveva sollevato
tante speranze, la nostra attenzione si ferma in particolare sulle cause
politiche della situazione odierna. Trovandoci di fronte ad un insieme di
fattori indubbiamente complessi, non è possibile giungere qui a un'analisi
completa. Ma non si può passare sotto silenzio un fatto saliente del quadro
politico, che caratterizza il periodo storico seguito al secondo conflitto
mondiale ed è un fattore non trascurabile nell'andamento dello sviluppo dei
popoli. Ci riferiamo all'esistenza di due blocchi contrapposti, designati
comunemente con i nomi convenzionali di Est e Ovest' oppure di Oriente e
Occidente. La ragione di questa connotazione non è puramente politica, ma
anche, come si dice, geo-politica. Ciascuno dei due blocchi tende ad assimilare
o ad aggregare intorno a sé, con diversi gradi di adesione o partecipazione,
altri Paesi o gruppi di Paesi.
La contrapposizione è
innanzitutto politica, in quanto ogni blocco trova la propria identità in un
sistema di organizzazione della società e di gestione del potere, che tende ad
essere alternativo all'altro; a sua volta, la contrapposizione politica trae
origine da una contrapposizione più profonda, che è di ordine ideologico. In
Occidente esiste, infatti, un sistema che storicamente si ispira ai principi
del capitalismo liberista, quale si sviluppò nel secolo scorso con
l'industrializzazione; in Oriente c'è un sistema ispirato al collettivismo
marxista, che nacque dall'interpretazione della condizione delle classi
proletarie, alla luce di una peculiare lettura della storia. Ciascuna delle due
ideologie, facendo riferimento a due visioni così diverse dell'uomo, della sua
libertà e del suo ruolo sociale, ha proposto e promuove, sul piano economico,
forme antitetiche di organizzazione del lavoro e di strutture della proprietà,
specialmente per quanto riguarda i cosiddetti mezzi di produzione.
Era inevitabile che la
contrapposizione ideologica, sviluppando sistemi e centri antagonisti di
potere, con proprie forme di propaganda e di indottrinamento, evolvesse in una
crescente contrapposizione militare, dando origine a due blocchi di potenze
armate, ciascuno diffidente e timoroso del prevalere dell'altro. A loro volta,
le relazioni internazionali non potevano non risentire gli effetti di questa
«logica dei blocchi» e delle rispettive «sfere di influenza». Nata dalla
conclusione della seconda guerra mondiale, la tensione tra i due blocchi ha
dominato tutto il quarantennio successivo, assumendo ora il carattere di
«guerra fredda», ora di «guerre per procura» mediante la strumentalizzazione di
conflitti locali, ora tenendo sospesi e angosciati gli animi con la minaccia di
una guerra aperta e totale. Se al presente un tale pericolo sembra divenuto più
remoto, pur senza essere del tutto scomparso, e se si è pervenuti ad un primo
accordo sulla distruzione di un tipo di armamenti nucleari, l'esistenza e la
contrapposizione dei blocchi non cessano di essere tuttora un fatto reale e
preoccupante, che continua a condizionare il quadro mondiale.
[…]
22. Fatte queste considerazioni, riesce agevole avere una visione più
chiara del quadro degli ultimi venti anni e comprender meglio i contrasti
esistenti nella parte Nord del mondo, cioè tra Oriente e Occidente, quale causa
non ultima del ritardo o del ristagno del Sud. I Paesi in via di sviluppo, più
che trasformarsi in Nazioni autonome, preoccupate del proprio cammino verso la
giusta partecipazione ai beni ed ai servizi destinati a tutti, diventano pezzi di
un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco. Ciò si verifica spesso anche
nel campo dei mezzi di comunicazione sociale, i quali, essendo per lo più
gestiti da centri nella parte Nord del mondo, non tengono sempre nella dovuta
considerazione le priorità ed i problemi propri di questi Paesi né rispettano
la loro fisionomia culturale, ma non di rado impongono una visione distorta
della vita e dell'uomo e cosi non rispondono alle esigenze del vero sviluppo.
Ognuno dei due blocchi
nasconde dentro di sé, a suo modo, la tendenza all'imperialismo, come si dice
comunemente, o a forme di neo-colonialismo: tentazione facile, nella quale non
di rado si cade, come insegna la storia anche recente. É questa situazione
anormale-conseguenza di una guerra e di una preoccupazione ingigantita, oltre
il lecito, da motivi della propria sicurezza-che mortifica lo slancio di
cooperazione solidale di tutti per il bene comune del genere umano, a danno
soprattutto di popoli pacifici, bloccati nel loro diritto di accesso ai beni
destinati a tutti gli uomini. Vista così, la presente divisione del mondo è di
diretto ostacolo alla vera trasformazione delle condizioni di sottosviluppo nei
Paesi in via di sviluppo o in quelli meno avanzati. I popoli, però, non sempre
si rassegnano alla loro sorte. Inoltre, gli stessi bisogni di un'economia
soffocata dalle spese militari, come dal burocratismo e dall'intrinseca
inefficienza, sembrano adesso favorire dei processi che potrebbero rendere meno
rigida la contrapposizione e più facile l'avvio di un proficuo dialogo e di una
vera collaborazione per la pace.
[…]
36. É da rilevare,
pertanto, che un mondo diviso in blocchi, sostenuti da ideologie rigide, dove,
invece dell'interdipendenza e della solidarietà, dominano differenti forme di
imperialismo, non può che essere un mondo sottomesso a «strutture di peccato».
La somma dei fattori negativi, che agiscono in senso contrario a una vera
coscienza del bene comune universale e all'esigenza di favorirlo, dà
l'impressione di creare, in persone e istituzioni, un ostacolo difficile da
superare. Se la situazione di oggi è da attribuire a difficoltà di diversa
indole, non è fuori luogo parlare di «strutture di peccato», le quali come ho
affermato nell'Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia- si radicano nel
peccato personale e, quindi, son sempre collegate ad atti concreti delle
persone, che le introducono, le consolidano e le rendono difficili da
rimuovere. E così esse si rafforzano, si diffondono e diventano
sorgente di altri peccati, condizionando la condotta degli uomini.
«Peccato» e «strutture
di peccato» sono categorie che non sono spesso applicate alla situazione del
mondo contemporaneo. Non si arriva, però, facilmente alla comprensione profonda
della realtà quale si presenta ai nostri occhi, senza dare un nome alla radice
dei mali che ci affliggono. Si può parlare certo di «egoismo» e di «corta
veduta»; si può fare riferimento a «calcoli politici sbagliati», a «decisioni
economiche imprudenti». E in ciascuna di tali valutazioni si nota un'eco di
natura etico-morale. La condizione dell'uomo è tale da rendere difficile
un'analisi più profonda delle azioni e delle omissioni delle persone senza
implicare, in una maniera o nell'altra, giudizi o riferimenti di ordine etico.
Questa valutazione è di per sé positiva, specie se diventa coerente fino in
fondo e se si basa sulla fede in Dio e sulla sua legge, che ordina il bene e
proibisce il male.
In ciò consiste la
differenza tra il tipo di analisi socio-politica e il riferimento formale al
«peccato» e alle «strutture di peccato». Secondo quest'ultima visione si inseriscono
la volontà di Dio tre volte Santo, il suo progetto sugli uomini, la sua
giustizia e la sua misericordia. Il Dio ricco in misericordia, redentore
dell'uomo, Signore e datore della vita, esige dagli uomini atteggiamenti
precisi che si esprimano anche in azioni o omissioni nei riguardi del prossimo.
Si ha qui un riferimento alla «seconda tavola» dei dieci Comandamenti (Es 20,12);
(Dt 5,16): con l'inosservanza di questi si offende Dio e si
danneggia il prossimo, introducendo nel mondo condizionamenti e ostacoli, che
vanno molto più in là delle azioni e del breve arco della vita di un individuo.
S'interferisce anche nel processo dello sviluppo dei popoli, il cui ritardo o
la cui lentezza deve essere giudicata anche sotto tale luce.
37. A questa analisi
generale di ordine religioso si possono aggiungere alcune considerazioni
particolari, per notare che tra le azioni e gli atteggiamenti opposti alla
volontà di Dio e al bene del prossimo e le «strutture» che essi inducono, i più
caratteristici sembrano oggi soprattutto due: da una parte, la brama esclusiva
del profitto e dall'altra, la sete del potere col proposito di imporre agli
altri la propria volontà. A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere,
per caratterizzarli meglio, l'espressione: «a qualsiasi prezzo». In altre
parole, siamo di fronte all'assolutizzazione di atteggiamenti umani con tutte
le possibili conseguenze. Anche se di per sé sono separabili, sicché l'uno
potrebbe stare senza l'altro, entrambi gli atteggiamenti si ritrovano-nel panorama
aperto davanti ai nostri occhi-indissolubilmente uniti, sia che predomini l'uno
o l'altro. Ovviamente, a cader vittime di questo duplice atteggiamento di
peccato non sono solo gli individui. possono essere anche le Nazioni e i
blocchi. E ciò favorisce di più l'introduzione delle «strutture di peccato», di
cui ho parlato. Se certe forme di «imperialismo» moderno si considerassero alla
luce di questi criteri morali, si scoprirebbe che sotto certe decisioni,
apparentemente ispirate solo dall'economia o dalla politica si nascondono vere
forme di idolatria: del denaro, dell'ideologia, della classe, della tecnologia.
Ho voluto introdurre questo tipo di analisi soprattutto per indicare quale sia
la vera natura del male a cui ci si trova di fronte nella questione dello
«sviluppo dei popoli»: si tratta di un male morale, frutto di molti peccati,
che portano a «strutture di peccato». Diagnosticare così il male significa
identificare esattamente, a livello della condotta umana, il cammino da seguire
per superarlo.
[…]
39.[…] Superando gli imperialismi di ogni tipo e i propositi di conservare
la propria egemonia, le Nazioni più forti e più dotate debbono sentirsi
moralmente responsabili delle altre, affinché sia instaurato un vero sistema
internazionale, che si regga sul fondamento dell'eguaglianza di tutti i popoli
e sul necessario rispetto delle loro legittime differenze. I Paesi
economicamente più deboli, o rimasti al limite della sopravvivenza, con
l'assistenza degli altri popoli e della comunità internazionale, debbono essere
messi in grado di dare anch'essi un contributo al bene comune con i loro tesori
di umanità e di cultura, che altrimenti andrebbero perduti per sempre. La
solidarietà ci aiuta a vedere l'«altro»-persona, popolo o Nazione-non come uno
strumento qualsiasi, per sfruttarne a basso costo la capacità di lavoro e la
resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più ma come un nostro
«simile», un «aiuto» (Gen 2,18), da rendere partecipe, al pari di
noi, del banchetto della vita, a cui tutti gli uomini sono egualmente invitati
da Dio. Di qui l'importanza di risvegliare la coscienza religiosa degli uomini
e dei popoli. Sono così esclusi lo sfruttamento, l'oppressione, l'annientamento
degli altri. Questi fatti, nella presente divisione del mondo in blocchi
contrapposti, vanno a confluire nel pericolo di guerra e nell'eccessiva
preoccupazione per la propria sicurezza a spese non di rado dell'autonomia,
della libera decisione della stessa integrità territoriale delle Nazioni più
deboli, che son comprese nelle cosiddette «zone d'influenza» o nelle «cinture
di sicurezza». Le «strutture di peccato» e i peccati, che in esse sfociano, si
oppongono con altrettanta radicalità alla pace e allo sviluppo, perché lo
sviluppo, secondo la nota espressione dell'Enciclica paolina, è «il nuovo nome
della pace».
In tal modo la
solidarietà da noi proposta è via alla pace e insieme allo sviluppo. Infatti,
la pace del mondo è inconcepibile se non si giunge, da parte dei responsabili,
a riconoscere che l'interdipendenza esige di per sé il superamento della
politica dei blocchi, la rinuncia a ogni forma di imperialismo economico,
militare o politico, e la trasformazione della reciproca diffidenza in
collaborazione. Questo è, appunto, l'atto proprio della solidarietà tra
individui e Nazioni. Il motto del pontificato del mio venerato
predecessore Pio XII era Opus iustitiae pax, la pace
come frutto della giustizia. Oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e
la stessa forza di ispirazione biblica (Is 32,17); (Gc 3,18). Opus
solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà. Il traguardo
della pace, tanto desiderata da tutti, sarà certamente raggiunto con
l'attuazione della giustizia sociale e internazionale, ma anche con la pratica
delle virtù che favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per
costruirne uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un mondo migliore.
Against imperialisms - the Magisterium of
the encyclical The social concern of the
Church - Sollicitudo rei socialis - released December 30, 1987 under the
authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul II
In Italy these days we
have returned to talking about imperialism. In a few days the president of the
People's Republic of China and general secretary of the Chinese Communist Party
Xi Jinping will be in Italy to conclude an international agreement with Italy
to guide the action of the two states to favor the realization of a safe and
fast communication system between China and Europe named by the Chinese BRI Belt and road initiatives. The agreement establishes
a political framework for future detailed agreements, which in particular will
focus on the construction of important structural works or the expansion of
existing structures, for example in the field of transport, ports, railway
stations, goods storage and sorting centers.
Currently the
People's Republic of China is the most powerful and populous communist state
that has ever existed with about one and a half billion inhabitants and an
economy that now produces most of the goods commonly used in the West. Its
political ideology is a socialism according to a variant of Marxism-Leninism.
At the origin of Marxism was the force of widespread social criticism, that
today is no longer admitted into the interior and is no longer exercised, for
tactical reasons, to maintain good commercial relations with the capitalist
states, to the outside. Its form of government is centered on the Chinese
Communist Party. His political system is however a form of democracy, because
there is a real possibility of a political influence of citizens, but very
different from the liberal democratic systems of the capitalist West. Politics
is in fact allowed only in the Communist Party or in the other admitted parties
that recognize its hegemony and therefore the political opposition is not
admitted as in the Western states, and the free formation of other parties.
The Chinese flag sums up
that ideology well. Red indicates that it is a state born of a social and
political revolution. The big yellow star on the left is the symbol of the Chinese
Communist Party. The four nearby stars that make it a crown represent the
peoples of China. Overall the flag represents people engaged in a
social revolution under the leadership of the Chinese Communist Party. Since
the 1980s, the People's Republic of China has promoted the development of a
capitalist economy, in particular by creating large industrial and commercial
centers in some parts of its immense territory, but this is only allowed within
the framework of rigid public planning controlled by the Communist Party. Any
other aspect of social life, including religious ones, is allowed only within
the framework of that planning. Born as a movement from below, today the
Chinese revolution appears to be dominated from above, by a party oligarchy,
for which it appears that the political career can be done only by cooptation,
that is to say by choice from above, of superior organs that assign to a
candidate a place between them or at least higher up in the social hierarchy.
There are, for example, political elections on the model of European ones,
which can hold many surprises. The People's Republic of China appears to be a
more orderly state than Western ones, but public pressure is felt more than in
the West. Information is strictly controlled by the Communist Party. There are
no known social investigations conducted with Western criteria that can render
a reliable idea of the social motions that run through that great state and
the conditions of the populations and, in particular, of the workers. In April
1989, social movements for the reform of the communist regime were manifested
in the People's Republic of China and were repressed bloody. From then on,
periodically news on the repression against individual dissenting personalities
or social groups, like religious ones, is filtered.
Since the 1990s, a
massive Chinese migration phenomenon has developed into the West. This could
probably lead to the assimilation of some political elements of liberal Western
democratic states that could flow back to China. But there was also a migration
in the opposite direction and can not be ruled out an assimilation by
Westerners of Chinese political customs, which allow the orderly government of
a very populous and complex society, with good results in terms of economic
efficiency.
The
construction of a capitalist system in the People's Republic of China was
started following agreements, of the kind that Italy is about to establish with
that state, concluded with the United States of America in the 1970s, under the
presidency of Richard Nixon. Western companies began to transfer parts of their
production to China, taking advantage of the lowest labor costs. The Chinese
authorities demanded that these initiatives be conducted with the collaboration
of Chinese entrepreneurs, who then began to do it themselves. Now the People's
Republic of China is in second place among the most industrialized countries in
the world in terms of Gross Domestic Product, which measures the wealth
produced by a nation.
The People's
Republic of China has so far not developed an imperialist policy comparable to
the one that was implemented by the Soviet Union or implemented by the United
States of America. Imperialism is when a state imposes a political line to another
state with its own political, economic or military weight. The People's
Republic of China has not developed, in particular, an ideological imperialism,
which would create problems for its commercial expansion. Today in the West we
buy Chinese products, which are the majority of those in common use, without
linking them to the communist regime that dominates in China. Nor are Chinese
immigrants considered vehicles of communist ideology, in fact their customs in
the West do not differ from ours.
The agreements
that are being concluded in Italy with the People's Republic of China cannot be
considered a manifestation of Chinese imperialism, in the sense that they have
been sought by Italy during a long history of bilateral political meetings, led
by the various governments that have succeeded for about ten years, because the
Chinese market is starting to be interesting for Italian exporters, with the
increase in the individual income of the Chinese. Certainly, however, over time
they will have important political and economic consequences. This has
irritated the United States of America, which is carrying out a trade war agains the People's Republic of China, without however the ideological connotations
that characterized the Cold War fought until 1991 against the Soviet Union. The
political strategy of the American president Donald Trump is to negotiate with
the individual states the various relevant issues, so that the United States of
America always has the better as a bigger and stronger part. With the People's
Republic of China, a larger entity than the United States of America, this
strategy does not work so well, especially if the People's Republic of China
manages to enter into agreements with other states that open up other markets.
To counter the agreement between Italy and the
People's Republic of China, the United States of America in the past weeks has
exercised a typically imperialist pressure, threatening serious consequences,
essentially on the assumption that US interests are affected by that agreement.
It was an influence carried out in harsh forms as had not happened for a long time, essentially entrusted to warnings launched by diplomatic channels, just as happens in imperialist policies. Political disputes between states
that consider themselves allies and with equal dignity take place, and they are resolved, at the
political level and at the highest level.
Following the
Jalta agreements of 1945, in the terminal stages of the Second World War, Italy
fell back into the sphere of influence of the Western powers led by the United
States of America. The latter maintain important military bases in Italy. Particularly in Naples the Sixth Fleet of the United States of America is allocated, essential for the maintenance of the US military hegemony in the Mediterranean sea.
Since 1945 the
United States of America has exercised, in a more or less intense forms,
imperialistic influences on politics and the Italian economy. No political
turnaround was possible in Italy without the US consent. The political turnaround that took place last year has yet to have that approval, as the US president has not yet met, after the Italian elections, the political leaders of the parties of the government contract, but only the President of the Council of Ministers, which is a figure of mediation between those parties, guarantor and executor of the government contract concluded between those parties.
Pope Karol Wojtyla
in the encyclical The social solicitude (of the Church) - Sollicitudo rei
socialis, from 1987, dealt with imperialism, which at the time characterized
the politics of the two blocs led by the United States of America and the
Soviet Union , hindering the recomposition of European civilization that that
Pope called for. His teaching can still be useful today to set a political
position by Italian citizens regarding that topic and the situation that is
being created.
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Ecerpts from the
encyclical The social concern of
the Church - Sollicitudo rei socialis
20. If at this point we
examine the reasons for this serious delay in the process of development, a
delay which has occurred contrary to the indications of the Encyclical Populorum
Progressio, which had raised such great hopes, our attention is especially
drawn to the political causes of today's situation.
Faced with a combination
of factors which are undoubtedly complex, we cannot hope to achieve a
comprehensive analysis here. However, we cannot ignore a striking fact about
the political picture since the Second World War, a fact which has considerable
impact on the forward movement of the development of peoples.
I am referring to the
existence of two opposing blocs, commonly known as the East and the West. The
reason for this description is not purely political but is also, as the
expression goes, geopolitical. Each of the two blocs tends to assimilate or
gather around it other countries or groups of countries, to different degrees
of adherence or participation.
The opposition is first
of all political, inasmuch as each bloc identifies itself with a system of
organizing society and exercising power which presents itself as an alternative
to the other. The political opposition, in turn, takes its origin from a deeper
Opposition which is ideological in nature.
In the West there exists
a system which is historically inspired by the principles of the liberal
capitalism which developed with industrialization during the last century. In
the East there exists a system inspired by the Marxist collectivism which
sprang from an interpretation of the condition of the proletarian classes made
in the light of a particular reading of history. Each of the two ideologies, on
the basis of two very different visions of man and of his freedom and social
role, has proposed and still promotes, on the economic level, antithetical
forms of the organization of labor and of the structures of ownership,
especially with regard to the so-called means of production.
It was inevitable that
by developing antagonistic systems and centers of power, each with its own
forms of propaganda and indoctrination, the ideological opposition should
evolve into a growing military opposition and give rise to two blocs of armed
forces, each suspicious and fearful of the other's domination.
International relations,
in turn, could not fail to feel the effects of this "logic of blocs"
and of the respective "spheres of influence." The tension between the
two blocs which began at the end of the Second World War has dominated the
whole of the subsequent forty years. Sometimes it has taken the form of
"cold war," sometimes of "wars by proxy," through the
manipulation of local conflicts, and sometimes it has kept people's minds in
suspense and anguish by the threat of an open and total war.
Although at the present
time this danger seems to have receded, yet without completely disappearing,
and even though an initial agreement has been reached on the destruction of one
type of nuclear weapon, the existence and opposition of the blocs continue to
be a real and worrying fact which still colors the world picture.
[…]
22. In the light of
these considerations, we easily arrive at a clearer picture of the last twenty
years and a better understanding of the conflicts in the northern hemisphere,
namely between East and West, as an important cause of the retardation or
stagnation of the South.
The developing
countries, instead of becoming autonomous nations concerned with their own
progress towards a just sharing in the goods and services meant for all, become
parts of a machine, cogs on a gigantic wheel. This is often true also in the
field of social communications, which, being run by centers mostly in the
northern hemisphere, do not always give due consideration to the priorities and
problems of such countries or respect their cultural make-up. They frequently
impose a distorted vision of life and of man and thus fail to respond to the
demands of true development.
Each of the two blocs
harbors in its own way a tendency towards imperialism, as it is usually called,
or towards forms of new- colonialism: an easy temptation to which they
frequently succumb, as history, including recent history, teaches.
It is this abnormal
situation, the result of a war and of an unacceptably exaggerated concern for
security, which deadens the impulse towards united cooperation by all for the
common good of the human race, to the detriment especially of peaceful peoples
who are impeded from their rightful access to the goods meant for all.
Seen in this way, the
present division of the world is a direct obstacle to the real transformation
of the conditions of underdevelopment in the developing and less advanced
countries. However, peoples do not always resign themselves to their fate. Furthermore,
the very needs of an economy stifled by military expenditure and by bureaucracy
and intrinsic inefficiency now seem to favor processes which might mitigate the
existing opposition and make it easier to begin a fruitful dialogue and genuine
collaboration for peace.
[…]
36. It is important to
note therefore that a world which is divided into blocs, sustained by rigid
ideologies, and in which instead of interdependence and solidarity different
forms of imperialism hold sway, can only be a world subject to structures of
sin. The sum total of the negative factors working against a true awareness of
the universal common good, and the need to further it, gives the impression of
creating, in persons and institutions, an obstacle which is difficult to
overcome.
If the present situation
can be attributed to difficulties of various kinds, it is not out of place to
speak of "structures of sin," which, as I stated in my Apostolic
Exhortation Reconciliatio et Paenitentia, are rooted in personal
sin, and thus always linked to the concrete acts of individuals who introduce
these structures, consolidate them and make them difficult to remove.65 And thus they grow stronger,
spread, and become the source of other sins, and so influence people's
behavior.
"Sin" and
"structures of sin" are categories which are seldom applied to the
situation of the contemporary world. However, one cannot easily gain a profound
understanding of the reality that confronts us unless we give a name to the
root of the evils which afflict us.
One can certainly speak
of "selfishness" and of "shortsightedness," of
"mistaken political calculations" and "imprudent economic
decisions." And in each of these evaluations one hears an echo of an
ethical and moral nature. Man's condition is such that a more profound analysis
of individuals' actions and omissions cannot be achieved without implying, in
one way or another, judgments or references of an ethical nature.
This evaluation is in
itself positive, especially if it is completely consistent and if it is based
on faith in God and on his law, which commands what is good and forbids evil.
In this consists the
difference between sociopolitical analysis and formal reference to
"sin" and the "structures of sin." According to this latter
viewpoint, there enter in the will of the Triune God, his plan for humanity,
his justice and his mercy. The God who is rich in mercy, the Redeemer of man,
the Lord and giver of life, requires from people clear cut attitudes which
express themselves also in actions or omissions toward one's neighbor. We have
here a reference to the "second tablet" of the Ten Commandments (cf.
Ex 20:12-17; Dt 5:16-21). Not to observe these is to offend God and hurt one's
neighbor, and to introduce into the world influences and obstacles which go far
beyond the actions and brief life span of an individual. This also involves
interference in the process of the development of peoples, the delay or
slowness of which must be judged also in this light.
37. This general
analysis, which is religious in nature, can be supplemented by a number of
particular considerations to demonstrate that among the actions and attitudes
opposed to the will of God, the good of neighbor and the "structures"
created by them, two are very typical: on the one hand, the all-consuming
desire for profit, and on the other, the thirst for power, with the intention
of imposing one's will upon others. In order to characterize better each of
these attitudes, one can add the expression: "at any price." In other
words, we are faced with the absolutizing of human attitudes with all its
possible consequences.
Since these attitudes
can exist independently of each other, they can be separated; however in
today's world both are indissolubly united, with one or the other
predominating.
Obviously, not only
individuals fall victim to this double attitude of sin; nations and blocs can
do so too. And this favors even more the introduction of the "structures
of sin" of which I have spoken. If certain forms of modern
"imperialism" were considered in the light of these moral criteria,
we would see that hidden behind certain decisions, apparently inspired only by
economics or politics, are real forms of idolatry: of money, ideology, class,
technology.
I have wished to
introduce this type of analysis above all in order to point out the true nature
of the evil which faces us with respect to the development of peoples: it is a
question of a moral evil, the fruit of many sins which lead to "structures
of sin." To diagnose the evil in this way is to identify precisely, on the
level of human conduct, the path to be followed in order to overcome it.
[…]
39. [...]Surmounting every type
of imperialism and determination to preserve their own hegemony, the stronger
and richer nations must have a sense of moral responsibility for the other
nations, so that a real international system may be established which will rest
on the foundation of the equality of all peoples and on the necessary respect
for their legitimate differences. The economically weaker countries, or those
still at subsistence level, must be enabled, with the assistance of other
peoples and of the international community, to make a contribution of their own
to the common good with their treasures of humanity and culture, which
otherwise would be lost for ever.
Solidarity helps us to
see the "other"-whether a person, people or nation-not just as some
kind of instrument, with a work capacity and physical strength to be exploited
at low cost and then discarded when no longer useful, but as our
"neighbor," a "helper" (cf. Gen 2:18-20), to be made a
sharer, on a par with ourselves, in the banquet of life to which all are equally
invited by God. Hence the importance of reawakening the religious awareness of
individuals and peoples. Thus the exploitation, oppression and annihilation of
others are excluded. These facts, in the present division of the world into
opposing blocs, combine to produce the danger of war and an excessive
preoccupation with personal security, often to the detriment of the autonomy,
freedom of decision, and even the territorial integrity of the weaker nations
situated within the so-called "areas of influence" or "safety
belts."
The "structures of
sin" and the sins which they produce are likewise radically opposed to
peace and development, for development, in the familiar expression Pope Paul's
Encyclical, is "the new name for peace."
In this way, the
solidarity which we propose is the path to peace and at the same time to
development. For world peace is inconceivable unless the world's leaders come
to recognize that interdependence in itself demands the abandonment of the
politics of blocs, the sacrifice of all forms of economic, military or
political imperialism, and the transformation of mutual distrust into
collaboration. This is precisely the act proper to solidarity among individuals
and nations.
The motto of the
pontificate of my esteemed predecessor Pius XII was Opus iustitiae pax, peace
as the fruit of justice. Today one could say, with the same exactness and the
same power of biblical inspiration (cf. Is 32:17; Jas 3:18): Opus solidaritatis
pax, peace as the fruit of solidarity.
The goal of peace, so
desired by everyone, will certainly be achieved through the putting into effect
of social and international justice, but also through the practice of the
virtues which favor togetherness, and which teach us to live in unity, so as to
build in unity, by giving and receiving, a new society and a better world.
Mario Ardigò - Catholic
Action in the Catholic parish of San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli
district