Uno sguardo sulla
situazione europea e italiana
Estratto dalla relazione
introduttiva di Mariarosaria Guglielmi al Congresso dell’associazione di
magistrati italiani Magistratura Democratica, dal titolo “Il giudice
nell’Europa dei populismi”.
La relazione integrale può essere
letta e scaricata dal WEB a questo indirizzo:
http://www.magistraturademocratica.it/congresso/2019/relazione-guglielmi
Note: after the Italian text there is the translation in English, done with the help of Google Translator. I tried to correct, within the limits of my knowledge of English, some inaccuracies that automatic translation still inevitably entails. I have experimented that even with these inaccuracies the translation allows us to be understood by those who speak English, in the many national versions of the world, or who use it as a second or third language. It is the function that in ancient times carried out the Greek. Trying to be understood by other peoples corresponds to an ancient vocation of the Church of Rome, which is still current.
A cura di Mario Ardigò - Azione Cattolica nella parrocchia di San Clemente papa - Roma, quartiere Monte Sacro - Valli
Curated by Mario Ardigò - Catholic Action in the parish of San Clemente pope - Rome, Monte Sacro - Valleys district
1. In pochi
mesi il volto del nostro Paese è cambiato. E sembra essersi interrotto il
percorso che ha condotto sin qui la nostra democrazia. Un percorso fatto di
pagine buie e di momenti drammatici, di cui ancora conserviamo vive le ferite e
il doloroso ricordo. Un percorso che ha attraversato difficili stagioni in cui
la tenuta delle nostre istituzioni è stata minacciata dalla violenza eversiva
del terrorismo e della criminalità organizzata, da fenomeni diffusi di
illegalità pubblica, da conflitti di interesse portati ai vertici dello Stato e
da tentativi di stravolgimento dell’assetto repubblicano.
Ma è stato – sin qui e sino ad oggi – il percorso di una
democrazia, la nostra democrazia. È stato lo svolgersi della sua storia che non si è mai
discostato dalla traccia segnata, sin dalla sua nascita, da ciò che l’ha resa
possibile: il nuovo patto fondativo rappresentato dalla Costituzione sorta
dalla Resistenza e dalla sconfitta del fascismo, che ci ha consegnato un nuovo
progetto di società basato su una promessa di eguaglianza e di solidarietà e
sul riconoscimento della pari dignità di tutti gli individui.
Nella cornice di valori disegnata dalla Costituzione la nostra
democrazia ha attraversato le sue alterne e difficili stagioni senza mai
tradire se stessa. In questo “recinto” si è strutturata la nostra comunità,
confrontandosi con i suoi conflitti, le sue inquietudini e le sue
contraddizioni ed è cresciuto il nostro senso di appartenenza ad una collettività, alla sua storia
e alla sua identità.
[…]
In un’epoca di grandi incertezze create dalla crisi della
diseguaglianza globale, dalle
sue dimensioni e dalla radicalità che ne ha caratterizzato l’evoluzione,
l’esito di quel voto, non così lontano, ci restituiva la certezza di una
Costituzione forte, il nostro patrimonio comune di valori, come le leggi nelle
lettere persiane di Montesquieu da toccare
solo con mano tremante.
La scommessa vinta dalla Costituzione repubblicana apriva uno
scenario diverso, di possibile cambiamento, offrendo nuove opportunità alla
politica e ad una sinistra in cerca di identità: voltare pagina rispetto ad una
lunga stagione di pensiero
debole, di resa alla legge dei mercati e di arretramento nella
tutela dello Stato sociale e nei diritti dei lavoratori; invertire la rotta
rispetto ad un percorso di dismissione del suo patrimonio di valori e del suo
passato, e ai tentativi di prendere pericolose scorciatoie sulla scia del
populismo dilagante che si sarebbe rivelato da lì a poco il suo peggior nemico;
riappropriarsi del punto di vista dei vecchi e dei nuovi perdenti e ritrovare
una progettualità intorno ai principi di solidarietà, rimettendo al centro di
un processo di ricostruzione sociale e democratica il diritto al lavoro e le
sue tutele; tornare a fare della tensione verso la piena attuazione del
principio di eguaglianza l’unificatore politico e culturale di ogni azione,
elaborazione e strategia; rifondare su queste basi un progetto di cambiamento
all’altezza delle sfide poste da una crisi economica diventata crisi sociale,
crisi della democrazia rappresentativa, dei suoi meccanismi e delle sue regole
che non hanno saputo veicolare verso l’alto le istanze di equità sociale né
porre limiti alla legge dei mercati e della finanza e sono perciò apparse
regole vuote, finite sotto accusa come inutili formalismi e strumenti
funzionali solo alla conservazione della “casta”.
[…]
La politica ha perso queste opportunità. […] Si sono imposti, come
ha scritto Ezio Mauro, due radicalismi simmetrici: il radicalismo del nuovo
sovranismo che ha intercettato il risentimentoe gli ha offerto un bersaglio e un nemico,
rappresentato dallo straniero che minaccia
la nostra sicurezza, usurpa i nostri diritti e contamina la nostra identità;
il radicalismo egualitario e camaleontico dell’antipolitica che, senza il
vincolo di ideologie, senza il peso di un passato e di una sua storia di
riferimento, ha assecondato il ribellismo e gli umori del momento, ha sancito
la sconfitta della sinistra conquistando il suo popolo e oggi, con il suo
inesauribile trasformismo, può scendere a compromessi persino sulla pelle dei
migranti abbandonati al loro destino in mare.
[…] Abbiamo colto il grande rifiuto
verso la politica, intesa come
strumento e luogo di elaborazione di un progetto collettivo di cambiamento, e
del pensiero politico come veicolo di nuove visioni e di aspirazioni comuni:
non una richiesta di una discontinuità con il passato, di un cambio di passo,
ma la rimozione di
tutto quello che sino ad oggi è stato.
Ogni cambiamento radicale ha bisogno di interrompere la storia, di
segnare con un “atto I” la
separazione fra il prima e
il dopo, di
esprimere e di alimentare una nuova emotività.
Quella istintuale, che
il radicalismo vincente ha intercettato, raccoglie ma non è in grado di
elaborare le istanze di maggiore equità e farne la base di un’azione
collettiva; crea i luoghi dove si libera la parola ma non si dialoga; cerca
nuove agorà dove non si organizza un pensiero critico ma si fomentano il
ribellismo e le sue parole d’ordine.
[…]
È un nuovo sentire che accomuna le
periferie delle nostre città, interi e vasti strati sociali ma non unisce, non
genera solidarietà, e si nutre anzi della contrapposizione alle élites e al sistema, come dei conflitti
sociali generati dalla perdita dei diritti e delle tutele.
Stiamo smarrendo il senso di appartenenza ad una comunità, con i suoi valori
unificanti dell’eguaglianza emancipatrice e della pari dignità, base della
coesione sociale.
Non ci sentiamo più parte di un insieme né di un progetto
collettivo: l’aspirazione ad una società di eguali e al bene comune ha lasciato il posto alle
rivendicazioni dei singoli –
non più cittadini associati ma individui – ad escludere gli altri. Rotto ogni
patto di solidarietà, i nuovi perdenti devono essere e sentirsi nemici di altri
perdenti, soggetti deboli e senza diritti, siano essi i migranti, i poveri e
gli emarginati.
2. Il
radicalismo vincente, che ha intercettato questo nuovo sentire, persegue ed esso stesso è
già espressione di un progetto di mutazione genetica che vuole disfarsi dei
vecchi arnesi della democrazia rappresentativa e sostituirli con le illusioni
della democrazia diretta e del “governo del popolo”.
Stanno emergendo i tratti con i quali Gustavo Zagrebelsky ha
descritto la fisionomia della democrazia acritica: al popolo non si riconosce il potere, supremo ma non
illimitato, di orientare il governo della cosa pubblica ma l’apparenza di una sovranità
infallibile; armata dell’idea che questa sia il suo massimo attributo
democratico, la democrazia acritica non discute sui limiti e sulle imperfezioni
del popolo, non lo sottrae alla passività e alla reattività per farne una forza
attiva capace di progetti elaborati non da altri che da se stessi, ma lo
trasforma nel popolo passivo dei sondaggi. Un popolo che è unitario quando è
eccitato da suggestioni e parole d’ordine collettive, ma che ha un’anima sola,
risultato di tante solitudini individuali. Un popolo non soggetto di politica
ma strumento di chi si propone come unico interprete della sua volontà.
Si è aperta la strada per uno stravolgimento nei fatti del nostro
patto repubblicano attraverso nuove incontrollabili forme di personalizzazione
della leadership e
di investitura dell’uomo solo
al comando, che si propone come vendicatore delle donne e
degli uomini dimenticati, unico legittimato a rappresentarne la volontà.
La crisi sociale si salda alla crisi della democrazia
rappresentativa. Stiamo perdendo ogni consapevolezza del ruolo delle nostre
istituzioni, delle regole e dei meccanismi che nell’assetto costituzionale
esprimono la complessità, la dialettica e le dinamiche della democrazia. Stiamo
dimenticando, cito ancora Zagrebelsky, che la moltiplicazione delle istituzioni, la loro differenziazione
funzionale, la garanzia della loro durata e il loro bilanciamento sono un’esigenza della democrazia critica,
anche dal punto di vista del mantenimento della sua condizione psicologica: la
perenne tensione al meglio e l’insoddisfazione per l’esistente, che
trasformano in virtù i limiti della democrazia, la sua imperfezione e la sua
incompiutezza.
Abbiamo scoperto in pochi mesi una nuova, diffusa e radicata
emotività, e tutte le contraddittorie istanze espresse nel consenso al radicalismo che ha
intercettato la domanda di cambiamento. E negli stessi mesi abbiamo acquisito
consapevolezza del percorso irreversibile che stiamo imboccando verso un
mutamento non solo delle forme e degli equilibri dell’assetto costituzionale
della nostra convivenza ma di ciò che ne rappresenta la sostanza.
Si preannunciava una nuova difficile stagione, una prova di resilienza per la nostra
democrazia. Oggi emergono i tratti, sempre più netti e riconoscibili, di quello
che Luigi Ferrajoli ha definito un chiaro e consapevole disegno di alterazione
del suo paradigma costituzionale, che
si salda al più ampio progetto eversivo di colpire l’Europa unita e i suoi
valori fondanti; assistiamo alla disgregazione delle vecchie forme di soggettività politica
collettiva, basate sull’eguaglianza
nei diritti e sulla solidarietà tra eguali e alla loro
sostituzione con soggettività
politiche di tipo identitario, che trovano oggi la loro più forte e
simbolica espressione nella contrapposizione fra il “cittadino” e lo
“straniero”, gli “italiani” e gli “immigrati”.
La costruzione di nuove soggettività di tipo identitario è parte
rilevante della strategia del populismo e dei neonazionalismi, che, alimentando
strumentalmente la percezione dell’invasione da
parte degli stranieri, ha innescato anche nel nostro Paese una deriva xenofoba
e razzista, e sta rimettendo in discussione i principi e i valori fondanti
della democrazia europea.
Con la chiusura dei nostri porti e
la messa al bando delle ONG si è consumata una violazione senza precedenti
degli obblighi giuridici e morali di soccorso e di accoglienza, che derivano
dal diritto interno ed internazionale.
[…]
Sulla sorte dei migranti abbiamo
ingaggiato una sfida con l’Europa “per
la solidarietà” che rappresenta un’inversione morale di questo
principio e abbiamo simbolicamente impresso una forte accelerazione al progetto
di chiudere il nostro Paese nelle frontiere emotive del rifiuto e della paura.
Abbiamo in
pochi mesi e con pochi gesti annientato intere esperienze di integrazione e di
inclusione. Abbiamo così distrutto intere comunità cresciute intorno al valore
dell’accoglienza e alle opportunità che la pacifica convivenza offre a tutta la
collettività. Abbiamo privato “persone” di diritti, non per quello che fanno ma
perché diverso dal nostro è il Paese dove sono nate e dal quale sono state
costrette a fuggire.
Siamo di fronte, ha scritto Luciano
Manicardi, a un uso politico strumentale di due distinte emozioni: la paura
certo, ma anche la vergogna. Il rifiuto, l’espulsione trasmettono al migrante
come a tutti i marginali il senso del “non diritto all’esistenza”, e del
carattere “vergognoso” della loro presenza. Ma oggi – come dice Manicardi –
siamo noi a doverci vergognare.
3. «Oggi vorrei parlarvi della tragedia
dell’Europa. Questo nobile continente che comprende nel suo insieme le regioni
più eque e colte della terra. E in che condizione l’Europa è stata
ridotta? … . Tra i vincitori c’è una babele di voci, tra i vinti il cupo
silenzio della disperazione… Eppure esiste ancora un rimedio che, se venisse
generalmente e spontaneamente adottato dalla grande maggioranza dei popoli in
molti Paesi, trasformerebbe per miracolo l’intera scena… qual è questo rimedio
sovrano? Consiste nella ricostruzione della Famiglia europea, o di tutto ciò
che di essa ci è possibile ricostruire, e nel dotarla di una struttura nella
quale possa dimorare in pace, sicurezza e libertà. Dobbiamo costruire una sorta
di Stati Uniti d’Europa».
A distanza di 73 anni queste parole tratte dal discorso tenuto da
Winston Churchill all’Università di Zurigo il 19 settembre 1946, conservano la
loro attualità.
L’Europa unita è, per noi contemporanei e per le generazioni
future, una necessità.
Di fronte al ritorno dei nazionalismi e dei loro simboli non è un
esercizio retorico ricordare che questa nostra comunità di destino è nata dalla sconfitta dei
totalitarismi e che in ogni momento i veleni del nazionalismo possono riportare
sanguinosi conflitti anche nel cuore dell’Europa. I demoni, ammoniva J.C. Juncker
qualche tempo fa, come
ha dimostrato il sanguinoso conflitto nei Balcani, non se ne sono andati,
stanno solo dormendo. Oggi noi siamo testimoni del loro risveglio.
Ma l’Unione Europea non è solo una necessità. Come nel progetto
visionario di chi l’ha concepita, rappresenta l’unica dimensione dove possono
pienamente realizzarsi le condizioni per la fioritura e la perennità di una
democrazia durevole (Alain Caillé), e per preservare
quell’universalismo dei diritti fondamentali, politici e civili, di libertà e
sociali proclamato nella sua Carta dei diritti.
Su tutti noi oggi grava una responsabilità storica.
Ereditiamo un’Europa indebolita dagli effetti della crisi
economica e sociale, dall’esplosione delle diseguaglianze, dalla disaffezione e
dal senso di distanza dalle sue istituzioni che non hanno saputo raccogliere le
istanze di maggiore equità sociale dei singoli e di solidarietà di interi Paesi
provati duramente dalla crisi economica. Abbiamo assistito in questi anni,
senza consapevolezza delle loro implicazioni, a scelte di rottura con la sua
identità di comunità fondata sulla solidarietà e sulla pari dignità delle
persone.
Abbiamo tollerato i gesti che hanno dato concretezza a queste
scelte (i respingimenti dei migranti ai confini, in Ungheria come in Francia) e
l’ostentazione delle loro azioni simboliche (i muri, i fili spinati, le marce
religiose per presidiare i confini e per esorcizzare l’ingresso degli infedeli).
Abbiamo riscoperto l’importanza dei confini europei e, con la fine
della coraggiosa operazione Mare
Nostrum, abbiamo accettato di arretrare “fisicamente ed eticamente” su
questa linea di confine (nota Asgi).. Oggi ci sfidiamo, da
“nazioni sovrane”, sul dovere condiviso della “solidarietà” chiudendo i porti
alle ultime navi impegnate nel soccorso umanitario – quelle dei volontari –
presenti nel Mediterraneo.
[…]
Abbiamo voltato le spalle al Mediterraneo accettando
l’assuefazione di fronte alla quotidiana evidenza di una strage infinita,
“affidando” la sorte dei migranti alla casualità delle operazioni di cosiddetto
salvataggio della Guardia costiera libica, di fatto rinviandoli ai centri di
detenzione e abbandonandoli ad un contesto disumano e degradante, ripetutamente
e inutilmente denunciato da tutte le organizzazioni internazionali.
Con l’inerzia, l’indifferenza e l’incapacità di superare i veti
incrociati e gli egoismi nazionali l’Europa ha tradito l’impegno assunto nella
sua Carta dei diritti fondamentali di garantirne il godimento nei confronti dell’intera comunità umana e
delle generazioni future.
4. Il futuro
di un’Europa fondata sui diritti e sui valori universali e indivisibili di
solidarietà, eguaglianza e pari dignità delle persone, deve oggi confrontarsi
con un progetto di disgregazione, che è l’altra faccia di un contagioso processo
di regressione democratica e di affermazione delle democrazie “illiberali” in
Paesi membri dell’Unione.
[…]
Si alterano
le forme della democrazia e si svuota di contenuti la sua “dimensione
sostanziale” con scelte regressive per i diritti civili e sociali, per la
libertà di espressione e per quella accademica, per i diritti dei migranti, dei
richiedenti asilo e dei rifugiati, per la libertà di riunione e di associazione
e per i diritti delle persone appartenenti alle minoranze.
[…]
«Io credo che dovremmo essere
“ambiziosi” quando parliamo di “Stato di diritto” e di diritti fondamentali, almeno quanto l’Europa è “ambiziosa” nel
mettere in opera nuovi meccanismi di assistenza finanziaria, e regole per l’unione monetaria e bancaria. Perché banche e bilanci sono certamente molto
importanti per la nostra economia…. ma l’Europa non è solo banche e bilanci. È
molto di più. E deve essere molto di più, se vogliamo conquistare non solo le
“tasche” ma anche il cuore e la mente dei cittadini europei. Ecco perché è così importante creare un nuovo
meccanismo per tutelare lo Stato di diritto».
Con queste parole Viviane Reding presentava il nuovo quadro per la
tutela dello Stato di diritto adottato nel marzo 2014. È stata la risposta
della Commissione europea ai segnali di allarme rappresentati dal ripetersi di situazioni di
violazioni sistemiche dei valori fondanti dell’Unione: le
espulsioni delle popolazioni Rom in Francia nell’estate del 2010; le riforme
adottate in Ungheria a partire dal 2011 con gravi ricadute sull’indipendenza
del sistema giudiziario, sulla Corte costituzionale e sui diritti fondamentali
delle persone; la crisi determinata in Romania nell’estate del 2012
dall’adozione di una serie di misure urgenti da parte del Governo, che
alteravano gli equilibri costituzionali e riducevano le competenze della Corte
costituzionale.
È stato un passo importante per riaffermare che, nella visione
europea, lo Stato di diritto, in quanto posto a
fondamento dell’Unione e della sua azione esterna, non è espressione della
sovranità statale, protetta dalla insindacabilità delle scelte relative
all’assetto costituzionale e all’equilibrio fra i poteri negli Stati membri, ma
è espressione dell’insieme dei valori e dei principi costituzionali e giuridici
comuni che l’Unione deve assumere a parametri di valutazione della continuità
dell’azione anche degli Stati membri con i criteri di Copenaghen.
[…]
A fronte del dilagante processo di regressione dello Stato di diritto,
l’Europa deve procedere con determinazione nella direzione più volte indicata
dal Parlamento europeo, adottando un sistema di monitoraggio costante per tutti
gli Stati membri, che prescinda dall’esistenza di situazioni di grave e persistente violazione
dei valori di cui all’articolo 2 del Trattato, e realizzi invece le condizioni
per una permanente e reciproca sorveglianza
democratica in difesa di tutti i principi fondativi del
sistema costituzionale europeo: un processo regolare, sistematico e obiettivo
di monitoraggio e di dialogo, al quale partecipino tutti gli Stati membri, con
il coinvolgimento delle istituzioni europee , per salvaguardare i valori
fondanti dell'Unione e tutti i principi dello Stato di diritto.
Si tratta di una prospettiva essenziale per il futuro dell’Unione
come comunità fondata sulla ”forza non di un esercito o di una polizia comune”,
ma dei principi dello Stato di diritto (sentenza
Les Vertes CGUE C- 294/83 del 1986), chenon si risolve nel rispetto della legalità
formale ma afferma il primato dei diritti fondamentali, garantito solo da sistemi
giudiziari indipendenti.
Si tratta di passi
importanti nella costruzione di un ruolo centrale delle istituzioni europee
nella promozione e nella tutela dello Stato di diritto, verso un’identità
europea fondata sui valori declamati dai Trattati, che può aprire per la
politica dell’Unione prospettive più ampie ed ambiziose rispetto all’ effettiva
realizzazione dello spazio comune di libertà, giustizia e sicurezza.
A pochi mesi da elezioni decisive per il futuro della democrazia
europea, è questo il momento per riaffermare, senza incertezze, la nostra
aspirazione ad una piena integrazione politica e sociale dell’Unione, ad
un’Europa capace di dare un’anima alle
sue politiche monetarie anteponendo alle esigenze del mercato scelte di valore
in nome della coesione e solidarietà, dotata delle forza politica necessaria
per affrontare le grandi sfide che la storia le pone davanti ed essere
protagonista sulla scena mondiale nella difesa degli ideali dell’uomo che sono i suoi ideali
(Caillé).
La democrazia europea avrà un futuro se sarà in grado di ritrovare
il suo demos. E solo
seguendo la trama dei diritti, come ha scritto Stefano Rodotà, potremo davvero
scoprire un’altra Europa, assai diversa dalla prepotente Europa economica e
dall’evanescente Europa politica. Questa è la via obbligata che ci indica la
Carta dei diritti fondamentali per una rifondazione in senso democratico
dell’Unione. E in questa direzione la giurisdizione, nazionale ed europea,
dovrà continuare a svolgere il ruolo fondamentale che ha assunto in questi anni
nella costruzione dell’ordinamento giuridico dell’Unione, fondato sulla
centralità della persona e dei suoi bisogni.
5. In un
contesto di crescente complessità della domanda di giustizia, nel vuoto di
tutela per i diritti e nell’assenza di regole di presidio alla legalità, si
rinnovano per la giurisdizione, e in forme sempre diverse, grandi sfide e
terribili responsabilità.
L’esplosione delle nuove diseguaglianze, che anche le cifre e
l’analisi dell’ultimo rapporto Oxfam descrivono in maniera spietata,
confermando la loro crescente estensione e una concentrazione delle ricchezze a
livello mondiale eticamente inaccettabile, ha disarticolato il nostro quadro
culturale di riferimento.
Nell’epoca delle nuove
diseguaglianze, i perdenti e
i soggetti deboli sono disseminati in luoghi inattesi e la tutela dei diritti
richiede anzitutto la comprensione piena del fenomeno rispetto a nuove forme di
esclusione sociale, prodotte dalla mancanza di accesso alla conoscenza e
all’informazione, ai servizi fondamentali come la tutela della salute e
l’istruzione, e in ambiti già esplorati,
come quello del lavoro, sia dipendente che autonomo.
Quanto la realtà del mondo del lavoro si sia sempre più
allontanata dal modello disegnato dalla nostra Costituzione è sotto gli occhi
di tutti. Da strumento di emancipazione, e
principale condizione di accesso ad un’ esistenza libera e dignitosa a fattore di produzione di
nuove diseguaglianze: con il lavoro atipico e il lavoro precario si sono
moltiplicate le disparità retributive; pesanti sono gli effetti di esclusione
della diseguaglianza di genere e
della frammentazione del lavoro, attraverso la creazione di nuove e sempre più
diffuse forme contrattuali, dalla galassia del parasubordinato al contratto di
somministrazione di mano d’opera, e un’ulteriore effetto di discriminazione è
prodotto dalla concentrazione
del lavoro atipico sulle nuove generazioni. Questa realtà non
è l’inevitabile risultato delle trasformazioni tecnologiche o della
competitività giocata sul mercato globale ma, come ha scritto Roberto Riverso,
il frutto di una costruzione sociale in cui il ruolo decisivo appare svolto
dallo Stato e il prodotto di una politica, una cultura, di leggi approvate
negli ultimi venti anni che hanno scardinato il sistema di tutele costruito intorno al
lavoro come priorità del
sistema democratico: la definizione del contratto a tempo indeterminato come
regola generale del rapporto di lavoro; l’inderogabilità delle tutele accordate
in sede legislativa; l’affermazione della proporzionalità tra inadempimento del
lavoratore e reazione del datore e conseguente controllabilità del modo in cui
il datore di lavoro esercita questo potere; l’esistenza di un giudice ad hoc che, pur arbitro
imparziale tra le parti, è capace di comprendere la diversa capacità di
resistenza economica, e dunque processuale, tra le parti, così da svolgere un
concreto ruolo promozionale delle garanzie individuali e di assicurare
effettiva certezza ai diritti, non solo economici, dei lavoratori. E in questo
scenario economico e sociale, di riduzione del ruolo di garanzia del giudice
del lavoro, al quale si chiede di abbandonare un controllo sostanziale interno,
per porne in essere uno meramente formale ed esterno, e di non intromettersi in scelte
dettate dalla situazione economica contingente, posta a giustificazione di
scelte imprenditoriali che incidono pesantemente sulle tutele, non solo
economiche, dei lavoratori, è mancata una politica alternativa di difesa dei diritti e per una
riforma del welfare.
Sono mancati gli strumenti e le misure d’intervento in grado –
come ha detto Paolo Guerrieri – di migliorare
l’uguaglianza delle opportunità oltre che colmare le
disuguaglianze nelle condizioni di partenza, realizzando allo stesso tempo una combinazione virtuosa tra una
efficace effettiva redistribuzione e un adeguato dinamismo dei mercati.
La centralità del lavoro, con il suo valore in termini di
emancipazione della persona e costruzione di rapporti sociali
solidi, rischia di essere messa in ombra dalle misure di contrasto della
povertà. Il reddito di cittadinanza, se da un lato appare importante in chiave
di contrasto a diseguaglianze ormai inaccettabili, dall’altro comporta il
rischio di incanalare in prospettive di assistenzialismo le battaglie per il
lavoro e per una società meno povera. Potrebbero così rimanere sul tappeto i
veri problemi: creazione di lavoro vero e non povero; riforma dei centri per
l’impiego; piano di investimenti strategico per ridare linfa al lavoro;
universalismo dei diritti dei lavoratori.
Nella riflessione svolta al congresso di Bologna sul tema delle
diseguaglianze abbiamo ritrovato le ragioni del nostro impegno per una
giurisdizione all’altezza del difficile compito che oggi richiedono
l’attuazione dell’eguaglianza nelle sue nuove declinazioni e la sua
realizzazione nella dimensione “costituzionale” piena, con la rimozione di ciò
che di fatto la ostacola.
Sfide nuove, dunque, e terribili responsabilità per la
giurisdizione che oggi deve confrontarsi con un contesto che sta rapidamente
evolvendo, in ambito europeo e nazionale, verso un nuovo assetto normativo e
culturale fortemente regressivo per i diritti e per le garanzie e verso una
manomissione dei principi dello Stato di diritto che priva la giurisdizione del
suo ruolo di garanzia e di terzietà.
[…]
In questi mesi [in Italia] abbiamo assistito all’umiliazione
del Parlamento e a crescenti manifestazioni di insofferenza verso le
istituzioni e le regole della democrazia. […] Attraverso la riduzione degli ambiti di intervento della
giurisdizione, si rimettono in discussione il fondamento egualitario e
solidaristico del nostro Stato costituzionale e i principi che ne costituiscono
l’essenza: l’universalismo dei diritti fondamentali, la centralità della
persona e della pari dignità, la libertà di autodeterminazione, la laicità
dello Stato.
Espropriando la giurisdizione del suo ruolo di garanzia e di
terzietà, si altera in maniera permanente il rapporto fra autorità e libertà e
il quadro di valori che dà legittimazione al sistema penale, ponendo limiti all’arbitrio
del potere punitivo.
[…]
L’immigrazione è
rappresentata e deve essere vissuta come una questione di ordine pubblico; lo
straniero, clandestino o
integrato, è comunque il diverso,
responsabile della nostra insicurezza e dell’usurpazione di diritti e di
opportunità a danno dei “cittadini”.
[…]
Si intravede un progetto alternativo di
società: un nuovo ordine fondato sul superamento
teorizzato, dichiarato e rivendicato, del carattere universale dei diritti
fondamentali, del principio di eguaglianza fra gli individui e della
solidarietà quale valore che appartiene alla nostra storia e alla nostra
comunità.
[…]
Dobbiamo ricordare
che, come ha scritto Paolo Rumiz, profughi si diventa e profughi tutti noi
possiamo diventare in un solo attimo. Basta una guerra.
[…]
Si
moltiplicano i segnali di un nuovo oscurantismo, di una utopia regressiva che
investe interi sistemi di diritti, come il diritto di famiglia, e vuole passi
indietro su conquiste fondamentali che riguardano i diritti del vivere e la
libertà di agire di ciascuno di noi davanti alle decisioni della vita.
6. Le continue torsioni e
deformazioni subite dal diritto penale in questi anni, sotto la spinta delle
pulsioni ed emergenze del momento, hanno prodotto una dilatazione irrazionale
dello strumento repressivo e l’abbandono del modello garantista rappresentato
dal diritto penale minimo: si moltiplicano le leggi d’eccezione e di occasione come le definiva
Francesco Carrara; si ricorre all’uso demagogico della norma penale che
alimenta l’illusione repressiva aumentando la paura e, criminalizzando le
persone in luogo delle condotte, individua il nemico contro cui dirigerla.
[…]
Torniamo ad una
visione arcaica e primitiva della pena: è l’afflizione che merita chi ha sbagliato, e che per questo
deve tornare a pagare; ed
è l’afflizione massima, che non ammette la prospettiva di recupero né di
reinserimento. La certezza
della pena diventa certezza del carcere.
[…]
Si abbandona ogni
prospettiva di una giustizia riparativa, di strumenti di riconciliazione, di
forme ripristinatorie o riparatorie perché contrarie alle esigenze di tutela della
collettività. La risposta al reato è e può essere solo una ritorsione, e una
sanzione che ne riproduce in senso analogico la
negatività, il suo
essere male (Luciano
Eusebi).
[…]
Il
percorso intrapreso non solo porta al definitivo abbandono della prospettiva di
un sistema penitenziario e di esecuzione penale pienamente conforme al dettato
della Costituzione ma ci allontana dall’idea di pena che è patrimonio della
nostra cultura giuridica, coerente con i principi di necessità, personalità,
finalismo rieducativo: principi che fanno parte del suo contenuto ontologico,
come ci ha ricordato la Corte costituzionale, che devono evitare «il rischio di
strumentalizzare l’individuo per fini generali di politica criminale» o di
«privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilità e sicurezza
(difesa sociale), sacrificando il singolo attraverso l’esemplarità della
sanzione»; qualità essenziali per la «legittimazione e funzione» della pena,
che «l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a
quando in concreto si estingue».
[…]
Il processo penale si allontana dal suo paradigma garantista:
quello per cui, come ha scritto Cordero, “la caccia vale più della preda”. Se i
termini si invertono, la caccia non ha bisogno di regole e anzi delle regole
che la ostacolano deve liberarsi.
E la preda catturata
deve essere esibita: la messa in scena organizzata dalla propaganda di stato
per “celebrare” la fine della latitanza di Cesare Battisti ha trasformato la
vittoria dello Stato di diritto e la chiusura di una vicenda dolorosa della
nostra storia in una pagina umiliante, che – come denunciato dall’Unione delle
Camere penali – rappresenta nel modo più plastico e drammatico un’idea arcaica
di giustizia ed un concetto primitivo della dignità umana, estranei alla
cultura del nostro Paese.
Un’idea arcaica di giustizia come
vendetta privata ispira la nuova disciplina della legittima difesa. Messa al
primo punto degli interventi nell’area penale previsti dal contratto di
governo, questa riforma – come ha scritto Gaetano Insolera – persegue in modo evidente la costruzione di una emergenza e di una retorica
disancorate da razionali considerazioni volte a contemperare la molteplicità
delle situazioni fattuali e la ponderazione degli interessi in gioco con la
rigidità di un dato normativo”.
È una retorica che corrisponde invece ad opzioni viscerali, estreme, più simili alla
logica semplificata della Castle Doctrine e delle stand your ground laws che in America ispirano le
norme sulla legittima difesa, fornendo un elevatissimo grado di tutela per chi
usi la forza letale contro chi si introduca illecitamente in un’abitazione,
sulla base di opzioni di valore sino a ieri estranee alla nostra cultura.
Una riforma
“manifesto”, con gravissime implicazioni sul piano culturale come su quello
giuridico: anteporre l’inviolabilità del domicilio alla tutela incondizionata
della vita umana significa consumare un ulteriore strappo con il sistema dei
valori della nostra Costituzione, sovvertendo la collocazione che da questo
sistema ricevono e la graduazione della loro tutela conforme ad elementari
principi di civiltà giuridica.
[…]
Il processo penale si allontana dal suo
paradigma garantista: quello per cui, come ha scritto Cordero, “la caccia vale
più della preda”. Se i termini si invertono, la caccia non ha bisogno di regole
e anzi delle regole che la ostacolano deve liberarsi.
E la preda catturata
deve essere esibita: la messa in scena organizzata dalla propaganda di stato
per “celebrare” la fine della latitanza di Cesare Battisti ha trasformato la
vittoria dello Stato di diritto e la chiusura di una vicenda dolorosa della
nostra storia in una pagina umiliante, che – come denunciato dall’Unione delle
Camere penali – rappresenta nel modo più plastico e drammatico un’idea arcaica
di giustizia ed un concetto primitivo della dignità umana, estranei alla
cultura del nostro Paese.
Un’idea arcaica di giustizia come
vendetta privata ispira la nuova disciplina della legittima difesa. Messa al
primo punto degli interventi nell’area penale previsti dal contratto di
governo, questa riforma – come ha scritto Gaetano Insolera – persegue in modo evidente la costruzione di una emergenza e di una retorica
disancorate da razionali considerazioni volte a contemperare la molteplicità
delle situazioni fattuali e la ponderazione degli interessi in gioco con la
rigidità di un dato normativo”.
È una retorica che corrisponde invece ad opzioni viscerali, estreme, più simili alla
logica semplificata della Castle Doctrine e delle stand your ground laws che in America ispirano le
norme sulla legittima difesa, fornendo un elevatissimo grado di tutela per chi
usi la forza letale contro chi si introduca illecitamente in un’abitazione,
sulla base di opzioni di valore sino a ieri estranee alla nostra cultura.
Una riforma “manifesto”, con gravissime
implicazioni sul piano culturale come su quello giuridico: anteporre
l’inviolabilità del domicilio alla tutela incondizionata della vita umana
significa consumare un ulteriore strappo con il sistema dei valori della nostra
Costituzione, sovvertendo la collocazione che da questo sistema ricevono e la
graduazione della loro tutela conforme ad elementari principi di civiltà
giuridica.
[..]
La giustizia a portata di mano non tollera i valori più
complessi della giurisdizione e vive con insofferenza i vincoli delle garanzie.
All’illusione panpenalistica si
accompagna quella pangiustizialista e si svela l’altra faccia del diritto
penale orientato alla massima repressione: accanto al diritto penale diseguale che accentua la risposta repressiva per
i soggetti marginali, il trattamento egualitario che
rovescia il senso delle garanzie trascinando verso il basso i soggetti più
forti con lo stesso sbrigativo trattamento che spetta a quelli più deboli.
La risposta a mali endemici e a
fenomeni di criminalità gravi e complessi è la “tolleranza zero” e il
linguaggio della nuova politica criminale vuole trasmettere il senso di un
intervento “risolutivo”: è – come ha detto Vittorio Manes – un lessico
distorsivo, prigioniero e irretito dalla finalità di legittimare un utilizzo
del diritto penale come strumento di lotta a fenomeni sociali, che si assumono
sistemici, se non persino come strumento di “vendetta sociale”.
[…]
Una impostazione che può portare al mutamento della fisionomia del diritto e del processo
penale: le garanzie non sono una concessione o una rinuncia a favore degli
avversari della legalità ma rappresentano un’esigenza della
giurisdizione, il limite strutturale dell’intervento penale, che lo legittima
con la massima riduzione dei suoi margini di arbitrio.
Nessuna scelta finalizzata
all’efficienza del processo penale è neutra rispetto alla tenuta del sistema di
garanzie e dei principi del giusto processo.
Per questo riteniamo che oggi sia
compito di Md contribuire a riportare il dibattito sulle riforme del processo
penale sui giusti binari, restituendo al confronto la complessità della riflessione che le garanzie e i
principi del giusto processo richiedono.
[…]
Come ha scritto Stefano Rodotà, la
magistratura è l’avamposto istituzionale nella società, direttamente investita
da tutta una serie di situazioni nuove, difficili, che trovano il loro primo
interlocutore nella giustizia.
Nel suo ruolo di dare prospettive allo
sviluppo della democrazia progressiva delineata dal [2° comma] dell’articolo 3 della Costituzione,
»E` compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»
la giurisdizione si colloca al centro delle
dinamiche e dell’ambivalente rapporto che da sempre lega la democrazia ai
diritti: in quanto “fondamentali” i diritti sono necessari alla democrazia,
garanzia della sua sopravvivenza; ma il loro riconoscimento e la loro tutela
affidati ai giudici, e sottratti al
legislatore, genera la diffidenza della
democrazia verso i “diritti” e la perenne tensione alla quale è sottoposto il
ruolo della giurisdizione come possibile fattore di alterazione dell’equilibrio
fra i poteri e di limitazione della sovranità popolare.
Oggi sono chiari i segnali di una
rapida involuzione di queste dinamiche. Nella democrazia acritica che non
ammette mediazioni rispetto alla giustizia attesa dal popolo, la diffidenza si
trasforma in conflitto, e si rimette in
discussione il fondamento stesso della legittimazione della giurisdizione:
l’essere la giurisdizione attuazione dei
diritti, ciò che deve renderli effettivi per tutti e dovunque siano negati da
ostacoli di fatto o di diritto; l’essere la giurisdizione il luogo dove, nella
concretezza del suo esercizio, il potere punitivo limita se stesso e il suo
arbitrio, arrestandosi di fronte alle garanzie e alla sfera dell’indecidibile (Ferrajoli),
che presidia le libertà e i diritti fondamentali delle persone.
La diffidenza verso
il ruolo di garanzia della giurisdizione è il filo rosso che lega tutti i
recenti interventi di riforma: si marginalizza la giurisdizione che attua i diritti; si vuole snaturare la sua
funzione liberandola dai “vincoli” delle garanzie.
Una diffidenza dichiarata nella novella
della legittima difesa, che vuole eliminare gli “elementi di incertezza
interpretativa” insiti nella valutazione della proporzionalità fra
difesa e offesa; nell’annuncio della riforma […]su sicurezza e immigrazione,
che denuncia l’“anomalia tutta italiana” prodotta dall’abuso della protezione
umanitaria fondato su “ampi margini di incertezza interpretativa”, e nel
tentativo di tipizzarne le ipotesi con l’obiettivo dichiarato di limitare il
potere discrezionale del giudice che ne avrebbe fatto un troppo ampio utilizzo;
nel disegno di legge [sull’affidamento dei flgli in caso di fine di una
relazione coniugale] che, in coerenza con il contratto di Governo, rivendica la
scelta di una “progressiva de-giurisdizionalizzazione” della materia per
rimettere al centro la famiglia e i genitori e il loro diritto di decidere sul
futuro dei loro figli, lasciando al giudice un ruolo
residuale; nelle preclusioni e negli automatismi che devono
vincolare il giudice nella scelta di quanto punire e di come punire.
Da tempo la magistratura si misura con
le logiche e i contenuti del diritto penale del nemico: la dialettica che
contrappone lo Stato al suo nemico mette in
discussione la terzietà della giurisdizione, percepita come un ostacolo alle
finalità di lotta e di
neutralizzazione dell’avversario.
Con incoerenze, oscillazioni e cadute
nelle prassi, la giurisdizione ha sempre saputo recuperare, attraverso una
lettura costituzionalmente orientata delle norme, il terreno sottratto alle
garanzie e ai principi fondamentali che governano il nostro sistema penale.
Oggi la sfida per la giurisdizione si
presenta ancora più complessa: parte della dialettica fra lo Stato e il suo
nemico è il popolo, e in nome della volontà popolare si chiede ai giudici di
farsi carico delle esigenze di prevenzione e di neutralizzazione del nemico
sociale, di entrare nel conflitto che lo contrappone allo Stato.
In questa dialettica, ha scritto
Massimo Donini, ai giudici si chiede di scegliere apertamente,
di dichiarare da che parte stanno, e
si rimette in discussione che essi debbano stare sempre dalla parte dei diritti
e delle garanzie.
E, ammoniva Donini, lo scenario si
complica quando si guarda a quel che accade fuori dai palazzi e dalle aule di
giustizia: se le nostre città fossero state colpite dagli eventi tragici di
Parigi o Bruxelles, quanti sarebbero oggi disposti ad accettare l’unica
risposta che la giurisdizione deve e può dare? Siamo
dalla parte dei diritti e delle garanzie.
[…]
Quel che sta accadendo ci chiama in
causa come persone e come magistratura, animata da quei valori che la
Costituzione ha voluto imprimere nella sua fisionomia. Nessuno può oggi tacere
quando con parole sprezzanti si commenta la morte di una persona in stato di
arresto. Nessuno può restare indifferente al rifiuto di offrire un approdo a
chi fugge da indicibili sofferenze. È un dovere civico e morale reagire
all’indifferenza, all’assuefazione e alla banalizzazione di quel che
ignominiosamente accade intorno a noi. E ricordare a noi stessi e agli altri,
come ha fatto il procuratore generale di Torino, che anche la pietà nel nostro
Paese oggi sta morendo.
Il pericolo maggiore che in una democrazia
minaccia i giudici è il pericolo dell’assuefazione, dell’irresponsabilità
anonima... non sappiamo che farcene dei giudici di Montesquieu, esseri
inanimati, fatti di pura logica.
Noi vogliamo essere i giudici con l’anima di Calamandrei: giudici engagés, che sappiano portare, con vigile impegno
umano, il grande peso di questa immane responsabilità che è il rendere
giustizia.
E auspichiamo un’Associazione in grado
di rappresentare i giudici con l’anima, capace
di cogliere la complessità del momento storico che stiamo vivendo.
Translation
in English language made with the help of Google Translator
A look at the European and Italian
situation
Extract from the
introductory report by Mariarosaria Guglielmi to the Congress of the
association of Italian magistrates Magistratura Democratica, entitled "The
judge in the Europe of populism".
The full report
can be read and downloaded from the WEB at this address:
http://www.magistraturademocratica.it/congresso/2019/relazione-guglielmi
1. In a few months the face of our
country has changed. And the path that has led our democracy so far seems to
have been interrupted. A journey made of dark pages and dramatic moments, of
which we still keep alive the wounds and the painful memory. A path that has
gone through difficult seasons in which the stability of our institutions has
been threatened by the subversive violence of terrorism and organized crime, by
widespread phenomena of public lawlessness, by conflicts of interest brought to
the top of the State and by attempts to disrupt Republican structure.
But it has been -
up until now - the path of a democracy, our democracy. It was the unfolding of
its history that has never diverged from the track marked, since its inception,
from what made it possible: the new founding pact represented by the
Constitution born of the Resistance and the defeat of fascism, which delivered
a new project of society based on a promise of equality and solidarity and on
the recognition of the equal dignity of all individuals.
Within the
framework of values drawn by the Constitution, our democracy has gone through
its alternate and difficult seasons without ever betraying itself. In this
"enclosure" our community has been structured, confronting itself
with its conflicts, its concerns and its contradictions and our sense of
belonging to a community, to its history and its identity has grown.
[...]
In an era of
great uncertainties created by the crisis of global inequality, its size and
the radical nature that characterized its evolution, the outcome of that vote,
not so far, gave us the certainty of a strong Constitution, our common heritage
of values, such as the laws in the Persian letters of Montesquieu to be touched
only with a trembling hand.
The bet won by
the Republican Constitution opened a different scenario, of possible change,
offering new opportunities to politics and a left in search of identity: turn
the page over a long season of weak thought, surrender to the law of the
markets and back in the protection of the welfare state and workers' rights; to
reverse the route with respect to a process of divestment of its heritage of
values and its past, and to attempts to take dangerous shortcuts in the wake
of rampant populism that would soon be revealed to its worst enemy;
reappropriate the point of view of the old and the new losers and find a
project around the principles of solidarity, putting the right to work and its
protections at the center of a process of social and democratic reconstruction;
to return to the tension towards the full implementation of the principle of
equality, the political and cultural unifier of every action, elaboration and
strategy; re-establish on these bases a project of change that meets the
challenges posed by an economic crisis that has become a social crisis, a
crisis of representative democracy, its mechanisms and its rules that have not
been able to channel the demands of social equity upwards or limits to the law
of markets and finance and therefore empty rules appeared, ended up under
accusation as useless formalisms and functional tools only for the preservation
of the "caste".
[...]
Politics has lost
these opportunities. [...] Two symmetric radicalisms have been imposed, as Ezio
Mauro wrote: the radicalism of the new sovereignism that has intercepted the
resentment has offered him a target and an enemy, represented by the foreigner
who threatens our security, usurps our rights and contaminate our identity; the
egalitarian and chameleonic radicalism of anti-politics which, without the
constraint of ideologies, without the weight of a past and its history of
reference, has supported the rebellion and the moods of the moment, has
sanctioned the defeat of the left conquering its people and today, with its
inexhaustible transformism, it can compromise even on the skin of migrants
abandoned to their destiny at sea.
[...] We have
grasped the great refusal towards politics, understood as an instrument and
place for the elaboration of a collective project of change, and of political
thought as a vehicle for new visions and common aspirations: not a request for
a discontinuity with the past, of a change of pace, but the removal of all that
has been until today.
Every
radical change needs to interrupt the story, to mark with an "I act"
the separation between the before and the after, to express and nourish a new
emotionality. The instinctual, which the winning radicalism has intercepted,
collects but is not able to elaborate the instances of greater equity and make
it the basis of a collective action; creates the places where the word is freed
but does not dialogue; he is looking for new agoras where critical thinking is
not organized, but rebellion and its slogans are fostered.
[...]
It is a new
feeling that unites the suburbs of our cities, whole and vast social strata but
does not unite, does not generate solidarity, and nourishes instead of the
opposition to the elites and the system, as the social conflicts generated by
the loss of rights and protections.
We are losing the
sense of belonging to a community, with its unifying values of emancipating
equality and equal dignity, the basis of social cohesion.
We no longer feel
part of a whole or of a collective project: the aspiration to a society of
equals and to the common good has given way to the demands of individuals - no
longer associated citizens but individuals - to exclude others. Broken every
solidarity pact, the new losers must be and feel themselves the enemies of
other losers, weak subjects and without rights, be they migrants, the poor and
the marginalized.
2. The winning radicalism, which has
intercepted this new feeling, pursues and itself is already the expression of a
project of genetic mutation that wants to get rid of the old tools of
representative democracy and replace them with the illusions of direct
democracy and "government of the people" .
The features with
which Gustavo Zagrebelsky described the physiognomy of uncritical democracy are
emerging: the people do not recognize the supreme but not unlimited power to
direct the government of public affairs, but the appearance of an infallible
sovereignty; armed with the idea that this is its highest democratic attribute,
uncritical democracy does not discuss the limits and imperfections of the
people, does not remove it from passivity and reactivity to make it an active
force capable of projects developed not by others but by themselves , but transforms
it into the passive people of the polls. A people that is unitary when it is
excited by suggestions and words of collective order, but which has a single
soul, the result of so many individual solitudes. A people not a subject of
politics but an instrument of those who propose themselves as the sole
interpreter of his will.
The road has been
opened for a distortion in the facts of our republican pact through new
uncontrollable forms of personalization of leadership and investiture of man
only in command, which proposes itself as an avenger of forgotten women and
men, the only legitimized to represent their will .
The social crisis
is supported by the crisis of representative democracy. We are losing all
awareness of the role of our institutions, of the rules and mechanisms that
express the complexity, the dialectic and the dynamics of democracy in the
constitutional order. We are forgetting, I still mention Zagrebelsky, that the
multiplication of institutions, their functional differentiation, the guarantee
of their duration and their balance are a requirement of critical democracy,
also from the point of view of maintaining its psychological condition: the
perennial tension at best and dissatisfaction with the existing, which
transform into virtues the limits of democracy, its imperfection and its
incompleteness.
In a few months
we have discovered a new, widespread and deeply rooted emotionality, and all
the contradictory demands expressed in the consensus of radicalism that has
intercepted the demand for change. And in the same months we have become aware
of the irreversible path we are taking towards a change not only of the forms
and balances of the constitutional set-up of our coexistence but of what is its
substance.
It promised a new
difficult season, a proof of resilience for our democracy. Today the more and
more distinct and recognizable traits emerge from what Luigi Ferrajoli has
defined a clear and conscious design of alteration of his constitutional
paradigm, which is linked to the broader subversive project of striking a
united Europe and its founding values; we witness the disintegration of the old
forms of collective political subjectivity, based on equality in rights and on
solidarity between equals and their substitution with identity-type political
subjectivities, which find today their strongest and most symbolic expression
in the contrast between the "citizen" and the "foreigner",
the "Italians" and the "immigrants".
The construction
of new identity-type subjectivities is an important part of the strategy of
populism and of neonisms, which, by instrumentally feeding the perception of
invasion by foreigners, has also triggered a racist and racist drift in our
country, and is calling into question the founding principles and values of
European democracy.
With the closure
of our ports and the banishment of the NGOs, an unprecedented violation of the
legal and moral obligations of rescue and reception, which derive from domestic
and international law, has been consummated.
[...]
On the fate of
the migrants we have engaged a challenge with Europe "for solidarity"
which represents a moral reversal of this principle and we have symbolically
given a strong acceleration to the project of closing our country in the
emotional borders of rejection and fear.
We have in a few
months and with few gestures annihilated entire experiences of integration and
inclusion. We have thus destroyed entire communities that have grown up around
the value of hospitality and the opportunities that peaceful coexistence offers
to the whole community. We have deprived "people" of rights, not for
what they do but because different from ours is the country where they were
born and from which they were forced to flee.
We are facing,
wrote Luciano Manicardi, an instrumental political use of two distinct
emotions: fear of course, but also shame. The refusal, the expulsion transmit
to the migrant as to all the marginal ones the sense of the "not right to
existence", and of the "shameful" character of their presence. But
today - as Manicardi says - we are to be ashamed of it.
3. "Today I would like to talk to
you about the tragedy of Europe. This noble continent which comprehends as a
whole the most equitable and educated regions of the earth. And in what
condition has Europe been reduced? .... Among the winners there is a babel of
voices, among the vanquished the dark silence of despair ... Yet there is still
a remedy that, if it was generally and spontaneously adopted by the great
majority of peoples in many countries, would miraculously transform the whole
scene ... what is this sovereign remedy? It consists in the reconstruction of
the European Family, or of all that we can reconstruct it, and in providing it
with a structure in which it can dwell in peace, security and freedom. We must
build a sort of United States of Europe ".
73 years later,
these words taken from the speech given by Winston Churchill at the University
of Zurich on September 19, 1946, retain their relevance.
A united Europe
is, for us contemporaries and for future generations, a necessity.
Faced with the
return of nationalisms and their symbols, it is not a rhetorical exercise to
remember that this community of destiny was born from the defeat of
totalitarianism and that at any moment the poisons of nationalism can bring
back bloody conflicts even in the heart of Europe. The demons, warned J.C.
Juncker some time ago, as demonstrated by the bloody conflict in the Balkans,
they are not gone, they are just sleeping. Today we are witnesses of their awakening.
But the European
Union is not just a necessity. As in the visionary project of those who
conceived it, it represents the only dimension where the conditions for the
flowering and perenniality of a lasting democracy (Alain Caillé) can fully
fulfill, and to preserve the universalism of fundamental, political and civil
rights. , freedom and social proclaimed in its Charter of Rights.
Today all of us
bear a historical responsibility.
We inherit a
Europe weakened by the effects of the economic and social crisis, by the
explosion of inequality, by disaffection and by the sense of distance from its
institutions that have not been able to collect the demands of greater social
equity of individuals and solidarity of entire countries hardly tried from the
economic crisis. In these years we have witnessed, without awareness of their
implications, choices to break with their identity as a community founded on
solidarity and on equal dignity of people.
We have tolerated
the gestures that have given substance to these choices (the rejections of
migrants on the borders, in Hungary as in France) and the ostentation of their
symbolic actions (the walls, the barbed wires, the religious marches to
garrison the borders and for exorcise the entrance of the infidels).
We have rediscovered
the importance of the European borders and, with the end of the courageous Mare
Nostrum operation, we have agreed to move back "physically and
ethically" on this border line (Asgi note). Today we challenge ourselves,
from "sovereign nations", on the shared duty of
"solidarity" by closing the ports to the last ships involved in
humanitarian aid - those of the volunteers - present in the Mediterranean.
[…]
We turned our
backs on the Mediterranean, accepting the addiction to the daily evidence of an
endless massacre, "entrusting" the fate of the migrants to the
randomness of the so-called Libyan Coast Guard rescue operations, deferring
them to the detention centers and abandoning them to a inhuman and degrading
context, repeatedly and unnecessarily denounced by all international
organizations.
With inertia,
indifference and the inability to overcome cross-vetoes and national egotism,
Europe has betrayed the commitment made in its Charter of Fundamental Rights to
guarantee its enjoyment of the entire human community and of generations
future.
4. The future of
a Europe based on the universal and indivisible rights and values of
solidarity, equality and equal dignity of persons must today face a project of
disintegration, which is the other side of a contagious process of democratic
regression and of affirmation of "illiberal" democracies in member
countries of the Union.
[...]
The
forms of democracy are altered and its "substantial dimension" is
emptied of content with regressive choices for civil and social rights, for
freedom of expression and for the academic, for the rights of migrants, asylum
seekers and refugees, for freedom of assembly and association and for the
rights of persons belonging to minorities.
[...]
"I believe
we should be" ambitious "when we speak of" rule of law "and
fundamental rights, at least as much as Europe is" ambitious "in
implementing new mechanisms of financial assistance, and rules for monetary and
banking union . Because banks and financial statements are certainly very
important for our economy .... but Europe is not just banks and budgets. It's
much more. And it must be much more, if we want to conquer not only the
"pockets" but also the heart and mind of European citizens. This is
why it is so important to create a new mechanism to protect the rule of law
".
With these words
Viviane Reding presented the new framework for the protection of the rule of
law adopted in March 2014. It was the European Commission's response to the
warning signals represented by the repetition of situations of systemic
violations of the founding values of the Union: the expulsions of Roma
populations in France in the summer of 2010; the reforms adopted in Hungary
since 2011 with serious consequences for the independence of the judicial
system, the Constitutional Court and the fundamental rights of persons; the
crisis determined in Romania in the summer of 2012 by the adoption of a series
of urgent measures by the Government, which altered the constitutional balance
and reduced the competences of the Constitutional Court.
It was an
important step to reaffirm that, in the European vision, the rule of law, as a
foundation of the Union and its external action, is not an expression of state
sovereignty, protected by the unquestioning choices regarding the
constitutional set-up and equilibrium between the powers in the Member States,
but is an expression of the common set of values and constitutional
principles that the Union must assume as parameters of assessment of the
continuity of the action also of the Member States with the Copenhagen
criteria.
[…]
Faced with the
rampant process of regression of the rule of law, Europe must proceed with
determination in the direction repeatedly indicated by the European Parliament,
adopting a system of constant monitoring for all Member States, which is
independent of the existence of serious and persistent violation of the values
referred to in Article 2 of the Treaty, and instead establish the conditions
for a permanent and reciprocal democratic oversight in defense of all the
founding principles of the European constitutional system: a regular,
systematic and objective process of monitoring and dialogue, in which all the
Member States participate, with the involvement of the European institutions,
to safeguard the founding values of the Union and all the principles of the
rule of law.
This is an
essential prospect for the future of the Union as a community founded on the
"strength not of an army or a common police", but of the principles
of the rule of law (judgment in Les Vertes CGUE C-294/83 of 1986), chenon is
resolved respecting formal legality but affirms the primacy of fundamental
rights, guaranteed only by independent judicial systems.
These are
important steps in the construction of a central role for the European
institutions in the promotion and protection of the rule of law, towards a
European identity based on the values declaimed by the Treaties, which can
open wider and more ambitious prospects for the policy of the Union. respect to
the effective realization of the common area of freedom, justice and
security.
A few months
after decisive elections for the future of European democracy, this is the
moment to reaffirm, without uncertainty, our aspiration for full political and
social integration of the Union, to a Europe capable of giving a soul to its
policies monetary policies, putting value choices in the name of cohesion and
solidarity, with the political force necessary to face the great challenges
that history puts before them and being a protagonist on the world stage in the
defense of the ideals of man who are his ideals (Caillé).
European
democracy will have a future if it is able to rediscover its demos. And just by
following the plot of rights, as Stefano Rodotà wrote, we can really discover
another Europe, very different from the overwhelming economic Europe and the
evanescent political Europe. This is the obligatory path that shows us the
Charter of fundamental rights for a re-foundation in the democratic sense of
the Union. And in this direction the national and European jurisdiction must
continue to play the fundamental role it has played in recent years in the
construction of the legal system of the Union, based on the centrality of the
person and his needs.
5. In a context of increasing
complexity of the demand for justice, in the void of protection for rights and
in the absence of rules governing the rule of law, great challenges and
terrible responsibilities are renewed for the jurisdiction, and in
ever-changing forms.
The explosion of
new inequalities, which even the figures and the analysis of the last Oxfam
report describe in a ruthless manner, confirming their growing extent and a
concentration of worldly ethically unacceptable wealth, has disarticulated our
cultural frame of reference.
In the age of new
inequalities, the losers and the weak subjects are scattered in unexpected
places and the protection of rights requires above all the full understanding
of the phenomenon with respect to new forms of social exclusion, produced by
the lack of access to knowledge and information, to basic services such as
health protection and education, and in areas already explored, such as labor,
both dependent and self-employed.
How much the
reality of the world of work has increasingly moved away from the model
designed by our Constitution is there for all to see. As an instrument of
emancipation, it is the main condition of access to a free and dignified
existence as a factor in the production of new inequalities: with the atypical
work and precarious work the wage disparities have multiplied; the effects of
exclusion of gender inequality and of the fragmentation of labor are heavy, through
the creation of new and increasingly widespread contractual forms, from the
parasubordinate galaxy to the contract for the supply of labor, and a further
effect of discrimination is produced by the concentration of atypical work on
the new generations. This reality is not the inevitable result of technological
transformations or competitiveness played on the global market but, as Roberto
Riverso wrote, the fruit of a social construction in which the decisive role
appears to be played by the State and the product of a policy, a culture , laws
passed in the last twenty years that have undermined the protection system
built around work as a priority of the democratic system: the definition of the
permanent contract as a general rule of the employment relationship; the
indefeasibility of the protections granted in the legislative area; the
affirmation of the proportionality between the non-fulfillment of the worker
and the reaction of the employer and consequent controllability of the way in
which the employer exercises this power; the existence of an ad hoc judge who,
although impartial referee between the parties, is able to understand the
different capacity of economic resistance, and therefore trial, between the
parties, so as to play a concrete promotional role of individual guarantees and
to ensure effective certainty to the rights, not just economic, of workers. And
in this economic and social scenario, a reduction of the role of guarantee of
the labor judge, who is asked to abandon a substantial internal control, to put
in place a merely formal and external, and not to interfere in choices dictated
by the economic situation contingent, placed to justify entrepreneurial choices
that heavily affect the protection, not only economic, of workers, an alternative
policy of defending rights and a reform of welfare has been lacking.
There have been
no instruments and measures of intervention capable - as Paolo Guerrieri has
said - of improving the equality of opportunities as well as bridging the
inequalities in the starting conditions, while at the same time creating a
virtuous combination between effective effective redistribution and adequate
dynamism of the markets.
The centrality of
work, with its value in terms of emancipation of the person and the construction
of solid social relationships, risks being overshadowed by measures to combat
poverty. The income of citizenship, while on the one hand appears to be
important in contrast to inequalities that are now unacceptable, on the other
hand, entails the risk of channeling labor struggles and a poorer society into
prospects of welfareism. So the real problems could remain on the table:
creation of real and not poor work; reform of employment centers; strategic
investment plan to restore lymph to work; universalism of workers' rights.
In the
reflections carried out at the congress of Bologna on the theme of inequalities
we have rediscovered the reasons for our commitment to a jurisdiction that is
up to the difficult task that today requires the implementation of equality in
its new forms and its realization in the full "constitutional"
dimension. , with the removal of what actually hinders it.
New challenges,
therefore, and terrible responsibility for the jurisdiction that today has to
deal with a context that is rapidly evolving, in the European and national,
towards a new regulatory and cultural framework strongly regressive for rights
and guarantees and to a tampering with the principles of the rule of law which
deprives the jurisdiction of its role of guarantee and of third party.
[...]
In these months
[in Italy] we have witnessed the humiliation of Parliament and increasing signs
of intolerance towards institutions and the rules of democracy. [...] Through
the reduction of the areas of intervention of the jurisdiction, we call into
question the egalitarian and solidarity foundation of our constitutional state
and the principles that constitute its essence: the universalism of fundamental
rights, the centrality of the person and equal dignity , the freedom of self-determination,
the secular nature of the state.
Expropriating the
jurisdiction of its role as guarantor and third party, the relationship between
authority and freedom and the framework of values that gives legitimacy to
the penal system is permanently altered, placing limits on the arbitrary power
of punishment.
[...]
Immigration
is represented and must be experienced as a matter of public order; the
foreigner, clandestine or integrated, is however the different, responsible for
our insecurity and the usurpation of rights and opportunities to the detriment
of "citizens".
[...]
An alternative
project of society is glimpsed: a new order based on the theorized, declared
and claimed overcoming of the universal character of fundamental rights, of the
principle of equality between individuals and of solidarity as a value that
belongs to our history and to our community.
[...]
We must remember
that, as Paolo Rumiz wrote, refugees become and refugees we can all become in a
single moment. A war is enough.
[...]
The signs
of a new obscurantism, of a regressive utopia that invests entire systems of
rights, such as family law, are multiplying and wants backtracks on fundamental
achievements concerning the rights of living and the freedom to act of each of
us before the decisions of life.
6. The continuous twists and deformations
suffered by criminal law in recent years, under the pressure of the urges and
emergencies of the moment, have produced an irrational dilation of the
repressive instrument and the abandonment of the guarantor model represented by
the minimum criminal law: the laws multiply of exception and occasion as
defined by Francesco Carrara; we resort to the demagogic use of the penal norm
that feeds repressive illusion by increasing fear and, criminalizing people in
place of conduct, identifies the enemy against whom to direct it.
[...]
Let us
return to an archaic and primitive vision of punishment: it is the affliction
that deserves those who have made a mistake, and for this reason must return to
pay; and it is the maximum affliction, which does not admit the prospect of
recovery or reintegration. The certainty of the sentence becomes certainty of
the prison.
[...]
All
perspectives of restorative justice, of instruments of reconciliation, of
restorative or reparatory forms are abandoned because they are contrary to the
needs of protection of the community. The answer to the crime is and can only
be a retaliation, and a sanction that reproduces in an analogical sense the
negativity, its being evil (Luciano Eusebi).
[...]
The path
taken not only leads to the definitive abandonment of the prospect of a
penitentiary system and criminal execution fully compliant with the dictate of
the Constitution, but away from the idea of punishment that is the heritage
of our legal culture, consistent with the principles of necessity, personality,
re-educational finalism: principles that are part of its ontological content,
as the Constitutional Court reminded us, which must avoid "the risk of
exploiting the individual for general purposes of criminal policy" or
"favoring the satisfaction of collective needs for stability and security
(social defense), sacrificing the individual through the exemplarity of the
sanction "; essential qualities for the "legitimization and
function" of the sentence, which "accompany it when it is born, in
the abstract normative provision, until it becomes extinct in practice".
[...]
The criminal
trial moves away from its guaranteeist paradigm: that for which, as Cordero
wrote, "hunting is worth more than prey". If the terms are reversed,
the hunt does not need rules and even the rules that obstruct it must free
itself.
And the captured
prey must be exhibited: the staging organized by state propaganda to
"celebrate" the end of the hiding of Cesare Battisti has transformed
the victory of the rule of law and the closure of a painful story of our
history on a humiliating page which - as denounced by the Union of Criminal
Chambers - represents in the most plastic and dramatic way an archaic idea of
justice and a primitive concept of human dignity, extraneous to the culture
of our country.
An archaic idea
of justice as private revenge inspires the new discipline of self-defense.
Put to the first point of the interventions in the penal area provided by the
government contract, this reform - as Gaetano Insolera wrote - clearly pursues
the construction of an emergency and a rhetoric unmoored by rational
considerations aimed at reconciling the multiplicity of factual situations and
the weighting of the interests at stake with the rigidity of a normative data
".
It is a rhetoric
that corresponds instead to visceral options, extreme, more similar to the
simplified logic of the Castle Doctrine
and the stand your ground laws that
in America inspire the rules on self-defense, providing a very high level of
protection for those who use lethal force against those who illicitly
introduces itself into a house, based on value options that until yesterday
were foreign to our culture.
A
"manifest" reform, with serious implications on the cultural as on
the juridical one: to put the inviolability of the domicile in front of the
unconditional protection of human life means to consume a further rift with the
system of values of our Constitution, subverting the position that this
system receive and graduation of their protection consistent with elementary
principles of legal civilization.
[...]
The criminal
trial moves away from its guaranteeist paradigm: that for which, as Cordero
wrote, "hunting is worth more than prey". If the terms are reversed,
the hunt does not need rules and even the rules that obstruct it must free
itself.
And the captured
prey must be exhibited: the staging organized by state propaganda to
"celebrate" the end of the hiding of Cesare Battisti has transformed
the victory of the rule of law and the closure of a painful story of our
history on a humiliating page which - as denounced by the Union of Criminal
Chambers - represents in the most plastic and dramatic way an archaic idea of
justice and a primitive concept of human dignity, extraneous to the culture
of our country.
An archaic idea
of justice as private revenge inspires the new discipline of self-defense.
Put to the first point of the interventions in the penal area provided by the
government contract, this reform - as Gaetano Insolera wrote - clearly pursues
the construction of an emergency and a rhetoric unmoored by rational
considerations aimed at reconciling the multiplicity of factual situations and
the weighting of the interests at stake with the rigidity of a normative data
".
It is a rhetoric
that corresponds instead to visceral options, extreme, more similar to the
simplified logic of the Castle Doctrine and the stand your ground laws that in
America inspire the rules on self-defense, providing a very high level of
protection for those who use lethal force against those who illicitly
introduces itself into a house, based on value options that until yesterday
were foreign to our culture.
A
"manifest" reform, with serious implications on the cultural as on
the juridical one: to put the inviolability of the domicile in front of the
unconditional protection of human life means to consume a further rift with the
system of values of our Constitution, subverting the position that this
system receive and graduation of their protection consistent with elementary
principles of legal civilization.
[…]
Justice at hand
does not tolerate the most complex values of jurisdiction and lives intently
the constraints of guarantees.
Pan-criminalistics
illusion is accompanied by that of the pan-giustizialism one and reveals the
other side of penal law aimed at maximum repression: alongside the unequal
penal law that accentuates the repressive response for marginal subjects, the
egalitarian treatment that reverses the sense of guarantees dragging towards
low the stronger subjects with the same hasty treatment that belongs to the
weaker ones.
The answer to
endemic ills and to serious and complex crime phenomena is "zero
tolerance" and the language of the new criminal policy wants to convey the
meaning of a "decisive" intervention: it is - as Vittorio Manes said
- a distortive vocabulary, prisoner and ensnared by the purpose of legitimizing
the use of criminal law as an instrument to fight social phenomena, which are
assumed to be systemic, if not even as a means of "social revenge".
[...]
An approach that
can lead to changes in the physiognomy of law and criminal prosecution:
guarantees are not a concession or a renunciation in favor of the adversaries
of legality but represent a requirement of jurisdiction, the structural limit
of criminal intervention, which legitimizes it with the maximum reduction of
its margins of arbitrariness.
No choice aimed
at the efficiency of the criminal trial is neutral with respect to the
maintenance of the guarantee system and the principles of due process.
For this reason
we believe that today it is Md's duty to contribute to bringing the debate
about reforms of the penal process back to the right tracks, giving back to the
comparison the complexity of the reflection that guarantees and the principles
of due process require.
[...]
As Stefano Rodotà
wrote, the magistracy is the institutional outpost in society, directly hit by
a whole series of new and difficult situations, which find their first
interlocutor in justice.
In its role of
giving prospects to the development of progressive democracy outlined by the
[2nd paragraph] of Article 3 of the Constitution,
»It is up to the
Republic to remove the economic and social obstacles which, by limiting the
freedom and equality of citizens, prevent the full development of the human
person and the effective participation of all workers in political
organization, economic and social development of the country. "
jurisdiction
is at the center of the dynamics and the ambivalent relationship that has
always linked democracy to rights: as "fundamental" rights are
necessary for democracy, guarantee of its survival; but their recognition and
their protection entrusted to the judges, and subtracted from the legislature,
generates the distrust of democracy towards the "rights" and the
perennial tension to which the role of jurisdiction is subjected as a possible
factor of alteration of the balance between the powers and limitation of
popular sovereignty.
Today the signs
of a rapid involution of these dynamics are clear. In uncritical democracy that
does not allow mediation with respect to the justice expected by the people,
mistrust becomes a conflict, and the very foundation of the legitimacy of
jurisdiction is called into question: the jurisdiction to implement rights,
what must make them effective for all and wherever they are denied by obstacles
of fact or law; being the jurisdiction the place where, in the concreteness of
its exercise, the punitive power limits itself and its arbitrariness, stopping
in front of the guarantees and the sphere of the undecidable (Ferrajoli), which
guards the liberties and fundamental rights of the people .
The distrust of
the role of guarantee of jurisdiction is the common thread that links all the
recent reform interventions: the jurisdiction that implements rights is
marginalized; we want to distort its function by freeing it from the
"restrictions" of guarantees.
A diffidence
declared in the novel of the legitimate defense, that wants to eliminate the
"elements of interpretative uncertainty" inherent in the evaluation
of the proportionality between defense and offense; in the announcement of the
[...] reform on security and immigration, which denounces the "all-Italian
anomaly" produced by the abuse of humanitarian protection based on "wide
margins of interpretative uncertainty", and in the attempt to characterize
the hypotheses with the objective declared to limit the discretionary power of
the judge who would have used it too widely; in the bill [on the assignment of
children in the event of termination of a marital relationship] which, in
accordance with the Government contract, claims the choice of a
"progressive de-jurisdictionalization" of the matter to restore the
family and parents to the center and their right to decide on the future of their
children, leaving the judge with a residual role; in preclusions and
automatisms that must bind the judge in choosing how much to punish and how to
punish.
The judiciary has
long been measured by the logic and content of the criminal law of the enemy: the
dialectic that opposes the state to its enemy calls into question the third
party jurisdiction, perceived as an obstacle to the purpose of the opponent's
fight and neutralization.
With
inconsistencies, oscillations and falls in practice, the jurisdiction has
always been able to recover, through a constitutionally oriented reading of the
rules, the ground removed from the guarantees and fundamental principles that
govern our penal system.
Today the
challenge for the jurisdiction is even more complex: part of the dialectic
between the State and its enemy is the people, and in the name of the popular
will the judges are asked to take on the needs of prevention and neutralization
of the social enemy, to enter the conflict that opposes it to the state.
In this
dialectic, Massimo Donini wrote, the judges are asked to choose openly, to
state which side they are on, and calls into question that they should always
be on the side of rights and guarantees.
And, Donini
warned, the scenario becomes more complicated when one looks at what happens
outside the palaces and halls of justice: if our cities had been hit by the
tragic events of Paris or Brussels, how many would today be willing to accept
the only answer? that the jurisdiction must and can give? We are on the side of
rights and guarantees.
[...]
What is happening
calls us into question as persons and as magistrates, animated by those values
that the Constitution wanted to impress in its physiognomy. No one can be
silent today when the words of a person arrested are commented with
contemptuous words. No one can remain indifferent to the refusal to offer a
landing for those fleeing unspeakable suffering. It is a civic and moral duty
to react to indifference, to addiction and to the trivialization of what
ignominiously happens around us. And to remind ourselves and others, as the
Turin Attorney General did, that even piety in our country today is dying.
The greatest
danger that in a democracy threatens the judges is the danger of addiction, of
anonymous irresponsibility ... we do not know what to do with the judges of
Montesquieu, inanimate beings, made of pure logic.
We want to be the
judges with the soul of Calamandrei: judges engagés, who know how to bring,
with vigilant human commitment, the great weight of this immense responsibility
that is to do justice.
And we hope for
an Association able to represent the judges with the soul, able to grasp the
complexity of the historical moment we are experiencing.