Ripubblico, dal 1 maggio 2016
Primo Maggio, Festa
dei Lavoratori
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Carissime e carissimi,
nonostante la
pandemia, siamo riusciti a mantenere vivo il nostro gruppo. Con maggio
termineremo le attività per quest’anno associativo. Se la pandemia lo
permetterà, riprenderemo ad ottobre, in parrocchia.
L’8 e il 15
maggio dialogheremo rispettivamente sul capitolo 7° e 8° dell’enciclica
“Fratelli tutti”. Il 22 maggio. di nuovo in parocchia, faremo un
bilancio dell’anno associativo.
Il 22 maggio
alle 17:30 riprenderemo a riunirci in sala rossa! Ma attiveremo anche il
collegamento in Google Meet, per chi non potesse venire in parrocchia.
I link e i codici di accesso sono già stati inviati per email, WA e con la "Lettera ai soci" di maggio.
Arrivederci a presto!
Giulia
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La Festa del Primo Maggio è dedicata ai
lavoratori, non al lavoro. Ebbe origine sindacale, negli Stati Uniti d’America,
a fine Ottocento, in particolare dopo una dura repressione di una
manifestazione sindacale a Chicago, nello stato dell’Illinois. Ma in Europa
assunse anche un significato marcatamente politico, dopo che fu adottata, nel
1889 a Parigi, dalla Seconda Internazionale Socialista, l’organizzazione che
riuniva i movimenti operai.
Nel corso dell’Ottocento i movimenti operai si batterono, in Europa e in
America, per la riduzione per legge dell’orario di lavoro e per altre riforme
in favore dei lavoratori, in particolare per proteggere le donne lavoratrici e
vietare il lavoro dei fanciulli. Quei moti si poterono organizzare per il
convergere nei centri urbani di grandi masse operaie impiegate nell’industria,
con condizioni di lavoro particolarmente dure e sfiancanti. In Inghilterra, in
particolare, fu osservato un netto peggioramento delle condizioni di salute del
ceto operaio, e questo nell’epoca di maggior potenza e ricchezza di quella
nazione. Il sindacalismo nasce quindi per liberare
il tempo dei lavoratori, in particolare per ridurre a otto ore l’orario di
lavoro quotidiano, che andava molto oltre quel limite. Otto ore per lavorare,
otto ore per dormire e otto ore per far altro. Che cosa? In Europa si cominciò
a progettare di impiegare quel tempo liberato
per elevare la classe lavoratrice, la maggioranza della popolazione, al governo
delle società, in particolare attraverso una specifica attività formativa che
producesse una coscienza politica in masse le quali, in genere, nell’Ottocento
erano escluse dalla politica (il diritto di voto era in genere attribuito per
censo o per istruzione). Questo processo politico, vivamente contrastato negli
stati liberali e in quelli assolutistici che ancora rimanevano, portò al
suffragio universale, prima solo maschile, poi anche femminile (a seguito di
dure lotte, in particolare in Inghilterra). Le democrazie di popolo contemporanee
sono fondate su questa elevazione politica dei lavoratori: ad essi e al loro
lavoro viene riconosciuta una dignità,
umana e politica, che nell’Ottocento non avevano. Con la Festa del Lavoro si vuole mantenere
vivo il movimento collettivo per difenderla: essa infatti è sempre minacciata. Non
si tratta quindi solo di commemorare,
ma di suscitare e rinnovare un impegno sociale.
La dottrina sociale fino all’ultima guerra sociale fu fortemente e
dichiaratamente antisocialista. Accettò l'idea socialista che gli operai non
fossero sfruttati ingiustamente e privati del tempo da dedicare alle loro
famiglie, ma contrastò duramente l’idea che si dovesse lottare per elevare i lavoratori e, in particolare, che potessero
farlo gli stessi lavoratori, liberandosi con le loro lotte. Attendeva il miglioramento
delle condizioni dei lavoratori dai governanti,
che però all’epoca erano espressi dalle classi che sfruttavano i lavoratori.
Dichiarò illecito, quindi peccaminoso dal punto di vista religioso, lo sciopero,
la principale arma del movimento operaio.
“95. Lo sciopero è vietato; se le parti non si possono
accordare, interviene il Magistrato”: è scritto nell’enciclica Il Quarantennale, del 1931, del papa Achille Ratti, riprendendo ciò
che era stato ordinato quarant’anni prima nell’enciclica Le Novità del papa Vincenzo Gioacchino Pecci.
La nostra Costituzione dichiara che il lavoro, non il privilegio dinastico o
la rendita finanziaria, è al fondamento della Repubblica (art.1), che occorre
rimuovere gli ostacoli alla partecipazione dei lavoratori al governo del Paese (art.3, 2° comma), che il lavoro dignitoso non è una condanna ma un
dovere di tutti e quindi anche un obiettivo politico della Repubblica
(art.4), che ogni lavoratore (cittadino e non) ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del
suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare alla famiglia una esistenza
libera e dignitosa (art.36), che l’organizzazione
sindacale è libera (ar.39) e
che lo sciopero è un diritto (art.40),
recependo così la concezione socialista della dignità del lavoro come base per
la riforma politica della società in senso più giusto. Il Primo Maggio divenne
festa nazionale della nuova Repubblica post-fascista.
Alla scrittura della Costituzione collaborarono
anche molti politici cattolici, in particolare i cattolico-democratici Giuseppe
Dossetti, Giorgio La Pira, Amintore Fanfani, Aldo Moro e Costantino Mortati. I
cattolico-democratici avevano imparato la giustizia sociale dai socialisti.
Avrebbero potuta impararla direttamente dalla teologia della loro fede? In
parte sì. Bisogna tener conto, tuttavia, che nell’era antica in cui originarono
le nostre scritture bibliche c’era lo schiavismo, che non venne ripudiato dal
cristianesimo se non molto più tardi, a partire Settecento, e seguendo i
principi libertari proclamati dai rivoluzionari francesi, dal liberalismo
politico e dal socialismo. Lo schiavismo fu poi abolito dagli europei nel corso
dell’Ottocento (veniva ancora praticato essenzialmente nelle colonie
americane). La giustizia sociale richiede l’elevazione del lavoratore dalla
condizione di schiavo a quella di cittadino, quindi l’attribuzione reale non
solo di dignità al lavoro, libertà di sindacalismo, ma anche la libertà della politica democratica,
anelito che era anacronistico nei tempi antichi e che si sviluppò solo
nell’Ottocento. Le nostre Scritture sacre non sono quindi sufficienti per
fondare un’azione sindacale anche se ispirata dalla fede.
Nel 1955 il papa Eugenio Pacelli
dedicò il Primo Maggio alla solennità di San Giuseppe lavoratore permettendo ai
fedeli di unirsi alla Festa dei lavoratori.
La dottrina sociale ostile al sindacalismo
mutò però solo a partire dal Concilio Vaticano 2° (1962-1965) e, in
particolare, con il papa Karol Wojtyla e con la sua enciclica sociale Il
lavoratore, del 1981. La potete leggere sul WEB all’indirizzo
http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_14091981_laborem-exercens.html
Egli la scrisse sulla base
dell’esperienze e delle esigenze del sindacalismo polacco di allora: era stato
da poco fondato il sindacato-partito Solidarietà,
del quale quell’enciclica si può considerare il manifesto operativo. Il sindacalismo operaio polacco ebbe da subito
marcata impronta politica, collegando l’elevazione dei lavoratori alla riforma
politica della società, secondo la concezione socialista. Per altro, operando
in un regime comunista, continuò ad avere marcata impostazione antisocialista,
come del resto la stessa dottrina del Wojtyla.
Il mutamento delle concezioni
sul sindacalismo nel pensiero religioso può essere ben rappresentato dalla
partecipazione dell’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi, ieri, alla
manifestazione sindacale del Primo Maggio nella sua città.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli