RIUNIONE IN MEET DI ACSANCLEMENTE!
15 MAGGIO 2021 ORE 16:45
**********************
Sabato 15 maggio , ore 16:45 - 21° riunione
in Google Meet del gruppo AC Sanclemente!: concluderemo il dialogo sui temi
dell’enciclica Fratelli tutti di
papa Francesco, diffusa il 3 ottobre scorso, e, in particolare sull’ottavo capitolo
intitolato “Le religioni al servizio della fraternità nel mondo” (n.271-287).
Di seguito
trascriviamo una sintesi ristretta, una sintesi estesa e il testo integrale di quel capitolo dell’enciclica.
Link e codice di accesso sono stati comunicati
con la Lettera ai soci di maggio, inviata anche per posta a chi non
ci ha ancora comunicato un recapito email, e, stamattina, via email e WA.
Chi non li avesse ricevuti può richiederli
con una email a
mario.ardigo@acsanclemente.net
Consigliamo di accedere
dalle ore 16:40.
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A questo indirizzo
di YouTube
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potrete vedere un
video in cui si insegna, passo per passo, come partecipare.
Per accedere agli incontri in Google Meet:
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se già non lo avete fatto (ad esempio
acquisendo un indirizzo email del tipo xxxx@gmail.com -
procedura che consigliamo), registratevi su Google all’indirizzo
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registrati su Google inviando una email a
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A quella email vi sarà inviato, qualche giorno
prima della riunione programmata, un link
e un codice per accedere a alla videoconferenza in Google
Meet Meet.
Link e codice saranno comunicati ai soci anche
nella Lettera ai soci mensile, inviata via email e anche per posta
ordinaria a chi non ha comunicato un indirizzo email,
POI
da PC fisso, PC portatile,
tablet
1) accedete a Google, con l’email e la password con cui
vi siete registrati, da questo indirizzo
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2) in Chrome
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multicolore di Meet;
3) scrivete il codice di accesso che avrete ricevuto
nello spazio INSERISCI UN CODICE o copiatelo facendo COPIA/INCOLLA, poi
cliccate su PARTECIPA;
4) nella successiva schermata cliccate su CHIEDI DI PARTECIPARE e attendete
di essere ammessi alla riunione.
B) da smartphone:
a) mediante link
1a) cliccate sul link;
2a) nella finestra che
si aprirà, cliccate su CHIEDI DI PARTECIPARE;
b) mediante codice
1b) aprite la app Meet
(che avrete scaricato);
2b) cliccate su CODICE
RIUNIONE e inserite il codice di accesso che avrete ricevuto;
3b) cliccate su CHIEDI
DI PARTECIPARE e attendete di essere ammessi.
Segnalate
eventuali problemi con una email a
mario.ardigo@acsanclemente.net
indicando, se volete
essere contattati telefonicamente, un numero di telefono al quale essere
chiamati.
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Dall’enciclica Fratelli tutti, capitolo
settimo
CAPITOLO OTTAVO
LE RELIGIONI AL SERVIZIO DELLA FRATERNITÀ
NEL MONDO
Sintesi ristretta
Le diverse religioni offrono un prezioso apporto per la
costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Per
raggiungere questo obiettivo devono dialogare.
Per fondare la fraternità, la ragione non
basta.
Rrendere presente Dio è un bene per le nostre
società purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o
strumentali
Non è accettabile che nel dibattito pubblico
abbiano voce soltanto i potenti e gli scienziati. Dev’esserci uno spazio per la
riflessione che procede da uno sfondo religioso che raccoglie secoli di
esperienza e di sapienza.
La Chiesa, benché rispetti l’autonomia della
politica, non relega la propria missione all’ambito del privato, senza però
fare politica partitica, propria dei laici.
Vogliamo essere una
Chiesa che serve, per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione.
Il vangelo
ci spinge a lottare per la dignità di ogni uomo e donna. Per noi,
questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù
Cristo.
La Chiesa, che cattolica in quanto chiamata a incarnarsi in ogni situazione e
presente attraverso i secoli in ogni luogo della terra, ritiene che tutto ciò
ch’è umano la ed è onorata di riunirsi nei consessi dei popoli convocati per
stabilire i diritti e i doveri dell’uomo.
La Chiesa chiede libertà religiosa e la
offre. La libertà religiosa è un diritto
umano fondamentale. Chiede a Dio di rafforzare la sua unità arricchita da
diversità che si riconciliano per l’azione dello Spirito Santo.
Tra le religioni è possibile un cammino di
pace.
Il punto di partenza
dev’essere lo sguardo di Dio.
Come credenti ci concentriamo sull’essenziale: l’adorazione di Dio e
l’amore del prossimo, in modo che mai la nostra dottrina alimenti forme di
disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro.
La
violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì
nelle loro deformazioni.
In realtà, chi non ama non ha conosciuto
Dio, perché Dio è amore (1 Gv 4,8).
Il terrorismo a sfondo religioso non è dovuto
alla religione – anche se i terroristi la strumentalizzano – ma è dovuto alle
accumulate interpretazioni errate dei testi religiosi, alle politiche di fame,
di povertà, di ingiustizia, di oppressione, di arroganza.
Il comandamento della pace è inscritto nel
profondo delle tradizioni religiose che rappresentiamo. I leader religiosi sono
chiamati ad essere veri “dialoganti”, ad agire nella costruzione della pace non come intermediari, che cercano sconti per le parti per averne un profitto per noi stessi, ma come mediatori, non trattenendo nulla per loro stessi, sapendo che l’unico
guadagno è quello della pace. Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano
della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l’odio e non conservandolo,
aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri!
Nell’incontro fraterno con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb è stato
fermamente proclamato:
dichiariamo] di adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione
comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio».
Nella riflessione svolta nell’enciclica il
Papa ha avuto presenti San Francesco
d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma conclude ricordando il Beato
Charles de Foucauld, che volle farsi fratello universale identificandosi con
gli ultimi.
Sintesi estesa
Le diverse religioni offrono un
prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della
giustizia nella società. L’obiettivo del dialogo tra persone di religioni
differenti è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed
esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore.
La ragione, da sola, è in grado di
cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra
loro, ma non riesce a fondare la fraternità.
Se non esiste una verità
trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità,
allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra
gli uomini.
Come credenti delle diverse
religioni sappiamo che rendere presente Dio è un bene per le nostre società
purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o strumentali: ci
aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli.
Quando, in nome di un’ideologia, si
vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare degli idoli, e ben
presto l’uomo smarrisce sé stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti
violati.
Tra le più importanti cause della
crisi del mondo moderno vi è
l’allontanamento dai valori religiosi, nonché il predominio dell’individualismo
e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori
mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti.
Non è accettabile che nel dibattito
pubblico abbiano voce soltanto i potenti e gli scienziati. Dev’esserci uno
spazio per la riflessione che procede da uno sfondo religioso che raccoglie
secoli di esperienza e di sapienza.
Per queste ragioni, benché la
Chiesa rispetti l’autonomia della politica, non relega la propria missione
all’ambito del privato.
I ministri religiosi non devono
fare politica partitica, propria dei laici, però nemmeno possono rinunciare
alla dimensione politica dell’esistenza che implica una costante
attenzione al bene comune e la preoccupazione per lo sviluppo umano integrale,
la promozione dell’uomo e della fraternità universale.
Vogliamo essere una Chiesa che
serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per
accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità […] per
gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione.
Se la musica del Vangelo smette di
suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella
politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare
per la dignità di ogni uomo e donna. Altri bevono ad altre fonti. Per noi,
questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù
Cristo.
Chiamata a incarnarsi in ogni
situazione e presente attraverso i secoli in ogni luogo della terra – questo
significa “cattolica” –, la Chiesa può comprendere, a partire dalla propria
esperienza di grazia e di peccato, la bellezza dell’invito all’amore
universale. Infatti, tutto ciò ch’è umano ci riguarda. […] Dovunque i consessi
dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi
siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro.
Come cristiani chiediamo che, nei Paesi in cui siamo minoranza, ci sia
garantita la libertà, così come noi la favoriamo per quanti non sono cristiani
là dove sono minoranza. C’è un diritto umano fondamentale che non va
dimenticato nel cammino della fraternità e della pace: è la libertà religiosa
per i credenti di tutte le religioni.
Chiediamo a Dio di rafforzare
l’unità nella Chiesa, unità arricchita da diversità che si riconciliano per
l’azione dello Spirito Santo.
Tra le religioni è possibile un
cammino di pace. Il punto di partenza dev’essere lo sguardo di Dio.
Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per
concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo, in
modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro contesto,
non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di
negazione dell’altro. La verità è che la violenza non trova base alcuna nelle
convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni.
Il culto a Dio, sincero e umile, porta non
alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità
della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole
impegno per il benessere di tutti». In realtà, chi non ama non ha conosciuto
Dio, perché Dio è amore (1 Gv 4,8).
Il terrorismo a sfondo religioso non
è dovuto alla religione – anche se i terroristi la strumentalizzano – ma è
dovuto alle accumulate interpretazioni errate dei testi religiosi, alle
politiche di fame, di povertà, di ingiustizia, di oppressione, di arroganza.
Occorre condannare un tale
terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni.
Il comandamento della pace è
inscritto nel profondo delle tradizioni religiose che rappresentiamo.
Come leader religiosi siamo chiamati ad essere veri
“dialoganti”, ad agire nella costruzione della pace non come intermediari, ma
come autentici mediatori. Gli intermediari cercano di fare sconti a tutte le
parti, al fine di ottenere un guadagno per sé. Il mediatore, invece, è colui
che non trattiene nulla per sé, ma si spende generosamente, fino a consumarsi,
sapendo che l’unico guadagno è quello della pace. Ciascuno di noi è chiamato ad
essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l’odio e
non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri!
In quell’incontro fraterno,
che ricordo con gioia, con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, abbiamo fermamente
dichiarato che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano
sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo
spargimento di sangue.
Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno
di essere difeso da nessuno e non vuole che il suo nome venga usato per
terrorizzare la gente . Perciò desidero riprendere qui l’appello alla
pace, alla giustizia e alla fraternità che abbiamo fatto insieme:
«In nome di Dio che ha
creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e
li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e
diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace;
in nome dell’innocente anima
umana, dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati, degli orfani,
delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro
paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle
ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di
guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna,
in nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune
convivenza, in nome della fratellanza
umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali,
in nome di questa fratellanza lacerata
dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e
dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli
uomini, in nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani,
creandoli liberi e distinguendoli con essa, iin nome della giustizia e della
misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede, in nome di
tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra, in nome
di Dio e di tutto questo, […]
dichiariamo] di adottare la cultura del dialogo come
via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come
metodo e criterio».
* * *
In questo spazio di riflessione
sulla fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da
altri fratelli che non sono cattolici: Martin
Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma voglio
concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire
dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione
fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld.
Egli andò orientando il suo ideale
di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi,
abbandonati nel profondo del deserto africano. Voleva essere, in definitiva, «il fratello universale». Ma solo
identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti.
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Testo integrale
271. Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni
persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono
un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della
giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si
fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza. Come hanno insegnato i
Vescovi dell’India, «l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace,
armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito
di verità e amore».
Il fondamento ultimo
272. Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci
possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo
convinti che «soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può
vivere in pace fra noi». Perché «la ragione, da sola, è in grado di
cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra
loro, ma non riesce a fondare la fraternità».
273. In questa prospettiva, desidero ricordare un testo memorabile: «Se non
esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua
piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti
rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione li
oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità
trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare
fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la
propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro. […] La radice del
moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della trascendente
dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio
per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare:
né l'individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo Stato. Non può
farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la
minoranza» [dall’enciclica Carità nella
verità (2009) del papa Benedetto 16°].
274. A partire dalla nostra esperienza di fede e dalla sapienza che si è
andata accumulando nel corso dei secoli, imparando anche da molte nostre
debolezze e cadute, come credenti delle diverse religioni sappiamo che rendere
presente Dio è un bene per le nostre società. Cercare Dio con cuore sincero,
purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o strumentali, ci
aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli. Crediamo che
«quando, in nome di un’ideologia, si vuole estromettere Dio dalla società, si
finisce per adorare degli idoli, e ben presto l’uomo smarrisce sé stesso, la
sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati. Voi sapete bene a quali
brutalità può condurre la privazione della libertà di coscienza e della libertà
religiosa, e come da tale ferita si generi una umanità radicalmente impoverita,
perché priva di speranza e di riferimenti ideali».
275. Va riconosciuto come «tra le più importanti cause della crisi del mondo
moderno vi siano una coscienza umana anestetizzata e l’allontanamento dai
valori religiosi, nonché il predominio dell’individualismo e delle filosofie
materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali
al posto dei principi supremi e trascendenti». Non è accettabile che nel
dibattito pubblico abbiano voce soltanto i potenti e gli scienziati.
Dev’esserci uno spazio per la riflessione che procede da uno sfondo religioso
che raccoglie secoli di esperienza e di sapienza. «I testi religiosi classici
possono offrire un significato destinato a tutte le epoche, posseggono una
forza motivante», ma di fatto «vengono disprezzati per la ristrettezza di visione
dei razionalismi».
276. Per queste ragioni, benché la Chiesa rispetti l’autonomia della politica,
non relega la propria missione all’ambito del privato. Al contrario, «non può e
non deve neanche restare ai margini» nella costruzione di un mondo migliore, né
trascurare di «risvegliare le forze spirituali» che possano fecondare tutta la
vita sociale. È vero che i ministri religiosi non devono fare politica
partitica, propria dei laici, però nemmeno possono rinunciare alla dimensione
politica dell’esistenza che implica una costante attenzione al bene comune
e la preoccupazione per lo sviluppo umano integrale. La Chiesa «ha un ruolo
pubblico che non si esaurisce nelle sue attività di assistenza o di educazione»
ma che si adopera per la «promozione dell’uomo e della fraternità
universale». Non aspira a competere per poteri terreni, bensì ad offrirsi
come «una famiglia tra le famiglie – questo è la Chiesa –, aperta a
testimoniare […] al mondo odierno la fede, la speranza e l’amore verso il
Signore e verso coloro che Egli ama con predilezione. Una casa con le porte
aperte. La Chiesa è una casa con le porte aperte, perché è madre». E come
Maria, la Madre di Gesù, «vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce di
casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita,
sostenere la speranza, essere segno di unità […] per gettare ponti, abbattere
muri, seminare riconciliazione».
L’identità cristiana
277. La Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle altre religioni, e «nulla
rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con
sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle
dottrine che […] non raramente riflettono un raggio di quella verità che
illumina tutti gli uomini». Tuttavia come cristiani non possiamo
nascondere che «se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre
viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza
che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua
fonte nel saperci sempre perdonati-inviati. Se la musica del Vangelo smette di
suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella
politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare
per la dignità di ogni uomo e donna». Altri bevono ad altre fonti. Per
noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù
Cristo. Da esso «scaturisce per il pensiero cristiano e per l’azione della
Chiesa il primato dato alla relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro,
alla comunione universale con l’umanità intera come vocazione di tutti».
278. Chiamata a incarnarsi in ogni situazione e presente attraverso i secoli
in ogni luogo della terra – questo significa “cattolica” –, la Chiesa può
comprendere, a partire dalla propria esperienza di grazia e di peccato, la
bellezza dell’invito all’amore universale. Infatti, «tutto ciò ch’è umano ci
riguarda. […] Dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i
diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di
assiderci fra loro». Per molti cristiani, questo cammino di fraternità ha
anche una Madre, di nome Maria. Ella ha ricevuto sotto la Croce questa
maternità universale (cfr Gv 19,26) e la sua attenzione è
rivolta non solo a Gesù ma anche al «resto della sua discendenza» (Ap 12,17).
Con la potenza del Risorto, vuole partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo
fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato delle nostre società, dove
risplendano la giustizia e la pace.
279. Come cristiani chiediamo che, nei Paesi in cui siamo minoranza, ci sia
garantita la libertà, così come noi la favoriamo per quanti non sono cristiani
là dove sono minoranza. C’è un diritto umano fondamentale che non va
dimenticato nel cammino della fraternità e della pace: è la libertà religiosa
per i credenti di tutte le religioni. Tale libertà manifesta che possiamo
«trovare un buon accordo tra culture e religioni differenti; testimonia che le
cose che abbiamo in comune sono così tante e importanti che è possibile
individuare una via di convivenza serena, ordinata e pacifica, nell’accoglienza
delle differenze e nella gioia di essere fratelli perché figli di un unico
Dio».
280. Nello stesso tempo, chiediamo a Dio di rafforzare l’unità nella Chiesa,
unità arricchita da diversità che si riconciliano per l’azione dello Spirito
Santo. Infatti «siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo
corpo» (1 Cor 12,13), dove ciascuno dà il suo apporto peculiare.
Come diceva Sant’Agostino, «l’orecchio vede attraverso l’occhio, e l’occhio ode
attraverso l’orecchio». È urgente inoltre continuare a dare testimonianza di un
cammino di incontro tra le diverse confessioni cristiane. Non possiamo
dimenticare il desiderio espresso da Gesù: che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).
Ascoltando il suo invito, riconosciamo con dolore che al processo di
globalizzazione manca ancora il contributo profetico e spirituale dell’unità
tra tutti i cristiani. Ciò nonostante, «pur essendo ancora in cammino verso la
piena comunione, abbiamo sin d’ora il dovere di offrire una testimonianza
comune all’amore di Dio verso tutti, collaborando nel servizio all’umanità».
Religione e violenza
281. Tra le religioni è possibile un cammino di pace. Il punto di partenza
dev’essere lo sguardo di Dio. Perché «Dio non guarda con gli occhi, Dio guarda
con il cuore. E l’amore di Dio è lo stesso per ogni persona, di qualunque
religione sia. E se è ateo, è lo stesso amore. Quando arriverà l’ultimo giorno
e ci sarà sulla terra la luce sufficiente per poter vedere le cose come sono,
avremo parecchie sorprese!».
282. Anche «i credenti hanno bisogno di trovare spazi per dialogare e agire
insieme per il bene comune e la promozione dei più poveri. Non si tratta di
renderci tutti più light o di nascondere le convinzioni
proprie, alle quali siamo più legati, per poterci incontrare con altri che
pensano diversamente. […] Perché tanto più profonda, solida e ricca è
un’identità, tanto più potrà arricchire gli altri con il suo peculiare
contributo». Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre
fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del
prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro
contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia,
di negazione dell’altro. La verità è che la violenza non trova base alcuna
nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni.
283. Il culto a Dio, sincero e umile, «porta non alla discriminazione,
all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al
rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il
benessere di tutti». In realtà, «chi non ama non ha conosciuto Dio, perché
Dio è amore» (1 Gv 4,8). Pertanto, «il terrorismo esecrabile che
minaccia la sicurezza delle persone, sia in Oriente che in Occidente, sia a
Nord che a Sud, spargendo panico, terrore e pessimismo non è dovuto alla
religione – anche se i terroristi la strumentalizzano – ma è dovuto alle
accumulate interpretazioni errate dei testi religiosi, alle politiche di fame,
di povertà, di ingiustizia, di oppressione, di arroganza; per questo è
necessario interrompere il sostegno ai movimenti terroristici attraverso il
rifornimento di denaro, di armi, di piani o giustificazioni e anche la
copertura mediatica, e considerare tutto ciò come crimini internazionali che
minacciano la sicurezza e la pace mondiale. Occorre condannare un tale
terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni». Le convinzioni
religiose riguardo al senso sacro della vita umana ci permettono di
«riconoscere i valori fondamentali della comune umanità, valori in nome dei
quali si può e si deve collaborare, costruire e dialogare, perdonare e
crescere, permettendo all’insieme delle diverse voci di formare un nobile e
armonico canto, piuttosto che urla fanatiche di odio».
284. Talvolta la violenza fondamentalista viene scatenata in alcuni gruppi di
qualsiasi religione dall’imprudenza dei loro leader. Tuttavia, «il
comandamento della pace è inscritto nel profondo delle tradizioni religiose che
rappresentiamo. […] Come leader religiosi siamo chiamati ad
essere veri “dialoganti”, ad agire nella costruzione della pace non come
intermediari, ma come autentici mediatori. Gli intermediari cercano di fare
sconti a tutte le parti, al fine di ottenere un guadagno per sé. Il mediatore,
invece, è colui che non trattiene nulla per sé, ma si spende generosamente,
fino a consumarsi, sapendo che l’unico guadagno è quello della pace. Ciascuno
di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo,
estinguendo l’odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non
innalzando nuovi muri!».
Appello
285. In quell’incontro fraterno, che ricordo con gioia, con il Grande
Imam Ahmad Al-Tayyeb, abbiamo fermamente dichiarato che le religioni non
incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità,
estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste
sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico
delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione
che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento
religioso sui cuori degli uomini […]. Infatti Dio, l’Onnipotente, non ha
bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il suo nome venga usato per
terrorizzare la gente». Perciò desidero riprendere qui l’appello alla
pace, alla giustizia e alla fraternità che abbiamo fatto insieme:
«In nome di Dio che ha
creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e
li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e
diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace.
In nome dell’innocente
anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una
persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come
se avesse salvato l’umanità intera.
In nome dei poveri, dei
miseri, dei bisognosi e degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere
come un dovere richiesto a tutti gli uomini e in particolar modo a ogni uomo
facoltoso e benestante.
In nome degli orfani,
delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro
paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle
ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di
guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna.
In nome dei popoli che
hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle
distruzioni, delle rovine e delle guerre.
In nome della fratellanza
umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali.
In nome di questa fratellanza lacerata
dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e
dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli
uomini.
In nome della libertà,
che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli
con essa.
In nome della giustizia
e della misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede.
In nome di tutte le
persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra.
In nome di Dio e di
tutto questo, […] [dichiariamo] di adottare la cultura del dialogo come via, la
collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e
criterio».
* * *
286. In questo spazio di riflessione sulla fraternità universale, mi sono
sentito motivato specialmente da San
Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma voglio concludere ricordando
un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa
esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi
fratello di tutti. Mi riferisco al Beato
Charles de Foucauld.
287. Egli andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso
un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto
africano. In quel contesto esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque
essere umano come un fratello, e chiedeva a un amico: «Pregate Iddio
affinché io sia davvero il fratello di tutte le anime di questo paese». Voleva
essere, in definitiva, «il fratello universale». Ma solo identificandosi con
gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in
ognuno di noi. Amen.