ripubblico
Accettare la
complessità dell'esistenza
23-1-14
Per come la vedo io in base alla mia personale
esperienza di ultracinquantenne vissuto sempre con relazioni sociali piuttosto
intense, la fede religiosa risente
abbastanza della complessità dell'esistenza umana, sia nella dimensione
dell'interiorità individuale sia nella dimensione collettiva. E questo anche se
talvolta, nell'afflato spirituale, si ha la sensazione di essere portati come
su ali d'aquila e di riuscire a cogliere
il senso autentico della propria storia e di quella del mondo in cui si
vive. Ciò accade in genere non nel mezzo delle lotte della vita, e la vita
degli esseri umani è in gran parte lotta, ma quando, ad un certo momento che
viene sempre per ognuno, ci si abbandona,
si getta uno sguardo retrospettivo alla propria esistenza e si scopre di aver
fatto una buona battaglia, ma che il
compimento non verrà da ciò che si è fatto, perché la meta che ci si era
prefissi non è stata raggiunta, ma in
un'altra dimensione, in una
realtà che ha contatti con il mondo nel quale si è combattuto ma che non gli appartiene, e che in ciò consiste quella
particolare gioia dell'essere che
definiamo come beatitudine, per cui
si può essere beati anche nella
povertà, nella sofferenza, nel pianto, nella persecuzione, insomma nel dolore
che, inevitabilmente, impregna l'esistenza degli esseri umani, come del resto
quella di ogni essere vivente, e che, comunque, non si è mai cessato di
combattere, al quale comunque non ci è mai rassegnati.
Benché quindi arrivi sempre, nella nostra vita, l'ora in cui si deve accettare
di essere portati là dove non si vorrebbe, quel momento in cui la natura e il
mondo hanno la meglio sulla nostra esistenza individuale e su ogni nostro
sforzo di resistenza, ciò, in una dimensione religiosa animata dalla nostra
fede, non è mai rassegnazione ad un
destino cieco e insensato, a quella potenza superna che nell'antica fede
greco-romana sovrastava gli stessi dei, dunque un consegnarsi a forze infere
che trascinano alla definitiva perdizione, ma consegnare il proprio spirito in
buone mani, in quelle dell'essere benevolo del quale crediamo di aver
riconosciuto l'opera in tutto ciò che c'è nel mondo intorno a noi, nella natura
e nella storia degli esseri umani, per cui crediamo che il mondo, natura e
storia, sia opera sua e che verso di lui sia trascinato, e del quale crediamo di aver udito la voce. Se
quindi, nella mia esperienza, vivere
in una dimensione di fede è senz'altro alla portata di chiunque, non essendo
necessario essere particolarmente complicati
per farlo, ragione per cui si può essere persone di fede anche da bambini molto
piccoli e rimanendo persone semplici,
e addirittura da questa posizione insegnare
ai grandi e a coloro che sono diventati complicati,
è anche vero che la nostra fede religiosa non significa tagliare corto con la complessità della vita e pensare che in ogni cosa, semplicemente avendo fede, la soluzione
di ogni problema della vita personale e collettiva sia a portata di mano e
chiara, e in particolare che, di fronte alle avversità dell'esistenza, la
soluzione sia quella dell'accettazione/rassegnazione
al peggio. Un animo veramente religioso secondo la nostra fede, per come ho potuto constatare, non si lascia dettar legge dalla natura e dalla storia, in ciò che
definiamo mondo, e in questo quindi non è del mondo, anche se rimane nel mondo e cerca di capirne le leggi non semplicemente per
assoggettarvisi, ma per discernerne il bene dal male, combattendo strenuamente
quest'ultimo e non cessando mai di sperare
nel compimento beato, nel senso che
ho detto sopra. Quindi, ad esempio, pure essendo realisticamente consapevoli
della nostra mortalità, che è dura legge
di natura, non cessiamo di credere
nella nostra immortalità e, anzi, questo è il fondamento della nostra fede, perché ci è stato insegnato che, se
non credessimo nella nostra immortalità,
essa sarebbe vana.
Viene sempre un momento, ogni giorno, e deve venire, nella spiritualità della
vita di una persona di fede, nella preghiera e nella meditazione quotidiane, in
cui si fa l'esperienza dell'abbandono al compimento
beato e lo si invoca nel dialogo con l'essere buono, fondamento di tutto,
del quale crediamo di continuare a sentire la voce nella nostra storia, e
allora questo, nel mezzo della nostra lotta esistenziale, è un momento di vero riposo, non come quando storditi dalla
fatica o dalla sofferenza si piomba in
un sonno disperato senza sogni, come si narra che sia accaduto ai più stretti
del nostro primo Maestro nella notte d'angoscia ai Getsèmani, ma al modo in cui
da bambini si riposa sentendosi al
sicuro vicino ai propri genitori: il fondamento di tutto è padre e madre, ci
viene insegnato in religione, non un impersonale meccanismo fisico e biologico.
E in momenti come questi, di cui dobbiamo
creare l'occasione giorno per giorno, la vita di fede non consistendo solo in
un'esperienza intellettuale, non si esaurisce quindi solo nel credere nel senso
di convincersi, momenti che in un
certo senso sono come l'anticipazione
del compimento beato, è in momenti come questi dunque che pensiamo talvolta di cogliere veramente, come anticipazione, il senso ultimo della
nostra esistenza. Ma ciò che intuiamo
nella fede e nella preghiera non ci esime però dallo sforzo di capire il mondo in cui viviamo per agire consapevolmente in esso anche
secondo esigenze religiose. In questo senso la fede non è una semplificazione dell'esistenza, che
rimane con il grado di complessità del mondo in cui uno si trova a vivere. La
fede quindi, a mio modo di vedere, produce in certo senso una semplificazione interiore, ma non autorizza all'ingenuità nella vita, per cui si possa
pensare che, di fronte a ogni dilemma, la persona di fede, solo per il fatto di
essere tale, abbia chiara la via e non debba invece ricercarla e anzi, talvolta, costruirla
faticosamente come in mezzo a un deserto, o forse ad una giungla, e
talvolta in mezzo a macerie esistenziali proprie e altrui. E ciò, in
particolare, in un mondo complesso come quello in cui viviamo, in cui
l'esistenza di un numero di persone enormemente superiore a quello dei tempi
antiche dipende dalla capacità, acquisita storicamente come conquista
culturale, di governare procedure di produzione e di scambio, a livello
planetario, estremamente sofisticate, per cui, ad esempio, i problemi della
nostra vita non sono più solo quelli ai quali fanno riferimento certe metafore
che troviamo nelle nostre Scritture e che erano propri degli antichi ambienti
contadini e di pastori. Ad esempio, nell'ultima accorata esortazione del nostro vescovo e padre universale troviamo
addirittura una riflessione su una teoria economica che va per la maggiore per
comprendere le dinamiche del mondo in cui oggi viviamo e se ne esplicitano i
riflessi negativi alla luce delle nostre convinzioni di fede:
54. In questo contesto, alcuni
ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che
ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per
sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non
è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua
nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi
sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi
continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli
altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata
una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo
incapaci di provare compassione
[dall'esortazione apostolica Evangelii
Gaudium (=la gioia del Vangelo), del papa Francesco, del 24-11-13].
Nel volgere di circa quattro secoli dalle
origini, dopo l'evento della Resurrezione, le
nostre collettività religiose si sono dovute confrontare con il problema
del governo delle società del loro
tempo, che in fondo era estraneo all'esperienza delle nostre prime collettività
di fede e, dunque, alla riflessione da esse prodotta e rappresentata in quella
parte delle nostre Scritture da essa scaturita, mentre non lo era nella parte
delle Scritture che abbiamo ricevuto dall'antico giudaismo. Questa esperienza
di governo è stata tanto importante che ha prodotto storicamente ciò che
riconosciamo essere addirittura una vera e propria civiltà. E ancora oggi nell'educazione di fede, ad esempio proprio
in Azione Cattolica, si dà molta rilevanza all'impegno specificamente religioso
nella formazione professionale in particolare dei laici di fede, per essere
preparati per quel lavoro di ordinare le
cose del mondo secondo gli ideali di fede in cui in fondo consiste proprio
quell'attività di governo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in
San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli