Michela Murgia, Stai
zitta e altre nove frasi che non vogliamo più sentire
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Scheda di lettura
«Andrea non dice ‘Non sono maschilista’, dice ‘vivo in un sistema
maschilista, ma voglio cambiarlo”. Se qualcuno si chiedesse che aspetto abbia
un femminista, io credo sia fatto così.»
Questa è una frase che potrete leggere nell’utilissimo
libro di Michela Murgia, Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo più
sentire, Einaudi, 2021, €12,35, disponibile anche in e-book ad €7,99. Spiega
la differenza tra colpa e responsabilità. Ho letto che l’autrice è stata
animatrice e dirigente in Azione Cattolica: è quindi una di noi.
Un uomo
può non avere abitualmente atteggiamenti sessisti verso le donne e non sentirsi
quindi maschilista, ma vive in una società ancora fortemente maschilista
e se ne avvantaggia: quindi deve
sentirsene responsabile, altrimenti ne è complice.
Noi maschi nasciamo con un bagaglio di
privilegi che possiamo far finta di non vedere. In questo bisogna distinguere,
dice Murgia, tra colpa e responsabilità. La colpa è un carico morale esclusivamente
personale e, a meno che non si sia praticata deliberatamente l’ingiustizia o
una violenza, se ne è esenti. La responsabilità è invece un carico etico
collettivo che cir riguarda tutti e tutte, perché le regole che seguiamo ogni
giorno reggono la diseguaglianza che viviamo. La colpa ce l’hai o non ce l’hai.
La responsabilità invece ce l’assumiamo se pensiamo che quella diseguaglianza
ci riguardi e che possiamo fare qualcosa per rimediarvi.
“Non
sono maschilista”, aggiunge
l’autrice, significa in fondo dire “Le
conseguenze del maschilismo non sono un mio problema e non lo devo risolvere
io”. E’ diverso, appunto, dire invece:”‘vivo
in un sistema maschilista, ma voglio cambiarlo”.
Quando ho letto la recensione del libro, mi ha
incuriosito e l’ho subito comprato, pensando che parlasse degli altri maschi,
non di me, che non mi ritengo maschilista. Mi sono dovuto ricredere:
parla proprio anche di me! Me l’ha fatto notare mia moglie, quando
gliene ho parlato: “stai zitta”, me lo dici sempre, mi ha rinfacciato. E
devo ammettere che è così.
Praticamente ho pensato o detto tutto ciò che
viene condannato nel libro, compreso il “Non sono maschilista!”, e non
ho nemmeno la scusa di non essermi reso conto della sua ingiustizia.
Semplicemente ho considerato normale che le altre lo accettassero come normale.
Cercherò di correggermi perché non sopporto
più di essere così. Il mondo non è bello così. Divenendo anziano mi sta
divenendo sempre più penoso trovarmi tra maschi, i quali in genere la pensano
così e fanno e dicono così: sono noiosi, prevedibili, scontati, insopportabili.
Dico così di loro, ma è perché anch’io mi comincio a vedermi brutto in quel modo. E come faccio, allora, in una
Chiesa che è una delle centrali mondiali del sessismo? Ci sto, ma protestando e
cercando di persuadere, spingere, anche lottare perché si sia diversi.
Altrimenti mi riuscirebbe insopportabile rimanere anche lì.
In qualcosa mi pare di stare cambiando: nell’empatia. Sento come
mia l’umiliazione delle donne. Ad esempio quando alcune teologhe hanno detto di
sentirsi in fondo umiliate per la recente concessione dell’accolitato e
del lettorato femminile, ministeri che da almeno cinquant’anni sono di fatto pratica
corrente in chiesa. Di quanti tesori di sapienza siamo stati privati nella
predicazione per esserne stare mantenute pretestuosamente escluse le donne
nella nostra Chiesa!
Il linguaggio è un’infrastruttura culturale
che riproduce i rapporti di potere: è vero. E nella nostra Chiesa è proprio a
quel fine che viene utilizzato contro le donne. E nemmeno si può reagire quando
lo si infila nelle omelie. Quanto spesso in quel contesto le donne sono
diffamate!
Il sessismo, scrive Murgia, come il razzismo è
una cultura aggressiva: pensare che basti viverci dentro passivamente per non
averci niente a che fare è un’illusone che nessuno può permettersi di
coltivare. E, allora, ben vengano norme che ce lo ricordano.
In un incontro recente mi è stato chiesto se la
legge contro le discriminazioni di genere,
che a novembre è stata approvata alla Camera ed è ora all’esame del
Senato, potrebbe colpire nella nostra
Chiesa: certamente, ho
risposto, pur in presenza
di questa esimente
Art. 4.
(Pluralismo delle idee e libertà
delle scelte)
Ai fini della presente
legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni
nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla
libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del
compimento di atti discriminatori o violenti.
perché è molto
frequente negli ambienti ecclesiali un linguaggio che porta immediatamente alla
discriminazione. E io non avrei remore a chiedere la condanna di chi lo
pratica. In genere però non solo è un modo di esprimersi che si considera
ovvio, ma addirittura ortodosso. Ciò sebbene il Maestro non l’abbia mai usato,
stando a quello che si legge nei Vangeli. E si sa quali acrobazie si fanno
nella predicazione quando, ad esempio, si affronta a messa l’episodio di Marta
e Maria, nel quale è scritto che Maria scelse la parte migliore trascurando le
faccende domestiche per ascoltare il Maestro, per precisare però, contrariamente
alla lettera del Vangelo, che anche Marta non sbagliava…che
insomma il posto delle donne è in fondo quello di Marta. E invece con quanto
compiacimento si ricama sopra quel brano biblico del libro della Sapienza,
inflitto ogni anno alle fedeli, in cui si ricordano le virtù casalinghe delle
donne!
Per non parlare dell’elogio di quella che
Murgia chiama mammitudine, contrapposta ad esempio alla
criminalizzazione della donna che si fa praticare l’aborto, presentata come
l’apice della malvagità, peggio degli stragisti, invece che come una persona rimasta incastrata
in un ingranaggio sociale oggettivamente contro la donna madre, che in certe
condizioni disperate nondimeno condanna la donna alla maternità. Per nostra
consolazione, alla spietatezza dei teologi dogmatici, corrisponde invece la
misericordia della pastorale di prossimità, che soccorre e solleva, e talvolta
con quello riesce anche a salvare le vite dei nascituri.
Non è vero che ci si meraviglia quando una
donna ha un successo in qualche campo e allora si cerca di sapere se è anche una
mamma, per poter dire “è pensare che è anche mamma”? Di un uomo di successo non
si va mai a vedere subito se è anche papà.
E poi
quello che l’autrice definisce uno dei peggiori pregiudizi sessisti: quello
secondo il quale gli uomini sono esseri razionali e le donne relazionali. Un
maschio fa le cose per un perché,
mentre una femmina solo se ha un per chi.
Se non c’è l’ha bisogna temerla.
L’attitudine dolce delle donne
dipenderebbe dalla loro mammitudine, mentre, osserva Murgia, in natura
in realtà le madri diventano più aggressive.
E le donne che scelgono di non essere madri
son presentate come disumane ed egoiste. Un motivo ricorrente nella
predicazione. E i preti allora?
La donna potente, scrive l’autrice, se è
madre, sembra far meno paura a chi il potere lo ha visto solo in mano agli
uomini. Questi ultimi sembrano spaventarsi delle donne che non si mostrano docili e piene di mammitudine.
Avere figli per gli uomini sembra non avere
niente a che fare con la loro dimensione pubblica, al contrario delle donne che
devono mostrare di saper e potere conciliare maternità e professione.
Se la donna non accetta un ruolo di tipo accudente e accogliente si fa la fama di durezza che viene valutata
negativamente, mentre per gli uomini viene considerata una virtù, quella della determinazione.
Un uomo che dissente è una voce coraggiosa,
una donna che lo fa è una rompipalle che ha da ridire su tutto, osserva Murgia.
Aggiunge che il patriarcato non tollera il dissenso e ha metodi violenti per
combatterlo. Dire che la discriminazione non va bene è un passaggio faticoso,
ma, osserva l’autrice, è per merito di quelle che hanno avuto il coraggio di
farlo che ora ci si può salvare da un matrimonio finito male, scegliere di
diventare madri o no, fare le magistrate, non essere costrette a sposare il
proprio stupratore e avere altri piccoli diritti.
Infine, ricorda Murgia, lo spettro della zittellagine. L’orrore degli orrori secondo la cultura patriarcale: queste creature
spaventabili che sono gli uomini si terrorizzeranno talmente della donna che
dissente e protesta a tal punto che nessuno la vorrà mai. Nella concezione
patriarcale la peggiore sventura che possa accadere a una donna è restare senza
un uomo.
Scrive Murgia:
«E’ una leggenda e bisogna gridarlo forte. Gli unici uomini
che si spaventano se una donna protesta contro un’ingiustizia sono quelli che hanno la responsabilità deliberata o
tacita di quell’ingiustizia. Gli altri non solo non hanno alcun problema con le
donne che protestano, ma sempre più spesso si attrezzano per aiutarle».
Così, d’ora in avanti,
mi propongo di fare io, dovunque in società, in particolare nella Chiesa e sul
lavoro.
Vi consiglio caldamente il libro di cui ho
scritto.
Grazia Michela Murgia!
Mario Ardigò - Azione
Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli