Enciclica Fratelli tutti - numeri da 197 a 218 -
sintesi
-
(per l'incontro in Google Meet di oggi, ore 16:45)
0. La
parte dell’enciclica che sintetizzo è dedicata al dialogo come metodo per
creare una cultura dell’incontro e, da questa, un’amicizia sociale.
0.1 Amicizia sociale è l’espressione usata
dal Magistero per intendere la democrazia,
parola che non si vuole impiegare perché potrebbe fatalmente essere estesa
all’organizzazione ecclesiastica e generare una richiesta di partecipazione ai ministeri ecclesiali che potrebbe mettere
in pericolo la loro struttura feudale. Il legame tra democrazia e amicizia fu
posto dal filosofo greco Aristotele (vissuto nel Quarto secolo dell’era
antica), uno dei primi teorizzatori della politica. La concezione passò nella
teologia cattolica tramite il pensiero di Tommaso D’Aquino (vissuto nel
Duecento) e dei suoi seguaci. Alla politica come amicizia si contrappone l’idea
della politica come esercizio di supremazia e, in particolare, nella nostra
Chiesa, di autorità esercitata su mandato divino, che quindi scende dall’alto e non può mai essere
veramente partecipata: colui che ha
ricevuto un mandato si limita ad eseguire
e l’incarico gli può sempre essere
revocato da chi glielo ha dato. In democrazia, invece, ognuno ha un diritto
proprio, irrevocabile, a partecipare all’esercizio del potere, sebbene nell’interesse pubblico, della collettività.
La democrazia presuppone l’eguaglianza, la supremazia la diseguaglianza
sociale.
1. «Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi,
guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto
questo si riassume nel verbo “dialogare”».
L’incontro richiede di
dialogare.
Un Paese cresce quando dialogano
le sue diverse ricchezze culturali. Non si tratta solo di scambiarsi opinioni,
Occorre produrre una sintesi. Questo è impossibile se si cerca
di screditare i propri interlocutori. Dal dialogo si dovrebbe uscire sempre un
po’ cambiati.
Il dibattito non è produttivo se
manipolato in funzione di interessi egoistici: così nessuno si preoccupa del bene comune.
Gli eroi dei futuro saranno
coloro che sapranno superare quella logica malsana e decideranno di sostenere con rispetto una parola carica di verità, al di là degli interessi personali.
Nel dialogo occorre rispettare
la dignità e quindi il punto di vista degli altri.
La saldezza delle convinzioni
può essere benefica per la società solo se si mantiene la capacità di apertura
agli altri.
La discussione pubblica, se
veramente dà spazio a tutti, permette di raggiungere più adeguatamente la
verità. Le differenze, anche se creano tensioni, nel dialogo contribuiscono al
progresso.
Anche nelle discipline scientifiche si cerca la comunicazione, perché la
realtà è una anche se accostata secondo diverse prospettive e metodologie. Ma
l’approccio scientifico non è il solo possibile: è possibile riconoscere altre
dimensioni della realtà
I media e le reti sociali telematiche possono
aiutarci nel farci più prossimi, purché
non spingano le persone a dare il peggio di sé.
2. Ci sono verità oggettive che vanno
riconosciute: ad esempio la verità della dignità umana che è legata alla nostra
natura, frutto della Creazione. Le si riconosce con la ragione e le si accetta
in coscienza. Bisogna esercitarsi a smascherare le deformazioni e
l’occultamente delle verità e a cogliere quelle che non mutano, i valori
universali. Altrimenti si finisce nelle mani dei potenti di turno.
L’individualismo spietato in cui
siamo caduti è il risultato della pigrizia nel cercare valori più alti.
Davanti alle esigenze morali
siamo tutti uguali (uguaglianza nei doveri etici).
Il calcolo economico dei
vantaggi e degli svantaggi non sorregge un’etica valida. Così non si può più parlare di giustizia:
essa diventa lo specchio delle idee dominanti.
La logica della forza allora predomina.
3. Il dialogo, in una società aperta, è la via
per riconoscere ciò che deve essere sempre affermato e rispettato.
Bisogna accettare che vi siano
valori permanenti, anche se non è se sempre facile riconoscerli. Questi valori
non dipendono dal consenso sociale e non sono mai negoziabili.
Ci sono cose che sono sempre
convenienti per il funzionamento della società. Da esse derivano poi esigenze
che si devono scoprire nel dialogo, anche se non sono costruite in senso
stretto a partire dal consenso.
Convenienza sociale, consenso e
verità oggettive possono unirsi armoniosamente in un dialogo coraggioso.
L’esigenza di rispettare la
dignità delle persone non l’abbiamo inventata noi perciò è un valore superiore,
una verità corrispondente alla natura umana, che persiste oltre ogni
cambiamento. L’essere umano possiede la stessa dignità in qualunque epoca
storica.
Per i credenti, la natura umana,
fonte dei principi etici, è stata creata da Dio, il quale, in ultima istanza,
conferisce solido fondamento a quei principi.
4. Occorrere fare
crescere una cultura dell’incontro. Essa tende a
fondare come un poliedro, con molte
facce e moltissimi lati, che compongono un’unità ricca di sfumature, perché il tutto è superiore alle parti. Il
poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono, integrandosi,
arricchendosi, illuminandosi.
Bisogna includere le periferie perché chi ci vive vede aspetti della realtà
non conosciuti dove si prendono le decisioni determinanti.
La cultura è qualcosa che è penetrato nel popolo.
Parlare di cultura dell’incontro significa
che come popolo ci appassiona il volerci
incontrare, per cercare punti di contatto.
Il soggetto dell’incontro è il popolo.
La pace è un lavoro artigianale
ed è frutto della cultura dell’incontro, non del tentativo di contenere
libertà, differenze e rivendicazioni sociali perché non facciano troppo
rumore.
Integrare le diversità è più
lento ma più produttivo per la pace.
L’incontro deve rispettare
tutti e coinvoltere tutti, non solo i puri, ma anche le
persone criticabili per i loro errori: ognuno ha qualcosa da apportare che non
deve andare perduto.
Quello che conta è avviare
processi di incontro: «Armiamo i nostri
figli con le armi del dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia
dell’incontro!». Bisogna riconoscere agli altri il diritto di essere se
stessi e di essere diversi. Il disprezzo del diverso, in particolare perché pensiamo che danneggi i nostri interessi, è una
violenza più subdola di quella visibile.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli