Mille anni
16-6-14
L'organizzazione
della nostra collettività di fede, così come oggi ci appare e la conosciamo
risale a circa mille anni dopo le origini. Da allora e fino all'inizio degli
scorsi anni '60 è rimasta sostanzialmente la stessa: altri mille anni. Dal libro di Battista Mondin, Le nuove ecclesiologie, del 1980, traggo
questa citazione dal teologo Yves Congar (1904/1995), da L'ecclesiologia al 19° secolo (1960):
"Lo sforzo del
papato era consistito nel definire la chiesa come realtà che è non solo una
associazione spirituale, ma una società propriamente detta, visibile,
istituzionalmente differenziata, gerarchica e indipendente, che ha da parte di
Dio un ordine proprio, dotata non soltanto di realtà spirituali ma di mezzi
visibili, esteriori, insomma una società perfetta, che inoltre possiede
a titolo speciale non solo ministeri spirituali, che dirigono le
coscienze personali verso l'autorità tutta spirituale di Dio, ma anche
ministeri propriamente gerarchici, che hanno ricevuto e rappresentano qui
sulla terra in forma visibile e propriamente giuridica un'autorità
soprannaturale, conferita positivamente da Dio. Autorità che esiste nei vescovi
e che esiste soprattutto, per istituzione formale e speciale di Dio, come
autorità di governo supremo, sacerdozio e ministero, nel papa, successore di
Pietro e vicario di Gesù Cristo, delegato dei suoi poteri".
E' solo tra la prima
e la seconda guerra mondiale (1918-1939) che iniziarono a essere pensate diverse prospettive, ma appunto solo
a livello culturale. Per arrivare a
modifiche normative occorre arrivare al Concilio Vaticano 2° (1962-1965).
Scrive Mondin, nel
testo che ho citato:
"Pur senza dare
nuove definizioni dogmatiche e senza ricorrere a formule teologiche tecniche e
rigorose, ma facendo uso d'un linguaggio semplice di stile biblico, il Vaticano
2° è riuscito a tracciare un'immagine sostanzialmente completa e assai
affascinante della chiesa, assegnando a ogni singola parte l'importanza, il
ruolo, il significato che le compete".
Poi, per chiarire il senso del cambiamento cita Georges
Dejaifve (L'ecclesiologia del Concilio
Vaticano 2° - 1973):
"Nella storia
della chiesa il giorno che ha segnato la promulgazione della costituzione Lumen
gentium [=Luce per le genti]
apparirà in avvenire certamente come un inizio d'un'era nuova … La costituzione
Lumen gentium costituisce innegabilmente, a mio parere, una svolta nell'ecclesiologia
cattolico-romana … Si può dire che siamo passati da una chiesa-istituzione a
una chiesa-comunità, da una chiesa potenza a una chiesa povera e
pellegrina".
"Siamo
passati…" scriveva, nel 1973, Dejaifve. Con il senno del poi, dopo
quarantuno anni, e io li ho tutti vissuti consapevolmente, dobbiamo dire meglio
"stavamo passando", quando
ci ha colti l'era glaciale di cui ho scritto nei miei interventi precedenti.
In quei mille anni di
storia che vanno dalla fine del primo millennio della nostra fede alla fine del
secondo millennio ci stanno le varie Inquisizioni, l'antigiudaismo cristiano
omicida, l'evangelizzazione stragista dei nativi americani del Centro e Sud
America e molti altri orrori, fino al disonorevole cedimento verso il fascismo
italiano e gli umilianti silenzi verso il nazismo tedesco, che solo sotto la
guida del grande Papa Giovanni Paolo 2° sono stati ufficialmente riconosciuti,
e con la massima autorevolezza, come
tali nella nostra confessione di fede, ma con
molti dissensi che tuttora perdurano. Un tempo lunghissimo, un'era sulla quale, fino
alla lettura del libro di Mondin, che feci da universitario, non avevo mai
riflettuto bene. Capii quanto le conquiste culturali del Concilio Vaticano 2°
fossero precarie, tenuto conto di quel passato millenario in direzione
contraria, anche se all'epoca non mi rendevo bene conto del perché di tanta
ostilità, che allora come oggi era assai viva e arrivava ad accuse di eresia.
Distaccarsi da
un'organizzazione della nostra collettività che era integralmente un portato
storico e che doveva essere giudicata, nell'azione di purificazione della memoria, insieme alla storia in cui era nata e
vissuta e in cui tanta parte aveva avuto nel bene e nel male, si è rivelato
molto difficile, tanto da far temere che questo non potesse farsi senza
dissolvere la nostra esperienza sociale religiosa. Karolo Wojtyla non avrebbe
scelto di chiamarsi Giovanni Paolo, dai
due nomi dei Papi del Concilio Vaticano 2°, se non avesse avuto la chiara
consapevolezza che distaccarsi si doveva. Pensò tuttavia di poter produrre il
mutamento dal vertice, con l'alta autorità propria del suo ministero religioso,
in tal modo preservando la nostra collettività dal disfacimento. Ma il morbo di
Parkinson che lo colpì non gli lasciò vita e forze sufficienti per riuscirci.
Ha scritto Stefano
Biancu nell'articolo dal titolo "Dall'ombelico
alla città", pubblicato su numero 6/2013 di Coscienza, la rivista del M.E.I.C.:
"…l'antico può rappresentare -oltre che una
ricchezza- una tentazione: una via di fuga spiritualistica e gnostica rispetto
alla sfide che ci attendono. Le polemiche che hanno accompagnato il
cinquantenario del Concilio Vaticano 2° ne sono un esempio eclatante: lo sforzo
legittimo di leggerlo in una ermeneutica della continuità tradisce, presso
alcuni autori, un malcelato desiderio di disattivare la portata rinnovatrice di
quello che è stato un grande progetto culturale. Come non manca mai di
osservare un teologo del calibro di mons. Crispino Valenziano, il Concilio è
infatti - a tutti gli effetti - un progetto culturale: un progetto culturale - fondato su un "ressourcement" [=ritorno]
biblico, patristico, liturgico e
proiettato verso "l'aggiornamento" - che, sotto molti aspetti,
attende da cinquant'anni che si passi alla fase esecutiva. Certo il Concilio
non ha detto tutto e il nostro compito di elaborazione teorica non è dunque
oggi esaurito. Ma ha indicato -con grande lucidità- un metodo: il metodo
dell'ascolto e dell'attenzione ai segni dei tempi".
La spettacolare crisi, con forti connotati
etici, che ha colpito l'anno scorso il vertice romano della nostra confessione,
arroccato dietro l'ultimo baluardo visibile della Chiesa-potenza-società
perfetta a modo del millennio passato, con il suo mini-esercito mercenario, la
sua mini-zecca, e, in miniatura, salvo che per la banca (apparentemente un po' sovradimensionata,
come ci narrano le cronache), tutto il resto di ciò che si ritiene
indispensabile per uno stato, ha
dimostrato che distaccarsi dal passato, cambiare rispetto al nostro tremendo
passato, non è possibile agendo dall'alto: si tratta di costituire un modo
nuovo di essere popolo di fede ed è necessaria un'azione di popolo.
Mario Ardigò - Azione
Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli