Ancora su comunità e istituzione
Per
nostri limiti biologici di specie, per com’è fatta la nostra mente, noi non
facciamo comunità quando siamo oltre una quarantina di persone. Intendiamo per
comunità il gruppo in cui un essere umano possa avere relazioni profonde, significative,
di quelle che sorreggono nel trovare il senso della propria vita. Se ne è
parlato come di mondi vitali.
Ma noi
siamo otto miliardi sulla Terra e le nostre vite sono possibili perché
collegate in un fitto e molto complesso intreccio di relazioni sociali che ci consente di superare la dimensione comunitaria. Questo
rende possibile non solo la convivenza di moltitudini umane, ma anche la produzione e lo scambio dei
beni materiali che ci servono. Di tutto questo abbiamo un’immagine semplificata
nel mito, che non è solo cosa per gli antichi. Quando parliamo di mondo e di umanità siamo già nel mito. Così
anche quando parliamo di natura e, a
proposito di questa, diciamo che la natura fa, la natura crea, la natura distrugge, la natura è ferita. Anche quando parliamo di Italia nel senso di nazione siamo nel mito: Italia e nazione sono concezioni mitiche. Il mito è una
narrazione a cui è impresso un senso e che per
questo dice qualcosa alla nostra emotività. Al di fuori del mito ci sono solo processi, interrelazioni tra forze
che, considerate sotto certe prospettive, possono anche apparirci ordinate a finalità, ma che non hanno un senso come a noi serve. All’origine delle comunità
ci sono queste forze che ne sono anche fattore di coesione.
E la Chiesa
che cos’è?
Dai tempi
del Concilio Vaticano 2° si parla delle famiglie come Chiese
domestiche.
Una famiglia è un gruppo di persone legate da relazioni di particolare intimità
e queste relazioni sono determinate da forze fisiologiche che spingono le
persone a vivere insieme. Se a questa realtà che possiamo riconoscere naturale si aggiunge la condivisione
di miti religiosi, quindi di quest’elemento culturale, e in particolare di miti
cristiani, allora ecco, sì, la famiglia diventa Chiesa. Sappiamo che la teologia morale cattolica
vuole fare distinzioni tra famiglie come si deve ed altre aggregazioni che in
qualche modo usurperebbero il nome di famiglia, ma esse hanno veramente poco
senso, appunto perché la famiglia è basata su
forze naturali, su quell’attrazione fisiologica che determina un’intimità e che senz’altro si produce anche al di fuori
dei modelli approvati dai censori della teologia normativa, come anch’essi
sanno bene ma non vogliono riconoscere. Di modo che anche se costoro negano
benedizioni e minacciano sanzioni a chi le vuole impartire, il risultato
sarà che le famiglie invocheranno da sé la benedizione negata dai gerarchi, rivolgendosi
più in alto.
Ma lo stare
insieme nella Chiesa non è determinato solo dai fattori che ci uniscono nelle
famiglie o in altre comunità in senso proprio. E’ come nelle società nel loro
complesso, il mondo di oggi sopravvive perché ci si organizza in grande. Per
questo la Chiesa può, e deve anche, andare
molto oltre il piccolo gruppo comunitario. C’è in più il mito, e questo però non
basterebbe, e ci sono le istituzioni, vale a dire delle regole organizzative
che assegnano a ciascuna persona il proprio posto e il proprio ruolo, ma sulla
base di miti, altrimenti non funzionano.
E’ così che si riesce a sopravvivere in otto miliardi. Il sacerdozio ministeriale
è una di queste istituzioni: esso venne strutturandosi nei primi tre secoli
della nostra era, e certamente non era individuabile nel primo gruppo di discepoli
del Maestro, il quale non ordinò sacerdoti, né uomini né donne, ed egli stesso,
naturalmente, non si presentò come sacerdote, ma come il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Già
negli scritti biblici attribuiti a Paolo di Tarso notiamo però l’evoluzione dell’idea di un nuovo sacerdozio,
che poi nei secoli successivi sarà ripresa sulla base anche delle narrazioni
dell’Antico Testamento sul sacerdozio giudaico. Ora abbiamo sacerdoti che celebrano un
sacrificio nella Messa, secondo la particolare concezione
cristiana però, che implica anche un fare memoria.
Fino agli
anni Sessanta, la nostra Chiesa si è sviluppata fondamentalmente intorno ai
miti sacerdotali, uno dei più importanti dei quali è quello del Papa come Vicario di
Cristo. Il
mito-istituzione sacerdotale ha iniziato però a rivelarsi insufficiente per mantenere
la coesione ecclesiale occorrente. Questo è dipeso essenzialmente per l’affermarsi
dei processi democratici dall’Ottocento e di un nuovo mito sull’autorità, il
mito del popolo sovrano. Quest’ultimo sta iniziando anch’esso a manifestarsi desueto per il dispotismo
che spesso ne è conseguito, che schiaccia le persone. Quando, nel Concilio Vaticano
2°, si è data tanta importanza alla coscienza personale, ribaltando idee che
avevano prevalso solo fino a pochi decenni addietro, si sono poste le basi di una riforma epocale. Una
volta infatti che si ammette la liceità che il fedele abbia una coscienza libera, necessariamente gli si
deve trovare un posto e un ruolo diversi da quelli del passato, quando i fedeli
li si volevano docili nello stato di gregge, rispetto ai pastori, vale a dire ai sacerdoti
ministeriali. Ancora questo non è riuscito. Nel frattempo le società in cui
siamo immersi stanno ancora cambiando e paradossalmente stanno ripudiando il
valore della coscienza a favore di un neo-populismo, in cui si scambi consenso
contro protezione. In questa prospettiva l’individuo è di nuovo spinto nel
gregge.
Quindi,
passando a una dimensione locale come quella parrocchiale, abbiamo questi
problemi:
-un’istituzione obsoleta
che lavora con miti inadeguati;
-comunità che non riescono
a superare i loro ristretti confini per così dire naturali e che quindi rimangono
piccoli gruppi, senza fare società;
-una società intorno che
spinge verso il neo-populismo e pretende di assimilare a sé la Chiesa-istituzione
e la Chiesa nella sua dimensione comunitaria, avendo però perso dimestichezza
con le cose della Chiesa, con la sua cultura e i suoi miti, limitandosi più che
altro ad agitarne, brandendoli, i suoi simboli, riti, locuzioni, quindi concentrandosi
su aspetti tutto sommato marginali, inessenziali.
In passato, il
ritorno alla pratica del vangelo, a ciò che invece è essenziale, si è rivelata
una buona via. Già, perché il vangelo è
molto più un libro, come è stato osservato, è vita vissuta, e quando mi danno
del seguace di una religione del libro non è che me ne senta molto soddisfatto.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli