Miti e tiranni
Tiranno è colui che pretende di non avere limiti
al proprio potere sociale. Di solito, quando pensiamo al tiranno, ci viene in
mente il dittatore, che è chi è riuscito a imporre un proprio potere politico
tirannico, ma il concetto è molto più vasto, perché ogni persona, nelle sue
relazioni sociali, tende alla tirannia, se non trova limiti. Un campo sociale
in cui questo è molto sensibile è la famiglia. I figli crescono liberandosi
dalla tirannia dei genitori. Per questo la famiglia è un modello sociale
tendenzialmente instabile e certo le sue
dinamiche non vanno bene come modello dell’organizzazione di società più vaste.
La sua principale controindicazione è che si basa, appunto, su gerarchie
tiranniche. Però ci si può costruire sopra un mito, una bella narrazione
sociale che mette in luce la sua principale virtù: quella dell’altruismo, in
particolare per prendersi cura dei deboli e di chi si è messo nei guai. Il mito
della famiglia funziona come catalizzatore sociale di buoni sentimenti e anche
di buone azioni, anche se i modelli sociali basati sulla famiglia, ve ne sono
diversi, tendono a creare società tiranniche.
Le religioni, anche la nostra, sono piene di miti e senza miti non
possono esistere. Questo perché cercano di spiegare il senso di ciò che accade
e in particolare quello della nostra vita e ragionandoci semplicemente sopra ciò che se ne ricava non
soddisfa. Occorrono le emozioni e i miti sono narrazioni emotive. I miti però hanno una loro verità, perché non sono del tutto avulsi dalla
realtà, ma cercano di interpretarla in modo che abbia un senso per chi ci vive
dentro. L’importante è mantenere la capacità di distinguere tra il mito e la
realtà. In religione vi sono momenti nei quali si vive come in un sogno,
immersi nei miti, ma nella costruzione sociale occorre risvegliarsene, così
come anche quando si cerca di manipolare la natura intorno a noi per ricavarne
ciò che ci serve per tirare avanti.
Una filosofia come il tomismo,
il pensiero costruito sulle opere del frate domenicano Tommaso d’Aquino,
vissuto nel Duecento, ha insegnato proprio a distinguere tra mito e realtà in
modo da mantenere il mito senza pregiudicare la comprensione della realtà quando ci si propone di intervenirvi sopra. Per molti versi esso è obsoleto, ma per altri no, in particolare nel suo pensiero politico
e sul tema del rapporto tra fede religiosa e pensiero razionale.
Nell’antica Grecia nacquero scuole di pensiero che insegnarono a organizzare razionalmente le argomentazioni e a studiare con questo metodo la natura e le società. Uno dei vertici di ciò si ebbe nel filosofo Aristotele, vissuto nel Quarto secolo dell’era antica. Con Platone, vissuto tra il Quinto e il Quarto secolo, praticò una forma di studio collettivo che possiamo considerare come la prima forma di università. Praticò anche ciò che ora chiamiamo mediazione culturale, quando fu chiamato alla corte del macedone Filippo, i macedoni erano considerati barbari dai greci, per fare da precettore al figlio Alessandro, probabilmente insegnandogli anche l’arte del governo, la politica. Alessandro divenne poi tiranno di un grandissimo impero al cui interno diffuse la cultura greca e questo movimento culturale fu cruciale, circa quattro secoli dopo, per lo sviluppo del cristianesimo a partire dall’antico giudaismo. E' fondamentalmente per questo che abbiamo ricevuto scritto nel greco antico il Nuovo Testamento.
All’epoca di
Tommaso d’Aquino cominciarono ad essere disponibili nuove traduzioni delle
opere di Aristotele che presentavano un pensiero e un metodo divergenti
rispetto alla teologia di allora, che era impegnata ad assecondare la
fondazione di un impero religioso voluta dal Papato dall’Undicesimo
secolo. Quindi inizialmente, come di
solito capita nella teologia cristiana, l’aristotelismo
venne condannato e bandito. Nella nostra religione, quando si scopre
qualcosa che non torna con la teologia corrente, la prima reazione è quella di
vietare di parlarne e scriverne. Tommaso d’Aquino insegnò come conciliare l’aristotelismo,
e in genere il pensiero razionale, con la teologia corrente e i suoi miti.
Trattò anche di politica e di tirannie, condannandole. Consigliava, per
abbattere le tirannie, di seguire delle procedure comunitarie, di non affidarsi
alla violenza, perché con quest’ultima può accadere che abbattuto un tiranno ne
sorga un altro peggiore. Ho trovato sul WEB un brano di questi ragionamenti:
Tutto ciò che è mitizzato diviene non riformabile: questa è la ragione
per la quale ogni potere sociale insofferente di limiti, che quindi tenda alla
tirannia, si costruisce addosso dei miti. Lo ha fatto, ad esempio, il Papato
dall’Undicesimo secolo. La democrazia
contemporanea è invece un complesso di valori, concezioni e procedure
profondamente demitizzanti, o, come si dice in religione e in sociologia, secolarizzanti. La secolarizzazione è l’antidoto
al mito. Nell’Ottocento si costruirono miti che riguardarono anche le scienze
della natura: furono alla base dell’ideologia del positivismo. Nel Novecento furono demitizzati. La natura come somma
delle perfezioni è, ad esempio, un mito.
Rendersene conto rende ormai obsolete anche certe teologie cristiane che,
volendo conciliare una concezione evoluzionistica della natura con la fede, quindi la realtà della natura con i miti della
fede, mitizzarono la natura assimilandola alla fede. Tommaso D’Aquino insegnò a
tenerle distinte, anche se non separate. La natura è quella che è, tutt’altro
che perfetta secondo la nostra idea di perfezione, ma, certo, molto complessa,
e questa sua complessità meraviglia, tanto che ci si immagina dietro,
mitologicamente, un disegno intelligente.
Nel mito va bene, ma quando, ad esempio, bisogna capire come creare un
farmaco che contrasti il contagio da un certo agente virale, occorre
demitizzare e comprendere realisticamente come funziona quell’agente virale.
Per intenderci: quando voglio mettere in moto
la mia automobile, giro la chiave di accensione, non mi metto a pregare
aspettandomi che, per quella mia preghiera, parta, e questo anche se, all’inizio di un viaggio un
po’ più lungo in macchina, nella mia
famiglia c’è l’abitudine di recitare una preghiera.
E' lo stesso anche nell'azione sociale, quando ci si deve occupare di tiranni e tirannie.
Mario Ardigò - Azione cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli