Non basta la religione
Non basta la religione per costruire una società migliore. Questo ci
insegna la storia. Può essere questa la ragione per la quale nella nostra
formazione religiosa di base la storia semplicemente non c’è?
Aggiungo: nessuna religione è mai bastata, la nostra come tutte
le altre, sebbene la religione sia stata e sia ancora un fattore di coesione
sociale. E, quanto alla nostra religione,
non è questione di com’era prima e di come è adesso, di un modo delle origini e
di uno che ha risentito degli sviluppi delle società in cui si affermava, di
una via giusta e di una via sbagliata: non è mai
bastata, comunque essa sia stata. Nessuna riforma è mai stata quella definitiva, ma anche
nessuna forma storica si è dimostrata a
lungo e in tutto soddisfacente, tanto da far dire che, in religione, bisogna
sempre riformare.
Definiamo società
migliore. Quando se ne parla, la si compara ad un'altra che sarebbe meno buona di quella che si idealizza come migliore. Può
trattarsi di società del passato, o di complessi di società del passato
denotanti un’epoca: ad esempio la romanità
repubblicana e quella imperiale; ll Medioevo rispetto all’antichità. Ma anche, e più spesso, di
una società esistente nella contemporaneità e di un’altra ancora da costruire, che si sta progettando.
Sempre, però, per descrivere ciò che fa di una società quella migliore, si parte da quello che non soddisfa in un’altra
società, dai problemi della società che, rispetto all’altra, è considerata peggiore. In questo, anche quando si parla
del passato, si è in fondo rivolti al futuro, perché è cruciale il
punto di vista di chi giudica e stabilisce i criteri della comparazione
essenzialmente per orientarsi nella sua società. Da un punto di vista semplicemente
storico o antropologico o sociologico ha infatti poco senso stabilire quale
società sia migliore di un’altra, quanto invece descrivere
realisticamente le dinamiche sociali nel tempo, quindi le società così come
effettivamente sono, come si modificano e come interagiscono. Le religioni ne
fanno parte, tutte, e infatti evolvono con le società in cui si manifestano e
da esse sono caratterizzate. Ne sono istituzioni
come il diritto e servono a dar loro
una certa stabilità: per questo possiamo riconoscere loro la funzione di elementi di coesione sociale. Ma, come il
diritto, cambiano a seconda delle esigenze di coesione delle società di
riferimento. Questo anche se in genere concepiscono se stesse come eterne, risalenti agli avi, portato di tradizioni antiche avvalorate dalla
loro vetustà, nel caso della nostra da duemila anni di storia, un tempo che ci
pare tanto lungo comparato alla durata delle nostre vite, ma che è solo un’istante
nell’evoluzione della nostra specie umana e un tempo comunque breve in quella
delle civiltà. Ai tempi nostri idealizziamo la società migliore come quella
che è in grado di mantenere la pace a livello globale preservando l’ambiente da
contaminazioni irreversibili e, alla lunga, terminali. Sosteniamo che questa è
la via che è anche insegnata dalla nostra religione e, anzi, da tutte le religioni, che potrebbero e dunque
dovrebbero coalizzarsi per la riforma sociale per migliorare il mondo in
quella direzione. Ma è una via molto recente, che risale più o meno agli anni
Cinquanta del secolo scorso, nelle ideologie sociali e politiche correnti e
anche nella nostra religione. La nostra sta esercitando un’influenza in quel
senso anche su altre religioni, che
ancora vi erano piuttosto distanti o ne rimanevano indifferenti. Storicamente
la nostra religione è stata però usata per giustificare forme di violenza
estrema, addirittura genocida. Ma come può essere stato e come può essere,
tenendo presente il nucleo centrale del vangelo, che di solito si individua
nella misericordia? Può essere perché la nostra è stata ed è una religione, vale a dire una
manifestazione sociale, e, come religione, ha assunto le caratteristiche
culturali prevalenti delle società in cui si affermò, stabilite, come è ovvio,
dai ceti dominanti in esse. E questo pur veicolando nei secoli il vangelo come
forza di critica sociale e di conversione personale, per cui non è stata solo forza di conservazione o di reazione, ma anche
di riforma sociale. Questa sua ambivalenza, essenzialmente tra conservazione e
riforma, la rende instabile, genera tensioni al suo interno e con la società
intorno e dunque non le basta essere
religione, anche di impronta evangelica, per far pace come ora vorrebbe.
In passato il far pace, come oggi lo
intendiamo, nel senso di consentire la coesistenza delle differenze, fu
addirittura ritenuto eretico e si puntava a far
pace eliminando diversità e
dissenzienti, a cominciare dalle altre religioni e dai loro fedeli, tutte
assimilate nella concezione squalificante di pagani.
Storicamente gli stragisti cristiani ebbero tra le mani i
Vangeli e si presentarono come emissari dell’Altissimo, plenipotenziari del
Verbo, inviati per eradicare il male dalla Terra combattendolo in armi e con la
cultura al servizio della polizia ideologica e politica. Una virulenza che
risale addirittura alle origini, che furono piuttosto burrascose secondo
dinamiche che vediamo manifestarsi chiaramente anche negli scritti biblici che
narrano la vita delle nostre prime comunità. L’epoca detta apostolica, nei primi
decenni dalla morte del Maestro, fu tutt’altro che pacifica e veramente non
capisco come fanno a definirla migliore o come esemplare
quelli che la idealizzano contro la
nostra. Ma come ci volle veramente il Maestro? Non c’è mai stato accordo su
questo e ancora non c’è. Anche nelle realtà di prossimità e nelle piccole
cose è così. Ecco, ad esempio, che da
noi abbiamo accolto con favore la risistemazione di Largo Val Santerno con l’ampliamento
del sagrato e a poche centinaia di metri ci si combatte tra i fedeli che
vogliono impedirne una simile e altre formazioni dei quartiere, tanto che l’altro
giorno è dovuta intervenire la Polizia. Ma non va meglio anche nella nostra
parrocchia tra chi la vuole in un modo e chi in un altro, e tutti pensano di
avere ragione e di essere approvati dal Cielo, e, anzi, di più, che gli altri
siano delle specie di eretici. In questo effettivamente prendiamo esempio dalle
origini.
Mi piacerebbe credere che le religioni, come ora si dice, siano, oltre
che fattori di coesione, anche strumenti
di pace, ma la storia mi disillude. E illudermi non rientra nei miei doveri di
cristiano. Però, da cristiano, posso effettivamente volere la pace, e trovarne motivazioni nella mia fede. Non è difficile,
se ci si basa sul vangelo e sull’esempio del Maestro. Egli del resto non volle
fondare una nuova religione, né ci ordinò ad esempio, per ragioni religiose, di
conquistare Gerusalemme e Roma, o
qualsiasi altra potenza (naturalmente in religione la si intese poi
diversamente). Finché visse si manifestò religioso secondo l’ebraismo del suo
tempo e del suo ambiente sociale, nella Palestina del primo secolo. Fu tuttavia
forza critica in quella religione, in modo però da esserlo, in fondo, nei
confronti di ogni religione ma anche di ogni società. In questo la
sua perenne attualità, ora e sempre,
come si suol dire. Il ritorno al suo insegnamento, la sua centralità, è stato il
veicolo culturale della riforma religiosa attuata tra noi negli anni Cinquanta
e Sessanta e culminata nel Concilio Vaticano 2° (1962-1965).
Religione, vangelo: di solito siamo abituati ad assimilarli, ma non sono la
stessa cosa. Quando ha prevalso la religione a scapito del vangelo è finita
sempre male. Il secondo sembra non poter esser vissuto senza indurre una certa
religione, che è fatta di liturgia come anche di edifici, chiese e chiesone,
libri, organizzazioni, ministeri e via dicendo. Ma strumentalizzando il vangelo
a fini di potenza sociale la religione appare poi senz’anima e allora, su base
evangelica, se ne comincia a pensare una migliore. Così, in definitiva, non è
questione di tornare alla religione, alla nostra, ad altre, o alla
religione della non-religione, l’agnosticismo, l’ateismo, perché tutto questo non basta, ma di riscoprire il vangelo,
come in genere ci consigliano le nostre grandi anime.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli