Sinodo
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Secondo le
concezioni correnti nella nostra Chiesa, e a prescindere per ora da profili
teologici e giuridici, definiamo Sinodo un’assemblea deliberante caratterizzata dalla
partecipazione di figure gerarchiche di tipo sacrale. Il metodo sinodale è quello per il quale, nelle deliberazioni
collettive, ci si impegni a non decidere nulla di importante senza il consenso
di quelle posizioni di gerarchia sacrale. E’ sacrale la gerarchia la cui
istituzione si riconduce alla volontà divina.
Ci si aspetta che le procedure sinodali siano
regolate con precisione. Nella nostra Chiesa nel Codice di diritto canonico
sono previsti il Sinodo dei vescovi, che può riunirsi in assemblea
generale o in assemblee per aree geografiche, e il Sinodo diocesano. In
quest’ultimo decide sempre il vescovo, definito pomposamente supremo legislatore, e gli altri partecipanti, tra i quali vi
possono essere anche laiche e laici eletti dai Consigli pastorali diocesani,
sono solo consulenti. In esso, quindi, la posizione gerarchica sacrale
fondamentale è quella del vescovo. Una Costituzione
apostolica di papa Francesco del 2018, la Comunione episcopale,
regola in dettaglio l’organizzazione del Sinodo dei vescovi. Qui le
posizioni gerarchiche fondamentali sono quelle del Papa e del vescovi. E’
prevista una consultazione del Popolo di Dio. Al Sinodo dei Vescovi possono essere chiamati a partecipare anche
laiche e laici, ma non è indispensabile che vi siano. Vi possono essere
invitati, senza diritto di voto, anche
come esperti, spettatori, delegati di altre Chiese cristiane o per la loro
particolare autorevolezza in relazione ai temi in discussione e questi sono
denominati invitati speciali. Le deliberazioni del Sinodo devono avere il
consenso del Papa, ma sono previste procedure di limitata co-decisione.
Non è
previsto un Sinodo parrocchiale,
ma se ne sono celebrati diversi in tutta Italia. Qui le laiche e i laici sono
stati veramente protagonisti. Le uniche posizioni sacrali implicate sono quelle
del parroco, degli altri preti e dei diaconi, ma si tratta di figure
particolarmente vicine al popolo, persone veramente di famiglia, con le
quali, di solito ma non sempre naturalmente, l’interlocuzione è più semplice, e
anche più piacevole. La decisione di indire un sinodo parrocchiale è del parroco, assistito dal consiglio
pastorale e, dove istituita, dall’equipe
pastorale, il nuovo organismo che sta prendendo piede sulla base delle
esortazioni del Papa. Se un parroco promuove un sinodo parrocchiale è perché ci
crede, quindi ci si può aspettare che non vi siano complicazioni, diciamo, di
carattere sacrale.
Ho seguito un sinodo parrocchiale che si è
celebrato nel 2014/2015 nella mia prima
parrocchia, a Bologna, la parrocchia di San Giuseppe sposo in via Bellinzona
(la mia prima casa fu al n.5, di fronte alla parrocchia), che sorge nel
complesso del santuario cappuccino di San Giuseppe. Mi piacerebbe invitare ad
una delle nostre riunioni in Meet una delle persone che vi hanno avuto ruoli
organizzativi, per sapere come s’è fatto e che cosa ne è uscito.
Di seguito
trascrivo il testo della Proposta per la celebrazione del sinodo parrocchiale
che ho trovato sul WEB.
Parrocchia
san Giuseppe Sposo - Bologna, 18 ottobre 2014 -
Consiglio
Pastorale Parrocchiale allargato e aperto
PROPOSTA PASTORALE DELLA CELEBRAZIONE DI UN (PRIMO)
SINODO PARROCCHIALE
2014/2015
• Cosa
significa “sinodo”?
o
Il termine “sinodo” deriva dal
greco “synodos”, composto dalla particella “syn” (che significa:
insieme) e dal sostantivo “odòs” (che significa strada,
cammino...); quindi in un’accezione più ampia può
significare: camminare insieme.
• Perche
un sinodo?
o
Perché ogni tanto la comunità
cristiana sente il bisogno di fare un po’ il punto della situazione.
Camminando... camminando... si sente l’esigenza di capire dove si sta andando,
qual è la meta finale, se stiamo percorrendo le strade giuste... con chi si sta
camminando e come stiamo camminando... Ogni tanto bisogna aggiustarsi lo
zaino... riposare... progettare le tappe... cercare strade nuove... riorientare
il cammino... o Tempo
quindi di ascolto... di riflessione... di ricerca... di studio... di proposte...
ma anche di preghiera... di revisione di vita... di conversione... della nostra
comunità parrocchiale... Tutti siamo chiamati a metterci in gioco... per la
vita di fede e testimonianza della nostra comunità....
• Finalità
concreta o La
stesura di un “progetto pastorale parrocchiale” pluriennale (2015-2018 e
oltre?) da verificarsi periodicamente...
•
Altre parrocchie hanno vissuto l’esperienza di un
sinodo parrocchiale (basta digitare su Google “sinodo parrocchiale”... anche
per scoprire altre stimolanti esperienze pastorali...)
o Parrocchia di Valgendo (Biella)
o Parrocchia
“Gesù Crocifisso” Vajont (Pordenone)
o Parrocchia di san Clemente
(Caserta) o
o Parrocchia Quirico e Giulitta di
Capannori (Lucca)
o Parrocchia SS. Redentore di Ruvo
di Puglia (Bari)
o Parrocchia di san Zenone di Caino
(Brescia)
o Parrocchia
Regina Pacis (Forlì)
• Tempo
sinodale
o o Inizio
“liturgico” prima domenica di Avvento: celebrazione solenne possibilmente di
ogni celebrazione eucaristica
o A
settembre 2015: momento finale e di sintesi (tenendo conto anche del Festival
Francescano che si terrà a fine settembre proprio a Bologna)
o o Chiusura
del Sinodo per San Francesco 2015 (chiamando il vescovo?)
o o Può
seguire ad ottobre 2015 l’elezione del nuovo Consiglio Pastorale e
qualche iniziativa per la “decennale eucaristica”...?
• Da
questo consiglio pastorale alla convocazione della prima “assemblea
sinodale”...
o Questo
consiglio dovrebbe esprimersi su questa proposta pastorale... o e
fissare la data della prima convocazione dell’assemblea sinodale...
o Nel
frattempo si dovrebbe procedere alla composizione dell’assemblea sinodale (tutti
ne possono far parte... o fissiamo dei limiti?), previa iscrizione e
sottoscrizione dell’impegno a seguire con continuità i lavori del sinodo...
[questi li potremmo chiamare membri effettivi dell’assemblea sinodale]
(l’Augusta potrebbe essere il riferimento per la raccolta delle adesioni).
• Modalità
di svolgimento del sinodo
o
o Periodiche
convocazioni di “assemblee sinodali” (3? 4? 5? nell’”anno sinodale”...):
momento di ascolto di “periti” su determinate tematiche che toccano la vita
parrocchiale. Ma anche momento di dibattito, di confronto, di proposta, di
progettazione, raccogliendo e confrontandosi sui lavori dei gruppi di studio o
approfondimento.
o
L’”assemblea sinodale” poi si
potrà suddividere in gruppi di approfondimento e di studio, luoghi anche di
proposta e di graduale contributo al progetto pastorale... o Ogni
assemblea sinodale sarà aperta a tutti coloro che desiderano parteciparvi
[anche senza essere iscritti formalmente come membri effettivi; si può
partecipare anche semplicemente come “uditori” occasionali]. Nel caso di
eventuali votazioni, però, solo i membri effettivi potrebbero votare.
o Questa
libera partecipazione la si può prevedere anche per i gruppi di approfondimento...
• Sarà
compito dell’assemblea sinodale...
o
costituire
un piccolissimo gruppo di supporto logistico, organizzativo, ma anche di
“conduzione” e “guida” di tutto il sinodo; o stilare il calendario e determinare la modalità dei lavori del sinodo
parrocchiale...
o scegliere
le tematiche pastorali sulle quali confrontarsi attraverso i “gruppi di
studio”... (quindi determinare numero e argomenti dei gruppi di studio...);
o fissare
gli argomenti e scegliere le persone che potrebbero dare un contributo (come
esperti e “periti”...) per affrontare alcuni aspetti della pastorale
parrocchiale... o approvare il logo e la preghiera
del Sinodo... o scegliere il “motto”/Parola di
riferimento...
proposta: “Venire
alla fede... per vivere la comunione”
(cfr.
Atti 2,42-47; 4,32-37)
• Qualche
riferimento...
o
Ogni
comunità parrocchiale è chiamata a farsi un proprio progetto pastorale che includa gli itinerari di catechesi
dentro un più vasto e articolato impegno educativo globale verso i fanciulli e
ragazzi, soprattutto in quel periodo decisivo per la loro crescita umana,
cristiana ed ecclesiale che è l'iniziazione cristiana (cfr. Nota
dell'Ufficio Catechistico Nazionale per l’accoglienza e l’utilizzazione del Catechismo
CEI,
1991).
o
Forme
specifiche di corresponsabilità nella parrocchia sono, infine, quelle che si
configurano negli organismi di partecipazione, specialmente i consigli pastorali
parrocchiali. La loro identità di luogo deputato al discernimento comunitario
manifesta la natura della Chiesa come comunione. Essi possono diventare
progressivamente lo spazio in cui far maturare la capacità di
progettazione e verifica pastorale (cfr. Il volto missionario delle parrocchie in un mondo
che cambia, Nota pastorale
dei vescovi italiani, 2004).
“In conclusione si può affermare che la
progettazione pastorale, se vissuta e realizzata in modo veramente partecipato,
diventa un’esperienza ricca e coinvolgente dell’essere e del fare chiesa, un
esercizio concreto di comunione organica, di partecipazione e di
corresponsabilità ecclesiale dei diversi ministeri e carismi, a servizio della
missione evangelizzatrice della comunità ecclesiale.
Al
di là dei singoli risultati che si possono conseguire, è importante crescere
come chiesa a servizio dei disegni di salvezza di Dio, sentirsi ogni giorno in
cammino verso il futuro promesso da Dio e il suo compimento, contribuendo con
la pazienza, la speranza e l’umiltà, costantemente richiamate nel vangelo con
le parabole del Regno.
La
pastorale, anche nella fase di progettazione, non deve dimenticare la pedagogia
evangelica del piccolo seme, della gradualità e soprattutto della pedagogia
della croce, che poi, ancora una volta, è la pedagogia di un amore pienamente
donato.
E
sempre si dovrà evitare il pericolo di lasciarsi troppo incantare dal fascino
della pianificazione, in un campo come quello dell’apostolato che appartiene
all’ordine della santità, e di cui è
protagonista lo Spirito.”
(cfr. Pintor, L’uomo via della
chiesa. Elementi di teologia pastorale, Bologna, 1992.)
Come si vede, poiché mancano norme che
consentano un governo collettivo della parrocchia, si fa riferimento a quelle
che prevedono una collaborazione dei laici a quell’attività ecclesiale che
viene definita pastorale e che consiste nell’introdurre,
formare, sorreggere e indirizzare nella vita di fede. E’ rivolta ad
una comunità di fede, perché presuppone la presenza di un gregge di
fedeli. Nella Chiesa cattolica è diretta dai vescovi territoriali, aiutati dal
clero e dai religiosi; i laici vi collaborano, per ora, in ruoli in
genere subordinati, anche se la progressiva riduzione del numero dei preti e
dei religiosi di età inferiore a quella del pensionamento richiede sempre più
un loro maggior coinvolgimento. Più o meno dagli anni ’70 si sta anche pensando
a un nuovo ministero specifico per loro, per svolgere quel lavoro, diverso da
quello del prete e del diacono.
La ragione per la quale non è
previsto un governo collettivo della comunità parrocchiale, che comprenda, ad
esempio, l’amministrazione dei beni parrocchiali, è che la struttura
fondamentale della nostra Chiesa è ancora quella di impronta feudale, quindi
basata su una gerarchia di poteri monarchici con ampia autonomia ai livelli
inferiori, organizzata dall’Undicesimo
secolo, quando il Papato romano volle pensarsi come imperatore religioso, al modo dell’imperatore germanico e di
quello bizantino. Anche successivamente si rimase legati all’idea del regime
monarchico come migliore forma politica per la Chiesa.
Il motivo l’ha spiegato Bruno Secondin nel suo
Messaggio
evangelico e culture - problemi e dinamiche della mediazione culturale, del 1982, del
quale ciclicamente pubblico una mia sintesi sul blog di AC San Clemente. Sul
punto ho scritto:
Il
pensiero dell'antico filosofo greco Aristotele (4° secolo dell'era antica)
considerava la monarchia la forma perfetta di governo: questa concezione influì
sui criteri adottati per l'organizzazione della comunità cristiana, che divenne
una monarchia in un contesto di monarchie concorrenziali.
"Ne risulterà una
concezione assoluta del potere papale, di cui oggi si sente la lontananza dal Vangelo e dalla chiesa
primitiva". [pag.36]
Interessi economici e ragioni di prestigio
personale impedirono di capire che la riforma protestante (16° secolo) partiva
da esigenze profondamente evangeliche.
Anche l'enciclica Rerum Novarum (=delle novità) del papa Leone 13° (1891), il primo
documento della dottrina sociale contemporanea, ipotizzava una direzione autoritativa e
centralizzata del movimento cattolico "e
anzi l'idea stessa di un movimento
cattolico unitario alle dipendenze della gerarchia". Tale idea,
divenuta obsoleta, ha iniziato ad essere superata con il Concilio Vaticano 2° (1962-1965):
"Il [Concilio] Vaticano
2° ha ribadito che identità e ruolo sociale della Chiesa vanno affidati e
recuperati non con parametri socio-giuridici o politici, ma piuttosto
teologici. Inoltre bisogna tener conto della legittimità del pluralismo di
opzioni e organizzazioni e della emergenza di nuovi soggetti protagonisti: le
donne e i giovani, per esempio" [pag.37].
Il diritto canonico, quello dell’ordinamento della
nostra Chiesa, è tuttora strutturato secondo l’impostazione dell’impero
religioso, con il Papa, il Romano Pontefice come viene definito
richiamando la massima carica sacerdotale dell’antico impero romano che da Ottaviano
Augusto fu assunta dagli imperatori romani, a capo supremo di tutto:
Canone 331
- Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal
Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere
trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di
Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza
del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale
sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente.
Canone
332 - Comma 1. Il Romano Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla
Chiesa con l'elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione
episcopale. Di conseguenza l'eletto al sommo pontificato che sia già insignito
del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell'accettazione.
Che se l'eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente
ordinato Vescovo.
[…]
Invece, per quanto riguarda la pastorale, il Concilio Vaticano 2° (1962-1965) prescrisse una forma di collaborazione nel quadro di consigli pastorali. Il primo
documento attuativo di tale nuova istituzione è del 1966, ne seguirono altri e
poi questo processo di elaborazione confluì nel codice di diritto canonico, che
prevede quelli diocesani e quelli parrocchiali. Questi ultimi dovrebbero avere
una componente eletta da un’assemblea dei fedeli della parrocchia e, in questo, sono
l’inizio di un processo propriamente democratico. Sono organizzati con norme
stabilite dal vescovo. Il codice di diritto canonico non li presenta come un’istituzione
necessaria, a differenza del Consiglio parrocchiale
per gli affari economici (Istruzione in
materia amministrativa della Conferenza Episcopale Italiana, 10 aprile 1992, nn. 85-86), ma in Italia i
vescovi ne hanno previsto l’istituzione e ne hanno organizzato costituzione e
funzionamento con propri decreti e direttori. A Roma si è provveduto nel
1994, a seguito di un Sinodo diocesano,
con un decreto del Cardinal
Vicario. Uno dei direttori più completi in merito è quello della Diocesi di Milano per il
periodo 2019-2023
Il decreto romano è assai scarno sui membri eletti dall’assemblea
parrocchiale:
Art. 3.– Composizione
Il Consiglio Pastorale
Parrocchiale è composto dal Parroco, il quale lo istituisce e ne è il
Presidente, dai Vicari Parrocchiali, dai Sacerdoti collaboratori, dai Rettori
delle chiese, dai Diaconi, da un membro del Consiglio per gli Affari economici,
dai Rappresentanti dei laici che collaborano nelle diverse attività
parrocchiali, dai Rappresentanti degli Istituti religiosi, delle Associazioni e
realtà ecclesiali presenti nel territorio parrocchiale e da altri membri eletti
dall’Assemblea o designati dal Parroco, in particolare tra coloro che possono
offrire l’apporto della loro competenza « soprattutto per quanto attiene alla
presenza cristiana sul territorio, alla promozione della cultura e alla
solidarietà sociale » (Sinodo diocesano, Prop. 4/1).
Tutti i membri sono nominati dal
Parroco, che ne dà comunicazione al Vicariato.
Di
fatto, nelle diocesi dove il vescovo non ha provveduto a disciplinare l’elezione
da parte dell’assemblea parrocchiale di membri del consiglio pastorale, lo si è fatto con regolamenti degli stessi consigli pastorali, o, nel caso di prima
costituzione degli organismi, con disposizioni del parroco, al quale, comunque,
compete la nomina di tutti i membri del consiglio pastorale, anche di quelli eletti dall’assemblea parrocchiale. Quindi, più che
di una vera e propria elezione, si
tratta di una designazione. Le norme
sull’elezione di membri del consiglio
pastorale da parte dell’assemblea
sono cruciali e anche piuttosto critiche perché devono definire chi ha diritto
al voto e non è facile definirlo.
Dunque, l’attività sinodale parrocchiale è collegata di solito alla pastorale e, in particolare, alla collaborazione della
comunità parrocchiale a quell’attività.
In una riunione recente del mio
gruppo Meic, l’assistente
ecclesiastico ha ricordato che il papa Eugenio Pacelli - Pio 12° a chi gli
parlava di partecipazione dei laici alla pastorale disse che
preferiva che si parlasse di collaborazione,
perché il partecipare richiamava l’idea di aver parte e questo gli
sembrava riduttivo. Si potrebbe osservare, però, che il partecipare significa avere
una posizione definita e necessaria in un processo di deliberazione collettiva,
cosa che nella nostra Chiesa, per le ragioni storiche a cui ho accennato, è
piuttosto ostica e dunque si preferisce parlare di collaborazione, e in questo
modo chi collabora è al più un consulente ma in genere un semplice esecutore. Di
solito quando si formulano obiezioni, ti fanno la predica sul servizio, umiltà i e bla, bla, bla… il solito repertorio che vuol
dire che l’antico feudalesimo è ancora legge della Chiesa e che non se ne parla
di cambiare, perché altrimenti dove si andrà finire?, crolla tutto. Ma dove si
è fatto diversamente non è crollato nulla, anzi si è intensificata la partecipazione comunitaria, mentre facendo come s’è sempre
fatto poi la gente si disaffezione e in
chiesa non ci viene più. Ne ha
abbastanza, infatti, di umiliazioni.
Nella nostra parrocchia di processi sinodali non s’è mai parlato e anche
il consiglio pastorale non mi pare molto in evidenza, diciamo così. Non
se ne sa nulla perché non si è mai ritenuto di informare la comunità delle sue
attività. A mia memoria non ricordo riunioni dell’assemblea parrocchiale per
eleggerne membri. Dal 2019 a Roma si è disposta la formazione di equipe pastorali parrocchiali che sostanzialmente sostituiscono di fatto i
consigli pastorali, la cui esperienza
evidentemente non era stata ritenuta soddisfacente. L’elemento critico dell’equipe pastorale è il venir meno anche di quella possibilità di
evoluzione democratica consentita dalla previsione della designazione di alcuni
membri del consiglio pastorale da parte dell’assemblea parrocchiale.
La pastorale è attività comunitaria, secondo quanto
previsto nel processo di rinnovamento della
catechesi iniziato negli anni ’70, o
è materia da esperti? Di fatto delle
comunità la nostra gerarchia ecclesiale dispera e, prima di tutto, diffida, quindi,
diffidandone, sembra preferire mantenerle allo stato di popolo/gregge, di indistinte spettatrici di eventi liturgici, salvo qualche
persona che si ritenga esperta in
qualcosa, purché docile, come suole consigliare ai laici secondo
il suo irritante e umiliante gergo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro,
Valli