Gruppo di Azione Cattolica
nella Parrocchia di San Clemente papa - Roma
Sabato
20 marzo, dalle ore 16:45, staremo
insieme nel 15° incontro in Google Meet per approfondire i temi
dell’enciclica Fratelli tutti, in particolare quelli del
dialogo e mediazione culturale trattati nei numeri da 198 a 217.
Il successivo incontro di sabato 27 marzo sarà
invece dedicato alla spiritualità, articolando riflessioni prendendo spunto dal pio esercizio
della Via Crucis come suggerito
da Antonietta, anche sulla base delle meditazioni proposte da don Emanuele nel
ritiro del 13 marzo.
Di seguito trovate:
-i brani
dell’enciclica su cui ci confronteremo;
-un estratto
dai miei appunti di lettura da un libro che tratta di dialogo e mediazione
culturale;
-una preghiera
composta da M. prendendo spunto dai brani evangelici proposti per il ritiro di
sabato scorso.
*******************************************
Consigliamo di accedere
dalle ore 16:30 con il link o il codice di accesso che abbiamo comunicato.
Ogni riunione in Meet ha un proprio link e
codice di accesso. Non vanno bene quelli comunicati per precedenti incontri.
Possono essere richiesti anche da chi non è
socio del gruppo con un email a
mario.ardigo@acsanclemente.net
indicando il proprio nome,
la parrocchia di residenza e i temi di interesse. Questi dati saranno
cancellati dopo ogni riunione e dovranno essere inviati nuovamente per
partecipare a un incontro successivo.
A questo indirizzo
di YouTube
https://www.youtube.com/watch?v=GorIYoaHGjk
potrete vedere un
video in cui si insegna, passo per passo, come partecipare.
Per accedere agli incontri in Google Meet:
- acquisite un account
Google, se già non l’avete, a questo indirizzo
poi:
A) da PC fisso, PC
portatile, tablet
Potete seguire due metodi per accedere alla riunione in teleconferenza:
a) mediante link del tipo https://meet.google.com/abc-defg-hil?authuser=0 :
1a) cliccate sul link;
2a) nella finestra che
si aprirà, cliccate su CHIEDI DI PARTECIPARE
e attendete di essere ammessi alla riunione;
b) mediante codice (del tipo abcdefghil)
1b) aprite Google Chrome
e cliccate sul quadratino di puntini in alto a destra e poi sull’icona verde di
Meet;
2b) selezionate
PARTECIPA A UNA RIUNIONE;
3b) inserite il codice
di accesso che avrete ricevuto, facendo COPIA/INCOLLA;
4b) cliccate su CONTINUA
5b) cliccate su CHIEDI
DI PARTECIPARE e attendete di essere ammessi alla riunione.
B) da smartphone:
a) mediante link
1a) cliccate sul link;
2a) nella finestra che
si aprirà, cliccate su CHIEDI DI PARTECIPARE;
b) mediante codice
1b) aprite la app Meet
(che avrete scaricato dallo store del vostro telefonino);
2b) cliccate su CODICE
RIUNIONE e inserite il codice di accesso che avrete ricevuto;
3b) cliccate su CHIEDI
DI PARTECIPARE e attendete di essere ammessi.
Segnalate
eventuali problemi con una email a
mario.ardigo@acsanclemente.net
indicando, se volete
essere contattati telefonicamente, un numero di telefono al quale essere
chiamati.
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Dall’enciclica di papa Francesco Fratelli
tutti, numeri da 198 a 216
CAPITOLO SESTO
DIALOGO E AMICIZIA SOCIALE
198. Avvicinarsi,
esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare
punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”. Per
incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare. Non c’è bisogno
di dire a che serve il dialogo. Mi basta pensare che cosa sarebbe il mondo
senza il dialogo paziente di tante persone generose che hanno tenuto unite famiglie
e comunità. Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli
scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio,
molto più di quanto possiamo rendercene conto.
Il dialogo sociale verso
una nuova cultura
199. Alcuni provano a
fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati, e altri la affrontano con
violenza distruttiva, ma «tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è
un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il dialogo tra le generazioni, il
dialogo nel popolo, perché tutti siamo popolo, la capacità di dare e ricevere,
rimanendo aperti alla verità. Un Paese cresce quando dialogano in modo
costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura
universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura
tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura
dei media».
200. Spesso si confonde il dialogo con qualcosa di molto diverso: un febbrile
scambio di opinioni nelle reti sociali, molte volte orientato da
un’informazione mediatica non sempre affidabile. Sono solo monologhi che
procedono paralleli, forse imponendosi all’attenzione degli altri per i loro
toni alti e aggressivi. Ma i monologhi non impegnano nessuno, a tal punto che i
loro contenuti non di rado sono opportunistici e contraddittori.
201. La risonante diffusione di fatti e richiami nei media, in
realtà chiude spesso le possibilità del dialogo, perché permette che ciascuno,
con la scusa degli errori altrui, mantenga intatti e senza sfumature le idee,
gli interessi e le scelte propri. Predomina l’abitudine di screditare
rapidamente l’avversario, attribuendogli epiteti umilianti, invece di
affrontare un dialogo aperto e rispettoso, in cui si cerchi di raggiungere una
sintesi che vada oltre. Il peggio è che questo linguaggio, consueto nel
contesto mediatico di una campagna politica, si è talmente generalizzato che lo
usano quotidianamente tutti. Il dibattito molte volte è manipolato da
determinati interessi che hanno maggior potere e cercano in maniera disonesta
di piegare l’opinione pubblica a loro favore. Non mi riferisco soltanto al
governo di turno, perché tale potere manipolatore può essere economico,
politico, mediatico, religioso o di qualsiasi genere. A volte lo si giustifica
o lo si scusa quando la sua dinamica corrisponde ai propri interessi economici
o ideologici, ma prima o poi si ritorce contro questi stessi interessi.
202. La mancanza di dialogo comporta che nessuno, nei singoli settori, si
preoccupa del bene comune, bensì di ottenere i vantaggi che il potere procura,
o, nel migliore dei casi, di imporre il proprio modo di pensare. Così i
colloqui si ridurranno a mere trattative affinché ciascuno possa accaparrarsi
tutto il potere e i maggiori vantaggi possibili, senza una ricerca congiunta
che generi bene comune. Gli eroi del futuro saranno coloro che sapranno
spezzare questa logica malsana e decideranno di sostenere con rispetto una
parola carica di verità, al di là degli interessi personali. Dio voglia che
questi eroi stiano silenziosamente venendo alla luce nel cuore della nostra
società.
Costruire insieme
203. L’autentico dialogo
sociale presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro,
accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi.
A partire dalla sua identità, l’altro ha qualcosa da dare ed è auspicabile che
approfondisca ed esponga la sua posizione perché il dibattito pubblico sia
ancora più completo. È vero che quando una persona o un gruppo è coerente con
quello che pensa, aderisce saldamente a valori e convinzioni, e sviluppa un
pensiero, ciò in un modo o nell’altro andrà a beneficio della società. Ma
questo avviene effettivamente solo nella misura in cui tale sviluppo si
realizza nel dialogo e nell’apertura agli altri. Infatti, «in un vero spirito
di dialogo si alimenta la capacità di comprendere il significato di ciò che
l’altro dice e fa, pur non potendo assumerlo come una propria convinzione. Così
diventa possibile essere sinceri, non dissimulare ciò in cui crediamo, senza
smettere di dialogare, di cercare punti di contatto, e soprattutto di lavorare
e impegnarsi insieme». La discussione pubblica, se veramente dà spazio a
tutti e non manipola né nasconde l’informazione, è uno stimolo costante che
permette di raggiungere più adeguatamente la verità, o almeno di esprimerla
meglio. Impedisce che i vari settori si posizionino comodi e autosufficienti
nel loro modo di vedere le cose e nei loro interessi limitati. Pensiamo che «le
differenze sono creative, creano tensione e nella risoluzione di una tensione
consiste il progresso dell’umanità».
204. Oggi esiste la convinzione che, oltre agli sviluppi scientifici
specializzati, occorre la comunicazione tra discipline, dal momento che la
realtà è una, benché possa essere accostata da diverse prospettive e con
differenti metodologie. Non va trascurato il rischio che un progresso
scientifico venga considerato l’unico approccio possibile per comprendere un
aspetto della vita, della società e del mondo. Invece, un ricercatore che avanza
fruttuosamente nella sua analisi ed è anche disposto a riconoscere altre
dimensioni della realtà che indaga, grazie al lavoro di altre scienze e altri
saperi si apre a conoscere la realtà in maniera più integra e piena.
205. In questo mondo globalizzato «i media possono aiutare a
farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato
senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno
serio per una vita più dignitosa. […] Possono aiutarci in questo, particolarmente
oggi, quando le reti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi
inauditi. In particolare internet può offrire maggiori
possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona,
è un dono di Dio».[199] È
però necessario verificare continuamente che le attuali forme di comunicazione
ci orientino effettivamente all’incontro generoso, alla ricerca sincera della
verità piena, al servizio, alla vicinanza con gli ultimi, all’impegno di
costruire il bene comune. Nello stesso tempo, come hanno indicato i Vescovi
dell’Australia, «non possiamo accettare un mondo digitale progettato per
sfruttare la nostra debolezza e tirare fuori il peggio dalla gente».
Il fondamento dei
consensi
206. Il relativismo non è la soluzione. Sotto il velo di una presunta
tolleranza, finisce per favorire il fatto che i valori morali siano interpretati
dai potenti secondo le convenienze del momento. Se in definitiva «non ci sono
verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle
proprie aspirazioni e delle necessità immediate, […] non possiamo pensare che i
programmi politici o la forza della legge basteranno. […] Quando è la cultura
che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi
universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni
arbitrarie e come ostacoli da evitare».
207. È possibile prestare attenzione alla verità, cercare la verità che
risponde alla nostra realtà più profonda? Che cos’è la legge senza la
convinzione, raggiunta attraverso un lungo cammino di riflessione e di
sapienza, che ogni essere umano è sacro e inviolabile? Affinché una società
abbia futuro, è necessario che abbia maturato un sentito rispetto verso la
verità della dignità umana, alla quale ci sottomettiamo. Allora non ci si
asterrà dall’uccidere qualcuno solo per evitare il disprezzo sociale e il peso
della legge, bensì per convinzione. È una verità irrinunciabile che
riconosciamo con la ragione e accettiamo con la coscienza. Una società è nobile
e rispettabile anche perché coltiva la ricerca della verità e per il suo
attaccamento alle verità fondamentali.
208. Occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione,
deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati. Ciò
che chiamiamo “verità” non è solo la comunicazione di fatti operata dal
giornalismo. È anzitutto la ricerca dei fondamenti più solidi che stanno alla
base delle nostre scelte e delle nostre leggi. Questo implica accettare che
l’intelligenza umana può andare oltre le convenienze del momento e cogliere
alcune verità che non mutano, che erano verità prima di noi e lo saranno
sempre. Indagando sulla natura umana, la ragione scopre valori che sono
universali, perché da essa derivano.
209. Diversamente, non potrebbe forse succedere che i diritti umani
fondamentali, oggi considerati insormontabili, vengano negati dai potenti di
turno, dopo aver ottenuto il “consenso” di una popolazione addormentata e
impaurita? E nemmeno sarebbe sufficiente un mero consenso tra i vari popoli,
ugualmente manipolabile. Già abbiamo in abbondanza prove di tutto il bene che
siamo capaci di compiere, però, al tempo stesso, dobbiamo riconoscere la
capacità di distruzione che c’è in noi. L’individualismo indifferente e
spietato in cui siamo caduti, non è anche il risultato della pigrizia nel
ricercare i valori più alti, che vadano al di là dei bisogni momentanei? Al
relativismo si somma il rischio che il potente o il più abile riesca a imporre
una presunta verità. Invece, «di fronte alle norme morali che proibiscono il
male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere
il padrone del mondo o l’ultimo “miserabile” sulla faccia della terra non fa
alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente
uguali».
210. Quello che oggi ci accade, trascinandoci in una logica perversa e vuota, è
che si verifica un’assimilazione dell’etica e della politica alla fisica. Non
esistono il bene e il male in sé, ma solamente un calcolo di vantaggi e
svantaggi. Lo spostamento della ragione morale ha per conseguenza che il
diritto non può riferirsi a una concezione fondamentale di giustizia, ma
piuttosto diventa uno specchio delle idee dominanti. Entriamo qui in una
degenerazione: un andare “livellando verso il basso” mediante un consenso
superficiale e compromissorio. Così, in definitiva, la logica della forza
trionfa.
Il consenso e la verità
211. In una società pluralista, il dialogo è la via più adatta per arrivare a
riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il
consenso occasionale. Parliamo di un dialogo che esige di essere arricchito e
illuminato da ragioni, da argomenti razionali, da varietà di prospettive, da
apporti di diversi saperi e punti di vista, e che non esclude la convinzione
che è possibile giungere ad alcune verità fondamentali che devono e dovranno
sempre essere sostenute. Accettare che ci sono alcuni valori permanenti, benché
non sia sempre facile riconoscerli, conferisce solidità e stabilità a un’etica
sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al
consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso, li
riconosciamo come valori che trascendono i nostri contesti e mai negoziabili.
Potrà crescere la nostra comprensione del loro significato e della loro
importanza – e in questo senso il consenso è una realtà dinamica – ma in sé
stessi sono apprezzati come stabili per il loro significato intrinseco.
212. Se una certa cosa rimane sempre conveniente per il buon funzionamento
della società, non è forse perché dietro ad essa c’è una verità perenne, che
l’intelligenza può cogliere? Nella realtà stessa dell’essere umano e della
società, nella loro natura intima, vi è una serie di strutture di base che
sostengono il loro sviluppo e la loro sopravvivenza. Da lì derivano determinate
esigenze che si possono scoprire grazie al dialogo, anche se non sono costruite
in senso stretto dal consenso. Il fatto che certe norme siano indispensabili
per la vita sociale stessa è un indizio esterno di come esse siano qualcosa di
intrinsecamente buono. Di conseguenza, non è necessario contrapporre la
convenienza sociale, il consenso, e la realtà di una verità obiettiva. Tutt’e
tre possono unirsi armoniosamente quando, attraverso il dialogo, le persone
hanno il coraggio di andare fino in fondo a una questione.
213. Se bisogna rispettare in ogni situazione la dignità degli altri, è perché
noi non inventiamo o supponiamo tale dignità, ma perché c’è effettivamente in
essi un valore superiore rispetto alle cose materiali e alle circostanze, che
esige siano trattati in un altro modo. Che ogni essere umano possiede una
dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di
qualsiasi cambiamento culturale. Perciò l’essere umano possiede la medesima
dignità inviolabile in qualunque epoca storica e nessuno può sentirsi
autorizzato dalle circostanze a negare questa convinzione o a non agire di
conseguenza. L’intelligenza può dunque scrutare nella realtà delle cose, attraverso
la riflessione, l’esperienza e il dialogo, per riconoscere in tale realtà che
la trascende la base di certe esigenze morali universali.
214. Agli agnostici, questo fondamento potrà sembrare sufficiente per conferire
una salda e stabile validità universale ai principi etici basilari e non
negoziabili, così da poter impedire nuove catastrofi. Per i credenti, la natura
umana, fonte di principi etici, è stata creata da Dio, il quale, in ultima
istanza, conferisce un fondamento solido a tali principi.[203] Ciò
non stabilisce un fissismo etico né apre la strada all’imposizione di alcun
sistema morale, dal momento che i principi morali fondamentali e universalmente
validi possono dar luogo a diverse normative pratiche. Perciò rimane sempre uno
spazio per il dialogo.
Una nuova cultura
215. «La vita è l’arte
dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». Tante volte ho
invitato a far crescere una cultura dell’incontro, che vada oltre le
dialettiche che mettono l’uno contro l’altro. È uno stile di vita che tende a
formare quel poliedro che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono
un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte». Il
poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi,
arricchendosi e illuminandosi a vicenda, benché ciò comporti discussioni e
diffidenze. Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile,
nessuno è superfluo. Ciò implica includere le periferie. Chi vive in esse ha un
altro punto di vista, vede aspetti della realtà che non si riconoscono dai
centri di potere dove si prendono le decisioni più determinanti.
L’incontro fatto cultura
216. La parola “cultura” indica qualcosa che è penetrato nel popolo, nelle sue
convinzioni più profonde e nel suo stile di vita. Se parliamo di una “cultura”
nel popolo, ciò è più di un’idea o di un’astrazione. Comprende i desideri,
l’entusiasmo e in definitiva un modo di vivere che caratterizza quel
gruppo umano. Dunque, parlare di “cultura dell’incontro” significa che come
popolo ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto,
gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti. Questo è diventato
un’aspirazione e uno stile di vita. Il soggetto di tale cultura è il popolo,
non un settore della società che mira a tenere in pace il resto con mezzi
professionali e mediatici.
217. La pace sociale è laboriosa, artigianale. Sarebbe più facile contenere
le libertà e le differenze con un po’ di astuzia e di risorse. Ma questa pace
sarebbe superficiale e fragile, non il frutto di una cultura dell’incontro che
la sostenga. Integrare le realtà diverse è molto più difficile e lento, eppure
è la garanzia di una pace reale e solida. Ciò non si ottiene mettendo insieme
solo i puri, perché «persino le persone che possono essere criticate per i loro
errori hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto». E nemmeno
consiste in una pace che nasce mettendo a tacere le rivendicazioni sociali o
evitando che facciano troppo rumore, perché non è «un consenso a tavolino o
un’effimera pace per una minoranza felice». Quello
che conta è avviare processi di incontro, processi che possano
costruire un popolo capace di raccogliere le differenze. Armiamo i nostri figli
con le armi del dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro!
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Dai i miei appunti di lettura del libro di Bruno
Secondin Messaggio evangelico e culture - problemi e dinamiche della
mediazione culturale, del 1982.
Secondo la definizione
di Edward Burnett Taylor in "Primitive Culture" (=la
cultura dei primitivi), Murray, Londra, 1871):
"Cultura
o civiltà è un insieme complesso che include la conoscenza, le
credenze, l'arte, la morale,
il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e
abitudine acquisita dall'uomo
come membro della società".
Se ne trova un'altra
definizione al n.53 della costituzione Gaudium et spes, del
Concilio Vaticano 2°:
Con il
termine generico di « cultura » si vogliono indicare tutti quei mezzi con i
quali l'uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo
corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il
lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la
società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine,
con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi
esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di
molti, anzi di tutto il genere umano.
Di conseguenza
la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce «
cultura » assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In
questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso modo
di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e
di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di
sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i
diversi stili di vita e le diverse scale di valori. Cosi dalle usanze
tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano. Così pure
si costituisce l'ambiente storicamente definito in cui ogni uomo, di qualsiasi
stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di
promuovere la civiltà.
Sul rapporto
tra fede e cultura nel medesimo documento si osserva, al
n.58:
"Fra
messaggio della salvezza e la cultura umana esistono molteplici
rapporti. Dio infatti,
rivelandosi al suo popolo, fino alla piena manifestazione
di sé nel Figlio incarnato, ha
parlato secondo il tipo di cultura proprio delle
diverse epoche storiche.
Parimenti la chiesa, vivendo nel corso dei secoli in
condizioni diverse, si è
servita delle differenti culture per diffondere e
spiegare il messaggio
cristiano nella sua predicazione a tutte le genti, per
studiarlo e approfondirlo, per
meglio esprimerlo nella vita liturgica e nella vita
della multiforme comunità dei
fedeli".
La civiltà
europea ha ricevuto la sua fisionomia e la sua identità dalla storia della idee
religiose e dai conflitti e dalle divisioni della cristianità. Si tratta
di un processo maturato nel giro di secoli. Possono bastare pochi decenni per
smentire questa storia. Secondo Secondin non bisogna farsi troppe illusioni:
siamo in una fase di transizione culturale molto estesa.
Secondo il
teologo franese Marie-Dominique Chenu (1895-1990):
"La
Chiesa del 20° secolo non ha più da prendere in mano la guida della
civiltà e la promozione dei
popoli, bensì ha da gettare il lievito evangelico in
queste civiltà, in queste
strutture dell'umanità".
Per
Secondin "la presenza della Chiesa nel mondo deve essere oggi
caratterizzata da una capacità illuminativa, critica, costruttiva dell'annuncio
del Vangelo all'interno delle situazioni storiche" [pag.10].
Nei momenti di
cambiamento e di transizione bisogna interrogarsi su quello che sta avvenendo e
"sui significati di fondo ella storia che si vive e si progetta, su ciò
che resta e ciò che muta, su quello che dal passato si può imparare e su quello
che non si deve ripetere": è il lavoro del discernimento.
Non bisogna
perdere l'originalità del messaggio del Signore, ma occorre "riscoprire
il senso di una presenza a contatto vivo" con l'umanità
nella quale la Chiesa è impiantata.
"Una vita
cristiana … deve continuamente riferirsi alle proprie origini; deve orientarsi
verso le promesse future nella cui aspettazione vive; e radicarsi nell'oggi in
maniera realistica" [ da La comunione ecclesiale,
documento dei vescovi spagnoli del 1979 citato dall'autore].
Nella storia si
celebra la rinnovata accettazione della "parola ultima" di Cristo da
parte della Chiesa: essa è sequela di Cristo, " custodia
gelosa e comune degli elementi imprescindibili del patrimonio
ricevuto".
Occorre però
rileggere il patrimonio delle tradizioni "con occhi meno
incantati", "per discernere tra assoluto e contingente, fra
rivestimenti culturali, categorie antropologiche e verità che conduce davvero
alla libertà e che va pertanto custodita in tutto il suo spessore".
La fede s'è trovata sempre a sostenere un dialogo vitale con
le culture, la sua inculturazione: oggi, più liberamente che in
altri tempi, di questo siamo coscienti e abbiamo la possibilità di dirlo senza
correre il rischio di essere accusati di tradire la fede. Tutto ciò che è umano
è destinato ad essere penetrato da Cristo, per diventare una nuova creazione.
Questa è una esigenza intrinseca all'incarnazione, la quale è redenzione, completamento e unificazione.
Ed è necessario trovare un equilibrio tra il dato/memoria ricevuto (essenziale
punto di riferimento) e lo spazio dato alla profezia, al non ancora emerso, al
non ancora vissuto.
Bisogna cambiare
strategia, evitare soprattutto di condurre la Chiesa ad alienarsi
nell'isolamento sdegnoso, come se fosse a sola a capire il vero bene. La
Chiesa è chiamata ad essere segno profetico nei ritmi della storia e coscienza
critica [contro ogni soluzione e mediazione che pretenda di porsi come
assoluta]. E' chiamata [a contrastare] ogni progetto che [si ponga] come
ultimo, pur accettando [gli] apporti positivi.
Il problema
della mediazione non è mai un problema chiuso, ma è in continua evoluzione,
perché la cultura non è un sistema chiuso. Come dice il Concilio [Vaticano 2° -
1962/1965]:
"Inviata a tutti
i popoli di qualsiasi tempo e luogo, la Chiesa non si lega in modo esclusivo e
indissolubile a nessuna stirpe o nazione, a nessun particolare modo di vivere,
a nessuna consuetudine antica o recente. Fedele alla propria tradizione e
nello stesso tempo cosciente della sua missione universale, è in grado di
entrare in comunione con le diverse forme di cultura … in tal modo la Chiesa
compiendo la sua missione, già in questo fatto stimola e dà il suo contributo
alla cultura umana e civile" [dalla Costituzione pastorale Gaudium
et spes (=la gioia e la speranza), n.58]
Il problema
della mediazione culturale in quest'epoca di grandi cambiamenti è al centro
dell'aggiornamento ecclesiale attuale, un processo enorme. Il ritardo culturale
e la persistenza di mediazioni non rispondenti al nuovo corso sono
ancora [un motivo di difficoltà] nelle nostre comunità ecclesiali.
Tuttavia lentamente sta prendendo corpo la convinzione che [la distanza]
culturale che si separa dalla storia è una provocazione non solo alla fedeltà
ai valori ricevuti, ma anche all'approfondimento [delle possibili aperture al
Vangelo] insite nelle correnti umanistiche attuali. Non è sufficiente avere a
disposizione dei valori, è necessario diventare, essere un "valore,
costruirsi in forma di valore significativo.
[Nei tempi passati]
toccava alla Chiesa progettare l'uomo: oggi il progettare è diventato un fatto
autonomo, se non a volte in opposizione, rispetto alla tutela della fede. Molti
sono i soggetti elaboratori di nuove antropologie, primari e autonomi. Alla
Chiesa è chiesto di entrare in questo processo di progettazione.
Dei progetti/uomo se
ne individuano almeno una mezza dozzina.
Si va da quello
da quello portato a privilegiare nell'uomo la categoria della storicità, del
divenire se stesso entro la storia al modello [centrato sul fare e sulla
rivoluzione, secondo il quale] una teoria senza influsso [sul fare] è vuota.
[C'è il modello che recupera il primato dei bisogni [e li assolutizza]. C'è
quello che sottolinea la dimensione [di gioco] e festiva, contemplativa e
disinibita della persona. C'è infine il modello di uomo pacificato con la
natura e con la sua corporeità, capace di gestire le relazioni con il cosmo e
la sua interiorità mediante una disciplina e una sapienza vitale.
Certo [serve
conoscere quei modelli], ma ancor più serve "farsi prossimi",
accostarsi e confrontarsi con queste prospettive esistenziali. Per dirla con
padre Bartolomeo Sorge la comunità cristiana è chiamata "a fare coagulo
tra culture diverse, a far emergere quei valori veri che sono comuni a diversi
umanesimi, e che si ritrovano in parte in ogni elaborazione sull'uomo".
[Lo scrittore
Bernanos] ammonisce: "Tutte le brecce si aprono sul cielo"; alle
volte la presenza del divino si scopre dove non si sarebbe pensato di trovarla.
Lo scambio vitale tra Chiesa evangelizzatrice e culture antiche e nuove è criterio
di fedeltà alla volontà di Dio di far discepole le genti.
valori culturali non sono degli assoluti. Nel dialogo
occorre rispetto reciproco, donare e ricevere. Non sempre forse è avvenuto
così, anche nelle chiese.
Si perla da un po' di
tempo anche di inculturazione, [intendendo] l'immissione del seme
evangelico in una determinata cultura, [per] rifondare la stessa cultura,
illuminandola dall'interno.
Inculturazione [è]
un neologismo usato ufficialmente nei documenti della chiesa forse per la prima
volta nel Messaggio a Popolo di Dio" del Sinodo dei Vescovi
del 1977. Il messaggio e la fede cristiana devono tendere a "contestualizzarsi" ,
a fermentare e trasformare la situazione "locale". [Il
concetto di] inculturazione si pone ai confini tra scienze antropologiche e
scienze teologiche. "Enculturazione" i veniva in
genere chiamato dagli antropologi il processo di inserimento e crescita
di un individuo in una data cultura, attraverso varie fasi di apprendimento e
di corresponsabilizzazione. Per analogia alcuni missionari hanno cominciato a
chiamare con il termine "inculturazione" il rapporto
vitale tra messaggio cristiano e culture quando esso si sviluppa nella linea di
un vitale e progressivo inserimento e di profonda fecondazione. Questa
riflessione teologica [si è] sviluppata primariamente nelle zone di missione
[e] si riferisce anzitutto all'esperienza di chiese locali.
"La chiesa locale
è una chiesa incarnata in un popolo, una chiesa indigena e integrata in una
cultura. E questo significa una chiesa in continuo, umile e amorevole
dialogo con le tradizioni vive, le culture, le religioni, in breve con tutte le
realtà di vita del popolo" [da un documento del Sinodo dei vescovi
dell'Asia, del 1974].
L'inculturazione del
Vangelo non è mai finita, perché la cultura è una realtà vivente e in
evoluzione. Ciò comporta ovviamente individuare la diversità delle fasi, quella
del prima apprendimento che è più passiva e quelle ulteriori che vedono in
gioco anche la capacità di una partecipazione attiva. Ma il tutto avviene in modo
preminente a livello delle chiese locali, e si deve evitare di stabilire
modelli e processi a priori uniformi, come appunto invitano ad imparare
non solo la storia del passato, ma anche le attuali esperienze delle chiese nei
vari continenti.
V'è in atto una
feconda stagione di riplasmazione culturale di una chiesa forzatamente
monoacculturata: [essa] esige pazienza e rispetto per un pluralismo che è segno
di una cattolicità viva e reale. Anche per noi europei e italiani [è] urgente
uno sforzo di "re-inculturazione" della fede
nel genio e nel sistema dei valori del nostro popolo.
Occorre uno
sforzo per integrarsi e per integrare il Vangelo in un paese, in una lingua, in
una vita che in buona parte si sono fatti per noi e per la fede cristiana
estranei. Occorre ripensare il messaggio e i valori evangelici all'interno dei
dinamismi propri della nostra cultura.
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Gesù,
portasti la croce,
fosti crocifisso tra due
altri,
scrissero di te
“Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”,
ti presero la tunica
e se la giocarono a
sorte.
Vicino alla croce
il discepolo che amavi
e tre donne,
Maria tua madre,
Maria, made di Clèopa,
Maria di Magdala;
affidasti tua madre a
quel discepolo
ed egli la tenne presso
di sé.
Dicesti
“è compiuto”
e moristi, moristi
davvero,
lo videro bene i soldati
sotto la croce,
ti fu trafitto il
costato,
ne uscirono sangue e
acqua,
volsero lo sguardo a colui che avevano
trafitto.
Fu chiesto a Pilato il
tuo corpo,
fu dato;
esso fu preparato per la
sepoltura
e messo in un sepolcro
vicino al luogo della
croce.
Si stava preparando il
sabato.
Il terzo giorno
quel sepolcro fu trovato
vuoto.
I teli che avevano
avvolto il corpo
da una parte,
il sudario usato per il
capo
avvolto da un’altra.
Chi vide, credette nella
tua Resurrezione.
Altri soffrirono come te
e più di te.
Altri giusti furono
messi a morte
e accettarono il
supplizio.
E anche noi soffriremo e
finiremo.
Chi sei veramente?
Come ci salvi?
Infondi il tuo Spirito,
come ci hai promesso,
perché ancora oggi,
in questo nostro tempo
in questo nostro mondo
possiamo capire
la volontà del Padre
tuo e nostro,
il senso del tuo essere
Figlio
e quello del nostro
essere figlie e figli,
non avendo visto,
perché è difficile per
noi
credere.
Amen