INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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giovedì 18 marzo 2021

15° INCONTRO IN GOOGLE MEET DI AC SAN CLEMENTE SULL'ENCICLICA "FRATELLI TUTTI" - SABATO 20 MARZIO ORE 16:45

 

Gruppo di Azione Cattolica

nella Parrocchia di San Clemente papa - Roma

 

 


  

Sabato 20  marzo, dalle ore 16:45, staremo insieme nel   15° incontro in Google Meet per approfondire i temi dell’enciclica Fratelli tutti,  in particolare quelli del dialogo e mediazione culturale trattati nei numeri da 198 a 217.

 Il successivo incontro di sabato 27 marzo sarà invece dedicato alla spiritualità, articolando riflessioni prendendo spunto dal  pio esercizio della Via Crucis  come suggerito da Antonietta, anche sulla base delle meditazioni proposte da don Emanuele nel ritiro del 13 marzo.

  Di seguito trovate:

-i brani dell’enciclica su cui ci confronteremo;

-un estratto dai miei appunti di lettura da un libro che tratta di dialogo e mediazione culturale;

-una preghiera composta da M. prendendo spunto dai brani evangelici proposti per il ritiro di sabato scorso.

 

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Consigliamo di accedere dalle ore 16:30 con il link o il codice di accesso che abbiamo comunicato.

  Ogni riunione in Meet ha un proprio link e codice di accesso. Non vanno bene quelli comunicati per precedenti incontri.

  Possono essere richiesti anche da chi non è socio del gruppo con un email a

mario.ardigo@acsanclemente.net

indicando il proprio nome, la parrocchia di residenza e i temi di interesse. Questi dati saranno cancellati dopo ogni riunione e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare a un incontro successivo.

 

A questo indirizzo di YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=GorIYoaHGjk

 potrete vedere un video in cui si insegna, passo per passo, come partecipare. 

 

Per accedere agli incontri in Google Meet:    

- acquisite un account Google, se già non l’avete, a questo indirizzo

 

https://accounts.google.com/signup/v2/webcreateaccount?continue=https%3A%2F%2Faccounts.google.com%2FManageAccount%3Fnc%3D1&hl=it-it&flowName=GlifWebSignIn&flowEntry=SignUp

 - effettuate l’accesso a Google, ad esempio dal browser Chrome o dall’applicazione Meet

 

https://apps.google.com/meet/

 

poi:

A) da PC fisso, PC portatile, tablet

 

 Potete seguire due metodi per accedere alla riunione in teleconferenza:

 

a) mediante link del tipo https://meet.google.com/abc-defg-hil?authuser=0 :

1a) cliccate sul link;

2a) nella finestra che si aprirà, cliccate su CHIEDI DI PARTECIPARE  e attendete di essere ammessi alla riunione;

b) mediante codice (del tipo abcdefghil)

1b) aprite Google Chrome e cliccate sul quadratino di puntini in alto a destra e poi sull’icona verde di Meet;

2b) selezionate PARTECIPA A UNA RIUNIONE;

3b) inserite il codice di accesso che avrete ricevuto, facendo COPIA/INCOLLA;

4b) cliccate su CONTINUA

5b) cliccate su CHIEDI DI PARTECIPARE e attendete di essere ammessi alla riunione.

 

B) da smartphone:

a) mediante link

1a) cliccate sul link;

2a) nella finestra che si aprirà, cliccate su CHIEDI DI PARTECIPARE;

b) mediante codice

1b) aprite la app Meet (che avrete scaricato dallo store del vostro telefonino);

2b) cliccate su CODICE RIUNIONE e inserite il codice di accesso che avrete ricevuto;

3b) cliccate su CHIEDI DI PARTECIPARE  e attendete di essere ammessi.

 

 Segnalate eventuali problemi con una email a

mario.ardigo@acsanclemente.net

indicando, se volete essere contattati telefonicamente, un numero di telefono al quale essere chiamati.

 

 

 

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 Dall’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, numeri da 198 a 216

 

CAPITOLO SESTO

DIALOGO E AMICIZIA SOCIALE

198. Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare. Non c’è bisogno di dire a che serve il dialogo. Mi basta pensare che cosa sarebbe il mondo senza il dialogo paziente di tante persone generose che hanno tenuto unite famiglie e comunità. Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto.

Il dialogo sociale verso una nuova cultura

199. Alcuni provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati, e altri la affrontano con violenza distruttiva, ma «tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il dialogo tra le generazioni, il dialogo nel popolo, perché tutti siamo popolo, la capacità di dare e ricevere, rimanendo aperti alla verità. Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media».

200. Spesso si confonde il dialogo con qualcosa di molto diverso: un febbrile scambio di opinioni nelle reti sociali, molte volte orientato da un’informazione mediatica non sempre affidabile. Sono solo monologhi che procedono paralleli, forse imponendosi all’attenzione degli altri per i loro toni alti e aggressivi. Ma i monologhi non impegnano nessuno, a tal punto che i loro contenuti non di rado sono opportunistici e contraddittori.

201. La risonante diffusione di fatti e richiami nei media, in realtà chiude spesso le possibilità del dialogo, perché permette che ciascuno, con la scusa degli errori altrui, mantenga intatti e senza sfumature le idee, gli interessi e le scelte propri. Predomina l’abitudine di screditare rapidamente l’avversario, attribuendogli epiteti umilianti, invece di affrontare un dialogo aperto e rispettoso, in cui si cerchi di raggiungere una sintesi che vada oltre. Il peggio è che questo linguaggio, consueto nel contesto mediatico di una campagna politica, si è talmente generalizzato che lo usano quotidianamente tutti. Il dibattito molte volte è manipolato da determinati interessi che hanno maggior potere e cercano in maniera disonesta di piegare l’opinione pubblica a loro favore. Non mi riferisco soltanto al governo di turno, perché tale potere manipolatore può essere economico, politico, mediatico, religioso o di qualsiasi genere. A volte lo si giustifica o lo si scusa quando la sua dinamica corrisponde ai propri interessi economici o ideologici, ma prima o poi si ritorce contro questi stessi interessi.

202. La mancanza di dialogo comporta che nessuno, nei singoli settori, si preoccupa del bene comune, bensì di ottenere i vantaggi che il potere procura, o, nel migliore dei casi, di imporre il proprio modo di pensare. Così i colloqui si ridurranno a mere trattative affinché ciascuno possa accaparrarsi tutto il potere e i maggiori vantaggi possibili, senza una ricerca congiunta che generi bene comune. Gli eroi del futuro saranno coloro che sapranno spezzare questa logica malsana e decideranno di sostenere con rispetto una parola carica di verità, al di là degli interessi personali. Dio voglia che questi eroi stiano silenziosamente venendo alla luce nel cuore della nostra società.

Costruire insieme

203. L’autentico dialogo sociale presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi. A partire dalla sua identità, l’altro ha qualcosa da dare ed è auspicabile che approfondisca ed esponga la sua posizione perché il dibattito pubblico sia ancora più completo. È vero che quando una persona o un gruppo è coerente con quello che pensa, aderisce saldamente a valori e convinzioni, e sviluppa un pensiero, ciò in un modo o nell’altro andrà a beneficio della società. Ma questo avviene effettivamente solo nella misura in cui tale sviluppo si realizza nel dialogo e nell’apertura agli altri. Infatti, «in un vero spirito di dialogo si alimenta la capacità di comprendere il significato di ciò che l’altro dice e fa, pur non potendo assumerlo come una propria convinzione. Così diventa possibile essere sinceri, non dissimulare ciò in cui crediamo, senza smettere di dialogare, di cercare punti di contatto, e soprattutto di lavorare e impegnarsi insieme». La discussione pubblica, se veramente dà spazio a tutti e non manipola né nasconde l’informazione, è uno stimolo costante che permette di raggiungere più adeguatamente la verità, o almeno di esprimerla meglio. Impedisce che i vari settori si posizionino comodi e autosufficienti nel loro modo di vedere le cose e nei loro interessi limitati. Pensiamo che «le differenze sono creative, creano tensione e nella risoluzione di una tensione consiste il progresso dell’umanità».

204. Oggi esiste la convinzione che, oltre agli sviluppi scientifici specializzati, occorre la comunicazione tra discipline, dal momento che la realtà è una, benché possa essere accostata da diverse prospettive e con differenti metodologie. Non va trascurato il rischio che un progresso scientifico venga considerato l’unico approccio possibile per comprendere un aspetto della vita, della società e del mondo. Invece, un ricercatore che avanza fruttuosamente nella sua analisi ed è anche disposto a riconoscere altre dimensioni della realtà che indaga, grazie al lavoro di altre scienze e altri saperi si apre a conoscere la realtà in maniera più integra e piena.

205. In questo mondo globalizzato «i media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una vita più dignitosa. […] Possono aiutarci in questo, particolarmente oggi, quando le reti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi. In particolare internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio».[199] È però necessario verificare continuamente che le attuali forme di comunicazione ci orientino effettivamente all’incontro generoso, alla ricerca sincera della verità piena, al servizio, alla vicinanza con gli ultimi, all’impegno di costruire il bene comune. Nello stesso tempo, come hanno indicato i Vescovi dell’Australia, «non possiamo accettare un mondo digitale progettato per sfruttare la nostra debolezza e tirare fuori il peggio dalla gente».

Il fondamento dei consensi

206. Il relativismo non è la soluzione. Sotto il velo di una presunta tolleranza, finisce per favorire il fatto che i valori morali siano interpretati dai potenti secondo le convenienze del momento. Se in definitiva «non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, […] non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno. […] Quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare».

207. È possibile prestare attenzione alla verità, cercare la verità che risponde alla nostra realtà più profonda? Che cos’è la legge senza la convinzione, raggiunta attraverso un lungo cammino di riflessione e di sapienza, che ogni essere umano è sacro e inviolabile? Affinché una società abbia futuro, è necessario che abbia maturato un sentito rispetto verso la verità della dignità umana, alla quale ci sottomettiamo. Allora non ci si asterrà dall’uccidere qualcuno solo per evitare il disprezzo sociale e il peso della legge, bensì per convinzione. È una verità irrinunciabile che riconosciamo con la ragione e accettiamo con la coscienza. Una società è nobile e rispettabile anche perché coltiva la ricerca della verità e per il suo attaccamento alle verità fondamentali.

208. Occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati. Ciò che chiamiamo “verità” non è solo la comunicazione di fatti operata dal giornalismo. È anzitutto la ricerca dei fondamenti più solidi che stanno alla base delle nostre scelte e delle nostre leggi. Questo implica accettare che l’intelligenza umana può andare oltre le convenienze del momento e cogliere alcune verità che non mutano, che erano verità prima di noi e lo saranno sempre. Indagando sulla natura umana, la ragione scopre valori che sono universali, perché da essa derivano.

209. Diversamente, non potrebbe forse succedere che i diritti umani fondamentali, oggi considerati insormontabili, vengano negati dai potenti di turno, dopo aver ottenuto il “consenso” di una popolazione addormentata e impaurita? E nemmeno sarebbe sufficiente un mero consenso tra i vari popoli, ugualmente manipolabile. Già abbiamo in abbondanza prove di tutto il bene che siamo capaci di compiere, però, al tempo stesso, dobbiamo riconoscere la capacità di distruzione che c’è in noi. L’individualismo indifferente e spietato in cui siamo caduti, non è anche il risultato della pigrizia nel ricercare i valori più alti, che vadano al di là dei bisogni momentanei? Al relativismo si somma il rischio che il potente o il più abile riesca a imporre una presunta verità. Invece, «di fronte alle norme morali che proibiscono il male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo o l’ultimo “miserabile” sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali».

210. Quello che oggi ci accade, trascinandoci in una logica perversa e vuota, è che si verifica un’assimilazione dell’etica e della politica alla fisica. Non esistono il bene e il male in sé, ma solamente un calcolo di vantaggi e svantaggi. Lo spostamento della ragione morale ha per conseguenza che il diritto non può riferirsi a una concezione fondamentale di giustizia, ma piuttosto diventa uno specchio delle idee dominanti. Entriamo qui in una degenerazione: un andare “livellando verso il basso” mediante un consenso superficiale e compromissorio. Così, in definitiva, la logica della forza trionfa.

Il consenso e la verità

211. In una società pluralista, il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale. Parliamo di un dialogo che esige di essere arricchito e illuminato da ragioni, da argomenti razionali, da varietà di prospettive, da apporti di diversi saperi e punti di vista, e che non esclude la convinzione che è possibile giungere ad alcune verità fondamentali che devono e dovranno sempre essere sostenute. Accettare che ci sono alcuni valori permanenti, benché non sia sempre facile riconoscerli, conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso, li riconosciamo come valori che trascendono i nostri contesti e mai negoziabili. Potrà crescere la nostra comprensione del loro significato e della loro importanza – e in questo senso il consenso è una realtà dinamica – ma in sé stessi sono apprezzati come stabili per il loro significato intrinseco.

212. Se una certa cosa rimane sempre conveniente per il buon funzionamento della società, non è forse perché dietro ad essa c’è una verità perenne, che l’intelligenza può cogliere? Nella realtà stessa dell’essere umano e della società, nella loro natura intima, vi è una serie di strutture di base che sostengono il loro sviluppo e la loro sopravvivenza. Da lì derivano determinate esigenze che si possono scoprire grazie al dialogo, anche se non sono costruite in senso stretto dal consenso. Il fatto che certe norme siano indispensabili per la vita sociale stessa è un indizio esterno di come esse siano qualcosa di intrinsecamente buono. Di conseguenza, non è necessario contrapporre la convenienza sociale, il consenso, e la realtà di una verità obiettiva. Tutt’e tre possono unirsi armoniosamente quando, attraverso il dialogo, le persone hanno il coraggio di andare fino in fondo a una questione.

213. Se bisogna rispettare in ogni situazione la dignità degli altri, è perché noi non inventiamo o supponiamo tale dignità, ma perché c’è effettivamente in essi un valore superiore rispetto alle cose materiali e alle circostanze, che esige siano trattati in un altro modo. Che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale. Perciò l’essere umano possiede la medesima dignità inviolabile in qualunque epoca storica e nessuno può sentirsi autorizzato dalle circostanze a negare questa convinzione o a non agire di conseguenza. L’intelligenza può dunque scrutare nella realtà delle cose, attraverso la riflessione, l’esperienza e il dialogo, per riconoscere in tale realtà che la trascende la base di certe esigenze morali universali.

214. Agli agnostici, questo fondamento potrà sembrare sufficiente per conferire una salda e stabile validità universale ai principi etici basilari e non negoziabili, così da poter impedire nuove catastrofi. Per i credenti, la natura umana, fonte di principi etici, è stata creata da Dio, il quale, in ultima istanza, conferisce un fondamento solido a tali principi.[203] Ciò non stabilisce un fissismo etico né apre la strada all’imposizione di alcun sistema morale, dal momento che i principi morali fondamentali e universalmente validi possono dar luogo a diverse normative pratiche. Perciò rimane sempre uno spazio per il dialogo.

Una nuova cultura

215. «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». Tante volte ho invitato a far crescere una cultura dell’incontro, che vada oltre le dialettiche che mettono l’uno contro l’altro. È uno stile di vita che tende a formare quel poliedro che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte». Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze. Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo. Ciò implica includere le periferie. Chi vive in esse ha un altro punto di vista, vede aspetti della realtà che non si riconoscono dai centri di potere dove si prendono le decisioni più determinanti.

L’incontro fatto cultura

216. La parola “cultura” indica qualcosa che è penetrato nel popolo, nelle sue convinzioni più profonde e nel suo stile di vita. Se parliamo di una “cultura” nel popolo, ciò è più di un’idea o di un’astrazione. Comprende i desideri, l’entusiasmo e in definitiva un modo di vivere  che caratterizza quel gruppo umano. Dunque, parlare di “cultura dell’incontro” significa che come popolo ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti. Questo è diventato un’aspirazione e uno stile di vita. Il soggetto di tale cultura è il popolo, non un settore della società che mira a tenere in pace il resto con mezzi professionali e mediatici.

217. La pace sociale è laboriosa, artigianale. Sarebbe più facile contenere le libertà e le differenze con un po’ di astuzia e di risorse. Ma questa pace sarebbe superficiale e fragile, non il frutto di una cultura dell’incontro che la sostenga. Integrare le realtà diverse è molto più difficile e lento, eppure è la garanzia di una pace reale e solida. Ciò non si ottiene mettendo insieme solo i puri, perché «persino le persone che possono essere criticate per i loro errori hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto». E nemmeno consiste in una pace che nasce mettendo a tacere le rivendicazioni sociali o evitando che facciano troppo rumore, perché non è «un consenso a tavolino o un’effimera pace per una minoranza felice». Quello che conta è avviare processi di incontro, processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze. Armiamo i nostri figli con le armi del dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro!

 

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Dai i miei appunti di lettura del libro di Bruno Secondin Messaggio evangelico e culture - problemi e dinamiche della mediazione culturale,  del 1982.

 

Secondo la definizione di Edward Burnett Taylor in "Primitive Culture" (=la cultura dei primitivi), Murray, Londra, 1871):

         "Cultura o civiltà è un insieme complesso che include la conoscenza, le          credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e          abitudine acquisita dall'uomo come membro della società".

Se ne trova un'altra definizione al n.53 della costituzione  Gaudium et spes, del Concilio Vaticano 2°:

  Con il termine generico di « cultura » si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano.

  Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce « cultura » assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori. Cosi dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano. Così pure si costituisce l'ambiente storicamente definito in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di promuovere la civiltà.

Sul rapporto tra fede e cultura  nel medesimo documento si osserva, al n.58:

         "Fra messaggio della salvezza e la cultura umana esistono molteplici          rapporti. Dio infatti, rivelandosi al suo popolo, fino alla piena manifestazione          di sé nel Figlio incarnato, ha parlato secondo il tipo di cultura proprio delle          diverse epoche storiche. Parimenti la chiesa, vivendo nel corso dei secoli in          condizioni diverse, si è servita delle differenti culture per diffondere e          spiegare il messaggio cristiano nella sua predicazione a tutte le genti, per          studiarlo e approfondirlo, per meglio esprimerlo nella vita liturgica e nella vita          della multiforme comunità dei fedeli".

  La civiltà europea ha ricevuto la sua fisionomia e la sua identità dalla storia della idee religiose e dai conflitti e dalle divisioni della cristianità.  Si tratta di un processo maturato nel giro di secoli. Possono bastare pochi decenni per smentire questa storia. Secondo Secondin non bisogna farsi troppe illusioni: siamo in una fase di transizione culturale molto estesa.

 Secondo il teologo franese Marie-Dominique Chenu (1895-1990):

         "La Chiesa del 20° secolo non ha più da prendere in mano la guida della          civiltà e la promozione dei popoli, bensì ha da gettare il lievito evangelico in          queste civiltà, in queste strutture dell'umanità".

 Per Secondin "la presenza della Chiesa nel mondo deve essere oggi caratterizzata da una capacità illuminativa, critica, costruttiva dell'annuncio del Vangelo all'interno delle situazioni storiche"  [pag.10].

Nei momenti di cambiamento e di transizione bisogna interrogarsi su quello che sta avvenendo e "sui significati di fondo ella storia che si vive e si progetta, su ciò che resta e ciò che muta, su quello che dal passato si può imparare e su quello che non si deve ripetere": è il lavoro del discernimento.

 Non bisogna perdere l'originalità del messaggio del Signore, ma occorre "riscoprire il senso di una presenza  a contatto vivo" con l'umanità nella quale la Chiesa è impiantata.

"Una vita cristiana … deve continuamente riferirsi alle proprie origini; deve orientarsi verso le promesse future nella cui aspettazione vive; e radicarsi nell'oggi in maniera realistica" [ da La comunione ecclesiale, documento dei vescovi spagnoli del 1979 citato dall'autore].

 Nella storia si celebra la rinnovata accettazione della "parola ultima" di Cristo da parte della Chiesa: essa è sequela di Cristo, " custodia gelosa e  comune degli elementi imprescindibili del patrimonio ricevuto".

 Occorre però rileggere  il patrimonio delle tradizioni "con occhi meno incantati", "per discernere tra assoluto e contingente, fra rivestimenti culturali, categorie antropologiche e verità che conduce davvero alla libertà e che va pertanto custodita in tutto il suo spessore".

La fede s'è trovata sempre a sostenere un dialogo vitale con le culture, la sua inculturazione: oggi, più liberamente che in altri tempi, di questo siamo coscienti e abbiamo la possibilità di dirlo senza correre il rischio di essere accusati di tradire la fede. Tutto ciò che è umano è destinato ad essere penetrato da Cristo, per diventare una nuova creazione. Questa è una esigenza intrinseca all'incarnazione, la quale è redenzione completamento unificazione. Ed è necessario trovare un equilibrio tra il dato/memoria ricevuto (essenziale punto di riferimento) e lo spazio dato alla profezia, al non ancora emerso, al non ancora vissuto.

Bisogna cambiare strategia, evitare soprattutto di condurre la Chiesa ad alienarsi nell'isolamento sdegnoso, come se fosse a sola a capire il vero bene.  La Chiesa è chiamata ad essere segno profetico nei ritmi della storia e coscienza critica [contro ogni soluzione e mediazione che pretenda di porsi come assoluta]. E' chiamata [a contrastare] ogni progetto che [si ponga] come ultimo, pur accettando [gli] apporti positivi.

 Il problema della mediazione non è mai un problema chiuso, ma è in continua evoluzione, perché la cultura non è un sistema chiuso. Come dice il Concilio [Vaticano 2° - 1962/1965]:

"Inviata a tutti i popoli di qualsiasi tempo e luogo, la Chiesa non si lega in modo esclusivo e indissolubile a nessuna stirpe o nazione, a nessun particolare modo di vivere, a nessuna consuetudine antica o recente. Fedele alla propria tradizione  e nello stesso tempo cosciente della sua missione universale, è in grado di entrare in comunione con le diverse forme di cultura … in tal modo la Chiesa compiendo la sua missione, già in questo fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile" [dalla Costituzione pastorale Gaudium et spes  (=la gioia e la speranza), n.58]

 Il problema della mediazione culturale in quest'epoca di grandi cambiamenti è al centro dell'aggiornamento ecclesiale attuale, un processo enorme. Il ritardo culturale e la persistenza di mediazioni non rispondenti  al nuovo corso sono ancora  [un motivo di difficoltà] nelle nostre comunità ecclesiali. Tuttavia lentamente sta prendendo corpo la convinzione che [la distanza] culturale che si separa dalla storia è una provocazione non solo alla fedeltà ai valori ricevuti, ma anche all'approfondimento [delle possibili aperture al Vangelo] insite nelle correnti umanistiche attuali. Non è sufficiente avere a disposizione dei valori, è necessario diventare, essere un "valore, costruirsi in forma di valore significativo.

[Nei tempi passati] toccava alla Chiesa progettare l'uomo: oggi il progettare è diventato un fatto autonomo, se non a volte in opposizione, rispetto alla tutela della fede. Molti sono i soggetti elaboratori di nuove antropologie, primari e autonomi. Alla Chiesa è chiesto di entrare in questo processo di progettazione.

 Dei progetti/uomo se ne individuano almeno una mezza dozzina.

 Si va da quello da quello portato a privilegiare nell'uomo la categoria della storicità, del divenire se stesso entro la storia al modello [centrato sul fare e sulla rivoluzione, secondo il quale] una teoria senza influsso [sul fare] è vuota. [C'è il modello che recupera il primato dei bisogni [e li assolutizza]. C'è quello che sottolinea la dimensione [di gioco] e festiva, contemplativa e disinibita della persona.  C'è infine il modello di uomo pacificato con la natura e con la sua corporeità, capace di gestire le relazioni con il cosmo e la sua interiorità mediante una disciplina e una sapienza vitale.

 Certo [serve conoscere quei modelli], ma ancor più serve "farsi prossimi", accostarsi e confrontarsi con queste prospettive esistenziali. Per dirla con padre Bartolomeo Sorge la comunità cristiana è chiamata "a fare coagulo tra culture diverse, a far emergere quei valori veri che sono comuni a diversi umanesimi, e che si ritrovano in parte in ogni elaborazione sull'uomo".

 [Lo scrittore Bernanos] ammonisce: "Tutte le brecce si aprono sul cielo"; alle volte la presenza del divino si scopre dove non si sarebbe pensato di trovarla. Lo scambio vitale tra Chiesa evangelizzatrice e culture antiche e nuove è criterio di fedeltà alla volontà di Dio di far discepole le genti.

 valori culturali non sono degli assoluti. Nel dialogo occorre rispetto reciproco, donare e ricevere. Non sempre forse è avvenuto così, anche nelle chiese.

Si perla da un po' di tempo anche di inculturazione, [intendendo] l'immissione del seme evangelico in una determinata cultura, [per] rifondare la stessa cultura, illuminandola dall'interno.

 Inculturazione  [è] un neologismo usato ufficialmente nei documenti della chiesa forse per la prima volta nel Messaggio a Popolo di Dio" del Sinodo dei Vescovi del 1977. Il messaggio e la fede cristiana devono tendere a "contestualizzarsi" , a fermentare e trasformare la situazione  "locale". [Il concetto di] inculturazione si pone ai confini tra scienze antropologiche e scienze teologiche. "Enculturazione" i veniva in genere chiamato dagli antropologi  il processo di inserimento e crescita di un individuo in una data cultura, attraverso varie fasi di apprendimento e di corresponsabilizzazione. Per analogia alcuni missionari hanno cominciato a chiamare con il termine "inculturazione" il rapporto vitale tra messaggio cristiano e culture quando esso si sviluppa nella linea di un vitale e progressivo inserimento e di profonda fecondazione. Questa riflessione teologica [si è] sviluppata primariamente nelle zone di missione [e] si riferisce anzitutto all'esperienza di chiese locali.

"La chiesa locale è una chiesa incarnata in un popolo, una chiesa indigena e integrata in una cultura.  E questo significa una chiesa in continuo, umile e amorevole dialogo con le tradizioni vive, le culture, le religioni, in breve con tutte le realtà di vita del popolo" [da un documento del Sinodo dei vescovi dell'Asia, del 1974].

 L'inculturazione del Vangelo non è mai finita, perché la cultura è una realtà vivente e in evoluzione. Ciò comporta ovviamente individuare la diversità delle fasi, quella del prima apprendimento che è più passiva e quelle ulteriori che vedono in gioco anche la capacità di una partecipazione attiva. Ma il tutto avviene in modo preminente  a livello delle chiese locali, e si deve evitare di stabilire modelli  e processi a priori uniformi, come appunto invitano ad imparare non solo la storia del passato, ma anche le attuali esperienze delle chiese nei vari continenti.

 V'è in atto una feconda stagione di riplasmazione culturale di una chiesa forzatamente monoacculturata: [essa] esige pazienza e rispetto per un pluralismo che è segno di una cattolicità viva e reale. Anche per noi europei e italiani [è] urgente uno sforzo di "re-inculturazione" della fede  nel genio e nel sistema dei valori del nostro popolo.

 Occorre uno sforzo per integrarsi e per integrare il Vangelo in un paese, in una lingua, in una vita che in buona parte si sono fatti per noi e per la fede cristiana estranei. Occorre ripensare il messaggio e i valori evangelici all'interno dei dinamismi propri della nostra cultura.

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Gesù,

portasti la croce,

fosti crocifisso tra due altri,

scrissero di te

Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”,

ti presero la tunica

e se la giocarono a sorte.

Vicino alla croce

il discepolo che amavi

e tre donne,

Maria tua madre,

Maria, made di Clèopa,

Maria di Magdala;

affidasti tua madre a quel discepolo

ed egli la tenne presso di sé.

Dicesti

“è compiuto”

e moristi, moristi davvero,

lo videro bene i soldati sotto la croce,

ti fu trafitto il costato,

ne uscirono sangue e acqua,

volsero lo sguardo a colui che avevano trafitto.

Fu chiesto a Pilato il tuo corpo,

fu dato;

esso fu preparato per la sepoltura

e messo in un sepolcro

vicino al luogo della croce.

Si stava preparando il sabato.

Il terzo giorno

quel sepolcro fu trovato vuoto.

I teli che avevano avvolto il corpo

da una parte,

il sudario usato per il capo

avvolto da un’altra.

Chi vide, credette nella tua Resurrezione.

Altri soffrirono come te e più di te.

Altri giusti furono messi a morte

e accettarono il supplizio.

E anche noi soffriremo e finiremo.

Chi sei veramente?

Come ci salvi?

Infondi il tuo Spirito,

come ci hai promesso,

perché ancora oggi,

in questo nostro tempo

in questo nostro mondo

possiamo capire

la volontà del Padre

tuo e nostro,

il senso del tuo essere Figlio

e quello del nostro essere figlie e figli,

non avendo visto,

perché è difficile per noi

 credere.

Amen