INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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martedì 30 luglio 2024

La messa e la coscienza

La messa e la coscienza

 

  Su La Repubblica di ieri si è dato conto di un sondaggio commissionato dal giornale a Demos & Pi sull’aderenza delle persone italiane maggiorenni all’etica cattolica. I risultati dovrebbero essere rappresentativi di quella fascia di popolazione con un margine di errore del 3%.

  L’incarico di riferirne è stato affidato al sociologo Ilvo Diamanti, il quale in passato ha guidato studi di questo tipo. Mi pare che abbia adottato il punto di vista della gerarchia ecclesiastica, scrivendo di declino.

  L’atteggiamento della gerarchia sulla religiosità della gente italiana è di solito questo: quando si tratta di ottenere finanziamenti pubblici la dice maggioritaria, quando parla alle persone di fede si lamenta che è minoritaria. E certamente è minoritaria la parte che è disposta a seguire acriticamente gli ordini etici della gerarchia. Questo è sicuramente un portato della profonda inculturazione dei processi democratici.

  La frequenza alla messa domenicale è scesa sotto al 20% e le persone che ci vanno sono in maggioranza sui sessant’anni. Questo non stupisce, perché è evidente a chi ci va, e significa che tra una ventina d’anni al massimo, la spiritualità basata su questo rito si estinguerà.

  Non si tratta di renderlo più piacevole e di accorciare le prediche. Anzi, trovo quest’ultimo suggerimento poco sensato, tenendo conto che per la maggior parte delle persone adulte l’omelia domenicale è la principale via di formazione permanente. È un rito poco partecipato, caratterizzato da elementi simbolici per i quali non si dispone più, in genere, delle chiavi culturali per comprenderli e che rimandano a contesti superati. Anche per me, sessantenne,  che vi partecipo regolarmente e che dispongo di quelle chiavi di lettura, la messa è diventata molto noiosa, e non è colpa dei preti che celebrano, i quali, anzi, fanno del loro meglio, ma è proprio la posizione passiva in cui è relegata la maggior parte delle persone che umilia e il fatto di sentirsi ripetere per l’ennesima volta quello che ormai si è sentito e risentito da una vita, praticamente tale e quale.

    Nei risultati del sondaggio di Demos & Pi c’è però un’informazione molto importante e che ci dice che la religiosità secondo la nostra fede è tutt’altro che in declino nella gente Italiana: una quota significativa della popolazione ritiene che l’etica cattolica sia utile, ma poi ciascuno si deve regolare secondo coscienza.

  L’agire secondo coscienza fu al centro della riforma religiosa alla quale si cercò di dare impulso durante il Concilio  Vaticano 2º, l’assise mondiale legislativa che i vescovi tennero dal 1962 al 1965 a Roma. Qualcosa di epocale, tenendo conto che dal secolo precedente e poi a lungo si era ritenuto che la pretesa di agire secondo coscienza fosse peccaminosa, uno degli errori dell’era contemporanea.

  Si agisce secondo coscienza quando ci si sente responsabili e la responsabilità necessariamente richiama un universo etico, altrimenti si direbbe che si fa come a una persona piace o conviene e può, secondo le inclinazioni naturali. Siccome l’universo etico al quale l’intervista demoscopica faceva riferimento era quello cattolico, questo significa che esso è ancora rilevante per molte persone in Italia.

  Certo, solo una minoranza è disposta ad ubbidire acriticamente a un centro di potere che rivendica sovranità, vale a dire di non poter essere messo in discussione. E questo è, appunto, conseguenza dell’ assimilazione diffusa del metodo democratico, che consiste proprio in quello.

  Del resto l’etica predicata dalla gerarchia, che non coincide con l’etica cattolica , la quale è un prodotto culturale collettivo, sociale, è divenuta su diversi temi oggettivamente  insostenibile e addirittura crudele. Per amore di pace si fa finta di crederle, da parte di noi persone di fede, e dall’altra parte si fa finta che noi realmente ci si creda. Ma è una situazione ipocrita.

  Direi che non dovremmo perdere l’occasione di venire incontro a tutte queste persone che ragionano secondo coscienza e che, per questo, invece di essere  apprezzate, vengono trattate con sospetto come disordinate e indocili.

  È il tempo giusto per cercare di organizzare centri di autoformazione e orientamento nelle questioni sociali, dove si pratichino dialogo e democrazia ed ogni persona trovi modo di partecipare alla decisione di una linea comune facendo lavorare la propria coscienza, come già sa fare.

  A volte mi pare che, invece, che per essere apprezzati dai pastori la coscienza la si debba dismettere, riporla fuori di chiese e santuari, entrandovi.

Mario Ardigo – Azione Cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli

  

 


lunedì 29 luglio 2024

Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea – 17 Mente, coscienza, natura, mito

 Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea – 17

Mente, coscienza, natura, mito

 

Negli ultimi anni sono stati pubblicati, anche in traduzione italiana, tre libri importanti per il lavoro che qui stiamo facendo:

DUNBAR Robin, Amici. Comprendere il potere delle nostre relazioni più importanti, Einaudi 2022;

KAHNEMAN Daniel, Pensieri lenti e pensieri veloci, Mondadori 2020;

SETH Anil, Come il cervello crea la nostra mente, Raffaello Cortina editore, 2023;

disponibili anche in formato digitale eBook e Kindle.

Seth è un neuroscienziato, Dunbar un antropologo, Kahneman uno psicologo, tanto da aver vinto nel 2002 il premio Nobel per l’economia (!).

  Hanno in comune l’essere testi divulgativi, fatti da specialisti in un settore scientifico  per farsi capire anche da non specialisti in quel settore, compresi gli specialisti in altri settori. È poi sul fondarsi su modelli sottoposti a verifiche sperimentali. Questi li distingue, ad esempio, dai testi di teologia che contengono ragionamenti su miti, e come tali, non suscettibili di verifiche sperimentali ma solo di verifiche della loro congruità logica in riferimento innanzi tutto ai presupposti e poi allo sviluppo del pensiero, che non deve contraddirsi, e, infine, alle regole dell’arte condivise nella comunità degli specialisti.

  Dunbar, Kahneman e Seth forniscono dei modelli affidabili su come si produce e funziona la nostra mente, anche nell’interazione sociale, quindi anche come prendiamo le nostre decisioni, e su che cosa sia la coscienza, una facoltà molto importante anche per la vita spirituale religiosa.

  Un modello scientifico vale nella misura in cui, dalle verifiche sperimentali, risulti affidabile, quindi non proclama verità. È suscettibile di sviluppi e addirittura di ribaltamenti con il progredire delle tecniche e degli strumenti di indagine. In genere, nelle comunità degli specialisti nelle scienze dei fenomeni naturali si condivide l’idea proposta dal filosofo Karl Popper (1902-1994), che un enunciato possa essere considerato scientifico se ammette di poter essere falsificato, vale a dire se definisce le condizioni al prodursi delle quali possa essere ribaltato. Le scienze dei fenomeni naturali, così, non enunciano verità, e ci sono utili proprio per questo.

  Il concetto di verità non è scientifico, ma politico. La verità è quindi un enunciato che deve essere condiviso se si vuole essere ammessi o rimanere in in certo gruppo sociale. I dogmi del cristianesimi (di tutti i cristianesimi) sono verità in questo senso. In quanto concetti politici sono mutati nel tempo, come può essere facilmente dimostrato in base a uno studio realistico della storia, che la formazione cattolica di base purtroppo non contiene.

  Anche le idee  di democrazie, popolo e nazione,  come gran parte dei concetti giudici hanno natura politica.

  Un’idea ha natura politica quando serve per costruire e governare società.

  Dal sistema delle verità scaturiscono modelli di rappresentazione del mondo e del senso del mondo,  che costituisce il soprannaturali, che, in quanto non suscettibili di verifiche sperimentali, non sono affidabili per capire come funziona la natura intorno a noi, ma possono esserlo, appunto, per costruire e governare società. I sistemi veritativi hanno natura mitica, nel senso che non sono suscettibili di verifiche sperimentali e, inoltre, sono veicolati in narrazioni semplificate e cariche di elementi emotivi.

  I miti,  che rientrano tra gli elementi culturali della nostra esperienza sociale, ci sono indispensabili, per costruire società e nessuna società ne ha mai fatto a meno e ne fa ancora a meno.

  Il mito ci è indispensabile per superare i nostri limiti cognitivi di specie, che, come ci spiega Dunbar, ci confinerebbero in gruppi sociali di una trentina di individui, come gli altri Primati.

  Uno dei miti essenziali per la costruzione sociale è quello che ci vuole liberi di decidere tra diverse opzioni. Non lo siamo in realtà, perché la nostra mente è un prodotto del nostro organismo, e la coscienza è una percezione mentale come ci spiega Seth, per cui noi siamo ciò che il nostro organismo (non solo l’encefalo e il resto del sistema nervoso ci determina ad essere. Di ciò abbiamo chiara percezione nelle emoziono, che però sono solo parte dei fenomeni psichici, quelli che giungono alla nostra coscienza. Kahneman vinse il premio Nobel per l’economia dimostrando che, contrariamente ai presupposti degli economisti classici, gli esseri umani non sono agenti razionali in economia, perché agiscono spinti da una mente emotiva, e dunque sono manipolabili con tecniche e tecnologie organizzate dagli specialisti. Si può indurre la gente a fare qualsiasi cosa, anche contro il proprio interesse e l’evidenza di come vede andare il mondo attorno a sé, usando le tecniche giuste. Ora lo si è dimostrato razionalmente, ma la cosa era ben nota: le religioni si fondano proprio su questo. Ma anche le ideologie politiche, che non di rado assumono connotati religiosi, ad esempio nei miti della razza e della nazione.

  Tutto ciò crea problemi naturalmente  nella formazione religiosa, che si basa essenzialmente su miti e verità. Per quanto si riesca ad organizzarli in narrazioni affascinanti e coerenti essi, per la loro natura, non sono sufficienti per prendere buone decisioni collettive, nell’interesse dei più, secondo ciò che nella dottrina sociale viene definito  bene comune, pur potendo essere utili per mantenere coesa la società di riferimento. Quando però non lo sono più vengono adattati alle nuove esigenze politiche, e così s’è sempre fatto. L’idea che si sia ricevuto dagli antichi un deposito immodificabile altrimenti si va in rovina, che nella nostra cultura ci deriva dall’antichità dei romani, è solo un mito. Che si rivela come tale proprio nell’esperienza storica dei cristianesimi che iniziarono proprio come critica del mito delle antichità giudaiche. Si  volle, allora, far nuove tutte le cose.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli


sabato 27 luglio 2024

Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea - 0 Nota programmatica

 

Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea  - 0

Nota programmatica

 La serie di post  di Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea fa seguito agli impegni presi nella 50° Settimana sociale dei cattolici in Italia di Trieste sul tema “Al cuore della democrazia”, che si è svolta dal 3 al 7 luglio 2024, introdotta da un importantissimo intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, senz’altro il maggiore esponente del cattolicesimo democratico italiano contemporaneo.

  Non dobbiamo nascondercelo: le Settimane sociali  iniziarono nel 1907, in un’epoca buia del cattolicesimo italiano, caratterizzata dalla durissima repressione, da parte del Papato, dei moti di rinnovamento religioso sbrigativamente condannati come modernismo. L’anno prima era stata costituita l’Azione cattolica italiana, come centro organizzativo per l’azione sociale, politica e sindacale delle genti cattoliche sotto la stretta egemonia di un Papato che stava abbandonando la posizione di intransigente rifiuto della nuova democrazia del Regno d’Italia, per l’oltraggio che riteneva di aver subito con la perdita del suo regno nel Centro Italia con capitale Roma nel 1870, e cercava di avvalersi dei processi democratici per riconquistare il controllo sulla politica italiana. Le Settimane sociali  furono sempre espressione di questo disegno egemonico, che esigeva l’unità  delle forze cattoliche, almeno fino alla 47°,  che si svolse a Torino nel 2013. Non a caso ne fu sospesa la celebrazione nell’epoca di maggiore effervescenza sinodale  della Chiesa italiana, del quale furono protagonisti il basso clero e le persone di fede libere da vincoli ecclesiastici con la gerarchia nelle funzioni ecclesiali svolte, negli anni ’70 e ’80: dopo il 1970 e fino al 1991 non furono più celebrate.

Nel 1993 (42°) e nel 2004 (44°), quando si iniziò a convocarle ogni tre anni, si discusse di democrazia, in concomitanza con passaggi di fase storici, nel primo caso per la costruzione di una nuova Europa integrando i sistemi politici della parte orientale usciti dai regimi comunisti di stampo staliniano, e nel secondo caso per la gravissima crisi politica prodottasi in Italia nell’autunno del 2001, nel quale la Conferenza episcopale italiana aveva avuto un ruolo fondamentale (il Governo nazionale italiano si dimise dopo una durissima prolusione del suo Presidente), e con i tentativi di riorganizzare una forza politica unitaria dal movimentismo cattolico italiano.

  Nella 50° Settimana sociale si è discusso di democrazia in tutt’altra prospettiva, in particolare perché si era alla conclusione del processo sinodale iniziato nell’ottobre del 2021, tanto che, nei lavori dell’assemblea dei delegati delle Diocesi italiane, si è praticato il metodo di dialogo detto della conversazione spirituale praticato anche nei lavori sinodali.

 Si è saputo poco dell’andamento dei lavori dei delegati e non mi risulta ancora diffuso un documento di sintesi, indizio di una discussione non facile.

 Il ruolo della gerarchia e del clero è stato veramente eccessivo, tenendo conto che si tratta di componenti che non praticano la democrazia. Siamo molto lontani dalle consuetudini tedesche, che riconoscono un ruolo effettivo a tutte le altre componenti ecclesiali, che sono le più importanti per lo sviluppo democratico.

 E’ tuttavia emersa l’attesa dello sviluppo di un impegno duraturo per l’autoformazione alla democrazia, che negli ambienti ecclesiali di solito non si fa, salvo che in Azione Cattolica, naturalmente nel Movimento Ecclesiale di Impegno culturale e nella FUCI, movimenti come Comunione e Liberazione e in poche altre agenzie ecclesiali. Manca del tutto, in genere, nelle parrocchie, realtà di base importantissime perché costituiscono il principale centro di orientamento sociale e politico per la maggior parte delle persone di fede.

  Manca un libro di testo  per avviare le riflessioni in una scuola di autoformazione alla democrazia (e alla sinodalità, che vi è strettamente correlata), che comprenda anche tirocini pratici nelle società di riferimento.

  La serie di post  di Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea vuole essere un contributo per rimediarvi.

  Democrazia dell’Unione Europea perché è quella la democrazia, tanto diversa da tutte quelle del passato e anche dalle altre contemporanee, a cui ci serve di fare riferimento per parteciparvi realmente e, così, per far progredire i processi di integrazione e di pace che essa ha promosso.

 Non ha senso parlare di democrazia  in astratto, magari per indicarne solo i fattori di crisi (assolutamente fisiologici, perché le democrazie sono tenute in uno stato di crisi permanente o non sono talie), come è consuetudine da parte della gerarchia ecclesiastica cattolica.

 Questa democrazia dell’Unione Europea  è il gioiello del cristianesimo democratico europeo, al quale le forze cattoliche italiane hanno dato un contributo rilevantissimi, nonostante che questo sia ancora disconosciuto dal magistero ecclesiastico.

 Bisogna riconoscere che circolano le idee più varie su che cosa sia la democrazia. Essa è legata ai concetti di stato, popolo, nazione, come anche ad un’etica personale e collettiva.

  Anticamente associata al disordine sociale, effettivamente contiene una certa dose di anarchia. Ma nella nostra Europa viene considerata fattore di ordine istituzionale mediante ampia condivisione di alcuni valori fondamentali, e quindi di pacificazione sociale.

  Il processo di integrazione comunitaria sfociato nel 1993 con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, dell’anno precedente, ha avuto tra i suoi principali obiettivi il mantenimento della pace tra i sistemi politici che l’avevano promosso, i quali organizzavano il governo di popolazioni che si erano sempre ciclicamente combattute per almeno duemila anni, in particolare nelle catastrofi delle due guerre mondiali  del Novecento. Questo obiettivo è stato effettivamente raggiunto, mentre nel resto del mondo ci si è continuati a fare guerra, anche da parte dei sistemi politici che prendevano parte all’integrazione comunitaria europea, i quali, però, anche fuori dei confini comunitari, non si sono mai più fatti guerra fra loro. Come la democrazia ha inciso in quest’opera di pace?

   Pacificazione e democrazia storicamente non sono mai state connesse, salvo che durante il processo comunitario europeo. Le democrazie, anzi, si manifestarono sempre assai bellicose, al loro interno e verso l’esterno, fatta eccezione che nella nostra nuova Europa. In questo è paradigmatica l’esperienza della prima delle democrazie contemporanee, basate sull’idea di sovranità popolare, vale a dire quella statunitense, costituita nel 1789, con l’entrata in vigore della Costituzione deliberata a Filadelfia (Pennsylvania) nel 1787. Ma lo sono anche le precedenti esperienze democratiche europee dal Medioevo in avanti, in particolare quella inglese. Per capire la democrazia è prezioso lo studio della storia.

  Così, altri valori che oggi, nella nostra Europa si associano alla democrazia non la caratterizzarono prima della fine della Seconda guerra mondiale, nel 1945: ad esempio quelli implicati nelle politiche pubbliche per innalzare il benessere diffuso delle popolazioni che si fanno rientrare nell’idea di Welfare State [=Stato del benessere], in particolare nei settori del lavoro, dell’istruzione, della sanità,  della previdenza sociale, della realizzazione di alloggi popolari, a prescindere da condizioni di indigenza. Essi si realizzano mediante politiche tributarie che hanno finalità di giustizia distributiva. Tutto ciò, negli Stati Uniti d’America di oggi, viene considerata un’indebita ingerenza da parte di larghi settori della politica, in particolare di quelli che fanno riferimento al Partito Repubblicano. E’ un orientamento che si è fatto strada anche in Italia dalla metà degli scorsi anni Novanta, come anche negli altri sistemi politici europei, ma che ancora in Unione Europea non è riuscito ad imporsi, permanendo sistemi forti di sicurezza sociale. Quando si proclama lo slogan “Meno tasse”, si vuole tornare alla democrazia di prima, quando di queste cose i poteri pubblici non si occupavano.

  Anche l’idea di eguaglianza, sicuramente essenziale per le concezioni democratiche, ha oggi un senso diverso da quello che storicamente ha avuto nelle esperienze democratiche. Si è passati da una prospettiva formale, rispetto ai diritti, facoltà e poteri previsti dalle norme, a una sostanziale  che riguarda la posizione sociale delle persone. Senza un certo livello di istruzione e di benessere l’uguaglianza formale serve a poco, perché non si ha veramente modo di farsi valere nelle procedure pubbliche e si cade in dominio dei più forti.

  Infine l’idea di libertà  personale nelle democrazie europee viene temperata da quella di responsabilità sociale, con importanti riflessi sul diritto di proprietà, la cui affermazione, collegata a quella di personalità individuale, è stata fondamentale nello sviluppo dei processi democratici moderni. Storicamente questo è stato considerato come un sopruso nelle precedenti esperienze democratiche e anche in democrazie contemporanee al di fuori dell’Unione Europea.

  Anticipo qual è la sostanza fondamentale della democrazia, che ha caratterizzato e caratterizza tutte le esperienze democratiche: la lotta  contro ogni potere, pubblico o privato, che rivendichi sovranità. Quest’ultima è la pretesa di non avere alcun limite, sopra o intorno a sé.

  Storicamente le democrazie europee si svilupparono nella lotta contro le dinastie sovrane che dominavano sul continente, tra le quali anche quella dei Papi, che aveva un proprio stato  nel Centro Italia, con capitale Roma. La nostra Repubblica si fonda idealmente su quella di orientamento mazziniano (dal filosofo, politico e rivoluzionario Giuseppe Mazzini  - 1805\1872) che dal febbraio 1848 al luglio 1949 abbatté la monarchia papale su Roma e dintorni, instaurando un proprio governo. Il regno dei Papi fu poi abbattuto militarmente dal Regno d’Italia, una democrazia,  nel settembre 1870, al termine di una breve, ma cruenta, guerra. Questo provocò la tragedia della radicale opposizione del Papato alla nuova democrazia italiana, alla quale fu fatto divieto alle persona cattoliche di partecipare, e, di riflesso, al disonorevole compromesso con il fascismo mussoliano,  concluso nel 1929 dal papa Achille Ratti, regnante come Pio 11°, al quale si iniziò a porre fine solo dal 1942, per volontà del papa Eugenio Pacelli, regnante come Pio 12°. Da allora i cattolici democratici italiani iniziarono a progettare una nuova democrazia che, al termine della guerra di Resistenza (settembre 1943-maggio 1945) in cui fu abbattuto il regime mussoliniano, fu realizzata destituendo, con il volto popolare al referendum del 1946, la dinastia Savoia e istituendo una Repubblica democratica. Da cui si ha conferma che l’istituzione della democrazia consegue sempre a una lotta contro precedenti poteri non democratici.

  Concepire la democrazia come lotta  va contro il modo in cui viene presentata di solito e crea problemi con l’etica religiosa. Ma, a mio parere, parlandone senza fare riferimento alla lotta, come una sorta di galateo istituzionale, di insieme di norme di buona creanza negli affari pubblici,  la si travisa e, soprattutto, non si mette in giusto risalto l’impegno personale che vi è legato. E’ per questo, in fondo, che si dice che la nostra Repubblica è fondata sulla Resistenza, una guerra nella quale, dal lato dei resistenti, che si chiamavano ribelli  tra loro ed erano chiamati banditi  dai nemici fascisti, non si era reclutati  dal lato dei resistenti, i quali vi parteciparono associandosi liberamente, come espressione di impegno civile,  nelle armate ribelli senza alcun ordine di mobilitazione, senza esservi stati costretti.

  Dico questo senza in alcun modo voler mitizzare la violenza bellica, perché ritengo che ai tempi nostri e di fronte alle sfide sociali che l’umanità intera si trova ad affrontare, la lotta democratica debba  farsi con metodi nonviolenti o altrimenti non  potrà conseguire il risultato che ci è indispensabile, vale a dire, addirittura, la sopravvivenza dell’umanità, fattasi fortemente integrata e pertanto interdipendente. Questo è tanto chiaro alle stesse potenze belligeranti che esse, come accade in Ucraina, mentre progettano stermini, tuttavia cercano di evitare accuratamente che il conflitto diventi totale  come fu la Seconda guerra mondiale.

  Nel corso della Settimana Sociale svoltasi a Trieste tra il 3 e il 7 luglio 2024 sul tema “Al cuore della democrazia” si è osservato che, a differenza di ciò che accadde in Italia fino agli scorsi anni Ottanta (quest’ultimo decennio fu caratterizzata dallo svolgersi di tantissime scuole di politica), non si fa formazione alla politica e alla democrazia.

  Quando parliamo di scuola  dobbiamo intendere essenzialmente l’autoformazione dialogica, quindi l’istituzione di centri di orientamento (sul modello di quelli ideati del filosofo, politico ed educatore  Aldo Capitini    1899-1958, l’ideatore della Marcia per la pace  Perugia-Assisi) nei quali, sulla base delle esperienza sociali e politiche di prossimità, ad esempio in una parrocchia o in una scuola pubblica, e della cronaca locale e nazionale si ragioni insieme su come far vivere la democrazia nelle relazioni in  cui si è coinvolti. Un’esperienza di questo tipo non deve essere monopolizzata dagli esperti, anche se essi saranno utili per definire i contesti storici e culturali, ma deve essere, essa stessa, una esperienza democratica, nella quale si inizi a contrastare gli abusi di potere a danno altrui, innanzi tutto realizzando la giustizia partecipativa, per dar modo a tutte le persone che vi partecipano di esprimere il loro impegno.

  Queste note, come ho scritto prima,  vogliono essere un sussidio, a un primo livello di riflessione, per un lavoro collettivo di quel tipo.

  Non sono uno studio scientifico, per il quale sarebbe necessario dar conto con precisione degli sviluppi culturali sui temi trattati e di osservazioni empiriche complete sui fatti sociali. Costituiscono, appunto, un primo livello di riflessione sulla base specialmente di esperienze concrete, mie e nei gruppi a cui ho partecipato o partecipo. Ho lavorato fin da giovane e ancora lavoro in un organismo pubblico molto rilevante per la vita democratica. E da giovane universitario ho partecipato a una delle scuole di politica  sviluppate negli anni ’80, animata da una persona eccezionale che ha lasciato una traccia indelebile nella mia vita, il giornalista Paolo Giuntella (1946-2008). La mia competenza non è quindi quella di un teorico,  ma quella di un pratico, ma forse è proprio questa che può risultare più utile nel contesto attuale. Naturalmente farò riferimento anche ai teorici,  ma solo da persona colta, non da specialista nei vari settori di riferimento.

  Anche dove sono assertivo, resta inteso che lo sono solo come modalità di espressione veloce del pensiero ma che ogni mia affermazione esige  di essere sottoposta a verifica e, in ciò, appunto il lavoro che può farsi in una scuola di autoformazione alla politica e alla democrazia.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

 

venerdì 26 luglio 2024

Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea -16 Connotare la democrazia

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Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea -16

Connotare la democrazia

 

   In Italia viviamo la democrazia secondo i principi che la caratterizzano nell’Unione Europea e quindi la associamo a sentimenti benevoli, compassionevoli e solidali, insomma al bene  secondo una prospettiva etica cristiana come la si insegna (oggi) anche nella nostra Chiesa. Si deve però essere consapevoli che il definirsi democratici non basta, di per sé solo, ad impegnarsi per quel tipo di moralità pubblica.

  I razzisti bianchi degli stati del Ku Klux Klan, un’organizzazione politica diffusa negli stati degli Stati Uniti d’America che persero la guerra civile combattuta tra il 1861 e il 1865 e che negli anni Sessanta fu accusata di vessazioni, aggressioni, distruzioni e omicidi in danno dei neri, rivendicava la democrazia per opporsi alle politiche di integrazioni dei neri promosse dalla Presidenza federale e dalle altre istituzioni federali.  Apparteneva al Partito democratico George Wallace, governatore dello stato dell’Alabama tra il 1963 e il 1967, nel periodo più caldo della rivolta bianca contro i processi di  integrazione dei  neri, acerrimo nemico dell’integrazione. L’imposizione dell’integrazione dei neri era vista da quei democratici  come un abuso di potere del Governo federale. Si dicevano anche cristiani, nonostante distruggessero le chiese frequentate dai cristiani battisti neri.

  Nella nostra Unione Europea due importanti partiti politici, in Grecia e in Germania, rivendicano nella loro denominazione la democrazia  benché siano di orientamento razzista.

  Quando, a cavallo tra Ottocento e Novecento, in Italia, nell’organizzazione dell’Opera dei Congressi, che riuniva tutti i movimenti e le associazioni che organizzavano nelle genti cattoliche iniziative sociali anche secondo le indicazioni date dall’enciclica Delle Novità – Rerum novarum del 1891, si manifestarono componenti favorevoli alla partecipazione alla vita politica italiana (vietata dal Papato dai precedenti anni ’60), i loro esponenti parlarono di una democrazia cristiana. Questa tendenza fu scomunicata dal Papato con l’enciclica Le gravi dispute sugli affari sociali - Graves de communi re [agitationes], del 1901. L’Opera dei Congressi fu sciolta per volontà del Papato nel 1904. Al suo posto il Papato organizzò l’Azione Cattolica italiana, con l’enciclica Fermo proposito del 1905, i cui statuti furono approvati l’anno seguente.

  Un’altra connotazione della democrazia fu in Europa la socialdemocrazia, che voleva correggere le tendenza antidemocratiche dei socialismi marxisti. Questi ultimi diffidavano delle democrazie perché in esse le masse proletarie (formate dalle persone che per vivono dipendono da altre) avevano sempre la peggio (in genere, paradossalmente, è ciò che è più  o meno sempre accaduto, anche quando fu istituito il suffragio universale maschile e femminile e tutte le persone adulte poterono votare).

  In Italia e in ambito socialista fu adottata anche la denominazione di democrazia proletaria: ci si proponeva di correggere i processi democratici in modo che non sfavorissero le masse proletarie.

  L’istituzione di procedure politiche democratiche non garantisce contro le discriminazioni sociali. Proprio la storia degli Stati Uniti d’America ne sono l’esempio storico. Né contro la violenza politica: ancora ci si può richiamare agli Stati Uniti d’America, ma anche alla Gran Bretagna al tempo del suo Impero mondiale ma anche dopo, alla Francia rivoluzionaria e in altre successive epoche storiche e all’attuale Stato di Israele, indubbiamente organizzato come una democrazia liberale di tipo occidentale ma che attua politiche di pesante discriminazione contro le popolazioni arabe palestinesi dei territori che controlla in Cisgiordania.

  La democrazia dell’Unione Europea è fortemente caratterizzata da norme di protezione delle minoranze, che quindi limitano gli arbitri delle maggioranze.

 Il problema della tirannia  delle maggioranza si presentò molto presto nell’evoluzione della democrazia rivoluzionaria francese, a fine Settecento, in pochi anni evolutasi nell’Impero di Napoleone Bonaparte. Ne scrisse il francese Alexis de Tocqueville (1805-1859) nel libro La democrazia in America  - De la démocratie en Amérique" pubblicato tra il 1835 e il 1840.  Di questo tema ha parlato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso che ha tenuto a Trieste il 3 luglio 2024 nella giornata di apertura della 50° Settimana sociale dei cattolici italiani, sul tema Al cuore della democrazia.

  La democrazia si è sviluppata cercando di far prevalere le maggioranza sui poteri autocratici, che  ritenevano di legittimarsi su basi sacrali o ereditarie, come era anche quello della dinastia sovrana dei Savoia in Italia, la quale si diceva regnante Per Grazia di Dio (con lo statuto democratico del 1848 si aggiunse  e per volontà della Nazione). Ma una volta che si è in un regime democratico e siano state sottomessi o aboliti i poteri autocratici, sono proprio le minoranze ad aver bisogno di tutela. E, se non l’hanno, viene meno uno dei principi cardine della democrazia, quello della libertà di pensiero e di espressione, e quindi poi non è più realmente attuabile il dialogo  democratico, quindi il confronto delle idee nella fase istruttoria delle decisioni collettive. E la democrazia è anzitutto questo, non solo votare.

  Concludo osservando che nella nostra Chiesa, purtroppo, non è riconosciuta ancora libertà di pensiero e di espressione e, anzi, vi è un organismo centrale di diretta collaborazione con il Papato, il cosiddetto Dicastero per la dottrina della fede, che ha il compito principale di perseguire il pensiero e le sue manifestazioni pubbliche. Un relitto obsoleto del passato? Non è considerato tale dalla nostra gerarchia, che, insieme, ne è artefice ma anche vittima. Nel gennaio 1968 l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Lercaro, fu bruscamene costretto alla dimissioni dal Papato per aver predicato, nella prima Giornata della pace, istituita l’anno precedente e celebrata per la prima volta il 1 gennaio 1968, che i bombardamenti a tappeto statunitensi contro le città del Vietnam del Nord erano contro il Vangelo. Gli fu anche imposto di giustificare le dimissioni con (inesistenti) motivi di salute. Ne ha scritto qualche anno fa Alberto Melloni nel libro Rimozioni. Lercaro 1968, Il Mulino 2019, disponibile anche in ebook e Kindle.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

mercoledì 24 luglio 2024

Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea – 15 - La democrazia della gente

 

Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea – 15 -

La democrazia della gente

 

 Diversamente da quello che di solito se ne racconta la democrazia dell’Unione Europea si è affermata tra la gente dagli anni ’90 ed è un radicamento molto forte, che però sfugge a chi ancora parla del processo comunitario come di un fatto essenzialmente burocratico.

  Fa uno strano effetto sentire di nuovo le parole incendiarie che negli anni Settanta spingevano alla violenza di piazza e ad altri atti efferati  e vedere che sono recepite solo da ristrettissime minoranze.

  La mitologia bellicista sembra non avere più presa da noi. Ma in effetti non la si ha nemmeno nei sistemi politici europei che hanno ordinato la guerra in Ucraina. Laggiù non si combatte per le finalità di una volta, ma per decidere in quale spazio comunitario integrarsi. Gli ucraini vorrebbero partecipare al processo comunitario dell’Unione Europea e i russi li vorrebbero trattenere in quello da loro organizzato. E la Gran Bretagna è uscita dall’Unione Europea pensando di puntare sullo spazio comunitario che si è organizzato intorno, il Commonwealth delle nazioni. Gli Stati Uniti d’America, invece, perseguono un altro disegno, in linea con le politiche del passato.

 Di solito la democrazia viene insegnata come un sistema di regole, una specie di galateo pubblico. Ed un sistema normativo imposto dall’alto. Ma non è questa la sua sostanza. Deriva dalla capacità della gente di esercitare una resistenza diffusa a poteri che abusano e, in questo senso, è lotta. Il principale abuso di potere è imporre mitologie belliciste ed è un abuso perché mette in pericolo le vite e la felicità delle persone a vantaggio di chi le vuole spingere in guerra. Il principale strumento delle politiche democratiche è l’obiezione di coscienza, quindi il rifiuto di obbedienza a norme giudicate arbitrarie per eccesso di potere. Ma non si tratta di semplice rivolta, bensì dello sforzo per costruire un ordine sociale e istituzionale nel quale non sia più ammesso l’abuso di potere. In un contesto simile, ogni persona, in qualche misura, con specifiche procedure ma anche esercitando libertà, facoltà e diritti riconosciuti socialmente, deve poter aver voce nelle decisioni comune. Perché ciò avvenga occorre concordare su regole di giustizia partecipativa, che però, in democrazia, sono in costante evoluzione, perché, in un contesto democratico, si scopre sempre di poter essere più democratici. Lo si fa non solo con il voto, ma specialmente nella vita sociale, in particolare nei rapporti economici, ma in generale in ogni interazione sociale. Si lotta anche così, anzi specialmente così.

  In Europa occidentale viviamo in un contesto di democrazia evoluta, nel quale la giustizia partecipativa è consentita in misura assai ampia. In questa situazione, la violenza pubblica è espressa in gran parte dalle forze reazionarie o dalle forze sociali non accora acculturate alla vita democratica. Ma il consenso sociale alla democrazia è vastissimo ed è per questo che, nonostante forti tensioni sociali derivate in gran parte dai processi economici che stanno impoverendo i ceti più numerosi della popolazione, non si replicano le violenze degli anni Settanta. Questo anche se le persone spesso agiscono da democratiche ma non si rendono bene conto di esserlo.

 Il ceto politico italiano non ha consapevolezza della situazione e si capisce da come cerca di acquisire il consenso, dai discorsi che fa.

  Il vastissimo consenso intorno al magistero del Presidente della Repubblica è un importante indicatore di come la pensa la gente.

  La democrazia, come la si pratica nell’Unione Europea, non vive (solo) nelle norme ma è sorretta dalla pratica nella vita comune delle persone. E da quest’ultima vengono gli stimoli a cambiare le regole in senso sempre più democratico.

  Le persone vogliono vivere serenamente in  famiglia, non sognano più di immolarsi massacrando altra gente e distruggendo la propria e l'altrui felicità. Questo ideale era invece disprezzato nelle mitologie belliciste che presero piede dopo la Prima guerra mondiale (1914-1918). Erano ancora piuttosto forti al tempo della mia adolescenza, negli anni Settanta.

  Nelle ultime elezione europee e nelle elezioni politiche in Gran Bretagna sono state duramente punite le forze che spingevano per intensificare la guerra in Ucraina, con un'intervento diretto di un'armata europea, e per quanto si tenti di motivare le masse al conflitto non ci si riesce. E’ un risultato molto importante che non deriva tanto dalle classi politiche dirigenti ma dalla gente.

 Purtroppo in questo le gerarchie ecclesiastiche, e in particolare quella cattolica, mi appaiono molto arretrate. Non apprezzano veramente i processi democratici, in linea con il tremendo capitolo 13 della Lettera ai Romani, attribuita a Paolo di Tarso, nella quale si accredita l’idea che l’autorità politica ha legittimazione divina. Il grande teologo riformato Karl Barth (1886-1968) ci scrisse sopra tentando di darne una versione compatibile con la constatazione che c’erano poteri politici che meritavano solo di essere abbattuti, il suo sforzo  è senz’altro apprezzabile e nobile, ma personalmente mi pare più convincente pensare che quello scritto paolino rifletta la situazione storica e politica in cui fu elaborato, quando le prime comunità cristiane volevano accreditarsi presso l’autorità romana per correggere l’immagine di sé come genti sediziose (probabilmente del tutto rispondente alla realtà), ma che non sia più attuale oggi. Deve ancora essere scritta, credo, una teologia della democrazia, che metta in risalto il lavoro grandioso che le genti europee coinvolte nel processo comunitario hanno svolto nell’ultimo trentennio, proprio resistendo  quando le autorità costituite spingevano per tornare indietro.

  Per quanto vi siano dirigenze politiche che spingono a farlo, non ci si odia più tra europei e piace l’idea di non essere confinat* nel proprio sistema politico ma di poter essere considerat* cittadine e cittadini europe*. In questi trent’anni le persone, per turismo e per lavoro, hanno girato molto per l’Europa e  mi apre che non vogliano tornare alla situazione di prima.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

martedì 23 luglio 2024

Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea – 14 Il nuovo mito comunitario succeduto ai vecchi miti bellicisti

 

Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea – 14

Il nuovo mito comunitario succeduto ai vecchi miti bellicisti

 

   La mitologia comunitaria che sorregge nelle popolazioni il processo di integrazione nell’Unione Europea trova origine nel cristianesimo sociale sviluppatosi tra Francia, Germania e Italia dopo la Prima guerra mondiale (1914-1918). E’ facile dimostrarlo: nessun altro movimento culturale europeo predicava qualcosa di simile.

  Non risale invece alle organizzazioni delle Chiese cristiane, tantomeno di quella cattolica. Esse, anzi, avevano profondamente integrato le loro dottrine con le mitologie nazionaliste europee e, in occasione, delle cicliche guerre europee, pregavano per i rispettivi eserciti.

  Quelle correnti politiche comunitarie derivano in gran parte dall’attivismo di persone non integrate nelle reti dei capi ecclesiastici. Ebbero spazio quando, al termine della Seconda guerra mondiale ci si trovò di fronte ad una situazione totalmente nuova, con l’Europa orientale in cui piuttosto rapidamente prevalsero, appoggiati da una delle potenze vincitrici, l’Unione Sovietica, regimi comunisti di impronta staliniana e, per gli accordi presi a Jalta in Crimea nel febbraio 1945 tra statunitensi, britannici e sovietici, non si poteva contrastarli entrando in guerra contro di loro e i sovietici. Spagna e Portogallo erano dominati da regimi fascisti, rimasti neutrali durante la guerra. In Francia, Gran Bretagna, Germania, Italiana si affermarono movimenti politici popolari, che, in misura maggiore o  minore, cercarono di proseguire le politiche di intervento sociale che erano state organizzate durante la guerra per soccorrere le popolazioni. In questo quadro furono protagoniste le forze cristiano democratiche, in particolare in Germania e Italia. In quest’ultima avevano partecipato alle imponenti dinamiche della guerra di Resistenza, che videro impegnati corpi d’armata dei ribelli (come prevalentemente si chiamavano tra loro quelli che poi si prese  a individuare come partigiani).

 Negli anni ’30 si era affermato tra quelle forze cristiano-democratiche il personalismo comunitario, che aveva trovato il maggior teorico nel francese Emmanuel Mounier (1905-1950).

  Così mi ha sintetizzato, veramente molto bene, il personalismo comunitario di Mounier il sistema di intelligenza artificiale Chatgpt di OpenAi (al quale mi sono abbonato):

Il "personalismo comunitario" di Emmanuel Mounier è una filosofia che pone l'accento sul valore intrinseco della persona umana e sulla necessità di costruire una società basata sulla comunità e sulla solidarietà. Mounier, un filosofo francese del XX secolo, sviluppò questa teoria in risposta alle crisi sociali e politiche del suo tempo, cercando di offrire un'alternativa sia al collettivismo totalitario sia all'individualismo liberale.

### Fondamenti del Personalismo

1. **Centralità della Persona**: Al cuore del personalismo comunitario c'è l'idea che la persona umana abbia un valore unico e irriducibile. La persona non è un semplice individuo isolato, ma un essere con dignità intrinseca, creatività e capacità di relazione.

2. **Relazionalità**: La persona si realizza attraverso le relazioni con gli altri. La vera essenza dell'individuo non può essere compresa al di fuori del contesto delle sue interazioni sociali e comunitarie. La comunità non è un aggregato di individui, ma un tessuto vivente di relazioni.

### Critica all'Individualismo e al Collettivismo

1. **Critica all'Individualismo**: Mounier critica l'individualismo liberale per la sua visione atomistica della società, dove gli individui sono considerati separati e autosufficienti. Questo porta, secondo lui, all'isolamento e alla perdita di senso di appartenenza e solidarietà.

2. **Critica al Collettivismo**: Allo stesso tempo, Mounier rifiuta il collettivismo totalitario che annulla la persona e la riduce a un ingranaggio della macchina sociale. Egli ritiene che questo approccio neghi la dignità e l'autonomia della persona.

### La Comunità come Contesto di Realizzazione

Il personalismo comunitario propone una visione della società in cui le persone si realizzano pienamente solo attraverso la partecipazione attiva e solidale nella comunità. La comunità diventa il luogo dove le persone si incontrano, condividono esperienze e crescono insieme.

### Principi del Personalismo Comunitario

1. **Dignità della Persona**: Ogni persona deve essere rispettata e valorizzata per la sua intrinseca dignità, al di là della sua utilità economica o sociale.

2. **Interdipendenza**: Le persone sono interdipendenti; la loro realizzazione personale è legata al benessere e alla realizzazione degli altri.

3. **Solidarietà**: La solidarietà è un principio centrale, che implica l'impegno attivo per il bene comune e il sostegno reciproco tra le persone.

. **Sussidiarietà**: Le decisioni devono essere prese al livello più vicino possibile alle persone interessate, promuovendo la partecipazione e l'autonomia locale.

### Applicazioni Pratiche

Mounier vede il personalismo comunitario non solo come una filosofia teorica, ma come una guida per l'azione pratica. Egli sostiene la necessità di riforme sociali, economiche e politiche che promuovano la giustizia, l'uguaglianza e la partecipazione democratica. Questo implica la creazione di istituzioni che rispettino e valorizzino la persona, promuovano la solidarietà e consentano la partecipazione attiva di tutti i membri della comunità.

### Conclusione

Il personalismo comunitario di Emmanuel Mounier offre una visione equilibrata della società, che cerca di conciliare la dignità e l'autonomia della persona con l'importanza delle relazioni comunitarie. Propone una società basata sulla solidarietà, l'interdipendenza e la partecipazione, opponendosi sia all'individualismo estremo sia al collettivismo oppressivo.

 E’ facile cogliere all’evidenza le assonanze con i principi organizzativi dell’Unione Europea contemporanea.

  Tuttavia, nel secondo dopoguerra (il periodo storico dal maggio 1945), i miti bellicisti che avevano guidato i popoli in guerra erano ancora fortissimi nella gente, e lo erano anche verso la fine degli anni ’60, quando, ancora bambino, cominciai ad avere consapevolezza delle cose sociali.

  Ricordo benissimo che, alla fine della Quinta elementare, nel giugno 1967, scoppiò in Palestina la guerra detta dei Sei giorni. Il maestro ce ne parlò e ci disse che sicuramente  anche noi saremmo stati chiamati a combattere una guerra, perché quello era il destino di tutti gli uomini, e una parte di noi sarebbe morta. Del resto la morte in guerra non ci faceva impressione, perché i film che davano in Tv la rappresentavano spesso e nei nostri giochi la inscenavamo. Anzi facevamo  gara a inscenare le morti in battaglia più spettacolari.  A casa chiesi della cosa alla mia nonna materna (sapevo che mia madre pensava ad altre prospettive, come anche mio padre, entrambi cattolico-democratici) e lei mi confermò le parole del maestro.

  Negli anni Settanta e Ottanta si fu molto più violenti di oggi. In Italia fu il tempo di tremende stragi, con bombe che scoppiarono sui treni e nelle piazze. Anche a scuola ci si picchiava. E poi anche nelle manifestazioni di piazza. Tra comunisti e neofascisti era piuttosto diffusa la mitologia guerriera.

  C’erano ancora le frontiere tra gli stati che ora sono stati integrati nell’Unione Europea e permanevano forti tensioni, ad esempio tra Italia e Austria, per la popolazione di lingua e cultura austriaca che era finita in dominio italiano dopo la Prima guerra mondiale,  e Italia e Federazione Iugoslava, per le popolazioni italiane che dopo la Seconda guerra mondiale erano finite in dominio iugoslavo, e di un governo comunista autoritario, sebbene con istituzioni organizzate diversamente dai regimi stalinisti. Al primo problema  i democristiani Karl Gruber (austriaco) e Alcide De Gasperi cercarono di porre rimedio nel 1946 con accordi conclusi a Parigi, ma la situazione rimase a lungo difficile. Per la soluzione del secondo si dovette arrivare addirittura  al 1975, con il Trattato di Osimo, sottoscritto dal ministro degli esteri jugoslavo Milos Minic e il ministro degli esteri italiano, il democristiano Mariano Rumor.

  Perché le rispettive mitologie belliciste cominciassero a decadere si dovette arrivare agli anni ’90, con l’istituzione nel 1993, con il Trattato di Maastricht, dell’Unione Europea e ella cittadinanza Europea, e con l’abolizione delle frontiere interne tra gli stati membri nel 1995. E infine con la circolazione dal 2002, in banconote e monete metalliche della nuova moneta unica europea, l’Euro, in precedenza utilizata solo come unità di conto.

  E’ a questo punto che, anche con imponenti processi migratori interni, iniziò a crearsi nella gente una mentalità europea, per cui vennero a perdere forza le vecchie mitologie di odio bellico che erano state profondamente inculcate.

  Soprattutto fu fondamentale il programma di studi in altri stati detto Erasmus, promosso dall’Unione Europea, che condusse masse di giovani a studiare in altri Paesi e anche i docenti a insegnare in Paesi diversi.

  Così le mitologie nazionaliste che avevano spinto la gente in armi a massacrare altri popoli oggi sono ridotte veramente a poca cosa. Ed è stupefacente pensando a quanto fossero radicate. Consideriamo, ad esempio, il nazionalismo italiano che spinse moltitudini di uomini a partire gioiosamente per il massacro orrendo della Prima guerra mondiale, contro tedeschi e austriaci e i loro alleati,  pensandola come un completamento del Risorgimento, anch’esso fatto in gran parte di efferati massacri. O la massa entusiasticamente plaudente che, a Roma, a Piazza Venezia, accolse, il 10 giugno 1940, l’annuncio del presidente del Consiglio del ministri, il fascista Benito Mussolini, in carica ininterrottamente dal 1922, dell’entrata in guerra dell’Italia contro Francia e Inghilterra.

  Ai nostri giorni si pensa ad una guerra contro la Federazione Russa, ma a ben pochi passa per la mente di entrare in guerra, ad esempio, con l’Austria, o con la Francia, nostri storici avversari bellici. Sembrerebbe bizzarro, non credete?

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro Valli