Introduzione alla democrazia dell’Unione
Europea - 0
Nota programmatica
La serie di post di Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea fa seguito agli impegni presi nella 50° Settimana sociale dei cattolici in Italia di Trieste sul tema “Al cuore della democrazia”, che si è svolta dal 3 al 7 luglio 2024, introdotta da un importantissimo intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, senz’altro il maggiore esponente del cattolicesimo democratico italiano contemporaneo.
Non dobbiamo nascondercelo: le Settimane
sociali iniziarono nel 1907, in un’epoca
buia del cattolicesimo italiano, caratterizzata dalla durissima repressione, da
parte del Papato, dei moti di rinnovamento religioso sbrigativamente condannati
come modernismo. L’anno prima era stata costituita l’Azione cattolica
italiana, come centro organizzativo per l’azione sociale, politica e sindacale
delle genti cattoliche sotto la stretta egemonia di un Papato che stava
abbandonando la posizione di intransigente rifiuto della nuova democrazia
del Regno d’Italia, per l’oltraggio che riteneva di aver subito con la perdita
del suo regno nel Centro Italia con capitale Roma nel 1870, e cercava di
avvalersi dei processi democratici per riconquistare il controllo sulla politica
italiana. Le Settimane sociali furono sempre espressione di questo disegno
egemonico, che esigeva l’unità delle forze cattoliche, almeno fino alla 47°, che si svolse a Torino nel 2013. Non a caso ne
fu sospesa la celebrazione nell’epoca di maggiore effervescenza sinodale della Chiesa italiana, del quale furono
protagonisti il basso clero e le persone di fede libere da vincoli
ecclesiastici con la gerarchia nelle funzioni ecclesiali svolte, negli anni ’70
e ’80: dopo il 1970 e fino al 1991 non furono più celebrate.
Nel
1993 (42°) e nel 2004 (44°), quando si iniziò a convocarle ogni tre anni, si
discusse di democrazia, in concomitanza con passaggi di fase storici, nel primo
caso per la costruzione di una nuova Europa integrando i sistemi politici della
parte orientale usciti dai regimi comunisti di stampo staliniano, e nel secondo
caso per la gravissima crisi politica prodottasi in Italia nell’autunno del
2001, nel quale la Conferenza episcopale italiana aveva avuto un ruolo
fondamentale (il Governo nazionale italiano si dimise dopo una durissima
prolusione del suo Presidente), e con i tentativi di riorganizzare una forza
politica unitaria dal movimentismo cattolico italiano.
Nella 50° Settimana sociale si è discusso di
democrazia in tutt’altra prospettiva, in particolare perché si era alla
conclusione del processo sinodale iniziato nell’ottobre del 2021, tanto che,
nei lavori dell’assemblea dei delegati delle Diocesi italiane, si è praticato
il metodo di dialogo detto della conversazione spirituale praticato
anche nei lavori sinodali.
Si è saputo poco dell’andamento dei lavori dei
delegati e non mi risulta ancora diffuso un documento di sintesi, indizio di
una discussione non facile.
Il ruolo della gerarchia e del clero è stato
veramente eccessivo, tenendo conto che si tratta di componenti che non
praticano la democrazia. Siamo molto lontani dalle consuetudini tedesche, che
riconoscono un ruolo effettivo a tutte le altre componenti ecclesiali, che sono
le più importanti per lo sviluppo democratico.
E’ tuttavia emersa l’attesa dello sviluppo di
un impegno duraturo per l’autoformazione alla democrazia, che negli ambienti
ecclesiali di solito non si fa, salvo che in Azione Cattolica, naturalmente nel
Movimento Ecclesiale di Impegno culturale e nella FUCI, movimenti
come Comunione e Liberazione e in poche altre agenzie ecclesiali. Manca
del tutto, in genere, nelle parrocchie, realtà di base importantissime perché
costituiscono il principale centro di orientamento sociale e politico per la
maggior parte delle persone di fede.
Manca un libro di testo per avviare le riflessioni in una scuola di
autoformazione alla democrazia (e alla sinodalità, che vi è strettamente
correlata), che comprenda anche tirocini pratici nelle società di riferimento.
La serie di post di Introduzione alla democrazia dell’Unione
Europea vuole essere un contributo per rimediarvi.
Democrazia dell’Unione Europea perché è
quella la democrazia, tanto diversa da tutte quelle del passato e anche dalle
altre contemporanee, a cui ci serve di fare riferimento per parteciparvi
realmente e, così, per far progredire i processi di integrazione e di pace che
essa ha promosso.
Non ha senso parlare di democrazia in astratto, magari per indicarne solo i
fattori di crisi (assolutamente fisiologici, perché le democrazie sono tenute
in uno stato di crisi permanente o non sono talie), come è consuetudine da
parte della gerarchia ecclesiastica cattolica.
Questa democrazia dell’Unione Europea è il gioiello del cristianesimo democratico europeo,
al quale le forze cattoliche italiane hanno dato un contributo rilevantissimi,
nonostante che questo sia ancora disconosciuto dal magistero ecclesiastico.
Bisogna riconoscere che circolano le idee più
varie su che cosa sia la democrazia. Essa è legata ai concetti di stato,
popolo, nazione, come anche ad un’etica personale e collettiva.
Anticamente associata al disordine sociale,
effettivamente contiene una certa dose di anarchia. Ma nella nostra
Europa viene considerata fattore di ordine istituzionale mediante ampia
condivisione di alcuni valori fondamentali, e quindi di pacificazione sociale.
Il processo di integrazione comunitaria
sfociato nel 1993 con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, dell’anno
precedente, ha avuto tra i suoi principali obiettivi il mantenimento della pace
tra i sistemi politici che l’avevano promosso, i quali organizzavano il governo
di popolazioni che si erano sempre ciclicamente combattute per almeno duemila
anni, in particolare nelle catastrofi delle due guerre mondiali del Novecento. Questo obiettivo è stato effettivamente
raggiunto, mentre nel resto del mondo ci si è continuati a fare guerra, anche
da parte dei sistemi politici che prendevano parte all’integrazione comunitaria
europea, i quali, però, anche fuori dei confini comunitari, non si sono mai più
fatti guerra fra loro. Come la democrazia ha inciso in quest’opera di pace?
Pacificazione e democrazia storicamente non
sono mai state connesse, salvo che durante il processo comunitario europeo. Le
democrazie, anzi, si manifestarono sempre assai bellicose, al loro interno e
verso l’esterno, fatta eccezione che nella nostra nuova Europa. In questo è
paradigmatica l’esperienza della prima delle democrazie contemporanee, basate
sull’idea di sovranità popolare, vale a dire quella statunitense, costituita
nel 1789, con l’entrata in vigore della Costituzione deliberata a Filadelfia (Pennsylvania)
nel 1787. Ma lo sono anche le precedenti esperienze democratiche europee dal
Medioevo in avanti, in particolare quella inglese. Per capire la democrazia è
prezioso lo studio della storia.
Così, altri valori che oggi, nella nostra
Europa si associano alla democrazia non la caratterizzarono prima della fine
della Seconda guerra mondiale, nel 1945: ad esempio quelli implicati nelle
politiche pubbliche per innalzare il benessere diffuso delle popolazioni che si
fanno rientrare nell’idea di Welfare State [=Stato del benessere],
in particolare nei settori del lavoro, dell’istruzione, della sanità,
della previdenza sociale, della
realizzazione di alloggi popolari, a prescindere da condizioni di
indigenza. Essi si realizzano mediante politiche tributarie che hanno
finalità di giustizia distributiva. Tutto ciò, negli Stati Uniti
d’America di oggi, viene considerata un’indebita ingerenza da parte di larghi
settori della politica, in particolare di quelli che fanno riferimento al
Partito Repubblicano. E’ un orientamento che si è fatto strada anche in Italia
dalla metà degli scorsi anni Novanta, come anche negli altri sistemi politici
europei, ma che ancora in Unione Europea non è riuscito ad imporsi, permanendo
sistemi forti di sicurezza sociale. Quando si proclama lo slogan “Meno tasse”,
si vuole tornare alla democrazia di prima, quando di queste cose i poteri
pubblici non si occupavano.
Anche l’idea di eguaglianza, sicuramente
essenziale per le concezioni democratiche, ha oggi un senso diverso da quello
che storicamente ha avuto nelle esperienze democratiche. Si è passati da una
prospettiva formale, rispetto ai diritti, facoltà e poteri previsti
dalle norme, a una sostanziale che
riguarda la posizione sociale delle persone. Senza un certo livello di
istruzione e di benessere l’uguaglianza formale serve a poco, perché non si ha
veramente modo di farsi valere nelle procedure pubbliche e si cade in dominio
dei più forti.
Infine l’idea di libertà personale nelle democrazie europee viene
temperata da quella di responsabilità sociale, con importanti riflessi
sul diritto di proprietà, la cui affermazione, collegata a quella di
personalità individuale, è stata fondamentale nello sviluppo dei processi
democratici moderni. Storicamente questo è stato considerato come un sopruso
nelle precedenti esperienze democratiche e anche in democrazie contemporanee al
di fuori dell’Unione Europea.
Anticipo qual è la sostanza fondamentale
della democrazia, che ha caratterizzato e caratterizza tutte le esperienze
democratiche: la lotta contro ogni
potere, pubblico o privato, che rivendichi sovranità. Quest’ultima è la
pretesa di non avere alcun limite, sopra o intorno a sé.
Storicamente le democrazie europee si
svilupparono nella lotta contro le dinastie sovrane che dominavano sul
continente, tra le quali anche quella dei Papi, che aveva un proprio stato nel Centro Italia, con capitale Roma. La
nostra Repubblica si fonda idealmente su quella di orientamento mazziniano (dal
filosofo, politico e rivoluzionario Giuseppe Mazzini - 1805\1872) che dal febbraio 1848 al luglio
1949 abbatté la monarchia papale su Roma e dintorni, instaurando un proprio
governo. Il regno dei Papi fu poi abbattuto militarmente dal Regno d’Italia,
una democrazia, nel settembre 1870, al
termine di una breve, ma cruenta, guerra. Questo provocò la tragedia della radicale
opposizione del Papato alla nuova democrazia italiana, alla quale fu fatto
divieto alle persona cattoliche di partecipare, e, di riflesso, al disonorevole
compromesso con il fascismo mussoliano, concluso nel 1929 dal papa Achille Ratti,
regnante come Pio 11°, al quale si iniziò a porre fine solo dal 1942, per
volontà del papa Eugenio Pacelli, regnante come Pio 12°. Da allora i cattolici
democratici italiani iniziarono a progettare una nuova democrazia che, al
termine della guerra di Resistenza (settembre 1943-maggio 1945) in cui fu
abbattuto il regime mussoliniano, fu realizzata destituendo, con il volto
popolare al referendum del 1946, la dinastia Savoia e istituendo una Repubblica
democratica. Da cui si ha conferma che l’istituzione della democrazia consegue
sempre a una lotta contro precedenti poteri non democratici.
Concepire la democrazia come lotta va contro il modo in cui viene presentata di
solito e crea problemi con l’etica religiosa. Ma, a mio parere, parlandone
senza fare riferimento alla lotta, come una sorta di galateo istituzionale,
di insieme di norme di buona creanza negli affari pubblici, la si travisa e, soprattutto, non si mette in
giusto risalto l’impegno personale che vi è legato. E’ per questo, in fondo,
che si dice che la nostra Repubblica è fondata sulla Resistenza, una
guerra nella quale, dal lato dei resistenti, che si chiamavano ribelli tra loro ed erano chiamati banditi dai nemici fascisti, non si era reclutati dal lato dei resistenti, i quali vi
parteciparono associandosi liberamente, come espressione di impegno civile, nelle armate ribelli senza alcun ordine di
mobilitazione, senza esservi stati costretti.
Dico questo senza in alcun modo voler
mitizzare la violenza bellica, perché ritengo che ai tempi nostri e di fronte
alle sfide sociali che l’umanità intera si trova ad affrontare, la lotta
democratica debba farsi con
metodi nonviolenti o altrimenti non
potrà conseguire il risultato che ci è indispensabile, vale a dire,
addirittura, la sopravvivenza dell’umanità, fattasi fortemente integrata e
pertanto interdipendente. Questo è tanto chiaro alle stesse potenze
belligeranti che esse, come accade in Ucraina, mentre progettano stermini,
tuttavia cercano di evitare accuratamente che il conflitto diventi totale come fu la Seconda guerra mondiale.
Nel corso della Settimana Sociale svoltasi a
Trieste tra il 3 e il 7 luglio 2024 sul tema “Al cuore della democrazia”
si è osservato che, a differenza di ciò che accadde in Italia fino agli scorsi
anni Ottanta (quest’ultimo decennio fu caratterizzata dallo svolgersi di
tantissime scuole di politica), non si fa formazione alla politica e
alla democrazia.
Quando parliamo di scuola dobbiamo intendere essenzialmente
l’autoformazione dialogica, quindi l’istituzione di centri di orientamento (sul
modello di quelli ideati del filosofo, politico ed educatore Aldo Capitini 1899-1958, l’ideatore della Marcia per la
pace Perugia-Assisi) nei quali,
sulla base delle esperienza sociali e politiche di prossimità, ad esempio in
una parrocchia o in una scuola pubblica, e della cronaca locale e nazionale si
ragioni insieme su come far vivere la democrazia nelle relazioni in cui si è coinvolti. Un’esperienza di questo
tipo non deve essere monopolizzata dagli esperti, anche se essi saranno
utili per definire i contesti storici e culturali, ma deve essere, essa stessa,
una esperienza democratica, nella quale si inizi a contrastare gli abusi di
potere a danno altrui, innanzi tutto realizzando la giustizia partecipativa,
per dar modo a tutte le persone che vi partecipano di esprimere il loro
impegno.
Queste note, come ho scritto prima, vogliono essere un sussidio, a un primo
livello di riflessione, per un lavoro collettivo di quel tipo.
Non sono uno studio scientifico, per il quale
sarebbe necessario dar conto con precisione degli sviluppi culturali sui temi
trattati e di osservazioni empiriche complete sui fatti sociali. Costituiscono,
appunto, un primo livello di riflessione sulla base specialmente di esperienze
concrete, mie e nei gruppi a cui ho partecipato o partecipo. Ho lavorato fin da
giovane e ancora lavoro in un organismo pubblico molto rilevante per la vita
democratica. E da giovane universitario ho partecipato a una delle scuole di
politica sviluppate negli anni ’80,
animata da una persona eccezionale che ha lasciato una traccia indelebile nella
mia vita, il giornalista Paolo Giuntella (1946-2008). La mia competenza non è quindi
quella di un teorico, ma quella di un
pratico, ma forse è proprio questa che può risultare più utile nel contesto
attuale. Naturalmente farò riferimento anche ai teorici, ma solo da persona colta, non da specialista
nei vari settori di riferimento.
Anche dove sono assertivo, resta inteso che
lo sono solo come modalità di espressione veloce del pensiero ma che ogni mia
affermazione esige di essere
sottoposta a verifica e, in ciò, appunto il lavoro che può farsi in una scuola
di autoformazione alla politica e alla democrazia.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli