Introduzione alla democrazia dell’Unione
Europea
Il contesto civile
E’ molto importante nella formazione democratica saper
distinguere tra natura e cultura.
Definiamo natura tutto ciò che non è cultura.
Cultura sono le narrazioni socialmente
condivise su ciò che percepiamo in noi e intorno a noi.
Abbiamo
un accesso limitato alla natura per insuperabili limiti conoscitivi dei nostri
organismi: ne percepiamo ciò che ci appare che quindi possiamo definire fenomeno.
Con degli artefatti tecnologici possiamo saperne di più. Le neuroscienze, che studiano
anche il nostro cervello, ci avvertono che il fenomeno (nota 1) è un
costruzione della nostra mente, e che quest’ultima è una produzione del
nostro organismo, in particolare del sistema nervoso nelle sue relazioni con le
altre parti del corpo, e, in particolare è frutto di processi organici.
La nostra mente cerca di individuare nella
realtà fenomenica dei processi causali, secondo i quali un fenomeno deriva
da altri che lo precedono. Tuttavia altre scienze ci avvertono che le dinamiche
della natura superano le nostre capacità cognitive e non possono essere
concepite in modo affidabile secondo processi causali.
Anche la cultura è una nostra costruzione mentale, che si crea
nell’interazione sociale. Le religioni, il diritto e le relative mitologie ne
fanno parte. Ci serviamo della cultura per ovviare ai nostri limiti cognitivi
di organismi. Anche nei processi di elaborazione culturale costruiamo delle
relazioni causali che tuttavia possono fare riferimento o non a fenomeni naturale e che convincono
in quanto inserite in narrazioni.
Nelle
nostre menti e nelle relazioni sociali da esse consentite e mediate, fenomeni
naturali e narrazioni culturali interagiscono influenzandosi reciprocamente,
ma, in fin dei conti, per il governo delle società ciò che conta è la cultura.
Questo ci semplifica le cose e ci consente di
creare società molto complesse, capaci di prospettive a lungo termine.
Un esempio di ciò che ho descritto lo abbiamo
nelle narrazioni bibliche delle origini della natura, spiegate come Creazione
(nel libro della Genesi, capitolo 1 e versetti da 1 a 4° del capitolo 2 –
Gen 1 – 2, 1-4a).
Il problema di distinguere natura e cultura è complicato perché tutto è mediato dalla nostra mente, frutto dei nostri organismi,
che hanno insuperabili limiti cognitivi.
Il criterio per individuarli tenendoli
separati è, per i più, empirico, basato sulla resistenza che la natura ci
oppone, a differenza della cultura, che è alla mercé della nostra immaginazione.
Ad esempio possiamo una narrazione di una persona che appare prodigiosamente
senza passare dalla porta può convincerci sotto il profilo della cultura
religiosa (vedi nel Vangelo secondo Giovanni, capitolo 20, versetti da 19 a 29 –
Gv 20,19-29), ma poi quando cerchiamo di passare attraverso un muro senza
abbatterlo esso ci resiste e ci sbattiamo contro.
Ora, in base alla resistenza che ci oppone la
natura, per come ci appare e possiamo sperimentare, la violenza degli esseri umani
non potrà mai rimossa, come
tendenza istintiva e innata, che può essere contenuta ma che ciclicamente può esplodere.
Questo deriva dalla nostra natura di organismi viventi e dalla nostra storia
evolutiva, che riguarda anche le nostre dinamiche sociali. Nessuna persona, nemmeno
le più nobili, appaiono esenti da questa tendenza, perché sono organismi (v. ad
esempio Mt 21,12-13; Mc 11,15-18; Lc 19,45-46;
Gv 2,13-16, la cacciata di mercanti e cambiavalute, anche se i teologi
biblico cercano di ricondurre l’episodio
ad una sorta di rito, per non attribuirlo a sentimento incontenibile di ira).
La mente degli organismi è influenzata dalle emozioni, quindi anche da
processi reattivi che inducono alla violenza, e, comunque, ci si convincere che,
in una certa situazione, la violenza convenga. Da ciò anche l’elevatissimo livello
di violenza espresso storicamente dai cristianesimi fino ad epoca molto
recente.
Questo problema è stato ed è affrontato
socialmente costituendo istituzioni che esercitano una violenza pubblica, vale
a dire finalizzato al mantenimento di un certo assetto sociale rispetto al
potere prevalente, quindi giudici e polizie. Fin dalle prime esperienze storiche
di cui abbiano notizia, da quando con l’invenzione delle scrittura si cominciò
a tramandare narrazioni di cronache della vita sociale, circa cinquemila anni
fa, troviamo queste istituzioni.
Di solito ci si trova immersi in questo contesto,
nascendo in un certo ambiente sociale organizzato da tempo.
E’ stato molto raro nell’era contemporanea
costituire da zero un sistema politico, ma quando ciò è avvenuto, ad esempio
nell’istituzione dello Stato di Israele tra il 1947 e il 1948, si crearono anche
istituzioni del genere. L’Italia, nel passaggio tra Regno e Repubblica, nel
1946, mantenne quelle che erano state in precedenza istituite.
E, tuttavia, senza una larga adesione della
popolazione ad un sistema di norme organizzato nell’interesse di tutti, vale a
dire pubblico, la violenza pubblica non basterebbe a sedare la violenza
privata.
Nella (ormai di fatto dissolta) Repubblica di
Haiti, nei Caraibi, e nella Repubblica Democratica Somala abbiamo esempi di ciò
che accade quando quell’adesione viene a mancare e quindi nella popolazione ci
si arma e si inizia a cercare di prevalere con la forza privata.
Definiamo contesto civile l’ambiente sociale
che si mantiene generalmente pacifico, in adesione a norme sociali ampiamente
condivise e con l’esercizio di una violenza pubblica minima o moderata. Altrimenti
si passa ad un contesto di sommossa civile o di vera e propria guerra civile.
In un contesto civile la gente trova
convenienza a rimanere pacifica.
In una bella predicazione svolta domenica 14
luglio 2024 nella trasmissione radiofonica Culto evangelico (in onda
alle 6:35 e alle 9:05 su Radio Rai 1) il pastore valdese Luca Baratto,
commentando questo brano biblico, tratto
dal 1° Libro dei Re, versetto 45 (traduzione in italiano della Bibbia Nuova
Riveduta - 2006):
Gli abitanti di Giuda e Israele, da Dan fino a Beer Sceba,
vissero al sicuro, ognuno all’ombra della sua vite e del suo fico, tutto il
tempo che regnò Salomone.
ha
detto:
Ogni tanto, quando il discorso lo permette, mi capita
di porre questa domanda a chi mi ascolta: quali sono i frutti della pace? Lo
faccio perché la risposta è un po’ buffa. C’è chi pensa che siano la concordia,
l’accoglienza, la comprensione reciproca. Invece no! La risposta giusta è quest’altro:
i frutti della pace sono … il fico e l’uva!
«Tutto il
tempo del regno di Salomone gli abitanti di Giuda e di Israele vissero al
sicuro, ognuno all’ombra della sua vite
e del suo fico. Così viene
descritto un lungo periodo di pace sperimentato dagli israeliti sotto Salomone.
Ed è un’espressione che ricorre più di
una volt nell’Antico Testamento, nel profeta Michea, per esempio, che la prende
tale e quale da 1Re, ma anche nel profeta Zaccaria (3,10) che descrive la gioia
futura di Gerusalemme, città ricostruita per la pace, in questo modo «vi inviterete
gli uni gli altri sotto la vite e il fico». Come «contro prova», ecco come il profeta
Geremia dipinge la scorreria dell’esercito babilonese: come un fuoco verrà e «divorerà i tuoi
raccolti e il tuo pane, divorerà i tuoi figli e le tue figlie … divorerà le tue
vigne e i tuoi fichi» (Geremia 5, 17).
Il fico e l’uva
sono i veri frutti della pace! E’ starsene sdraiati ad oziare sotto le fronte
del fico e delle vite – sebbene sia un’immagine quasi banale o addirittura
disimpegnata – è la migliore descrizione della pace! Intanto perché, se puoi assopirti
sotto un albero, allora significa che non
devi stare all’erta, non ci sono pericoli o nemici.
La principale prospettiva che ha attirato e
attira popolazioni verso l’Unione Europea non è tanto il benessere diffuso, che
purtroppo per i nuovi arrivati viene conquistato a prezzo di duri sacrifici e
dopo un tempo più o meno lungo, ma proprio questa prospettiva di sicurezza per
cui ci si può godere ciò che si riesce ad avere, anche il poco che si riesce ad
avere, liberi dalla violenza di strada e anche dalla violenza pubblica, che
come vediamo in alcuni sistemi politici del mondo, può fare paura tanto e anche
più della prima. Nella maggior parte del
mondo è una situazione che non è stata ancora raggiunta.
Questa situazione di pace non è solo un’immaginazione
culturale: la si può constatare come fenomeno. In questo senso fa parte
della natura. Ma è anche una conquista culturale, per la verità molto recente.
Si dice che sono in ripresa i nazionalismi
europei, sotto specie di sovranismi,
espressi da movimenti che immaginano che le loro popolazioni siano danneggiate
dal processo comunitario europeo (per la verità contro l’evidenza dei dati
economici e finanziari, perché sono proprio
le popolazioni meno ricche ad averne beneficiato maggiormente), ma, anche in
questo contesto, non ci si odia più tra (presunte) nazioni. Addirittura
i sovranismi nazionali formano nel Parlamento Europeo un gruppo parlamentare
con altri sovranismi, a dimostrazione che, in fondo, si ritiene che l’interesse
nazionale possa essere meglio promosso unendosi a movimenti di analoga
impostazione ma di altre nazioni. Un
paradosso, certo, ma un felice paradosso.
E a questo che mi sono riferito quando ne ho
parlato come di una conquista culturale.
Che centra questo con la democrazia?
Abbiamo
visto che la democrazia è un sistema politico di limiti ad ogni potere pubblico
o privato ed è in quest’ordine di idee che la gente ha accettato di rinunciare
alla violenza per sostenere le proprie ragioni o per rapinare i beni e le
persone altrui. Una situazione sociale ampiamente condivisa e basata sulla
rinuncia alla violenza è democratica. La gente vi trova la propria convenienza
e decide di perseverarvi. Questa decisione collettiva è democratica anche se non
si basa su una votazione formale. Ed è democrazia diretta, perché ogni
persona decide ed attua, senza delegare.
Per decidere se un sistema politico è
democratico o non e il suo livello di democraticità bisogna indagare su come
appare il suo contesto civile, a prescindere dai suoi miti religiosi o
politici.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli
Note:
1)
La parola
"fenomeno" deriva dal termine greco "φαινόμενον"
(phainómenon), che è il participio medio-passivo del verbo
"φαίνεσθαι" (phainesthai), che significa "apparire" o
"manifestarsi". Il verbo "φαίνεσθαι" è a sua volta derivato
da "φαίνειν" (phaínein), che significa "mostrare" o
"far apparire".
Quindi, etimologicamente,
"fenomeno" indica qualcosa che appare o si manifesta, qualcosa che
può essere osservato o percepito. Nel contesto filosofico, il termine è stato
usato per riferirsi a qualsiasi evento o oggetto che si manifesta ai sensi o
alla mente.
In italiano, il termine
"fenomeno" è stato adottato con questo significato generale di
"evento osservabile", ma può anche assumere connotazioni specifiche a
seconda del contesto in cui è utilizzato, come nella scienza, nella filosofia o
nel linguaggio comune.
(risultato da interrogazione del sistema
di IA Chatgpt di OpenAI)