L'altro ieri, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parlando a
Trieste nel primo giorno della 50^ Settimana sociale dei cattolici in Italia
sul tema "Al cuore della democrazia", ha trattato del valore del
"limite" nella politica democratica, inteso sia come confine che le
norme pongono all'esercizio di un potere pubblico, quindi dall'esterno, sia
come l'orientamento etico che chi esercita un potere pubblico si dà nella
consapevolezza che la società non è, e non deve essere, un oggetto solo nelle
sue mani.
Questo aspetto è centrale nella democrazia come oggi la si vive nell'Unione
Europea.
I teorici e i legislatori del passato rimasero invece legati alla democrazia
come governo del popolo, specialmente quando, dall'Ottocento, il
mito del popolo fu integrato in quello della nazione. Su
questi miti, nelle stesse epoche, furono poi costruiti il mito
dello Stato con una
sua mistica. Ci si doveva sottomettere a questa entità mitologica del popolo-nazione perché
manifestazione di una sorta di entità soprannaturale.
Ciò che viene descritto nei miti è una trasfigurazione della realtà: è la
realtà compresa secondo il senso che nella vita sociale le si vuole assegnare.
Nel mito, ad esempio, le cose e gli animali parlano e accadono altre cose che
nessuno ha mai visto. È tuttavia tutto questo serve per dare ordine alla
società e finora non si è trovato il modo di farne a meno.
Tuttavia è importante saper distinguere ciò che è mito dalla realtà.
Fin dall'antichità il popolo è mitologicamente assimilato ad
un organismo vivente, per rendere l'idea che ogni persona che ne fa parte è
necessaria e che le divisioni gli fanno male. Nella teologia cristiana questa
concezione fu sviluppata da Agostino d'Ippona: sul suo pensiero si è costruita
l'idea di ordine sociale negli ordinamenti politici cristianizzati. E
tuttavia una popolazione, composta da una moltitudine di individui che
sviluppano le relazioni più varie fra di loro e che, a causa di limiti fisiologici
della nostra mente come anche dei nostri sensi, non ci possiamo figurare
realisticamente, per cui ricorriamo appunto al mito del popolo, non è un organismo e
le relazioni che la caratterizzano variano costantemente, anche per il mutare
delle persone che la compongono. Si riesce a collaborare, anche in forme molto
sofisticate, costruendo istituzioni e un diritto ai quali le persone possano
fare riferimento per orientarsi. Le istituzioni sono espressioni di un potere
pubblico; le norme, prima di essere fissate in atti formali nascono dalla
vita sociale ma su di esse incidono le istituzioni. Chi decide che fare nelle
cose nelle quali occorre una uniformità superiore a quella ottenibile con
accordi tra persone e piccoli gruppi? È qui che sorge l'esigenza e l'utilità
delle istituzioni. Poiché esse esercitano poteri pubblici, si legittimano di
fatto con la violenza politica, perché in certe cose pretendono obbedienza
anche dai dissenzienti. Storicamente questo portò progressivamente in
Europa all'affermarsi di dinastie sovrane, che esercitavano il potere pubblico
sovrano per via dinastica. È sovrano il potere che non ne riconosce altri sopra
di sé. Nelle dinastie sovrane sacralizzate secondo i cristianesimi, i sovrani
erano vicari della divinità. Dal Settecento questa
organizzazione dei poteri pubblici fu posta in questione su base democratica.
In
generale, dall'osservazione delle dinamiche di potere sociale emerge che ogni
centro di potere tende ad estendere la propria influenza sociale, con ogni
mezzo, fino a che trovi una resistenza valida. È una legge universale del
potere sociale alla quale storicamente non si riscontrano eccezioni. Questo
indipendentemente dalla fama di virtù pubblica attribuita a chi esercita un
certo potere pubblico. Questo comporta, in mancanza di valida resistenza,
quindi di un limite oggettivo, il concentrarsi del potere pubblico supremo in
una cerchia ristretta. È accaduto nelle dinastie sovrane, come anche
nell'ordinamento delle Chiese, ed anche nei regimi del cosiddetto
"socialismo reale". Ed è un corollario di quella legge che la cerchia
di potere che accentra tenda sempre ad abusare del proprio
potere, intendendo abuso come una violazione degli stessi
principi che s'è data.
In questo contesto l'avvicendamento dei regimi politici, inevitabile dato il
continuo mutare delle società umane, si ha solo per via di congiure o di
rivoluzioni. Nel primo caso il nuovo potere emerge nella stessa cerchia
dominante, nel secondo da una guerra civile organizzata da un contropotere
esterno.
La democrazia consente l'avvicendamento di centri di potere mediante procedure
formali, senza quei risvolti drammatici. Questo presuppone l'istituzione di un
sistema di limiti legali all'esercizio dei poteri pubblici, nel quadro di
quelle procedure, per impedire l’eccessivo accentramento e rendere possibile un
trapasso pacifico. Quindi l'abbattimento della loro pretesa di sovranità. Nella
mitologia democratica si legittima questo sistema di limiti come espressione
di sovranità del popolo (storicamente modellata su quella
rivendicata dalle dinastie sovrane di un tempo), mitologica come la nozione
di popolo, perché la reale sovranità non è mai stata
finora nelle possibilità umane. Ma l'affermazione di processi democratici
richiede anche, nelle popolazioni, quindi nelle persone e nei gruppi realmente
viventi, una capacità di resistenza diffusa all'arbitrio di potere: su questo
contropotere diffuso si innesta il consenso ai processi democratici anche da
parte di chi prevale in un certo momento, il quale mette conto che il proprio è
sempre un potere limitato e lo accetta. È su questa base che
dall'Ottocento in Europa si svilupparono i processi politici di
"concessione" di statuti democratici da parte delle dinastie sovrane,
che da quel momento non lo furono più. Molto più antico l'analogo processo
sviluppatosi in Inghilterra, che però non portò mai a una costituzione formale.
Bisogna precisare che i processi democratici storicamente si manifestarono con
espressioni di violenza politica anche molto intensa e non è mai accaduto che
siano stati mantenuti senza di essa. Le democrazie integrate nell'Unione
Europea l'hanno finora contenuta al massimo grado e ne hanno fatto un principio
organizzativo fondamentale. L'Unione europea ha infatti integrato nella propria
ideologia democratica anche il valore della pace, e questo per l'azione
fondamentale dei movimenti cristiani democratici.
Ma come è possibile, senza usare violenza mantenere nei limiti legali poteri
pubblici che, per la loro legge per così dire naturale, tendono ad abusare?
Questo richiede un'evoluzione culturale delle popolazioni che le porti ad
essere capaci di resistenza anche all'esercizio della violenza politica,
rifiutando di parteciparvi. È ciò che, appunto, si è prodotto nell'attuale
Unione Europea.
In Italia, come altrove in Europa, il Governo è stato legittimato,
mediante procedure formali, solo da una minoranza della popolazione
(anche se da una maggioranza parlamentare). Ma è consapevole che una larga
maggioranza della popolazione non sarebbe disponibile a seguirlo in eventuali
abusi di potere, in particolare nella violenza politica per sorreggerlo, e vi
resisterebbe. Questo è il limite che sorregge tutto il sistema di limiti su cui
si fonda l'ordinamento democratico nella nostra Europa. Ed è un limite
culturale, non un limite legale, ma è molto potente. In Italia c'è stata una
crescita della gente sotto questo aspetto rispetto, ad esempio, agli scorsi
anni '70, nei quali la propensione alla violenza politica fu molto più forte.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.