Introduzione alla democrazia dell’Unione
Europea – 14
Il nuovo mito comunitario succeduto ai
vecchi miti bellicisti
La mitologia comunitaria che
sorregge nelle popolazioni il processo di integrazione nell’Unione Europea trova
origine nel cristianesimo sociale sviluppatosi tra Francia, Germania e Italia dopo
la Prima guerra mondiale (1914-1918). E’ facile dimostrarlo: nessun altro movimento
culturale europeo predicava qualcosa di simile.
Non risale invece alle organizzazioni delle
Chiese cristiane, tantomeno di quella cattolica. Esse, anzi, avevano profondamente
integrato le loro dottrine con le mitologie nazionaliste europee e, in occasione,
delle cicliche guerre europee, pregavano per i rispettivi eserciti.
Quelle correnti politiche comunitarie
derivano in gran parte dall’attivismo di persone non integrate nelle reti dei
capi ecclesiastici. Ebbero spazio quando, al termine della Seconda guerra mondiale
ci si trovò di fronte ad una situazione totalmente nuova, con l’Europa
orientale in cui piuttosto rapidamente prevalsero, appoggiati da una delle
potenze vincitrici, l’Unione Sovietica, regimi comunisti di impronta staliniana
e, per gli accordi presi a Jalta in Crimea nel febbraio 1945 tra statunitensi,
britannici e sovietici, non si poteva contrastarli entrando in guerra contro di
loro e i sovietici. Spagna e Portogallo erano dominati da regimi fascisti,
rimasti neutrali durante la guerra. In Francia, Gran Bretagna, Germania, Italiana
si affermarono movimenti politici popolari, che, in misura maggiore o minore, cercarono di proseguire le politiche di
intervento sociale che erano state organizzate durante la guerra per soccorrere
le popolazioni. In questo quadro furono protagoniste le forze cristiano
democratiche, in particolare in Germania e Italia. In quest’ultima avevano
partecipato alle imponenti dinamiche della guerra di Resistenza, che videro impegnati
corpi d’armata dei ribelli (come prevalentemente si chiamavano tra loro quelli
che poi si prese a individuare come partigiani).
Negli anni ’30 si era affermato tra quelle
forze cristiano-democratiche il personalismo comunitario, che aveva
trovato il maggior teorico nel francese Emmanuel Mounier (1905-1950).
Così mi ha sintetizzato, veramente molto bene,
il personalismo comunitario di Mounier il sistema di intelligenza artificiale
Chatgpt di OpenAi (al quale mi sono abbonato):
Il "personalismo comunitario" di
Emmanuel Mounier è una filosofia che pone l'accento sul valore intrinseco della
persona umana e sulla necessità di costruire una società basata sulla comunità
e sulla solidarietà. Mounier, un filosofo francese del XX secolo, sviluppò
questa teoria in risposta alle crisi sociali e politiche del suo tempo,
cercando di offrire un'alternativa sia al collettivismo totalitario sia
all'individualismo liberale.
### Fondamenti del Personalismo
1. **Centralità della Persona**: Al cuore del
personalismo comunitario c'è l'idea che la persona umana abbia un valore unico
e irriducibile. La persona non è un semplice individuo isolato, ma un essere
con dignità intrinseca, creatività e capacità di relazione.
2. **Relazionalità**: La persona si realizza
attraverso le relazioni con gli altri. La vera essenza dell'individuo non può
essere compresa al di fuori del contesto delle sue interazioni sociali e
comunitarie. La comunità non è un aggregato di individui, ma un tessuto vivente
di relazioni.
### Critica all'Individualismo e al
Collettivismo
1. **Critica all'Individualismo**: Mounier
critica l'individualismo liberale per la sua visione atomistica della società,
dove gli individui sono considerati separati e autosufficienti. Questo porta,
secondo lui, all'isolamento e alla perdita di senso di appartenenza e
solidarietà.
2. **Critica al Collettivismo**:
Allo stesso tempo, Mounier rifiuta il collettivismo totalitario che annulla la
persona e la riduce a un ingranaggio della macchina sociale. Egli ritiene che
questo approccio neghi la dignità e l'autonomia della persona.
### La Comunità come Contesto di
Realizzazione
Il personalismo comunitario propone una
visione della società in cui le persone si realizzano pienamente solo
attraverso la partecipazione attiva e solidale nella comunità. La comunità
diventa il luogo dove le persone si incontrano, condividono esperienze e
crescono insieme.
### Principi del Personalismo Comunitario
1. **Dignità della Persona**: Ogni persona
deve essere rispettata e valorizzata per la sua intrinseca dignità, al di là
della sua utilità economica o sociale.
2. **Interdipendenza**: Le persone sono
interdipendenti; la loro realizzazione personale è legata al benessere e alla
realizzazione degli altri.
3. **Solidarietà**: La solidarietà è un
principio centrale, che implica l'impegno attivo per il bene comune e il
sostegno reciproco tra le persone.
. **Sussidiarietà**: Le decisioni devono
essere prese al livello più vicino possibile alle persone interessate,
promuovendo la partecipazione e l'autonomia locale.
### Applicazioni Pratiche
Mounier vede il personalismo comunitario non
solo come una filosofia teorica, ma come una guida per l'azione pratica. Egli
sostiene la necessità di riforme sociali, economiche e politiche che promuovano
la giustizia, l'uguaglianza e la partecipazione democratica. Questo implica la
creazione di istituzioni che rispettino e valorizzino la persona, promuovano la
solidarietà e consentano la partecipazione attiva di tutti i membri della
comunità.
### Conclusione
Il personalismo comunitario di Emmanuel
Mounier offre una visione equilibrata della società, che cerca di conciliare la
dignità e l'autonomia della persona con l'importanza delle relazioni
comunitarie. Propone una società basata sulla solidarietà, l'interdipendenza e
la partecipazione, opponendosi sia all'individualismo estremo sia al
collettivismo oppressivo.
E’ facile cogliere all’evidenza le assonanze con i principi organizzativi
dell’Unione Europea contemporanea.
Tuttavia, nel secondo dopoguerra (il periodo
storico dal maggio 1945), i miti bellicisti che avevano guidato i popoli in
guerra erano ancora fortissimi nella gente, e lo erano anche verso la fine
degli anni ’60, quando, ancora bambino, cominciai ad avere consapevolezza delle
cose sociali.
Ricordo benissimo che, alla fine della Quinta
elementare, nel giugno 1967, scoppiò in Palestina la guerra detta dei Sei
giorni. Il maestro ce ne parlò e ci disse che sicuramente anche noi saremmo stati chiamati a combattere
una guerra, perché quello era il destino di tutti gli uomini, e una parte di noi
sarebbe morta. Del resto la morte in guerra non ci faceva impressione, perché i
film che davano in Tv la rappresentavano spesso e nei nostri giochi la inscenavamo.
Anzi facevamo gara a inscenare le morti
in battaglia più spettacolari. A casa
chiesi della cosa alla mia nonna materna (sapevo che mia madre pensava ad altre
prospettive, come anche mio padre, entrambi cattolico-democratici) e lei mi confermò
le parole del maestro.
Negli anni Settanta e Ottanta si fu molto più
violenti di oggi. In Italia fu il tempo di tremende stragi, con bombe che scoppiarono
sui treni e nelle piazze. Anche a scuola ci si picchiava. E poi anche nelle
manifestazioni di piazza. Tra comunisti e neofascisti era piuttosto diffusa la
mitologia guerriera.
C’erano ancora le frontiere tra gli stati che
ora sono stati integrati nell’Unione Europea e permanevano forti tensioni, ad
esempio tra Italia e Austria, per la popolazione di lingua e cultura austriaca
che era finita in dominio italiano dopo la Prima guerra mondiale, e Italia e Federazione Iugoslava, per le popolazioni
italiane che dopo la Seconda guerra mondiale erano finite in dominio iugoslavo,
e di un governo comunista autoritario, sebbene con istituzioni organizzate
diversamente dai regimi stalinisti. Al primo problema i democristiani Karl Gruber (austriaco) e
Alcide De Gasperi cercarono di porre rimedio nel 1946 con accordi conclusi a Parigi,
ma la situazione rimase a lungo difficile. Per la soluzione del secondo si
dovette arrivare addirittura al 1975,
con il Trattato di Osimo, sottoscritto dal ministro degli esteri jugoslavo Milos
Minic e il ministro degli esteri italiano, il democristiano Mariano Rumor.
Perché le rispettive mitologie belliciste
cominciassero a decadere si dovette arrivare agli anni ’90, con l’istituzione
nel 1993, con il Trattato di Maastricht, dell’Unione Europea e ella cittadinanza
Europea, e con l’abolizione delle frontiere interne tra gli stati membri nel
1995. E infine con la circolazione dal 2002, in banconote e monete metalliche
della nuova moneta unica europea, l’Euro, in precedenza utilizata solo come unità
di conto.
E’
a questo punto che, anche con imponenti processi migratori interni, iniziò a
crearsi nella gente una mentalità europea, per cui vennero a perdere
forza le vecchie mitologie di odio bellico che erano state profondamente inculcate.
Soprattutto fu fondamentale il programma di
studi in altri stati detto Erasmus, promosso dall’Unione Europea, che
condusse masse di giovani a studiare in altri Paesi e anche i docenti a
insegnare in Paesi diversi.
Così le mitologie nazionaliste che avevano
spinto la gente in armi a massacrare altri popoli oggi sono ridotte veramente a
poca cosa. Ed è stupefacente pensando a quanto fossero radicate. Consideriamo,
ad esempio, il nazionalismo italiano che spinse moltitudini di uomini a partire
gioiosamente per il massacro orrendo della Prima guerra mondiale, contro tedeschi
e austriaci e i loro alleati, pensandola
come un completamento del Risorgimento, anch’esso fatto in gran parte di
efferati massacri. O la massa entusiasticamente plaudente che, a Roma, a Piazza
Venezia, accolse, il 10 giugno 1940, l’annuncio del presidente del Consiglio
del ministri, il fascista Benito Mussolini, in carica ininterrottamente dal 1922,
dell’entrata in guerra dell’Italia contro Francia e Inghilterra.
Ai nostri giorni si pensa ad una guerra
contro la Federazione Russa, ma a ben pochi passa per la mente di entrare in guerra,
ad esempio, con l’Austria, o con la Francia, nostri storici avversari bellici. Sembrerebbe
bizzarro, non credete?
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro Valli