Introduzione alla democrazia dell’Unione Europea – 5
Il professore di economia Stefano Zamagni, dell’Università di Bologna, spiegando in che consista la giustizia ha detto che essa si presenta in tre forme fondamentali: la giustizia commutativa, che riguarda gli scambi e che esige una certa proporzionalità tra ciò che si dà e ciò che si riceve; la giustizia distributiva, per la quale ogni persona deve in qualche modo ricevere qualcosa della ricchezza che la società di cui fa parte produce; la giustizia partecipativa, che richiede che i processi decisionali pubblici, quelli che riguardano interessi generali di una società, siano organizzati in modo tale ogni nessuna persona considerata giuridicamente capace di agire e responsabile della sua condotta possa contribuirvi.
La democrazia è appunto un insieme di principi organizzativi e di procedure per realizzare la giustizia partecipativa. Rispetto ad essa la giustizia commutativa è quella distributiva rivestono un ruolo strumentale, per dare alle persone ammesse a partecipare agli affari pubblici la reale possibilità di farlo, che manca nel caso di indigenza, sia sotto il profilo materiale che culturale.
Naturalmente il fatto che una decisione sia partecipata non significa necessariamente che sia giusta in un altro senso, vale a dire che faccia vivere felice la gente.
Nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, del 1776, il primo documento della democrazia contemporanea, è scritto che il Creatore ci ha fatti eguali e dotati di diritti inalienabili, tra i quali quello alla vita, alla libertà, e alla ricerca della felicità. Dalle esperienze democratiche europee tra Ottocento e Novecento, si è capito bene che la felicità delle persone dipende molto dalle decisioni dei poteri pubblici e che l’infelicità si diffonde nella società essenzialmente per via di prevaricazioni. Quindi le Costituzioni degli stati europei, lo stesso Trattato sull’Unione Europea e la collegata Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea hanno inserito principi di solidarietà tra i criteri orientativi dell’azione pubblica, che comprendono anche la giustizia distributiva, ma anche impegni molto più forti. In questo campo è stato molto importante dei movimenti politici cristiano democratici.
Nell’ideologia cristiana uno dei riferimenti essenziali per l’organizzazione delle collettività è quello dell’agàpe, che è appunto quella solidarietà forte di cui si diceva, rappresentato, ad esempio, nella parabola evangelica del samaritano misericordioso. Avverto che qui uso la parola ideologia nel senso di concezione orientativa dell’agire sociale, non in quello di mitologia per giustificare arbitrariamente la prevaricazione.
Da qui, insomma, uno stretto legame che in Europa si è sviluppato tra democrazia e solidarietà sociale, in particolare dopo che i poteri pubblici, nel corso delle due guerre mondiali del Novecento, la prima tra il 1914 e il 1918 e la seconda tra il 1939 e il 1945, avevano preso a intervenire sempre più incisivamente per occuparsi attivamente del benessere sociale. Questa evoluzione è stata assentita dalla nostra gerarchia ecclesiastica che giudica le democrazie sotto due profili essenzialmente: il primo è lo statuto di privilegio che accordano alle nostre organizzazioni ecclesiastiche, l’altro è quello delle misure sulla solidarietà pubblica.
E, tuttavia, non bisogna mai dimenticarsi che lo scopo delle democrazie è prima di tutto la giustizia partecipativa. Senza di essa non vi è democrazia. Essenziale per organizzare una reale partecipazione sono necessarie la libertà di pensiero e quella di manifestazione del pensiero. Nella nostra organizzazione ecclesiale non sono riconosciute e sono criticate anche se esercitate solo in ambito civile. Da qui anche una certa sospettosità verso democrazie, delle quali, in genere, si evidenziano i difetti, dicendo che sono malate.
Nella società di massa, poi, la democrazia significa essenzialmente poter fare resistenza verso le decisioni dei poteri pubblici e, quindi, anche premere per forme di solidarietà pubblica, in democrazie che hanno inglobati il principio di solidarietà tra le proprie forme organizzative.
Per insuperabili limiti cognitivi della nostra mente però, tutte le decisioni pubbliche vengono prese al più in gruppi di una trentina di persone. Non dobbiamo farci illusioni in merito. E tuttavia la concreta possibilità giuridica della resistenza popolare ad esse consente ancora di parlare di democrazia anche nelle società di massa. Non la si fa solo al momento del voto, con il quale o ci si limita a legittimare delle persone esponenziali di orientamenti politici o, come nei referendum popolari, si partecipa a un plebiscito, una decisione per il “No” o per il “Sì”. È anche nella vita sociale di ogni giorno e negli ambienti di prossimità che la si pratica, ad esempio nei comportamenti che si tengono come consumatori.
Mario Ardigó- Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.