Ripubblico
Un popolo nuovo
(19-10-12)
E’ possibile che
alcuni dei lettori che entrano in questo blog
non abitino nel quartiere romano di Monte Sacro e in quella sua porzione che va
sotto il nome di Valli, perché le sue
strade portano il nome di diverse valli d’Italia: il posto in cui io vivo con
gli altri del mio gruppo di Azione Cattolica. Possono trovarsi anche molto
lontano, oltreoceano e addirittura agli antipodi. So ad esempio di famiglie di
Ardigò che discendono da genti che dalla provincia italiana di Cremona, homeland di tutti gli Ardigò del mondo,
emigrarono in Brasile e in Argentina, come mio nonno paterno. Ecco che allora
uno di quegli Ardigò, per trovare lontani parenti in Italia, potrebbe impostare
una ricerca sul WEB su uno dei tanti motori che servono a questo scopo ed
essere casualmente trasportato nella nostra piccola frazione di mondo. A
pensarci bene è una cosa straordinaria, fantascientifica al tempo della mia
infanzia e della mia adolescenza: essere connessi in una rete che collega potenzialmente miliardi di elaboratori elettronici
e, idealmente e di fatto, le persone che sono dietro a loro. Certo, questa è
poi solo una potenzialità, perché una
sola vita umana non basterebbe per entrare effettivamente
in relazione con tutta quella gente. Però è come quando si installa un
cartellone pubblicitario sull’autostrada: chi passa legge. E allora, coloro che
da lontano si mettono a leggere quello che in questi giorni sto scrivendo
possono chiedersi dove voglia andare a parare. Dovete allora capire, cari
lettori, che, certo, siamo lusingati del vostro interesse, ma qui ci si occupa
di una piccola comunità religiosa, dall’Azione Cattolica che è nella parrocchia
di San Clemente papa, in via Val Sillaro, Roma, Italia, Unione Europea: essa
quest’anno, prendendo lo spunto dall’indizione di un Anno della Fede, aperto per la Chiesa cattolica lo scorso 11
ottobre, ha iniziato a riflettere sul significato della sua esperienza
associativa e del suo ruolo nella Chiesa, anche per continuare a proporsi nella società che la circonda e
convocare in tal nuovi amici che
condividano i suoi ideali. Questo orientamento per così dire operativo si riflette nei temi trattati,
per cui argomenti più generali vengono condensati e sistemati sulla base dei
problemi che sono emersi nell’attività del gruppo.
Roma è, a confronto
con le maggiori metropoli del mondo, una piccola città, che, tutto sommato,
conserva ancora una dimensione umana forte. Alcuni giorni fa lo si è detto di
Firenze e i fiorentini se ne sono risentiti.
Ma non è una cosa negativa. Roma e Firenze sono città europee in cui si
vive meglio che in altre agglomerati urbani molto più grandi. Per rendere
l’idea, invito a portare l’attenzione su una grande conurbazione come San Paolo
del Brasile, che conta una trentina di milioni di abitanti. Il nostro
quartiere, poi, è, all’interno della città di Roma, una zona periferica del
nord est senza particolari problemi. E’ cresciuta nel dopoguerra vicina alla
riva destra dell’Aniene, uno dei principali affluenti del fiume Tevere, non
molto distante dalla confluenza tra i due corsi d’acqua. All’inizio venne
abitata da molti dipendenti pubblici, dello Stato, in particolare del Ministero
del Tesoro e di quello delle Finanze, ma anche da militari, e da dipendenti di altri enti pubblici, poi da
una popolazione più varia. I romani de Roma, quelli che discendono da
famiglie insediate a Roma da molte generazioni, non prevalgono: i primi
abitanti del quartiere arrivarono da varie parti d’Italia, dal Nord e dal Sud,
ma anche dall’Abruzzo, ad Est, ed erano piuttosto giovani. Poi la popolazione
si è fatta più anziana e solo negli ultimi anni sono cominciate ad arrivare
famiglie con bimbi piccoli. Si è aggiunta anche un’emigrazione dal continente
indiano, dalla Cina e dalla Romania. Nuovi poveri hanno ripreso ad abitare in
rifugi precari nelle vicinanze del fiume, dove nel primo e secondo dopoguerra e
fino agli scorsi anni ’70 c’erano i baraccati,
gli sfollati per la guerra mondiale e poi i nuovi giunti emigrati dal
Meridione.
Il nostro gruppo di
Azione Cattolica è composto in prevalenza di persone appartenenti alle famiglie
che per prime si insediarono nel quartiere: costituiscono il nostro nucleo storico. Come si sa, l’Azione Cattolica
dalla metà degli scorsi anni Settanta iniziò a perdere aderenti e ad avere
difficoltà ad attirarne di nuovi. Si possono individuare diverse ragioni di ciò
che è successo. I fattori negativi si sono succeduti e sommati. Complessivamente
si può dire che la fede religiosa, come fattore sociale aggregante, ha perduto
forza e questo, paradossalmente, proprio in anni in cui alcune convinzioni
tratte dall’esperienza religiosa, in particolare quelle che riguardavano i diritti umani e la dignità delle persone umane, venivano poste alla base dello
straordinario processo di unificazione continentale europea, una cosa mai accaduta nella storia
dell’umanità, e determinavano il
convergere di moltitudini verso l’Europa e quindi un’imponente espansione
politica per inclusione e non per
conquista e sottomissione di altre nazioni. Si è trattato di un successo
spettacolare, del quale di solito si è restii a rendersi conto. Basti pensare
che una frontiera caldissima, come quella che divideva il continente europeo attraverso
la Germania e lungo le frontiere orientali dell’Austria e dell’Italia si è improvvisamente
dissolta tra l’89 e il ’91 senza un conflitto catastrofico. Questo enorme risultato
non è attribuibile a questa o a quella persona, ad esempio al cancelliere
tedesco cristiano democratico Khol, al quale pure si deve il processo di
riunificazione politica, economica e sociale della Germania e il ritiro
pacifico dell’Armata rossa dalla Germania orientale, o del nostro De Gasperi,
democratico cristiano, o di altri, che si spesero in momenti cruciali. Si è infatti trattato
innanzi tutto di un’opera collettiva, corale, in cui sono stati protagonisti i
popoli europei. Per questo qualche giorno fa ci hanno dato il premio Nobel. Penso che si debba partire da
questa considerazione anche per riflettere sulle ragioni del nostro stare
ancora insieme in un gruppo di Azione Cattolica, impegnato, soprattutto dopo il
Concilio Vaticano 2°, a diffondere valori
nella società, in unione con tutte le altre persone di buona volontà.
Si osserva qualche
volta che il Concilio Vaticano 2° ebbe una visione ottimistica dei tempi.
Effettivamente, considerando quell’evento complessivamente, può essere
osservato che i capi ecclesiali i quali ne furono protagonisti nutrivano una
certa fiducia nella gente comune, in particolare in noi laici. E, visti i risultati, non direi che si siano ingannati.
Scrutarono, come scrissero, i segni dei
tempi e vi videro straordinarie
opportunità, determinate dal fatto che la gente, che in passato era stata in
genere succube dei propri capi politici, si era mostrata in grado di
influenzare positivamente il corso della storia.
I documenti
conciliari furono scritti da teologi cattolici. Il particolare metodo seguito
dalla teologia cattolica comporta che il
nuovo in genere non venga proposto
come trascinato dal futuro e verso di
esso in rottura con il passato, ma venga presentato come scaturente, e spinto
verso il futuro, da radici, in primo luogo in base alle scritture sacre e alla
tradizione, quindi da un passato gravido di futuro, senza cesure, senza
soluzioni di continuità. Questo anche quando ci si propone di attuare
cambiamenti molto significativi.
Ad un certo momento
diventò centrale, nei discorsi conciliari, l’idea di popolo animato da grandi ideali religiosi, che venne presentato
come nuovo (benché iniziato quasi
duemila anni prima e animato da una missione analoga di salvezza) rispetto
a quello antico costituito
dall’Israele storico, senza che però il nuovo
privasse di senso l’antico, data
l’irrevocabilità delle promesse dall’alto e il radicamento del cristianesimo
nell’ebraismo antico. Oggi questi discorsi non suscitano generalmente problemi,
ma ancora ai tempi del Concilio Vaticano 2° sì, e di molto grossi, e questo sulla base di una
teologia molto antica, risalente ai primi scrittori autorevoli della Chiesa,
dalla quale si erano tratte (indebitamente come riconoscemmo) conseguenze molto
gravi dall’idea di un nuovo che sostituiva l’antico. Ecco che, allora, questo ideale di nuovo popolo (in senso
prevalentemente storico e religioso) al
quale ci si riferì durante il Concilio quando si parlava di popolo di Dio, iniziato con il
cristianesimo circa duemila anni prima, venne ad un certo punto ad assomigliare abbastanza, per come veniva
caratterizzato, a quello di popolo nuovo (in senso prevalentemente sociale:
nel senso di collettività organizzata con proprie istituzioni e principi) - in
italiano si coglie una differenza di significato anteponendo o posponendo
l’attributo nuovo - manifestatosi solo
dopo la Seconda guerra mondiale, dove nella prima espressione si aveva riguardo
essenzialmente alla formazione di un popolo unificato su basi prevalentemente religiose
rispetto a quello, che lo aveva preceduto storicamente, costituito
prevalentemente su basi etniche, mentre nella seconda si faceva riferimento a un tipo di società umana come non c’era mai
stata prima, che si era organizzata storicamente nelle Nazioni Unite e in altre organizzazioni (tra le quali oggi vi è la
nostra Unione Europea) caratterizzate
dalle medesime idealità e in particolare dall’affermazione dell’universalità di certi diritti umani
fondamentali e dell’obiettivo della pace
perpetua globale. Un’umanità nuova
in cui, ad esempio, appunto, i cristiani, per quegli ideali umanitari non (più) visti in
contraddizione con quelli religiosi da loro professati, si proponevano di non
perseguitare più gli ebrei e quindi in cui coloro che consideravano sé stessi il nuovo non cercavano più di sopprimere coloro
che consideravano l’antico. In questo
si poté quindi cogliere una “novità” di tipo nuovo del popolo
di Dio, ma radicata nelle origini, per cui l’evidente cambiamento di rotta venne considerato, in definitiva, una correzione di rotta, insieme pentimento e conversione, teshuvà in ebraico, come poi, anni dopo,
venne detto esplicitamente, in particolare dal papa Giovanni Paolo 2°.
Ecco quindi un compito che si può individuare
per noi cattolici europei che viviamo in una relativamente tranquilla periferia
della Roma di oggi: contribuire a
consolidare come nuovo popolo (in
senso religioso) il popolo nuovo (in
senso sociale) che siamo diventati insieme a molti altri i quali, anche se non
sono come noi esplicitamente religiosi, condividono certe nostre idealità che a
ben considerare hanno fondamento religioso. Che è come dire: consolidare nella
società di oggi certi valori che
hanno base religiosa, come non cessano di ricordarci i nostri vescovi.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli