Giaccardi/Magatti,
La scommessa cattolica, Il Mulino, 2019 – scheda di lettura – 6
1.
Mi hanno chiesto se consiglio il libro La scommessa cattolica, tenendo
conto che in più punti non sono d’accordo con gli autori. Senz’altro lo
consiglio. Io ne ho comprata una copia cartacea, una digitale su Feltrinelli-IBS
e un’altra sempre digitale su Apple-libri.
È molto utile per farsi una prima idea dei
problemi. Ci sono tante citazioni importanti. E poi il fatto che cerchi di
avere un programma olistico, teso a cercare di tenere tutto e tutti
insieme sotto certi aspetti è apprezzabile, soprattutto per chi ha davanti a sé
tanta vita. Io, che sono entrato nella terza etá, sono un po’
impaziente, ma riconosco che, quando si tratta della nostra Chiesa, è meglio
non farsi prendere da certe angosce.
Senz’altro il testo non è superficiale, anzi è molto ricco. E anche
nella critica al soggettivismo dell’epoca nostra, quindi a una mentalità
che può manifestarsi crudele, pone un monito che per il credente è sempre attuale.
Uno
dei pregi del libro è la sintesi. In religione si è scritto moltissimo e una
vita di uno studioso non basta che a dominare solo una piccola parte di quella
sapienza. Ecco che tenendo appresso quel testo si può riuscire a non sfigurare.
Infine, come ho già osservato, ha in fondo una
preziosa bibliografia, che non spaventa come quelle dei libri scientifici, ma
che non è assolutamente banale.
Io,
poi, ho imparato di più da quelli con cui inizialmente non ero d’accordo che
dagli altri. Pensare è varcare le frontiere, scrisse Ernst Bloch, ed è
proprio così. E, poi, applicando il metodo consigliato dai nostri autori, vedo
bene che le cose che con loro condivido e che quindi mi uniscono a loro sono
molte di più e molto più importanti di quelle che non condivido.
Il
libro può essere quindi molto utile per un gruppo di lettura, e, in
particolare, nell’inquadrare il tema del sollevare della tappa del
percorso formativo di AC che inizieremo sabato prossimo.
Ciò
detto, riprendo i miei appunti di lettura.
2. Ci si è rassegnati alla fuga dei fedeli, scrivono Magatti e Giaccardi:
ci si battezza di meno e ci si sposa sempre meno in chiesa. Negli anni dal 2013
al 2015 la crisi si fece sentire molto duramente nella nostra parrocchia. Il
quartiere sembrava essersi disaffezionato. Ma i nostri vescovi non si
rassegnarono. Ci mandarono una squadra di preti con la missione di tirarci
fuori da quel problema: dieci anni è il tempo che fu programmato. Ne sono
passati più di cinque. Purtroppo la pandemia virale ha complicato tutto. Ma le
cose erano iniziate a migliorare molto.
Lavorare sulla gente è faticoso ma in un certo senso più facile che farlo sulle
istituzioni, riformandole. C’è il timore che si sfasci tutto. “Non abbiate
paura!”, ci esortò il papa Giovanni Paolo 2º iniziando il suo alto
ministero.
Riforma: una parola che mette a disagio
tra i cattolici, tanto che, durante il Concilio Vaticano 2º si preferì parlare
di aggiornamento.
Siamo di fronte a un cambiamento, avvertono
gli autori, che potrebbe preludere a una rinascita della nostra Chiesa. Nessuna
meraviglia: è successo tante volte e in tanti ambiti negli oltre duemila anni
delle nostre Chiese.
Però
in genere tra noi, e in particolare nel Magistero, vediamo in tempi come questi
che stiamo vivendo un qualcosa di disordinato e di negativo, legato allo
sviluppo di soggettività indisciplinate, da parte di persone che vogliono
fare come pare a loro, in particolare emancipandosi dai molti nostri padri
in religione. Però, a ben vedere, è in questione anche una forma di
esercizio della potere religiosi che ha compresso e umiliati le soggettività
dei più, vale a dire le, persone umane alle quali, a parole, si tiene tanto.
Ecco che, allora, i fedeli vengono diffamati con la critica di rifiutare
appartenenze stabili e impegnative, con la fastidiosa espressione di costruirsi
una fede fai da te, minacciando l’integrità della vera fede. Quanta
violenza vi esercitata, nei secoli passati, per costringere alla verità.
E i diffamati, in genere, lasciano perdere, non entrano in polemica, continuano
un fondo ad affidare la propria vita al vangelo, in particolare negli
eventi più difficili della vita, non replicano, ad esempio, ritorcendo l’accusa
verso coloro che comandano, rinfacciando
loro di aver mantenuto una organizzazione ecclesiale dispotica, obsoleta,
autoreferenziale, veramente in religione fai da te, una cosa che non
solo nel vangelo non c’è, ma anzi è piuttosto sconsigliata.
In
fondo, nonostante la riforma ordinata dal Concilio Vaticano 2º, si arriva a
rimpiangere il tempo in cui l’adesione religiosa era sorretta dal
conformismo dell’ambiente sociale circostante e, addirittura, talvolta si cerca
di ricrearlo artificialmente nel quadro di prassi neo-comunitarie.
Gli
autori si chiedono se quel modo di aderire alla fede e alla Chiesa, per
autocontrollo e conformazione ai dettami dell’autorità religiosa sia poi
un’indicazione evangelica. Certamente non lo è! Ciò. Che sappiamo del
Maestro e della sua prima cerchia di
seguaci va in direzione contraria. E potrebbe qui richiamarsi il discorso che
Simon Pietro tenne davanti all’autoritá religiosa del suo tempo che l’accusa a
di disobbedienza, quindi di non conformarsi: che si deve obbedire a Dio
piuttosto che agli uomini (At 5,29). A quel tempo, la Chiesa a nome della
quale parlava Pietro non si era ancora staccata dall’antico ebraismo, dunque il
Sommo Sacerdote e il Sinedrio erano sue autorità religiose. Oseremmo
assumere quell’atteggiamento verso Papi e vescovi? Io sicuramente noi, perché
temo l’emarginazione che ne seguirebbe. Ma, se ne fossimo capaci, saremmo in
torto nell’ottica del vangelo?
Quella dolorosa emarginazione che ne
seguirebbe e lo sforzo di evitarcela è la ragione per la quale sembra tanto
difficile conquistare tra noi consuetudini sinodali, per le quali
occorre quella che, nel linguaggio neotestamentario, vicende indicata con il termine greco di
parresia, che significa coraggio e franchezza nell’aprire il proprio animo.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli