TWENGE
Jean Marie, Iperconnessi. Perché i
ragazzi di oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici, e del tutto
impreparati a diventare adulti, Einaudi 2018, €19,00 [disponibile in e-book e Kindle
ad €9,99];
Scheda di lettura - 2
9. Gli
I-Gen statunitensi sono cresciuti sotto stretta
supervisione. Questo perché quella statunitense è una società molto violenta, e
quindi più pericolosa, anche in contesti di Occidente avanzato.
Gli stessi teenager sentono il bisogno di sicurezza, mentre i
coetanei delle generazioni precedenti se ne manifestavano insofferenti.
Gli I-Gen, ad esempio, guidano con maggiore prudenza e,
nella scelta delle automobili, danno importanza alle caratteristiche
costruttive legate alla sicurezza.
Si tratta di tendenza
recente, manifestatasi successivamente al 2000.
Anche nel consumo di
alcolici gli I-Gen (statunitensi)
preferiscono tenersi sotto la soglia di sicurezza, evitando il binge-drinking, il bere bicchieri a
ripetizione fino a stordirsi (questa tendenza non è particolarmente evidente
nelle popolazione studentesca statunitense di Roma.
L’esigenza di
sicurezza si estende alla reputazione e alle emozioni, oltre che alla salute
fisica. Ad esempio c’è la paura che l’eccedere nel bere danneggi le prospettive
di trovare un lavoro.
Diverso
l’atteggiamento verso il consumo della marjuana
perché non vi vedono alcun rischio, in particolare non si manifestano della
riduzione della capacità intellettuale e del rischio di schizofrenia che l’uso
abituale comporta. Tuttavia, anche in
quel campo, mostrano di non essere inclini ad eccedere. Le indagini statistiche
hanno dimostrato che per la prima volta
il numero degli adolescenti che consumano marijuana è inferiore a quello di chi
tra loro la ritiene innocua.
10. Gli
I-Gen, insomma, si dimostrano meno
inclini ad osare, nonostante che si trovino in un’età nella quale in genere si
ritiene portati ad affrontare rischi.
Si azzuffano di meno.
Ci sono meno adolescenti che vengono a scuola armati. Anche le aggressioni sessuali sono meno
numerose di un tempo.
Naturalmente, questo
spostamento a favore della sicurezza, nota l’autrice, è perlopiù un fatto
positivo. Ma esso, riguardando anche la sfera emotiva, quindi le situazioni
emotivamente fastidiose, porta ad una certa intolleranza per chi la pensa
diversamente.
In alcune Università
sono stati istituiti dei Safe place (pronuncia:
sèif plèis), vale a dire dei locali
dove gli studenti che si sentono turbati possono riunirsi e consolarsi a
vicenda. Pensati per le minoranze oggetto di attacchi discriminatori, ora sono
usati, ad esempio, da chi si sente turbato per quello che ha detto un relatore
invitato per una conferenza. In certi casi, qualora la presenza di un relatore
si preannunci controversa, si preferisce revocare l’invito.
Si sta procedendo
anche a depurare i testi di studio di ciò che potrebbe provocare
turbamento, evitando di affrontare argomenti delicati o, comunque,
facendo precedere un avviso che qualcuno potrebbe turbarsi leggendone.
Tuttavia
l’insegnamento superiore dovrebbe comprendere anche l’addestramento a
discutere, argomentando, gli argomenti controversi. Altrimenti non prepara
bene. La capacità di discutere con gli altri pari e con i professori e relatori
le proprie e le altrui tesi è fondamentale: quindi è importante saper usare le
parole.
Ma gli I-Gen hanno paura delle parole, come della violenza
fisica. L’autrice ipotizza che sia perché sperimentano il male che le parole
possono fare nel cyber-bullismo, nel
bullismo sulle reti sociali, che fa più male perché è più difficile per le
vittime sottrarvisi. Non c’è modo di
proteggersi dalle parole.
Gli I-Gen si aspettano di venir trattati come bambini.
Di fronte alle
situazioni che li turbano pretendono che un’autorità superiore vi ponga fine.
Gli universitari pretendono dalle autorità accademiche che l’università, dove
si trasferiscono a vivere nei campus negli
anni in cui la frequentano, sia sicura come casa loro.
L’autrice osserva
tuttavia che gli I-Gen sono la generazione meno a rischio della
storia statunitense, e questo si deve in parte alle loro scelte. Però, sono più
a rischio di depressione o addirittura di suicidio. La prudenza li protegge,
ma, nello stesso tempo li rende vulnerabili.
Appaiono più propensi
a dare importanza all’agiatezza finanziaria che alla ricerca del senso della
vita. Questo, però, essenzialmente per caratteristiche della società
statunitense. L’ipotesi che dipenda dalla connessioni alle reti sociali, fatta
dall’autrice e proposta senza dare certezza del fatto. Del resto le reti
sociali telematiche riflettono la società statunitense e i suoi valori: sono
indotti all’individualismo e al narcisismo, senza propendere per l’impegno
sociale. Questo però, osserva la Twenge, non si è osservata al tempo delle primavere arabe, nelle quali i moti
sociali, e quindi il forte impegno collettivo, furono sorretti proprio dalle
reti sociali.
Gli I-Gen pensano all’istruzione più che altro come a
una via per procurarsi un buon impiego, anche se non sono del tutto convinti
che servirà. La scuola non è più considerata maestra di vita. Del resto in molti settori che contano della
società statunitense non è considerata tale. Scuole e università sono
considerate dagli I-Gen solo un mezzo per raggiungere una posizione
agiata in società. In particolare vedono nelle università un luogo protetto in
cui ci si prepara a fare carriera. Quindi non tollerano che vi abbiano spazio
idee diverse dalle loro e potenzialmente destabilizzanti. Gli I-Gen
si sentono mancare la terra sotto i
piedi al solo pensiero che l’università serva a esplorare concetti inediti e
non ortodossi, possibile fonte di turbamento emotivo.
La solidarietà è
manifestata sulle reti sociali perché rende popolari, ma gli IGen esprimono scarsa empatia per chi è
diverso da loro. Hanno difficoltà di passare dalle parole ai fatti.
Gli adolescenti che
passano più tempo sui social media sono più propensi a condividere le posizioni
individualistiche e a dare importanza al
possesso di beni materiali costosi come fonte di distinzione personale. Tendono
a rimanere indifferenti rispetto alle comunità di riferimento.
11. Gli
I-Gen statunitensi preferiscono un lavoro sicuro che non
fagociti loro la vita. La prima cosa che si aspettano da un lavoro sono i
soldi. Non interessa di poter stringere amicizie e di interagire con molte
persone. Vogliono un lavoro sicuro, stabile, stop.
L’etica del lavoro è
cambiata. Gli I-Gen in potenza potrebbero essere più disponibili a
seguire le direttive dei manager a fronte di un lavoro stabile e che dia un
buon reddito.
Negli Stati Uniti
l’università è molto cara, le tasse universitarie sono molto aumentate. Per
studiare all’università ci si deve indebitare. Il laureando medio nel 2016
aveva accumulato un debito di 37.173 dollari a fronte di 9.727 nel 1993. Per
gli I-Gen un bel ginepraio, osserva la Twenge: hanno
bisogno dell’istruzione universitaria per farsi strada in futuro, ma devono
chiedere prestiti pesanti per pagarsela.
Non c’è da stupirsi, scrive l’autrice, se sono stressati e vogliono solo
trovare un lavoro pur che sia, e che permetta di estinguere i debiti.
Gli I-Gen si manifestano anche meno propensi a diventare
imprenditori. Questo per il rischio che è connesso all’attività d’impresa. Del
resto hanno vissuto i problemi delle loro famiglie che si sono manifestati
nella grande Recessione del 2007. Sognano il lavoro fisso, per comprare quello
che a loro piace e sentirsi al sicuro. Per questo sono più propensi ad entrare
in polizia, un lavoro con dei rischi ma che assicura buste paga regolari e un
basso tasso di licenziamenti.
Tra i non laureati
tra i venti e in trent’anni è aumentato il tasso di chi nell’ultimo anno non ha
lavorato nemmeno un giorno nell’ultimo anno, e per tutto il Novecento è stato
il gruppo demografico con la maggior sicurezza d’impiego. Il declino è
iniziato prima della recessione, intorno
al Duemila, ed è continuato anche dopo.
Secondo l’autrice questo dipende dal fatto che passano più ore settimanali
davanti ai videogame. Mi suona un po’ semplicistico. In realtà molti di loro
sono inchiodata dal mercato del lavoro statunitense ai cosiddetti lavoretti, a impieghi part-time con uno
stipendio minimo e con datori di lavoro che rifiutano di pagare i contributi.
Questo poi costringe a continuare a chiedere prestiti. Molti I-Gen statunitensi , scrive l’autrice, sono
demoralizzati sulle loro possibilità di affermazione. Hanno convinzioni del
tipo locus di controllo esterno. Chi
ha un locus di controllo interno si crede padrone della
vita, che ce l’ha esterno crede che la vita sia controllata da forze al di
fuori di lui. Così un numero crescente di teenager
ritiene che il successo sia fuori
della loro portata. Gli I-Gen vedono più ostacoli sulla strada del loro
successo, ma sono realisti in questo. In particolare considerano un serio
problema il sessismo che ancora pervade la società statunitense: l’uguaglianza
tra i sessi è ancora lontana.
Gli I-Gen, scrive l’autrice, sono
consapevoli del bisogno che hanno di riuscire
in un sistema economico plasmato sulle diseguaglianza di reddito, e
pertanto il successo finanziario è fondamentale per loro. Ecco il vero
problema, mi pare! l’iperconnessione non ne è in fondo la causa, ma una
manifestazione.
Gli I-Gen
sono anticonformisti
materialisti e i soldi li vogliono fare per distinguersi, non per uniformarsi.
A loro non interessa adeguarsi alla massa. Vogliono prodotti che li facciano
sentire unici, oltre ad offrire comodità e confort. Anche la pubblicità
commerciale a loro diretta deve adeguarsi.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli