TWENGE J.M., Iperconnessi
- scheda di lettura dei cap. 3 e 4
Nei capitoli 3 e 4 del libro si espongono i risultati delle indagini statistiche sugli I-Gen statunitensi
(nati tra il 1995 e il 2012, i più
anziani dei quali avevano 15 anni quando, dal 2010, gli smartphone e le reti
sociali raggiungibili con essi cominciarono ad affermarsi impetuosamente tra i
più giovani) in merito alle condizioni psicologiche.
Viene attestato un aumento della depressione
in quella classe di età. In vario modo sono stati eseguiti dei test per
verificare un eventuale nesso di causa-effetto tra la connessione a reti sociali mediante
smartphone e depressione. In effetti, a parte la coesistenza temporale dell’aumento
dell’uso delle reti sociali, quindi del
maggior tempo trascorso davanti agli schermi di smartphone e simili, il fenomeno di un minor tempo
dedicato al vedersi con i
coetanei e quello dell’aumento della depressione, non si è riusciti a raggiungere
conclusioni definitive. Gli I-Gen statunitensi appaiono meno socievoli
delle generazioni precedenti di teen ager. A tramontare son stati tutti
i tipi di interazione, salvo quella mediante reti sociali. L’amicizia tramite
reti sociali sta prendendo il posto di quella in presenza. Questo ha
fatto diminuire la competenza dei teenager nelle relazioni in presenza, nelle quali quindi
appaiono impacciati.
Nei test dedicati a misurare il livello
soggettivo di felicità gli I-Gen si sono manifestati meno felici che le generazioni precedenti di coetanei. Tutte
le attività a schermo sono
collegate a una minore felicità e tutte le attività extra-schermo a una maggiore felicità.
Un test condotto sull’utilizzo di Facebook ha dimostrato che il gruppo che aveva
accettato di non collegarsi alla rete sociale si era risparmiato tristezza, rabbia e
preoccupazione. In particolare, il bullismo, che è endemico tra i
giovani statunitensi, trova nelle reti sociali campi più ampi per infliggere
sofferenze e umiliazioni, in particolare per la difficoltà che trovano le
vittime a sfuggire ai loro persecutori. Sono
più esposte le persone più giovani e le ragazze.
Gli adolescenti più attivi sulle reti sociali
sono anche quelli che corrono il maggior rischio di entrare in depressione, un disturbo
mentale che sconvolge la vita di milioni di ragazzi americani ogni anno.
L’autrice propone un spiegazione: il nostro
cervello, e quindi la nostra mente, si sono evoluti per renderci organismi
sociali e quindi desiderosi di interazione fisica. Non si sono ancora adattati
a quella virtuale, via reti sociali. Nel contempo la nostra mente, per il
medesimo retaggio evolutivo, è molto sensibile all’esclusione sociale, che è
legata a sensazioni particolarmente dolorose.Il 99% dell’evoluzione umana si è
compiuto comunicando con gli altri fisicamente, di persona. L’emarginazione
dalle reti sociali provoca un sentimento dolorosissimo che è indicato come FOMO
- Fear of missing out - Paura di essere tagliati fuori.
Tuttavia l’autrice propone altre cause sociali
di quei disturbi psicologici, legate specificamente alla società statunitense,
dove è promosso uno spietato individualismo, è considerata fattore di
affermazione personale la popolarità e quest’ultima è strettamente legata ad una
propria immagine personale di positività implacabile. In questo contesto
gli I-Gen faticano a conquistare l’autostima,
cercano di adeguarsi a modelli irraggiungibili e non di rado crollano nella
depressione.
Il problema allora, non sarebbero i
dispositivi elettronici, che sono semplici terminali
dei sistemi di intelligenza artificiale che governano le reti sociali, ma queste ultime, che sono costruite anche
per orientare chi si collega secondo valori
che convengono a chi le governa, di solito legati al commercio per il consumo.
Mediante le reti sociali quei sistemi di intelligenza artificiale arrivano a
conoscerci meglio di noi stessi, per l’enorme quantità di informazioni che
forniamo loro rimanendo connessi, informazioni che rivelano profondamente la
nostra psicologia e anche informazioni che in genere teniamo nascoste anche
alle persone con cui siamo in maggiore intimità. Nelle elezioni politiche
svolte in Occidente dal 2013 è stato dimostrato che, attraverso le reti
sociali, si può influire sulla gente connessa non solo a fini di pubblicità
commerciale, ma anche per indurre opinioni politiche. Chi è connesso di solito
non è consapevole di questa influenza e quindi si connette senza prevenzioni. Ogni
rete sociale cerca di influire sugli utenti innanzi tutto in due modi:
inducendoli a rimanere connessi e a rimanerlo per il maggior tempo possibile.
Gli utenti vengono rinchiusi in bolle
informatiche che isolano ambienti omogenei, nei quali il conformismo è condizione del successo, della
popolarità. Su quella base, poi, negli Stati Uniti si
diffonde il modello dell’individualismo spinto basato sull’acquisizione di beni
posti in commercio e su un’immagine scintillante
di sé conseguibile solo acquisendo beni
commerciali. Le reti sociali si sono dimostrate strumenti estremamente potenti,
specialmente su menti in formazione, per questo tipo di influenza.
Bisognerebbe
verificare che accade in culture nelle quali, benché si sia diffuso l’uso delle
reti sociali tra i giovani, i valori sociali sono diversi.
Bisogna però dire che gli Stati Uniti d’America, quanto a modelli di vita,
stanno ancora facendo scuola nel mondo, per cui il resto del mondo tende
maggiormente ad allinearsi a loro di quanto invece non tenda a discostarsene.
Mario Ardigò
- Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli