TWENGE
Jean Marie, Iperconnessi. Perché i
ragazzi di oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici, e del tutto
impreparati a diventare adulti, Einaudi 2018, €19,00 [disponibile in e-book e Kindle
ad €9,99];
Scheda di lettura - 3
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OGGI, ALLE 16:45, RIUNIONE DI AC SAN CLEMENTE IN GOOGLE MEET, SUI TEMI DEL LIBRO DELLA TWENGE
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12. Gli I-Gen
(nati tra il 1995 e il 2012) hanno un atteggiamento molto cauto nelle
relazioni sentimentali. Anche i primi anni di università sono troppo presto per
alcuni. Nonostante il diffondersi di concezioni tolleranti in materia nella
società statunitense, le probabilità che gli I-Gen siano sessualmente
attivi da adolescenti non sono aumentate, sono scese. Quando lo sono, hanno rapporti con meno
persone. Le gravidanze tra adolescenti
sono calate.
Per gli I-Gen
concentrarsi su se stessi e
inseguire il successo economico sono obiettivi più importanti, perciò il senso
e le relazioni sentimentali sono avvertite come distrazioni.
L’autrice osserva che negli passati la
propaganda antisesso negli Stati uniti è stata forte. Ma non si
tratta solo di questo. Gli I-Gen non vogliono rimanere intrappolati in
relazioni che potrebbero ostacolarli nell’accesso alla professione e nella
carriera. Le relazioni sentimentali si
scontrano con l’idea individualistica che “non
hai bisogno di un altro per essere felice: sei tu che devi renderti felice”. Questa,
scrive, Twenge è ciò che gli I-Gen hanno sentito crescendo, l’opinione comune che
il nostro contesto culturale ha sussurrato alle loro orecchie. Nei solo diciotto
anni tra il 1990 e il 2008, il ricorso alla frase “Renditi felice” è più che triplicato nei libri americani, secondo il database di
Google Books.
I più giovani hanno anche paura di smarrire la
propria identità in una relazione, o di subire l’influenza di qualcun altro in
un periodo critico. Anche quando funzionano le relazionii sentimentali sono
stressanti, secondo gli I-Gen. Interagire con la gente, sembrano dire gli I-Gen, è spossante.
I social media, secondo l’autrice, giocano un
ruolo nell’ideale superficiale e privo di emozione che gli I-Gen hanno del sesso. La
relazione sentimentale viene indicata nel loro gergo con l’espressione beccarsi un affetto: è così che
definiscono la nascita di un attaccamento emotivo a una persona, un’espressione
evocativa, il cui sottinteso è che l’amore sia una malattia a cui sarebbe
meglio sfuggire. Negli esseri umani, scrive Twenge, il desiderio di legami
emotivi è innato, eppure in concetto di beccarsi
un affetto promuove l’idea che farlo sia una vergogna, che sia un po’ come
ammalarsi.
Gli I-Gen
tendono a mettere in dubbio il
matrimonio più dei coetanei della generazione che li ha preceduti, perché di
matrimoni riusciti ne vedono pochi: è raro che gli I-Gen dicano che la loro vita sarà più felice se si sposano. Gli I-Gen tendono a considerare una buona idea convivere
prima di sposarsi. Il matrimonio non è più sentito come un obbligo ed è
ritenuto un’istituzione opinabile, ma non perché ci sia un forte desiderio di
promiscuità.
Gli I-Gen
hanno una lunga lista di cose che
secondo loro vanno sistemate prima del matrimonio, in particolare un lavoro
stabile.
Gli I-Gen,
come già i Millennial, rimandano non solo il matrimonio, ma anche la
convivenza, e sono sempre meno quelli che convivono con un partner. Alla fine,
osserva l’autrice, sono sempre più alieni dai rapporti umani, a esclusione
forse di quello con i genitori.
La cisi economica che Millennial e I-Gen si trovano ad affrontare rende complicato
avere dei figli. I debiti contratti per fare l’università hanno raggiunto
livelli record, i prezzi delle case hanno preso il volo e i servizi per l’infanzia
sono spesso più cari dell’affitto. I
bambini costano, ed è difficile potersene permettere più di uno. I Millennial e gli I-Gen
stanno aspettando ad avere figli più di qualsiasi generazione americana
precedente. Non era mai successo che l’intera cronologia riproduttiva si
spostasse in avanti.
13. Quanto alle identità Lgbt (persone
lesbiche, gay, bisessuali e transgender) i giovani si aspettano parità di trattamento e spesso sono sorpresi, e
anche scioccati, quando gli succede di trovarsi di fronte a pregiudizi. Gli anni Duemila e Duemiladieci hanno
introdotto negli Stati Uniti un cambiamento radicale in questo campo. E’ al mutamento
di concezioni si è accompagnata una corrispondente pratica di quelle relazione:
in ogni caso è aumentato il numero di
chi le ammette. Però, osserva Twenge,
la battaglia è ancora lontana dall’esser
vinta e questo crea divisioni all’interno degli I-Gen, oltre a gap generazionali che possono sembrare abissi
incolmabili.
La flessibilità riguardo al genere dei partner
porta alcuni I-Gen ad affermare che le persone non si dovrebbero
più etichettare in base all’orientamento sessuale. La fede degli I-Gen nella parità di genere è un fenomeno senza
precedenti. Certamente il genere non è
più quello di una volta, è sempre più visto come fluido, non stretto da vincoli sociali. Tuttavia il movimento verso
la fluidità di genere, sebbene cominci a prendere piede negli Stati Uniti, è
ancora lontano dalla percezione media o dall’esperienza media. L’idea tuttora
prevalente è che non vi siano stati intermedi accettabili.
Per quanto riguarda i ruoli di genere, le
differenze tra I-Gen, Millennial e Generazione
X sono molto piccoli e l’atteggiamento
vira decisamente al tradizionale solo quando si arriva ai settantenni della Generazione silenziosa. Gli I-Gen e i Millennial
più giovani sono appena un po’ più
progressisti nelle loro opinioni di genere rispetto ai quarantenni della Generazione
X e risultano indistinguibili dai Millellnial intorno ai trent’anni. In altre parole, il
cambiamento generazionale degli atteggiamenti riguardanti il ruolo di genere si
è arrestato. A differenza delle
questioni Lgbt, per le quali gli I-Gen e Millennial
compiono un notevole balzo
generazionale rispetto ai loro predecessori.
Le questioni etniche sono particolarmente
salienti per gli I-Gen statunitensi, che nella loro vita sono stati
circondati dalla diversità. Gli I-Gen non soltanto frequentano scuole multietniche,
ma interagiscono con persone di etnie diverse in molti ambienti diversi.
Gli I-Gen
statunitensi hanno sperimentato
tutta la diversità etnica possibile, a scuola, nelle loro città , nelle loro
attività. Quasi tutti, però, descrivono gli ambienti multietnici come appena accettabili, non come desiderabili. Questo spiega perché
continuino a verificarsi incidenti a sfondo razziale nelle università. L’I-Gen medio tollera le diversità ma non è sicuro che
sia il sistema ideale. La gente certe differenza le vede o le immagina. Ad esempio, molti maschi
adulti bianchi crede che i neri siano pigri.
Gli I-Gen
sono tanto convinti della loro idea
di uguaglianza che in molti fanno fatica ad approvare la discriminazione
positiva (misure per favorire gruppi etnici socialmente sfavoriti). Gli I-Gen sono fan sfegatati della parità, ma la vedono
come qualcosa che va al di là dell’etnia. Gli I-Gen sono chiaramente più
progressisti dal punto di vista razziale
di quanto lo fossero i loro coetanei delle generazioni precedenti, però
sono tutt’altro che post razziali. Non
sono nemmeno post genere, e nell’ambito delle questioni di genere
somigliano molto ai Millennial e ai
membri della Generazione X in anni
recenti. Solo sulle questioni Lgbt gli I-Gen
si distinguono sul serio.
Negli ultimi anni nelle università son esplose
proteste spesso incentrate sulle questioni di uguaglianza.
Ci sono stati docenti sospesi per aver
intavolato discussioni su questioni etniche. I relatori controversi sono sempre
più spesso disinvitati o interrotti
nei loro discorsi. I disinviti sono quintuplicati.
Gli I-Gen
sono più favorevoli a porre vincoli
alla libertà di espressione.
Sono sempre più numerose le espressioni
giudicate razziste o sessiste e più relatori sono stati giudicati estremi.
E’ il lato oscuro della tolleranza, osserva l’autrice:
comincia con le buone intenzioni di includere tutti e di non offendere nessuno
e finisce con la riluttanza a esplorare
a fondo i problemi.
Nel 2012 il Ministero della giustizia e quello
dell’Istruzione hanno ampliato la
definizione di molestia sessuale comprendendo, oltre ai termini che una
persona ragionevole troverebbe offensivi, anche quelli che sono
semplicemente sgraditi. Le università
ora applicano questo standard di discorso sgradito
alle questioni di etnia e religione
oltre che di genere.
Il
rifiuto della libertà di espressione da parte dei sostenitori della giustizia
sociale è una novità delle ultime generazioni. Le persone al di sotto dei
quarant’anni favorevoli alla giustizia sociale sono meno favorevoli alla
libertà di espressione. Del resto gli I-Gen,
per la loro frequentazione delle reti sociali, sono più convinti che le parole
possano essere violenza. Tuttavia i ragazzi hanno visto coi loro occhi il danno
provocato dalle espressioni d’odio, ma non il danno della censura o la
punizione del dissenso. I professori hanno sottolineato che limitare le
espressioni sgradite potrebbe facilmente portare a limitare anche quelle
gradite. Quando i pubblici ufficiali hanno il potere di regolare la libertà d’espressione,
di tale potere inevitabilmente si abusa.
Negli Stati Unit, dire la cosa sbagliata può
avere conseguenze moto gravi, può costare il posto di lavoro.
I livelli record di ansia e di depressione
degli I-Gen, la lentezza del loro cammino verso l’età
adulta e l’importanza che danno all’inclusione si sono fusi nell’idea che le
persone debbano essere protette ad ogni costo.
14. Conclusioni dell’autrice
Ciò che occorre è trovare un equilibrio tra
soluzioni e accettazione. Il cambiamento culturale è sempre un compromesso: il
buono va a braccetto con il cattivo.
Sul piano fisico i teenager sono più al sicuro
che mai (negli Stati Uniti). Ma si
diventa adulti più adagio
In pratica l’autrice consiglia di consentire
ai figli l’uso dello smartphone il più tardi possibile, di comprar loro non
modelli molto avanzati con accesso completo a internet e di porre delle
limitazioni. Possono sempre collegarsi utilizzando un computer.
La Twenge riferisce che gli amministratori
delegati di molte aziende che producono tecnologia regolano con grande severità
l’uso che i loro figli ne fanno. Sanno che lr reti sociali e l’uso degli
strumenti elettronici sono collegati a tassi più altri di solitudine,
infelicità, depressione e rischio di suicidio. I romanzi e la musica no. L’interazione
elettronica è collegata a una scarsa salute mentale. Le riviste di psicologia
sono piene di articoli sulla dipendenza da internet.
Tutti
noi, giovani e adulti, dovremmo impegnarci a mettere via il telefono quando
siamo con una persona in carne e ossa. Posare lo smartphone è anche
fondamentale per studiare e lavorare: il cervello umano non è multitasking: siamo in grado di concentrare
la nostra attenzione soltanto su un
compito cognitivo alla volta. In generale, la chiave con i telefoni è la
moderazione, sia nei teenager che negli adulti. Il problema è che i contenuti
ai quali si accede mediante gli smartphone sono realizzati in modo da attirare
emotivamente la nostra attenzione, perché le imprese che gestiscono le reti
sociali fanno più profitti se più persone e più a lungo rimangono collegate.
ll tempo passato on line non protegge da
solitudine e depressione. i genitori, secondo l’autrice, dovrebbero smettere di
pensare che se gli adolescenti escono insieme sprecano il tempo. Molti genitori
pongono severi limiti a quell’uscire insieme, che ha molti benefici, e non ne
pongono per un’attività come la comunicazione elettronica che è priva di quasi
tutti quei benefici.
E’ dimostrato che l’esercizio fisico è un
antidepressivo naturale. Copiare lo stile di vita dei nostri antenati delle
caverne è uno dei sistemi migliori per prevenire ansia e depressione.
La psicoterapia, poi, funziona, dice la
Twenge: si guarisce più in fretta dalla depressione. Dovrebbe essere posta a
disposizione nel servizio scolastico.
I giovani entrano nel mondo dell’università e
del lavoro con molto meno esperienza dell’indipendenza adulta. Questo comporta
l’esigenza di un diverso approccio da parte di insegnanti e datori di lavoro. I
genitori dovrebbero favorire esperienze di indipendenza dei figli, smettendo
anche di preoccuparsi troppo. C’è chi ha
suggerito un anno sabbatico, di pausa, tra le scuole superiori e l’università,
per fare esperienza di indipendenza.
E’ importante che le lezioni scolastiche siano
interessanti e strutturate in modo da richiamare l’attenzione degli studenti,
che hanno una breve curva dell’attenzione, a causa della consuetudine con gli
smartphone. Bisogna tener conto che anche gli universitari hanno letto meno
libri e meno articoli lunghi. Dovranno imparare a farlo, gradualmente.
Interminabili liste di temi e di dettagli finiscono per annoiare a morte gli
studenti. Bisogna che gli I-Gen ricalibrino
la loro curva dell’attenzione. E’ tutta la vita che, per loro, comunicare
significa avere a che fare con brevi frammenti di informazioni e non con pagine
e pagine di puro testo.
A scuola bisognerebbe addestrare a distinguere
il vero dal falso, il valore di un’affermazione sottoposta a revisione di
gruppi di esperti rispetto a dichiarazioni su un blog senza alcun elementi a
sostegno o a sondaggi tra incompetenti o tra gruppi limitati.
Gli I-Gen
hanno paura di non farcela in un
mondo competitivo e di finire dalla parte dei meno abbienti in quella che è una
divisione sempre più profonda fra chi ha e chi non ha. Gli I-Gen hanno bisogno di
rassicurazioni, di guide. Ciascuno di loro vuole lasciare il segno, non essere
soltanto una rotella dell’ingranaggio. Vogliono sapere che si sentiranno sicuri
e protetti, sul piano fisico come su quello sociale ed emotivo.
La Twenge conclude riassumendo come segue.
Gli I-Gen sono spaventati, in particolare dalle
implicazioni delle diseguaglianze economiche. Sono cresciuti lentamente,
educati ad apprezzare la sicurezza. Gli strumenti che tengono in mano hanno
esteso la loro infanzia e contemporaneamente li hanno isolati dalle interazioni
umane. Negli Stati Uniti sono la generazione più sicura sul piano fisico, ma la
più fragile sul piano mentale. Danna più importanza al lavoro e sono più
realistici dei Millennial: hanno la
certezza che dovranno lottare per farcela. Sono squisitamente tolleranti,
portatori di una nuova consapevolezza dell’eguaglianza, della salute mentale e
dei diritti Lgbt, e si sono lasciati alle spalle strutture tradizionali come la
religione.
15. In base al titolo ci si aspetta un libro sui
danni dell’uso degli smartphone da parte degli adolescenti, ma ci si trova
davanti all’esposizione dei danni che la civiltà contemporanea degli Stati
Uniti reca ai più giovani. E’ essa ad essere tossica, a generare l’individualismo
che separa dagli altri, per cui ci si consegna alle reti sociali che aggravano
il problema perché veicolano gli stessi imperativi di quella società, a opprimere
chi studia con gli altissimi costi dell’istruzione e a costringere le persone a
una spietata lotta per la sopravvivenza nello stato più ricco del mondo,
terrorizzandole con la minaccia di ricadere tra quelli che non hanno. E’ paradossale
che l’ansia per la sicurezza dei più giovani si produca proprio nello stato che
alla sua sicurezza dedica risorse stratosferiche, organizzando la più imponente
armata che ci sia mai stata nel mondo.
Osservo che gli I-Gen di cui si parla nel
libro sono prevalentemente quelli che possono permettersi l’università, una
ristretta minoranza di privilegiati sociali. Come saranno gli altri, quelli che
sono compresi nei ceti più poveri? Negli Stati Uniti, di sa, la povertà c’è e
anche molto acuta.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa
- Roma Monte Sacro Valli
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa