Giaccardi/Magatti, La
scommessa cattolica, Il Mulino, 2019 – scheda di lettura – 3
Gli autori partono da premesse che sono
comuni nella teologia cattolica: nella nostra società vi sarebbe una pressione
delle scienze e della tecnologia per creare un sistema totalizzante che
sostituisca l’antico cosmo delle religioni, governato dagli dei. Quindi
non si darebbe più importanza all’al di là, quanto al benessere nel
presente, affidato alla tecnologia. Gli dei sarebbero come espulsi dal
mondo degli umani. Che bisogno ci sarebbe di parlarne ancora? Magatti\Giaccardi
citano un’espressione del sociologo Charle Taylor, il quale parlò di “umanesimo
esclusivo”, per indicare una mentalità dell’essere umano che ritiene ormai di
essersi messo in proprio e di poter vivere senza dover ricorrere al riferimento
al divino.
Ebbene, non mi pare quella la condizione di
chi vive nell’Occidente contemporaneo. Si tratta di un modo di pensare che era
tipico del positivismo ottocentesco, dell’era nella quale fu costruito il mito
della modernità. Ora si è invece nell’epoca che, per distinguerla da quella
della modernità, viene detta postmoderna. In essa la fiducia nelle
scienze e nella tecnologia non sono assolute, come vediamo bene in questo tempo di pandemia, è
generale il sentimento di insicurezza (come segnalò il sociologo e filosofo Zygmunt
Bauman) e vi è una forte ripresa dell’irrazionale. Ha però meno credito la
teologia dogmatica cristiana, costruita sul miti di una razionalità dispotica,
per la quale, ragionando, non si potrebbe che concludere per l’idea di un disegno
intelligente che muove storia e cosmo, quello di cui parla la rivelazione religiosa.
L’uso corretto della ragione non potrebbe condurre ad altro esito. Questo
principio fu così sintetizzato
nell’enciclica Fede e ragione diffusa nel 1998 dal papa Giovanni Paolo
2^:
34. Questa verità, che Dio ci
rivela in Gesù Cristo, non è in contrasto con le verità che si raggiungono
filosofando. I due ordini di conoscenza conducono anzi alla verità nella sua
pienezza. L'unità della verità è già un postulato fondamentale della ragione
umana, espresso nel principio di non-contraddizione. La Rivelazione dà la
certezza di questa unità, mostrando che il Dio creatore è anche il Dio della
storia della salvezza.
Le scienze contemporanee e la razionalità di cui si servono e con la
quale si esprimono non hanno di quelle pretese.
In effetti, più indagano la realtà, più la scoprono irriducibile ad un sistema
generale e sistematizzabile solo in ambiti limitati e fino a nuove
scoperte.
Tuttavia, queste premesse che possono essere
criticate, non escludono la validità della proposta degli autori, che è quella
di cercare vie nuove, cercando ciò che ancora la nostra fede ha di importante
da dire all’umanità contemporanea.
Nell’organizzare le società contemporanee,
osservano, si astrae troppo dalla concreta vita di relazione degli
esseri umani. E questa è una critica che senz’altro vale anche nei confronti
della teologia,
L’astrazione dá una sensazione di onnipotenza,
di controllo della realtà. Ma la legge della vita, invece, sostengono gli
autori, si basa sul paradosso dell’opposizione polare, dei distinti che
rimangono tali pur attraendosi, entrando in relazione. Senza questo la vita
umana soffre, ciascuno è confinato in sé, nel posto assegnatogli nello schema
astratto, In società si è soli insieme. Sarebbe questa l’origine del
male che travaglia l’Europa. Certo, riconoscono, l’organizzazione ecclesiale ha
avuto difficoltà a gestire la questione della soggettività, pur se il Vangelo,
nella predicazione di Gesù, era rivolto alla singola persona, alla sua salvezza.
Secondo gli autori, il problema principale sarebbe stato creato dalla
modernità, con la sua idea di “Io”ridotto a individuo. Un’idea che dipende
molto dalla teologia, con la sua ossessiva diffidenza verso libertà e
liberalismo. In realtà la fraternità della cristianitá antica fu
storicamente piena di orrori contro la persona e il liberalismo, di cui la democrazia è uno dei
principali frutti, si proporre di liberarne le società moderne.
L’io moderno si pensa autonomo da tutto
ciò che lo circonda, come ritengono gli autori? Non si è autorizzati a pensarlo
tenendo conto della storia. Il dono più prezioso della modernità liberale è
appunto la democrazia contemporanea avanzata, piena di considerazione della
persona e delle formazioni sociali in cui e di cui essa vive.
Davvero l’io moderno è tutto teso a
evitare legami sociali? Quelli oppressivi, certamente, come furono quelli imposti dall’ecclesiologia del nostro
magistero fino agli scorsi anni Sessanta, certamente. Ma non altri.
Le reti sociali si indeboliscono, si osserva. Siamo
sicuri che la soluzione sia tornare all’antico modello tribale? Piuttosto direi
che i problemi psicologici che fino a metà Novecento furono di ristrette
cerchie di privilegiati, ora si sono generalizzati, con il miglioramento del
benessere sociale. In epoche in cui la maggioranza si abbrutiva nel lavoro
semplicemente per mantenersi in vita, le emergenze erano altre.
L’essere umano, in particolare in Occidente, vorrebbe
diventare un dio e non riuscendoci sarebbe frustrato. Io non vedo in giro tutti
questi aspiranti dei. E nemmeno vedo tanta pretesa di autosufficienza. Vedo
invece una teologia che non sa parlare all’umanitá del nostro tempo perché non
la comprende. Certo, occorre mantenere una capacità relazionale, in particolare
nella dimensione di mondo vitale (ne scrisse mio zio sociologo), quelle
che danno senso, ma la religione in questo aiuta poco, quando pretende
di incapsularci nei suoi schemi rigidi, uomo o donna, prete
o laici, cattolico o non cattolico ecc., pretendendo anche di
imporli come razionali.
L’io isolato cerca la società, sostengono gli
autori, e questo è sperimentabile, e l’abbiamo visto di questi tempi di pandemia. Ma, liberatosi delle gabbie telogiche si
troverebbe incapsulato in un’altra prigione, tecnocratica questa volta. Che può
dare benessere, ma non il senso della vita, che non è solo star bene
(anche se per molti è un bel progresso). Non riusciremmo più a voler bene. La
pietà potrebbe darlo, perché rende consapevoli della pluralità, varietà
e inesauribilità dell’essere. Ma dov’è finita la pietà in questo mondo? Il
richiamo alla trascendenza potrebbe aiutare a ritrovarla. Ma in questo la
ragione sarebbe un ostacolo. Gli autori non tengono conto dell’enorme
produzione letteraria della teologia cristiana, fondata su un questionare
razionale. Sarebbe però solo la razionalità insofferente della fede a creare il
problema: l’altra razionalità no. La ragione dovrebbe servire solo a trovare
conferme della fede: capire per credere. Altrimenti si vive male. E
quando si argomentano razionalmente le critiche a un certo modo di essere
religiosi, come fece Voltaire e molti su suo esempio?
Nella cultura contemporanea il diabolico,
nel senso letterale dell’originario greco antico ciò che divide, avrebbe
preso il sopravvento. L’umanesimo moderno, con il suo anelito di liberazione, a
quello condurrebbe. L’uomo liberato delle nostre nuove democrazie sarebbe
ridotto a numero. Temo di non poter proprio condividere questa prospettazione.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San
Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli