Gruppo di Azione Cattolica
nella
Parrocchia di San Clemente papa - Roma
Carissime
e carissimi,
vi stiamo inviando il link e il codice di accesso della prossima riunione del gruppo AC San Clemente in Google Meet di sabato 27 febbraio 2021, ore 16:45. Consigliamo
di accedere dalle 16:40. Il prossimo
sarà il 13° incontro del gruppo in teleconferenza.
Prova anche tu a partecipare!
Inviaci un tuo indirizzo email per poter rimanere in contatto più
facilmente con il gruppo! Non darla vinta al virus! Non lasciarti isolare!
Link e codice di accesso possono essere
chiesti anche da chi non è socio, con una email a
mario.ardigo@acsanclemente.net
precisando il nome, la parrocchia di appartenenza e i temi di interesse.
Questi dati saranno cancellati dopo la riunione e dovranno essere nuovamente
inviati per partecipare ad un incontro successivo.
Di più saremo insieme, più gioia ci sarà.
Mario & C.
13° RIUNIONE DI AC SAN
CLEMENTE IN MEET - 27FEB21 H16:45 - DIALOGHEREMO SUL LIBRO
"IPERCONNESSI" DI J.M.TWUENGE, SEGNALATO DA DON EMANUELE
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Per accedere agli
incontri in Google Meet:
A) da PC fisso, PC
portatile, tablet
1) aprite il programma Google Chrome;
2) cliccate sul quadratino di puntini in alto a destra e poi sull’icona
verde di Meet;
3) selezionate PARTECIPA A UNA RIUNIONE;
4) inserite il codice di accesso che vedete qui sopra, facendo
COPIA/INCOLLA;
5) cliccate su CONTINUA
6)Cliccate su CHIEDI DI PARTECIPARE e attendete di essere ammessi alla
riunione.
B) da smartphone:
1) aprite la app Google Meet (che avrete scaricato);
2) cliccate su CODICE RIUNIONE e inserite il codice di accesso che vedete
qui sopra;
3) cliccate su CHIEDI DI PARTECIPARE e attendete di essere ammessi.
Segnalate eventuali problemi con una email a
mario.ardigo@acsanclemente.net
indicando, se volete essere contattati telefonicamente, un numero di
telefono al quale essere chiamati.
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Materiali dalla riunione di AC San Clemente del 20 febbraio sui
temi dell’enciclica Fratelli tutti, di papa Francesco, diffusa il 3
ottobre 2020.
Dall’enciclica Fratelli tutti - par. da 154 a 167
CAPITOLO QUINTO
LA MIGLIORE POLITICA
(sintesi)
154. Per rendere
possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, è necessaria la migliore
politica, posta al servizio del vero bene comune.
Populismi e liberalismi
155. Il disprezzo per i
deboli può nascondersi in forme liberali al servizio degli interessi economici
dei potenti. Popolare o populista
156. [Si pretende] di
classificare tutte le persone, i gruppi, le società e i governi a partire da
una divisione binaria: “populista” o “non populista”. Ormai non è
possibile che qualcuno si esprima su qualsiasi tema senza che tentino di
classificarlo in uno di questi due poli, o per screditarlo ingiustamente o per
esaltarlo in maniera esagerata.
157. [Si] ignora
la legittimità della nozione di popolo. Il tentativo di far sparire
dal linguaggio tale categoria potrebbe portare a eliminare la parola stessa
“democrazia” (“governo del popolo”). Ciò nonostante, per affermare che
la società è più della mera somma degli individui, è necessario il termine
“popolo”. […] è molto difficile progettare qualcosa di grande a
lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo. Tutto ciò
trova espressione nel sostantivo “popolo” e nell’aggettivo “popolare”. Se non
li si includesse – insieme ad una solida critica della demagogia – si rinuncerebbe
a un aspetto fondamentale della realtà sociale.
158. Popolo non è una
categoria logica, né è una categoria mistica, se la intendiamo nel senso che
tutto quello che fa il popolo sia buono, o nel senso che il popolo sia una
categoria angelicata. Ma no! È una categoria mitica […] La
parola popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera
logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta
di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un
processo lento, difficile… verso un progetto comune.
159. Ci sono leader popolari
capaci di interpretare il sentire di un popolo, la sua dinamica culturale e le
grandi tendenze di una società. Il servizio che prestano, aggregando e
guidando, può essere la base per un progetto duraturo di trasformazione e di
crescita, che implica anche la capacità di cedere il posto ad altri nella
ricerca del bene comune. Ma esso degenera in insano populismo quando si muta
nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare
politicamente la cultura del popolo,.
160. I gruppi
populisti chiusi deformano la parola “popolo”, poiché in realtà ciò di cui
parlano non è un vero popolo. Infatti, la categoria di “popolo” è aperta. Un
popolo vivo, dinamico e con un futuro è quello che rimane costantemente aperto
a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso. Non lo fa negando sé stesso,
ma piuttosto con la disposizione ad essere messo in movimento e in discussione,
ad essere allargato, arricchito da altri, e in tal modo può evolversi.
161. Un’altra
espressione degenerata di un’autorità popolare è la ricerca dell’interesse
immediato.
162. Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare –
perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far
germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua
iniziativa, le sue forze.
[…]
la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che
l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire
con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, non esiste peggiore
povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro.
Valori e limiti delle visioni liberali
163. La categoria di
popolo è abitualmente rifiutata dalle visioni liberali individualistiche, in
cui la società è considerata una mera somma di interessi che coesistono. Per
queste visioni, la categoria di popolo è una mitizzazione di qualcosa che in
realtà non esiste. Tuttavia, qui si crea una polarizzazione non necessaria, poiché né
quella di popolo né quella di prossimo sono categorie puramente mitiche o
romantiche, tali da escludere o disprezzare l’organizzazione sociale, la
scienza e le istituzioni della società civile.
164. La carità
riunisce entrambe le dimensioni – quella mitica e quella istituzionale – dal
momento che implica un cammino efficace di trasformazione della storia che
esige di incorporare tutto. Perché non c’è di fatto vita privata se
non è protetta da un ordine pubblico. 165. La
vera carità è capace di includere tutto questo nella sua dedizione.
Anche il buon samaritano ha avuto bisogno che ci fosse una locanda
che gli permettesse di risolvere quello che lui da solo in quel momento non era
in condizione di assicurare. L’amore al prossimo è realista.
166. Tutto ciò
potrebbe avere ben poca consistenza, se perdiamo la capacità di riconoscere il
bisogno di un cambiamento nei cuori umani, nelle abitudini e negli stili di
vita.
Il pericolo maggiore non sta nelle cose, nelle realtà materiali,
nelle organizzazioni, ma nel modo in cui le persone le utilizzano. La
questione è la fragilità umana, la tendenza umana costante all’egoismo.
Esiste da che l’uomo è uomo e semplicemente si trasforma, acquisisce diverse
modalità nel corso dei secoli, utilizzando gli strumenti che il momento storico
mette a sua disposizione. Però è possibile dominarla con l’aiuto di Dio.
167. L’impegno
educativo, lo sviluppo di abitudini solidali, la capacità di pensare la vita
umana più integralmente, la profondità spirituale sono realtà necessarie per
dare qualità ai rapporti umani.
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L’idea di popolo - nazione, come realtà di
massa con un proprio retaggio storico, è una costruzione culturale
ottocentesca. Essa è stata alla base del Risorgimento italiano e dei processi
di emancipazione nazionale dalle potenze europee in America Latina.
Nell’enciclica, la migliore politica, quindi
il miglior governo della società, è legata all’idea di una identità in
un popolo-nazione, è quindi un lavoro collettivo. E’
contrapposta alla politica secondo l’ideologia liberale che
è vista come legata all’egoismo proprietario. In questa prospettiva il popolo
- nazione è una realtà comunitaria che sorregge le persone, in
particolare le più povere e deboli, e aiuta a dare prospettive, ma anche a
premere collettivamente per cambiare la società mediante moti
sociali (da qui l’interesse di papa Francesco per i movimenti
popolari). E’ legato a una cultura, intesa come insieme di convinzioni
profonde e stili di vita. Nella visione dell’enciclica essere parte
del popolo significa far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e
culturali. Essa non è spiegabile del tutto in termini puramente razionali,
bisogna far ricorso al mito, che spiega il senso dell’appartenenza.
Si appartiene secondo un mito identitario di
popolo, secondo il quale vengono messi in rilievo, come fattori di coesione,
alcuni elementi sociali e culturali. Si parte dalle persone per arrivare al
popolo o viceversa? In realtà è la costruzione dell’idea. del sogno, di
popolo che precede: nell’enciclica si dichiara infatti che «non è una cosa
automatica, anzi: è un processo lento, difficile… verso un progetto comune».
Scrive Bruno Forte: «Non è difficile riconoscere nell’enciclica l’impronta
del mondo culturale, sociale, politico e religioso, in cui papa Francesco si è
formato e ha trascorso con passione e dedizione gran parte della sua vita».
Nella parola democrazia, c’è
l’idea di popolo: essa deriva dal greco antico dèmos (popolo
appunto) e kràtos (potere). Significa dunque governo del popolo.
Nel discorso tenuto dal Papa l’8
febbraio scorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede si legge:
«D’altronde, come affermava Pio XII nel suo
memorabile Radiomessaggio del Natale 1944: «Esprimere il proprio
parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto
ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano
nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro espressione». La
democrazia si basa sul rispetto reciproco, sulla possibilità di tutti di
concorrere al bene della società e sulla considerazione che opinioni differenti
non solo non minano il potere e la sicurezza degli Stati, ma, in un confronto
onesto, arricchiscono vicendevolmente e consentono di trovare soluzioni più
adeguate ai problemi da affrontare. Il processo democratico richiede che si
persegua un cammino di dialogo inclusivo, pacifico, costruttivo e rispettoso
fra tutte le componenti della società civile in ogni città e nazione.
[…]
Lo sviluppo di una coscienza democratica esige che si superino i
personalismi e prevalga il rispetto dello stato di diritto. Il diritto è
infatti il presupposto indispensabile per l’esercizio di ogni potere e deve
essere garantito dagli organi preposti indipendentemente dagli interessi
politici dominanti.
Vedete lì esposti numerosi valori che sono legati all’idea di democrazia,
che non è quindi solo una regola di
procedura, secondo la quale volontà di un gruppo è quella espressa dalla
maggioranza.
La dottrina sociale insegna ed
esorta ad agire collettivamente per cambiare la società perché divenga un
ambiente più favorevole allo sviluppo della persona umana, in particolare nelle
sue relazioni con gli altri, in famiglia, sul lavoro, nelle città, nella nazione, tra le nazioni e
a livello del mondo intero. Imparare la democrazia o, comunque, approfondirne
la conoscenza serve a farlo in modo che non vi siano prevaricazioni,
emarginazioni, soprusi, spoliazioni, che in genere sono rischi connaturati all’esercizio
dei poteri sulle collettività sociali, e per avvicinarsi all’ideale del potere
di tutti nell’interesse di tutti al quale le democrazie contemporanee
tendono.
La democrazia comporta un cambio di
mentalità, perché gli esseri umani sono sempre tentati verso il male,
all’egoismo e al conflitto, quindi in senso proprio una conversione, ma anche la capacità di riformarsi e di riformare. A questo
proposito in quel discorso che ho citato il Papa ha detto anche:
«Uno dei segni della crisi della politica è
proprio la reticenza che spesso si verifica ad intraprendere percorsi di
riforma. Non bisogna avere paura delle riforme, anche se richiedono sacrifici e
non di rado un cambiamento di mentalità. Ogni corpo vivo ha bisogno
continuamente di riformarsi e in questa prospettiva si collocano pure le
riforme che stanno interessando la Santa Sede e la Curia Romana.»
E, parlando il 31 gennaio scorso ai
partecipanti all'incontro promosso dall'Ufficio catechistico nazionale della
Conferenza episcopale italiana:
«Ho menzionato il
Convegno di Firenze [Il 5° Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze,
novembre 2015]. Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno
di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per
comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel
Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo
Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare.»
Mario Ardigò & C. - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli