LETTERA
APOSTOLICA
IN FORMA DI «MOTU PROPRIO»
DEL
SOMMO PONTEFICE
FRANCESCO
“APERUIT
ILLIS” / Aprì loro [la mente]
CON
LA QUALE VIENE ISTITUITA LA
DOMENICA DELLA PAROLA DI DIO
1. «Aprì loro la mente per comprendere le
Scritture» (Lc 24,45). È uno degli ultimi gesti compiuti dal
Signore risorto, prima della sua Ascensione. Appare ai discepoli mentre sono
radunati insieme, spezza con loro il pane e apre le loro menti all’intelligenza
delle Sacre Scritture. A quegli uomini impauriti e delusi rivela il senso del
mistero pasquale: che cioè, secondo il progetto eterno del Padre, Gesù doveva
patire e risuscitare dai morti per offrire la conversione e il perdono dei
peccati (cfr Lc 24,26.46-47); e promette lo Spirito Santo che
darà loro la forza di essere testimoni di questo Mistero di salvezza (cfr Lc 24,49).
La relazione tra il Risorto, la comunità
dei credenti e la Sacra Scrittura è estremamente vitale per la nostra identità.
Senza il Signore che ci introduce è impossibile comprendere in profondità la
Sacra Scrittura, ma è altrettanto vero il contrario: senza la Sacra Scrittura
restano indecifrabili gli eventi della missione di Gesù e della sua Chiesa nel
mondo. Giustamente San Girolamo poteva scrivere: «L’ignoranza delle Scritture è
ignoranza di Cristo» (In Is., Prologo: PL 24,17).
2. A conclusione del Giubileo
straordinario della misericordia avevo chiesto che si pensasse a
«una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio, per comprendere
l’inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il
suo popolo» (Lett. ap. Misericordia et misera, 7). Dedicare
in modo particolare una domenica dell’Anno liturgico alla Parola di Dio
consente, anzitutto, di far rivivere alla Chiesa il gesto del Risorto che apre
anche per noi il tesoro della sua Parola perché possiamo essere nel mondo
annunciatori di questa inesauribile ricchezza. Tornano alla mente in proposito
gli insegnamenti di Sant’Efrem: «Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la
ricchezza di una sola delle tue parole? È molto di più ciò che sfugge di quanto
riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono a una
fonte. La tua parola offre molti aspetti diversi, come numerose sono le
prospettive di quanti la studiano. Il Signore ha colorato la sua parola di
bellezze svariate, perché coloro che la scrutano possano contemplare ciò che
preferiscono. Ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di
noi trovi una ricchezza in ciò che contempla» (Commenti sul Diatessaron,
1, 18).
Con questa Lettera, pertanto, intendo
rispondere a tante richieste che mi sono giunte da parte del popolo di Dio,
perché in tutta la Chiesa si possa celebrare in unità di intenti la Domenica
della Parola di Dio. È diventata ormai una prassi comune vivere dei momenti
in cui la comunità cristiana si concentra sul grande valore che la Parola di Dio
occupa nella sua esistenza quotidiana. Esiste nelle diverse Chiese locali una
ricchezza di iniziative che rende sempre più accessibile la Sacra Scrittura ai
credenti, così da farli sentire grati di un dono tanto grande, impegnati a
viverlo nel quotidiano e responsabili di testimoniarlo con coerenza.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha
dato un grande impulso alla riscoperta della Parola di Dio con la Costituzione
dogmatica Dei Verbum. Da quelle pagine, che sempre meritano
di essere meditate e vissute, emerge in maniera chiara la natura della Sacra
Scrittura, il suo essere tramandata di generazione in generazione (cap. II), la
sua ispirazione divina (cap. III) che abbraccia Antico e Nuovo Testamento
(capp. IV e V) e la sua importanza per la vita della Chiesa (cap. VI). Per
incrementare quell’insegnamento, Benedetto XVI convocò nel
2008 un’Assemblea del Sinodo dei Vescovi sul tema “La Parola di Dio nella vita
e nella missione della Chiesa”, in seguito alla quale pubblicò
l’Esortazione Apostolica Verbum Domini, che costituisce un
insegnamento imprescindibile per le nostre comunità.[1] In
questo Documento, in modo particolare, viene approfondito il carattere
performativo della Parola di Dio, soprattutto quando nell’azione liturgica
emerge il suo carattere propriamente sacramentale.
È bene, pertanto, che non venga mai a
mancare nella vita del nostro popolo questo rapporto decisivo con la Parola
viva che il Signore non si stanca mai di rivolgere alla sua Sposa, perché possa
crescere nell’amore e nella testimonianza di fede.
3. Stabilisco, pertanto, che la III
Domenica del Tempo Ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e
divulgazione della Parola di Dio. Questa Domenica della Parola di Dio verrà
così a collocarsi in un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando
siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei
cristiani. Non si tratta di una mera coincidenza temporale: celebrare la Domenica
della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la Sacra
Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per
giungere a un’unità autentica e solida.
Le comunità troveranno il modo per vivere
questa Domenica come un giorno solenne. Sarà importante,
comunque, che nella celebrazione eucaristica si possa intronizzare il testo
sacro, così da rendere evidente all’assemblea il valore normativo che la Parola
di Dio possiede. In questa domenica, in modo particolare, sarà utile
evidenziare la sua proclamazione e adattare l’omelia per mettere in risalto il
servizio che si rende alla Parola del Signore. I Vescovi potranno in questa
Domenica celebrare il rito del Lettorato o affidare un ministero simile, per
richiamare l’importanza della proclamazione della Parola di Dio nella liturgia.
È fondamentale, infatti, che non venga meno ogni sforzo perché si preparino
alcuni fedeli ad essere veri annunciatori della Parola con una preparazione
adeguata, così come avviene in maniera ormai usuale per gli accoliti o i
ministri straordinari della Comunione. Alla stessa stregua, i parroci potranno
trovare le forme per la consegna della Bibbia, o di un suo libro, a tutta
l’assemblea in modo da far emergere l’importanza di continuare nella vita
quotidiana la lettura, l’approfondimento e la preghiera con la Sacra Scrittura,
con un particolare riferimento alla lectio divina.
4. Il ritorno del popolo d’Israele in
patria, dopo l’esilio babilonese, fu segnato in modo significativo dalla lettura
del libro della Legge. La Bibbia ci offre una commovente descrizione di quel
momento nel libro di Neemia. Il popolo è radunato a Gerusalemme nella piazza
della Porta delle Acque in ascolto della Legge. Quel popolo era stato disperso
con la deportazione, ma ora si ritrova radunato intorno alla Sacra Scrittura
come fosse «un solo uomo» (Ne 8,1). Alla lettura del libro
sacro, il popolo «tendeva l’orecchio» (Ne 8,3), sapendo di
ritrovare in quella parola il senso degli eventi vissuti. La reazione alla
proclamazione di quelle parole fu la commozione e il pianto: «[I leviti]
leggevano il libro della Legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e
così facevano comprendere la lettura. Neemia, che era il governatore, Esdra,
sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il
popolo: “Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e
non piangete!”. Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole
della Legge. […] “Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra
forza”» (Ne 8,8-10).
Queste parole contengono un grande
insegnamento. La Bibbia non può essere solo patrimonio di alcuni e tanto
meno una raccolta di libri per pochi privilegiati. Essa appartiene, anzitutto,
al popolo convocato per ascoltarla e riconoscersi in quella Parola. Spesso, si
verificano tendenze che cercano di monopolizzare il testo sacro relegandolo ad
alcuni circoli o a gruppi prescelti. Non può essere così. La Bibbia è il libro
del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla
divisione all’unità. La Parola di Dio unisce i credenti e li rende un solo
popolo.
5. In questa unità, generata dall’ascolto,
i Pastori in primo luogo hanno la grande responsabilità di spiegare e
permettere a tutti di comprendere la Sacra Scrittura. Poiché essa è il libro
del popolo, quanti hanno la vocazione di essere ministri della Parola devono
sentire forte l’esigenza di renderla accessibile alla propria comunità.
L’omelia, in particolare, riveste una
funzione del tutto peculiare, perché possiede «un carattere quasi sacramentale»
(Esort. ap. Evangelii gaudium, 142). Far entrare in
profondità nella Parola di Dio, con un linguaggio semplice e adatto a chi
ascolta, permette al sacerdote di far scoprire anche la «bellezza delle
immagini che il Signore utilizzava per stimolare la pratica del bene» (ibid.). Questa è un’opportunità pastorale da
non perdere!
Per molti dei nostri fedeli, infatti,
questa è l’unica occasione che possiedono per cogliere la bellezza della Parola
di Dio e vederla riferita alla loro vita quotidiana. È necessario, quindi, che
si dedichi il tempo opportuno per la preparazione dell’omelia. Non si può
improvvisare il commento alle letture sacre. A noi predicatori è richiesto,
piuttosto, l’impegno a non dilungarci oltre misura con omelie saccenti o argomenti
estranei. Quando ci si ferma a meditare e pregare sul testo sacro, allora si è
capaci di parlare con il cuore per raggiungere il cuore delle persone che
ascoltano, così da esprimere l’essenziale che viene colto e che produce frutto.
Non stanchiamoci mai di dedicare tempo e preghiera alla Sacra Scrittura, perché
venga accolta «non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di
Dio» (1Ts 2,13).
È bene che anche i catechisti, per il
ministero che rivestono di aiutare a crescere nella fede, sentano l’urgenza di
rinnovarsi attraverso la familiarità e lo studio delle Sacre Scritture, che
consentano loro di favorire un vero dialogo tra quanti li ascoltano e la Parola
di Dio.
6. Prima di raggiungere i discepoli,
chiusi in casa, e aprirli all’intelligenza della Sacra Scrittura (cfr Lc 24,44-45),
il Risorto appare a due di loro lungo la via che porta da Gerusalemme a Emmaus
(cfr Lc 24,13-35). Il racconto dell’evangelista Luca nota che
è il giorno stesso della Risurrezione, cioè la domenica. Quei due discepoli
discutono sugli ultimi avvenimenti della passione e morte di Gesù. Il loro
cammino è segnato dalla tristezza e dalla delusione per la tragica fine di
Gesù. Avevano sperato in Lui come Messia liberatore, e si trovano di fronte
allo scandalo del Crocifisso. Con discrezione, il Risorto stesso si avvicina e
cammina con i discepoli, ma quelli non lo riconoscono (cfr v. 16). Lungo la
strada, il Signore li interroga, rendendosi conto che non hanno compreso il
senso della sua passione e morte; li chiama «stolti e lenti di cuore» (v. 25) e
«cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture
ciò che si riferiva a lui» (v. 27). Cristo è il primo esegeta! Non solo le
Scritture antiche hanno anticipato quanto Egli avrebbe realizzato, ma Lui
stesso ha voluto essere fedele a quella Parola per rendere evidente l’unica
storia della salvezza che trova in Cristo il suo compimento.
7. La Bibbia, pertanto, in quanto Sacra
Scrittura, parla di Cristo e lo annuncia come colui che deve attraversare le
sofferenze per entrare nella gloria (cfr v. 26). Non una sola parte, ma tutte
le Scritture parlano di Lui. La sua morte e risurrezione sono indecifrabili
senza di esse. Per questo una delle confessioni di fede più antiche sottolinea
che Cristo «morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e
che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa» (1Cor 15,3-5).
Poiché le Scritture parlano di Cristo, permettono di credere che la sua morte e
risurrezione non appartengono alla mitologia, ma alla storia e si trovano al
centro della fede dei suoi discepoli.
È profondo il vincolo tra la Sacra
Scrittura e la fede dei credenti. Poiché la fede proviene dall’ascolto e
l’ascolto è incentrato sulla parola di Cristo (cfr Rm 10,17),
l’invito che ne scaturisce è l’urgenza e l’importanza che i credenti devono
riservare all’ascolto della Parola del Signore sia nell’azione liturgica, sia
nella preghiera e riflessione personali.
8. Il “viaggio” del Risorto con i
discepoli di Emmaus si chiude con la cena. Il misterioso Viandante accetta
l’insistente richiesta che gli rivolgono i due: «Resta con noi, perché si fa
sera e il giorno è ormai al tramonto» (Lc 24,29). Si siedono a
tavola, Gesù prende il pane, recita la benedizione, lo spezza e lo offre a
loro. In quel momento i loro occhi si aprono e lo riconoscono (cfr v. 31).
Comprendiamo da questa scena quanto sia
inscindibile il rapporto tra la Sacra Scrittura e l’Eucaristia. Il Concilio
Vaticano II insegna: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture
come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto
nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola
di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei Verbum,
21).
La frequentazione costante della Sacra Scrittura
e la celebrazione dell’Eucaristia rendono possibile il riconoscimento fra
persone che si appartengono. Come cristiani siamo un solo popolo che cammina
nella storia, forte della presenza del Signore in mezzo a noi che ci parla e ci
nutre. Il giorno dedicato alla Bibbia vuole essere non “una volta all’anno”, ma
una volta per tutto l’anno, perché abbiamo urgente necessità di diventare
familiari e intimi della Sacra Scrittura e del Risorto, che non cessa di
spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti. Per questo abbiamo
bisogno di entrare in confidenza costante con la Sacra Scrittura, altrimenti il
cuore resta freddo e gli occhi rimangono chiusi, colpiti come siamo da
innumerevoli forme di cecità.
Sacra Scrittura e Sacramenti tra loro sono
inseparabili. Quando i Sacramenti sono introdotti e illuminati dalla Parola, si
manifestano più chiaramente come la meta di un cammino dove Cristo stesso apre
la mente e il cuore a riconoscere la sua azione salvifica. È necessario, in
questo contesto, non dimenticare l’insegnamento che viene dal libro
dell’Apocalisse. Qui viene insegnato che il Signore sta alla porta e bussa. Se
qualcuno ascolta la sua voce e gli apre, Egli entra per cenare insieme (cfr
3,20). Cristo Gesù bussa alla nostra porta attraverso la Sacra Scrittura; se
ascoltiamo e apriamo la porta della mente e del cuore, allora entra nella
nostra vita e rimane con noi.
9. Nella Seconda Lettera a Timoteo,
che costituisce in qualche modo il suo testamento spirituale, San Paolo
raccomanda al suo fedele collaboratore di frequentare costantemente la Sacra
Scrittura. L’Apostolo è convinto che «tutta la Sacra Scrittura, ispirata da
Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare» (3,16).
Questa raccomandazione di Paolo a Timoteo costituisce una base su cui la
Costituzione conciliare Dei Verbum affronta il grande
tema dell’ispirazione della Sacra Scrittura, una base da cui emergono in
particolare la finalità salvifica, la dimensione spirituale e
il principio dell’incarnazione per la Sacra Scrittura.
Richiamando anzitutto la raccomandazione
di Paolo a Timoteo, la Dei Verbum sottolinea che
«i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore
la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre
Scritture» (n. 11). Poiché queste istruiscono in vista della salvezza
per la fede in Cristo (cfr 2Tm 3,15), le verità contenute in
esse servono per la nostra salvezza. La Bibbia non è una raccolta di libri di
storia, né di cronaca, ma è interamente rivolta alla salvezza integrale della
persona. L’innegabile radicamento storico dei libri contenuti nel testo sacro
non deve far dimenticare questa finalità primordiale: la nostra salvezza. Tutto
è indirizzato a questa finalità iscritta nella natura stessa della
Bibbia, che è composta come storia di salvezza in cui Dio parla e agisce
per andare incontro a tutti gli uomini e salvarli dal male e dalla morte.
Per raggiungere tale finalità salvifica,
la Sacra Scrittura sotto l’azione dello Spirito Santo trasforma in Parola di
Dio la parola degli uomini scritta in maniera umana (cfr Dei Verbum,
12). Il ruolo dello Spirito Santo nella Sacra Scrittura è fondamentale.
Senza la sua azione, il rischio di rimanere rinchiusi nel solo testo scritto
sarebbe sempre all’erta, rendendo facile l’interpretazione fondamentalista, da
cui bisogna rimanere lontani per non tradire il carattere ispirato, dinamico e
spirituale che il testo sacro possiede. Come ricorda l’Apostolo «La lettera
uccide, lo Spirito invece dà vita»(2Cor 3,6). Lo Spirito Santo,
dunque, trasforma la Sacra Scrittura in Parola vivente di Dio, vissuta e
trasmessa nella fede del suo popolo santo.
10. L’azione dello Spirito Santo non
riguarda soltanto la formazione della Sacra Scrittura, ma opera anche in coloro
che si pongono in ascolto della Parola di Dio. È importante l’affermazione dei
Padri conciliari secondo cui la Sacra Scrittura deve essere «letta e
interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta»
(Dei Verbum, 12). Con Gesù Cristo la rivelazione di Dio
raggiunge il suo compimento e la sua pienezza; eppure, lo Spirito Santo
continua la sua azione. Sarebbe riduttivo, infatti, limitare l’azione dello
Spirito Santo solo alla natura divinamente ispirata della Sacra Scrittura e ai
suoi diversi autori. È necessario, pertanto, avere fiducia nell’azione dello
Spirito Santo che continua a realizzare una sua peculiare forma di ispirazione
quando la Chiesa insegna la Sacra Scrittura, quando il Magistero la interpreta
autenticamente (cfr ibid., 10) e quando ogni credente
ne fa la propria norma spirituale. In questo senso possiamo comprendere le
parole di Gesù quando, ai discepoli che confermano di aver afferrato il
significato delle sue parabole, dice: «Ogni scriba, divenuto discepolo del
regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose
nuove e cose antiche» (Mt 13,52).
11. La Dei Verbum,
infine, precisa che «le parole di Dio espresse con lingue umane, si sono fatte
simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo
assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile all’uomo» (n. 13).
È come dire che l’Incarnazione del Verbo di Dio dà forma e senso alla relazione
tra la Parola di Dio e il linguaggio umano, con le sue condizioni storiche e
culturali. È in questo evento che prende forma la Tradizione, che è anch’essa
Parola di Dio (cfr ibid., 9). Spesso si corre il
rischio di separare tra loro la Sacra Scrittura e la Tradizione, senza
comprendere che insieme sono l’unica fonte della Rivelazione. Il carattere
scritto della prima nulla toglie al suo essere pienamente parola viva; così
come la Tradizione viva della Chiesa, che la trasmette incessantemente nel
corso dei secoli di generazione in generazione, possiede quel libro sacro come
la «regola suprema della fede» (ibid., 21). D’altronde,
prima di diventare un testo scritto, la Sacra Scrittura è stata trasmessa
oralmente e mantenuta viva dalla fede di un popolo che la riconosceva come sua
storia e principio di identità in mezzo a tanti altri popoli. La fede biblica,
pertanto, si fonda sulla Parola viva, non su un libro.
12. Quando la Sacra Scrittura è letta
nello stesso Spirito con cui è stata scritta, permane sempre nuova. L’Antico
Testamento non è mai vecchio una volta che è parte del Nuovo, perché tutto è
trasformato dall’unico Spirito che lo ispira. L’intero testo sacro possiede una
funzione profetica: essa non riguarda il futuro, ma l’oggi di chi si nutre di
questa Parola. Gesù stesso lo afferma chiaramente all’inizio del suo ministero:
«Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21).
Chi si nutre ogni giorno della Parola di Dio si fa, come Gesù, contemporaneo
delle persone che incontra; non è tentato di cadere in nostalgie sterili per il
passato, né in utopie disincarnate verso il futuro.
La Sacra Scrittura svolge la sua azione
profetica anzitutto nei confronti di chi l’ascolta. Essa provoca dolcezza e
amarezza. Tornano alla mente le parole del profeta Ezechiele quando, invitato
dal Signore a mangiare il rotolo del libro, confida: «Fu per la mia bocca dolce
come il miele» (3,3). Anche l’evangelista Giovanni sull’isola di Patmos rivive
la stessa esperienza di Ezechiele di mangiare il libro, ma aggiunge qualcosa di
più specifico: «In bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi
inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza» (Ap 10,10).
La dolcezza della Parola di Dio ci spinge
a parteciparla a quanti incontriamo nella nostra vita per esprimere la certezza
della speranza che essa contiene (cfr 1Pt 3,15-16).
L’amarezza, a sua volta, è spesso offerta dal verificare quanto difficile
diventi per noi doverla vivere con coerenza, o toccare con mano che essa viene
rifiutata perché non ritenuta valida per dare senso alla vita. È necessario,
pertanto, non assuefarsi mai alla Parola di Dio, ma nutrirsi di essa per
scoprire e vivere in profondità la nostra relazione con Dio e i fratelli.
13. Un’ulteriore provocazione che proviene
dalla Sacra Scrittura è quella che riguarda la carità. Costantemente la Parola
di Dio richiama all’amore misericordioso del Padre che chiede ai figli di
vivere nella carità. La vita di Gesù è l’espressione piena e perfetta di questo
amore divino che non trattiene nulla per sé, ma a tutti offre sé stesso senza
riserve. Nella parabola del povero Lazzaro troviamo un’indicazione preziosa.
Quando Lazzaro e il ricco muoiono, questi, vedendo il povero nel seno di
Abramo, chiede che venga inviato ai suoi fratelli perché li ammonisca a vivere
l’amore del prossimo, per evitare che anch’essi subiscano i suoi stessi
tormenti. La risposta di Abramo è pungente: «Hanno Mosè e i profeti ascoltino
loro» (Lc 16,29). Ascoltare le Sacre Scritture per praticare la
misericordia: questa è una grande sfida posta dinanzi alla nostra vita. La
Parola di Dio è in grado di aprire i nostri occhi per permetterci di uscire
dall’individualismo che conduce all’asfissia e alla sterilità mentre spalanca
la strada della condivisione e della solidarietà.
14. Uno degli episodi più significativi
del rapporto tra Gesù e i discepoli è il racconto della Trasfigurazione. Gesù
sale sul monte a pregare con Pietro, Giacomo e Giovanni. Gli evangelisti
ricordano che mentre il volto e le vesti di Gesù risplendevano, due uomini
conversavano con Lui: Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e
i Profeti, cioè le Sacre Scritture. La reazione di Pietro, a quella vista, è
piena di gioiosa meraviglia: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre
capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia» (Lc 9,33). In
quel momento una nube li copre con la sua ombra e i discepoli sono colti dalla
paura.
La Trasfigurazione richiama la festa delle
capanne, quando Esdra e Neemia leggevano il testo sacro al popolo, dopo il
ritorno dall’esilio. Nello stesso tempo, essa anticipa la gloria di Gesù in
preparazione allo scandalo della passione, gloria divina che viene evocata
anche dalla nube che avvolge i discepoli, simbolo della presenza del Signore.
Questa Trasfigurazione è simile a quella della Sacra Scrittura, che trascende
sé stessa quando nutre la vita dei credenti. Come ricorda la Verbum
Domini: «Nel recupero dell’articolazione tra i diversi sensi
scritturistici diventa allora decisivo cogliere il passaggio tra
lettera e spirito. Non si tratta di un passaggio automatico e spontaneo;
occorre piuttosto un trascendimento della lettera» (n. 38).
15. Nel cammino di accoglienza della
Parola di Dio, ci accompagna la Madre del Signore, riconosciuta come beata
perché ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le aveva detto
(cfr Lc 1,45). La beatitudine di Maria precede tutte le
beatitudini pronunciate da Gesù per i poveri, gli afflitti, i miti, i
pacificatori e coloro che sono perseguitati, perché è la condizione necessaria
per qualsiasi altra beatitudine. Nessun povero è beato perché povero; lo
diventa se, come Maria, crede nell’adempimento della Parola di Dio. Lo ricorda
un grande discepolo e maestro della Sacra Scrittura, Sant’Agostino: «Qualcuno
in mezzo alla folla, particolarmente preso dall’entusiasmo, esclamò: “Beato il
seno che ti ha portato”. E lui: “Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola
di Dio, e la custodiscono”. Come dire: anche mia madre, che tu chiami beata, è
beata appunto perché custodisce la parola di Dio, non perché in lei il Verbo si
è fatto carne e abitò fra noi, ma perché custodisce il Verbo stesso di Dio per
mezzo del quale è stata fatta, e che in lei si è fatto carne» (Sul Vang. di
Giov., 10, 3).
La domenica dedicata alla Parola possa far
crescere nel popolo di Dio la religiosa e assidua familiarità con le Sacre
Scritture, così come l’autore sacro insegnava già nei tempi antichi: «Questa
parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la
metta in pratica» (Dt 30,14).
Dato a Roma, presso San Giovanni in
Laterano, 30 Settembre 2019
Memoria liturgica di San Girolamo
nell’inizio del 1600° anniversario della morte
FRANCESCO
[1] Cfr AAS 102
(2010), 692-787.
[2] «La sacramentalità
della Parola si lascia così comprendere in analogia alla presenza reale di Cristo
sotto le specie del pane e del vino consacrati. Accostandoci all’altare e
prendendo parte al banchetto eucaristico noi comunichiamo realmente al corpo e
al sangue di Cristo. La proclamazione della Parola di Dio nella celebrazione
comporta il riconoscere che sia Cristo stesso ad essere presente e a rivolgersi
a noi per essere accolto» (Verbum Domini, 56).