Storia sacra e storia
profana
Quando io fui bimbo e ragazzo si stava molto di più in parrocchia. Da
piccoli ci si andava a giocare, e anche da più grandi, ma allora si faceva e si
imparava anche dell’altro. Una chiesa come quella degli Angeli Custodi, a
piazza Sempione, dove fui lupetto e scout, la consideravo come casa mia. Si
aveva una grande consuetudine con i preti. Ai tempi nostri è molto diverso. Si
frequenta il catechismo come si va nella scuola primaria e ci si va come a
lezione. Gli orientamenti catechistici della Diocesi vorrebbero che si facesse
diversamente, come del resto si è progettato fin dagli anni ’70, con il
rinnovamento della catechesi, ma essenzialmente manca il tempo.
Per segnare la distanza dalla mia esperienza,
dico che all’età delle elementari andavo in parrocchia da solo, una cosa che
oggi è inimmaginabile.
Manca il tempo e questo influisce sul contenuto degli incontri di
formazione. Il problema si fa più serio per la formazione che si fa per i
ragazzini delle media, in preparazione della Cresima. Per i più, quella per la
Prima Comunione sarà l’unica della loro vita di fedeli. I gruppi per il
catechismo per la Cresima sono meno numerosi e soprattutto sono dedicati a
persone che, benché molto giovani, già possono esprimere una decisione sulle attività extrascolastiche
e che, quindi, se accettano di frequentare sono più motivate.
Ci sono vari modi di presentare i contenuti della fede, non tutti con la
stessa efficacia. Conta molto l’ambiente in cui si cerca di trasmetterli. Chi ascolta è l’uditore
e, si consiglia, bisogna adattare la comunicazione agli uditori. Ma nella formazione religiosa
non si è solo uditori, ma anche, per così dire, spettatori, perché si ha davanti il modo con cui una certa comunità
vive e manifesta la sua fede, come anche attori,
perché si inizia a vivere e a
manifestare una propria fede, e poi infine cercatori,
perché non ci si limita a recepire,
ma si cerca se c’è dell’altro oltre a quello che viene comunicato. La prima
domanda che viene spontanea è quella per capire se, entrando in religione, si
entra in un mondo separato, in una qualche dipendenza di un al di là, o si rimane nello stesso mondo
che c’è fuori del sagrato. E se la via giusta è separarsi da quest’ultimo per
rifugiarsi nell’altro, in attesa che venga
il Regno promesso, un altro mondo, o se occorra impegnarsi per
cambiare il mondo che c’è e in cui si vive, studia, lavora ecc.
Nei racconti del Nuovo Testamento la parola mondo è in genere usata come equivalente ad ambiente sociale o ordine sociale e ha un connotato negativo, perché l’insegnamento
evangelico ebbe ed ha una portata piuttosto critica contro le società
esistenti, insomma non si era e non si è mai tanto soddisfatti di quello che c’è.
Questo non significa che tutto sia rimandato ad un altro mondo e che se ne
debba solo attendere inerti la venuta dal Cielo. Il vangelo chiede cambiamenti
già nella società in cui si vive e, quanto all’esercizio del potere, pone
questo principio politico pratico rivoluzionario:
[Vangelo
secondo Luca, 22,25-27]
[25]
Egli disse: "I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere
su di esse si fanno chiamare benefattori.
[26] Per voi però non sia così; ma chi è il più
grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve.
[27] Infatti chi è più grande, chi sta a tavola
o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi
come colui che serve.
Dunque, il
governo della società, già oggi, come servizio:
«il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come
colui che serve». Da subito, non in un al di là. Per mettere in pratica
questo comando servono una specifica formazione e un tirocinio. Si tratta di un
comando religioso e dunque rientra anche nella formazione religiosa. Ma come
farlo senza conoscere a sufficienza la società intorno? A questo serve la
storia, che dà consapevolezza dell’ambiente sociale intorno e di come certi
problemi sono sorti. Si parte sempre da
questo, come anche nel detto evangelico che ho trascritto, che inizia con il constatare che «I re delle nazioni le
governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare
benefattori.» Ci si può chiedere: “Ma quei re governavano bene
o male? Erano effettivamente benefattori del loro popolo”? Il tenore del detto
evangelico suggerisce che in realtà non lo erano, perché, evidentemente, non erano in società come colui che serve.
C’è una
storia sacra, che è il complesso di
narrazioni che troviamo nella Bibbia, e c’è la nostra storia, quella contemporanea in cui siamo nati, in cui
quindi ci siamo trovati inseriti e che ci determina, ci coinvolge e che ci dice
chi siamo in società. La prima ha intenti specificamente religiosi e quasi mai
ha anche gli scopi che oggi attribuiamo alle narrazioni storiche che riguardano i
tempi nostri e il passato più recente. Gli antichi si sentivano piuttosto
liberi nelle loro narrazioni storiche di rimaneggiare la memoria degli eventi secondo i significati che ad essi attribuivano. Nelle narrazioni religiose cercavano appunto principalmente di rendere il senso degli eventi, più che descriverli con i criteri
di affidabilità che oggi riteniamo indispensabili.
Le
narrazioni sui cosiddetti progenitori hanno, ad esempio, carattere mitico. Il mito
è, appunto, una narrazione immaginifica che cerca di rendere il senso della storia umana.
Inutile cercare conferme delle narrazioni bibliche delle origini nelle scoperte
scientifiche dei tempi nostri, le quali, del resto, sono sempre in veloce
divenire. In passato si cercò di accettare le scoperte scientifiche della
modernità solo nei limiti in cui non confliggevano con la storia sacra e ci
furono molti problemi, diciamo così. Oggi non siamo più obbligati a farlo. E
non dovremmo farlo anche impartendo la formazione religiosa.
Altri
problemi si creano quando si accetta la storia umana solo se non contrasta con
le idee che scaturiscono da quella sacra o con una certa ideologia religiosa e, in caso contrario, si tende ad alterarne la memoria. Allora
la religione diviene un criterio di giudizio dell’affidabilità delle
ricostruzioni storiche e questo non va bene, perché poi si hanno inevitabilmente
narrazioni non affidabili o viziate dal giustificazionismo,
che è quando si ammette il male prodotto dalle società religiose ma lo si
giustifica asserendo che poi, in fondo, da quel male è venuto un bene e che
quindi, nell’ottica indotta dalla storia sacra, di una storia che nel bene e
nel male è condotta dall’alto, non era neanche veramente male. E’ questo spesso
il modo con cui si racconta la conquista stragista delle Americhe o quella
schiavista dell’Africa. Il metodo della purificazione della memoria propostoci dal papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2° in preparazione del Grande Giubileo dell'Anno 2000 va in direzione opposta.
Eppure
nella storia sacra agganci con quella che viene definita profana per distinguerla dalla prima, vale a dire la storia comune,
quella in cui non vengono inseriti elementi teologici, quindi un senso teologico, ci sono,
indubbiamente. Gli scritti che comprendiamo nell’Antico Testamento nella nostra Bibbia, per distinguerli da quelli più recenti originati dalle nostre prime comunità di
fede, e in questo senso nuovi sebbene sempre prodotti nell'antichità, sono anche trattati politici che traggono conclusioni a partire da una
storia della quale vi sono riscontri, e che si dipanò tra la Mesopotamia e l’Egitto,
con nascita e caduta di regni, guerre di invasione e di resistenza,
deportazioni, governo di città, guerre civili ecc. Aggangi storici vi sono
anche nel Nuovo Testamento, che descrive ambienti sociali di cui abbiamo
riscontri storici e di altro genere affidabili. Dalla storia sacra traiamo un
metodo per interpretare religiosamente la storia profana, la nostra storia. Ma
se di quest’ultima non riusciamo ad avere una narrazione affidabile, non
possiamo pensare di incidere sulla società del nostro tempo come anche in
religione ci è richiesto.
Nella
formazione di ragazzini delle medie a Roma, e ricordo bene quando io lo fui e
quello che ero capace di intendere, inizierei con il ricordare che Roma non è
stata sempre cristianizzata e che, tuttavia, anche prima si era religiosi, ma
in altro modo. La nostra fede ci è giunta dall’Oriente ed è stata una faticosa
conquista culturale, piuttosto misteriosa nei primi tre secoli. Non ci siamo
però limitati a recepire, abbiamo anche contribuito a costruire i concetti con
i quali la si esprime e si esprimono i suoi imperativi etici. Non solo qui a
Roma, naturalmente, perché il mondo antico in cui la nostra fede iniziò ad
emergere era molto più vasto e comprendeva i popoli che erano finiti sotto il
dominio degli imperatori romani, e anche altri: la nostra fede iniziò però ad
imporsi quando il centro culturale dell’impero si era spostato in Grecia, a
Bisanzio/Costantinopoli. Lo sviluppo della fede ci appare così come un grande
lavoro collettivo interculturale. Questo non sempre emerge tenendo presente
solo la storia sacra, che in definitiva si arresta all’epoca apostolica, nel Primo
secolo e in un ambiente sociale tanto più limitato di quello che oggi
caratterizza la nostra esperienza religiosa. Né spesso viene fatto risaltare come sarebbe
opportuno il carattere di novità degli insegnamenti evangelici rispetto all’antico
ebraismo in cui si svilupparono le prime esperienze cristiane. Del resto nella
storia sacra si cerca di appunto di mettere in evidenza una certa continuità per così dire
teologica che viene fatta convergere verso la vita e gli insegnamenti del
Maestro. A me però hanno impressionato sempre molto più le discontinuità: prenderne
consapevolezza serve anche ad attenuare certe pretese verso l’ebraismo nostro
contemporaneo, ad accettare la nostra diversità rispetto ad esso e anche la sua
diversità rispetto a noi, e quindi a dismettere gli antichi costumi del passato
che tendevano ad assimilarlo e anche a rigettarlo e vessarlo in quanto non si lasciava
assimilare. A volte assisto a proposte ebraicizzanti nella nostra prassi religiosa, che mettono in
scena disinvoltamente una sorta di nostra riedizione di un ebraismo
cristianizzato o di un cristianesimo appunto ebraicizzante, come nella nostra
parrocchia si faceva esponendo in chiesa una specie di menorah, costume mi pare
irrispettoso dell’autentico ebraismo e non utile a trasmettere la novità della
nostra fede.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli