Spiegare il Cielo
Nelle religioni primitive e in quelle della nostra antichità, gli dei
rappresentavano forze della natura o forze sociali. Di quelle credenze tra gli europei
di oggi persiste il culto della Fortuna, con rituali, amuleti, scongiuri ecc.
Il processo culturale di costruzione di quelle religiosità è quello della mitizzazione. Il mito è una narrazione
personificata con scarsa aderenza alla realtà che cerca di spiegare il senso di
eventi nei quali sono coinvolti gli umani e che li sovrastano. Tutti gli dei
dell’antichità greco-romana erano di carattere mitico. La nostra fede ha un
carattere radicalmente diverso. Spiegarlo ai più giovani non è semplice, perché
i più anziani sono piuttosto immersi in una religiosità infarcita di elementi
mitici. I più giovani, invece, nell’Europa di oggi, si sono formati in un
diverso contesto culturale, profondamente demitizzante, in cui si accetta di
non sapere ciò che non si arriva a conoscere, e non si cercano scorciatoie, ma
si confida di riuscire presto a capire di più. In questo le scienze moderne
deludono, perché avvertono che la nostra ansia di sapere probabilmente non
verrà saziata tanto presto e, comunque, mai interamente. Ma lo sarà tanto
quanto basta per ottenere un buon controllo degli eventi quotidiani ricorrenti,
dei quali è fatta la nostra normale esperienza. Di fronte all’inatteso però,
sia nel bene che nel male, gli individui o fanno ricorso alla primitiva
religiosità mitica, parlando di buona e di cattiva sorte, appunto il culto della dea
Fortuna, o accettano ciò che accade senza chiedersi di più, per il momento,
un po’ come si dice che accada, ad un certo punto, a certi condannati alla pena
capitale. A volte accade che, di fronte alla mala sorte, la religiosità secondo la nostra fede ricada in quella
primitiva. Si è nell’ottica di quest’ultima quando si pensa di essere nelle
mani di una Potenza capricciosa, che può salvare e perdere, e non si sa bene in
base a quali criteri prenda le sue decisioni, visto che perde anche i buoni e
salva i malvagi e via dicendo, per cui, alla fine, come con gli antichi dei, si
cerca di accattivarsene il favore con certi rituali e promesse di
incondizionata sottomissione. La nostra teologia certamente non supporta queste
prassi, che però vengono tollerate nelle nostre comunità, perché si tiene conto
della psicologia di chi vi è coinvolto in difficili frangenti e le si scusa. Insomma,
al dunque, la situazione non è chiara per chi frequenta attività di formazione
e la religiosità in concreto è vista come piena di elementi primitivi mescolati
con altri principi e non si arriva a capire dove ne sia il vero cuore. In
effetti, dagli anni ’70, ai quali risale un movimento per il rinnovamento della
catechesi, si è cercato di cambiare il modo del passato di presentare le cose
nelle attività di formazione.
Bisogna credere, è addirittura un dogma, che una persona ragionevole possa convincersi che esista un Creatore. Certo che,
a parte gli elementi mitici delle antiche tradizioni, ne sappiamo ben poco e
nulla che possa confermare questa idea.
Iniziamo a formare i nostri giovani quando ancora vanno a scuola e a
scuola si cerca di insegnare ciò che le scienze contemporanee sono arrivate a
conoscere su quell’argomento. Oggi non si pretende più che insegnino ciò che
sia conforme alle visioni mitiche della Bibbia sulle origini. Ma, ai tempi nostri, i fedeli non più sono
obbligati in religione a pretenderlo da se stessi o da altri. Questo perché si
è accettato il carattere mitico delle narrazioni bibliche sulla Creazione e
allora, in questo modo, esse non possono più contrastare con le scienze e
provocare problemi in quel campo. Ma, in definitiva, questo non rischia di far
scivolare pian piano, o anche velocemente, l’idea stessa di un Creatore nel campo del mito? Il pericolo
c’è, anche perché parliamo di colui che non abbiamo mai visto.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
[Giovanni 1,18 – CEI 2008]
Non resta, si è sostenuto, che attingere alle fonti della rivelazione,
cercando di capire meglio:
«la catechesi è radicata nella parola di Dio, nella Tradizione e il
Magistero della Chiesa; è incentrata sul mistero di Cristo, che apre al mistero
di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, al mistero della Chiesa e dell’uomo
redento»
[dal Documento di base “Il
rinnovamento della catechesi” – 1970]
perché, in definitiva, occorre trovare modi che
«conducano coloro che sono ancora alle soglie della fede o abbisognano
di una rinnovata riscoperta del loro Battesimo, all’adesione globale a Gesù Cristo e al conseguente impegno di vita
cristiana.»
[dal Documento di base “Il
rinnovamento della catechesi”– 1970]
Ma perché, ci si
può chiedere, forse non si era sempre
fatto così? Ecco, appunto, non si era sempre fatto così, anzi, da tempi molto
risalenti non si era più fatto così. E’ per questo che nel 1970 si parlò di rinnovamento della catechesi. Da quando non si era più fatto in quel modo ?
Eh, da un bel po’, diciamo senz’altro da quando si sviluppò una teologia
universitaria, dagli inizi Secondo millennio. Ecco, ad esempio, il catechismo
di Francesco d’Assisi partiva invece da quei presupposti.
Da chi dovremmo
farci spiegare il soprannaturale, noi cristiani,
se non da Gesù, il Cristo? Se non partiamo da lui, rischiamo che poi il nostro
Creatore sia ridotto all’immagine che gli antichi avevano dei loro dei, i quali,
ad esempio, non erano immaginati come onnipotenti, e poi erano piuttosto
volubili e incostanti nelle loro amicizie umane. Pensando di far bene a
riportarlo nel Cielo e così nella gloria, purtroppo rischiamo di ridurlo a ben
poco, a troppo poco, veramente troppo poco per cogliere l’affetto e la
dedizione dei nuovi venuti, che cercano orientamenti validi per inserirsi in
società.
Nell’Ufficio delle letture, al giorno 28
giugno dedicato alla memoria di Ireneo di Lione, padre della Chiesa vissuto nel
Secondo secolo, viene proposto questo brano tratto da un’opera del santo, il Trattato contro le eresie:
L'uomo vivente
è gloria di Dio; vita dell'uomo è la visione di Dio
La gloria di Dio dà la vita; perciò coloro
che vedono Dio ricevono la vita. E per questo colui che è inintelligibile,
incomprensibile e invisibile, si rende visibile, comprensibile e intelligibile
dagli uomini, per dare la vita a coloro che lo comprendono e vedono. E'
impossibile vivere se non si è ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con
la partecipazione all'essere divino. Orbene tale partecipazione consiste nel
vedere Dio e godere della sua bontà.
Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere, e verranno resi immortali e divini
in forza della visione di Dio. Questo, come ho detto prima, era stato rivelato
dai profeti in figura, che cioè Dio sarebbe stato visto dagli uomini che
portano il suo Spirito e attendono sempre la sua venuta. Così Mosè afferma nel
Deuteronomio: Oggi abbiamo visto che Dio può parlare con l'uomo e l'uomo aver
la vita (cfr. libro del Deuteronomio 5, 24).
Colui che opera tutto in tutti nella sua
grandezza e potenza, è invisibile e indescrivibile a tutti gli esseri da lui
creati, non resta però sconosciuto; tutti infatti, per mezzo del suo Verbo,
imparano che il Padre è unico Dio, che contiene tutte le cose e dà a tutte
l'esistenza, come sta scritto nel vangelo: «Dio nessuno lo ha mai visto;
proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato»
(Vangelo secondo Giovanni 1, 18).
Fin dal principio dunque il Figlio è il
rivelatore del Padre, perché fin dal principio è con il Padre e ha mostrato al
genere umano nel tempo più opportuno le visioni profetiche, la diversità dei
carismi, i ministeri e la glorificazione del Padre secondo un disegno tutto
ordine e armonia. E dove c'è ordine c'è anche armonia, e dove c'è armonia c'è
anche tempo giusto, e dove c'è tempo giusto c'è anche beneficio.
Per questo il Verbo si è fatto dispensatore
della grazia del Padre per l'utilità degli uomini, in favore dei quali ha
ordinato tutta l'«economia» della salvezza, mostrando Dio agli uomini e
presentando l'uomo a Dio. Ha salvaguardato però l'invisibilità del Padre,
perché l'uomo non disprezzi Dio e abbia sempre qualcosa a cui tendere. Al tempo
stesso ha reso visibile Dio agli uomini con molti interventi provvidenziali,
perché l'uomo non venisse privato completamente di Dio, e cadesse così nel suo
nulla, perché l'uomo vivente è gloria di Dio e vita dell'uomo è la visione di
Dio. Se infatti la rivelazione di Dio attraverso il creato dà la vita a tutti
gli esseri che si trovano sulla terra, molto più la rivelazione del Padre che
avviene tramite il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio.
Da cui si capisce che effettivamente, nella
nostra fede, spesso il rinnovamento parte dal riscoprire cose antiche.
Mario Ardigò –
Azione Cattolica in San Clemente papa -
Roma, Monte Sacro, Valli