Note per un tirocinio
di democrazia 9
La democrazia, come ai tempi nostri la si intende, è un sistema di
valori che rende possibili mutamenti incruenti degli ordinamenti delle società
umane, in particolare il cambiamento delle loro regole istituzionali e di
convivenza, in modo da assecondare gli sviluppi culturali che si producono
inevitabilmente nelle popolazioni e le esigenze collettive. Va precisato che, quando in discorsi del
genere si parla di cultura, non ci si
riferisce a quella erudita, intesa come complesso di conoscenze letterarie e
scientifiche ma:
Secondo la
definizione di Edward Burnett Taylor in "Primitive
Culture" (=la cultura dei primitivi), Murray, Londra, 1871):
"Cultura o civiltà è un insieme
complesso che include la conoscenza, le credenze,
l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo come
membro della società".
Se ne trova un'altra definizione al n.53 della
costituzione Gaudium et spes, del Concilio Vaticano 2°:
Con il termine generico di « cultura » si vogliono indicare
tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina e sviluppa le molteplici capacità
della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo
stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia
nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del
costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e
conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali,
affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano.
Di conseguenza la cultura
presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce « cultura »
assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si
parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la
religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti
giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno
origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori. Cosi dalle
usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano.
Così pure si costituisce l'ambiente storicamente definito in cui ogni uomo, di
qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli
consentono di promuovere la civiltà.
Quindi: cultura come modo di far uso delle cose, di lavorare, di
esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi
e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di
coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di
valori.
L’antropologia e la storia ci insegnano
che le società umane sono costantemente cambiate, e piuttosto velocemente, dal
punto di vista delle loro culture. Molto più lenti sono stati i cambiamenti fisiologici degli esseri umani. E tutto sommato, da questo punto di vista, non differiamo molto dagli altri mammiferi, ancor meno dai primati, e pochissimo dagli esseri umani di 200.000 anni fa. Gli aspetti culturali più
duraturi sono stati certamente quelli legati alla nostra fisiologia. Sotto questo aspetto, le differenze che ci separano dalle origini delle nostre collettività di
fede, ad esempio in materia di alimentazione e di riproduzione sono minime; sono rilevantissime quelle che invece riguardano altri
aspetti culturali, anche molto importanti.
I cambiamenti delle società
umane sono innanzi tutto legati alla nostra fisiologia, per la quale il tempo
della nostra vita è limitato e le generazioni si susseguono. Tutte le culture
umane si sono confrontate con questo aspetto della nostra vita e ne hanno
elaborato spiegazioni, che in vario modo sono entrate a far parte del
patrimonio culturale delle società di riferimento. L’idea del cambiamento come
caratteristica delle nostre società è tra le più durature, in quanto appunto legata
alla nostra fisiologia. Anche nell’immaginare le potenze soprannaturali che si
ritiene determinino in vario modo la nostra vita si è trasposta questa idea del
cambiamento, per cui, in sostanza, anche gli dei sono stati raffigurati,
pensati, con una loro storia. Essi, in particolare, nelle narrazioni che li
riguardano, agiscono, producono degli effetti, dei cambiamenti, interagiscono tra loro e con gli umani. L’idea
di una divinità immota, una e assolutamente stabile nella sua perfezione, che
ad un certo punto si affacciò nell’antica filosofia greca, è di difficile gestione
pratica, e, in definitiva, ci riesce difficile anche solo pensarla, perché è
completamente estranea alla nostra esperienza. Ciò che rientra nella sapienza
pratica comune a tutti è stato per ora confermato anche nell’ambito delle
scienze naturali, che si sono sempre trovate, finora, ad osservare oggetti che
mutano.
L’agire collettivo, per
collaborare per superare i nostri limiti individuali fisiologici, che è uno degli aspetti
fondamentali, naturali, delle nostre vite, perché siamo viventi sociali, che quindi organizzano e governano società, richiede però una certa stabilità delle organizzazioni
sociali: a ciò servono le regole
sociali. Esse scaturiscono dalle società come loro prodotto culturale e solo in parte sono progettate e imposte da
un’autorità superiore; sono moltissime quelle che derivano da consuetudini o
accordi. Sono di quest’ultimo tipo quelle, piuttosto rigide, che osserviamo
spontaneamente nel vestire e quelle altre, anch’esse piuttosto rigide, della
lingua. Non c’è nessuna legge dello stato che prescriva come parlare e scrivere
in una certa lingua. Eppure il linguaggio ha regole, di tipo consuetudinario,
che derivano dalla sua pratica, che vengono anche riassunte nelle grammatiche e allora assumono sembianza di leggi. “Come si scrive?”, “Come si dice?”, “Non si
scrive così!”: sono espressioni che ci sono familiari. Proprio l’osservazione
degli sviluppi storici del linguaggio, ci consente di capire l’evoluzione culturale,
i cambiamenti culturali / Observationis iustus ex historico processu ad lingua,
efficit ut probe intellegatur ex theoria evolutionis culturalis, culturae
mutationes. Con l’aiuto del traduttore Google
ho scritto la stessa frase in italiano moderno e in latino standard. A Roma
parliamo italiano moderno e ai tempi di
quando gli apostoli Pietro e Paolo vi arrivarono si parlava il latino di quell’epoca:
il primo è l’evoluzione del secondo. L’italiano può essere definito latino
moderno e il latino italiano antico. La relazione tra le due lingue consente a chi sa l'italiano di intendere qualcosa della frase latina che ha lo stesso senso di quella in italiano, anche se non sa di latino. L’uso ha cambiato le regole del
linguaggio nel tempo, trasformando il latino in italiano. Le regole del linguaggio sono state modellate dall’uso e quest’ultimo
è un elemento culturale che ha seguito i cambiamenti sociali. L’italiano
moderno ingloba anche lasciti culturali di altre società, ad esempio di quelle germaniche
e di quelle arabe. Derivano dall’arabo le parole algebra, cifra, zucchero. In latino zucchero (in arabo sokkar) si diceva saccharum, da cui diverse parole in italiano, tra le quali le più frequentemente
ricorrenti nel linguaggio comune mi paiono essere saccarina,
saccarosio, perché saccaride, saccarifero, saccarificare,
saccarimetro, saccaroide, saccarometria ecc. appartengono a gerghi
specialistici. Com’è che ora usiamo l’arabo zucchero invece di un’evoluzione del
latino saccharum? In realtà la faccenda
è più complessa e mostra lasciti culturali interessanti, perché saccharum deriva dal greco antico sàccaron, che deriva anch'esso dall’arabo sokkar,
che a sua volta deriva dal persiano shakar e dal sanscrito (un’antica lingua indiana) sarkara. L'italiano moderno zucchero non deriva dal latino saccharum, ma entrambe hanno come progenitrici l'arabo sokkar e un'antichissima parola indiana, sarkara, attraverso il persiano shakar. E' una traccia della compenetrazione tra la nostra cultura e quelle greca, persiana e indiana, e quindi di antiche e prolungate interrelazioni culturali (i cambiamenti culturali richiedono tempo, generazioni, per prodursi). Ecco dunque che i cambiamenti
che ci si aspetta nelle società umane non derivano solo dal succedersi delle
generazioni nel trascorrere del tempo, ma anche dalle relazioni interculturali tra società diverse che si
accostano, si conoscono e fanno pratica l’una dell’altra, acquisendo l’una dall’altra
ciò che appare utile, funzionale alla vita sociale.
Ebbene, la questione del valore
delle regole sociali, della loro interpretazione e corretta attuazione, del
loro rapporto reciproco e di quello con i valori sociali di riferimento è di
quelle centrali nelle narrazioni evangeliche, come anche nelle democrazie come
oggi le intendiamo, secondo le quali le regole sono funzionali a valori
umanitari, e questo è appunto il principale lascito politico del cristianesimo che inglobano. Essa è strettamente connessa a processi di evoluzione culturale, quindi ai cambiamenti che si sono prodotti nel tempo e nell'interazione tra diverse culture. L’evoluzione culturale del cristianesimo e la
sua inculturazione nelle democrazie contemporanee, come in precedenza nelle
monarchie sovrane europee, sono infatti il risultato di uno spettacolare processo di molteplici fusioni culturali e anche di
stirpe, a seguito di intense correnti migratorie, per il quale noi europei siamo oggi come siamo, con l’aspetto fisico
che abbiamo, parliamo come parliamo e pensiamo come pensiamo.
Sciogliere questo
complesso risultato umano e sociale di interrelazioni è impossibile: non è possibile retrocedere nella
storia, né fermarla. E' possibile solo, con l'azione sociale, influire sui suoi sviluppi futuri.
Dal passato possiamo trarre ispirazione, ma non possiamo inscenarlo
nuovamente: sarebbe comunque un passato
nuovo, un passato alternativo,
immaginato oggi come passato, ma sostanzialmente nuovo. I cambiamenti sociali sono irreversibili, quando sono
profondi come quelli che ci hanno prodotti.
Questo vale anche in religione, ad
esempio per coloro che vorrebbero immaginare di rivivere i tempi apostolici, di
vivere la fede come nel Primo secolo, ritenendo che le regole più antiche siano
quelle più autorevoli e, in tal modo, vorrebbero superare, e in definitiva rifiutare, oltre duemila anni
della nostra fede.
Il problema centrale, nella nostra fede come in democrazia, è
invece quello della relazione tra regole e valori, nei veloci mutamenti culturali e sociali dei nostri tempi.
Su di esso il cristianesimo ha ancora molto da dire, in un ambiente sociale che manifesta incertezze nell'affrontarlo e che, in particolare, appare non riuscire a tramandare alle nuove generazioni i valori della democrazia, per cui anche le sue regole sembrano essere divenute obsolete.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli