INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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domenica 13 ottobre 2024

Don Remo ci lascia (13-10-24)

 

Don Remo ci lascia

(13 ottobre 24)

 

 Nel Consiglio pastorale parrocchiale di qualche giorno fa, don Remo, il nostro caro parroco,  ha annunciato che avrebbe terminato il suo ministero tra noi per occuparsi del Santuario del Divino Amore, in zona Castel di Leva, sulla via Ardeatina, nel quadrante sud di Roma (mi pare di capire che sia stato inviato là d’urgenza, perché c’è da fare). Oggi don Salvatore, che ha ricevuto l’incarico di amministratore parrocchiale, ne dà l’annuncio nelle messe.

  Don Remo ci voleva bene, e anche noi a lui. Si era conquistato il nostro rispetto e la  nostra fiducia per la sua autorevolezza di predicatore, il suo tratto cortese, gentile, la sua capacità di mettere pace e di organizzatore, la sua competenza nell’amministrazione (la parrocchia è una specie di azienda, con un complesso di edifici e un patrimonio, e poi ci sono tanti adempimenti prettamente burocratici ma molto importanti, tali da richiedere una competenza anche giuridica,  cose delle quali la gente in genere non immagina la difficoltà).

  Per le persone più giovani è stato padre, per quelle più anziane fratello maggiore, e si è occupato con spirito materno dei sofferenti. nella sequela del Maestro, così come è scritto “[…] quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! [Mt 5, 37]”,  ed è stato ricambiato con quello stesso affetto.

  Si è speso non solo per edificare la nostra Chiesa parrocchiale in senso spirituale, come comunità di persone di fede che si vogliono bene, ma anche la chiesa come edificio, e i lavori, che si erano resi indispensabili e urgenti, stanno terminando. E quando dico che si è speso, lo dico anche in senso materiale, dando del suo, e ora non scrivo di più perché non ne ho l’autorizzazione.

 Ricordo che, qualche giorno dopo che era arrivato, ci portò, mia moglie, me e le mie due figlie, a vedere in che condizione era stato lasciato, dopo l’edificazione della nuova chiesa parrocchiale negli anni ’90, il locale sotterraneo (che doveva essere una cripta). Vi era di tutto, macerie su macerie, una discarica. In parte era stato adibito a garage ma non per scopi parrocchiali. Ad un certo punto ci fece vedere anche un gatto morto. Lì, prima della costruzione della nuova chiesa, vi era stata per circa quarant’anni una grande chiesa ipogea, e lì vi avevo ricevuto Prima Comunione e Cresima. Ora tutto è stato ripulito, protetto da un cancello, e quando ci saranno i fondi si potrà costruire qualcosa che potrà essere utile a tutto il quartiere, nel quale la parrocchia è il principale centro pubblico di aggregazione.

 Nel corso degli anni tra noi si è avvalso di tanti giovani preti che, venuti a studiare a Roma, aveva chiamato a collaborare in parrocchia, e tutti hanno lasciato una traccia significativa, anche se poi sono dovuti tornare nelle diocesi di appartenenza.

 Don Remo era arrivato nel 2015 in un tempo difficile. La gente del quartiere sembrava essersi disaffezionata alla sua parrocchia e portava i figli altrove per la prima formazione religiosa. Il clima tra persone che seguivano diversi orientamenti religiosi non era buono e nel Consiglio pastorale parrocchiale si viveva per questo un clima difficile.

  Il vescovo ci disse che mandava don Remo tra noi per nove anni, secondo le norme ecclesiastiche.

  Ecco quello che scrissi quando si presentò tra noi:

 

Messa di insediamento di don Remo Chiavarini

(sabato 17 ottobre 2015)

 

 Questa sera si è celebrata la Messa con la liturgia per l’insediamento del nuovo parroco, mons.Remo Chiavarini. Ha celebrato il vescovo ausiliare del settore Nord, mons. Guerino De Tora, insieme ai parroci della 9° Prefettura e ad altri preti e diaconi. Ho contato venti sacerdoti e cinque diaconi. La chiesa era molto affollata. Erano venuti anche fedeli della parrocchia dell’Addolorata, dove mons. Chiavarini ha prestato servizio in precedenza.

  Il vescovo, prendendo spunto dalle letture bibliche della Messa, ci ha spiegato chi è il parroco: è il capo e la guida della parrocchia. Egli, fedele agli ideali religiosi, è colui che serve e che dà la vita per la sua comunità. Siamo stati invitati ad accogliere  mons. Chiavarini come nostro nuovo pastore.

  Mons. De Tora ha ricordato il lungo ministero del precedente parroco, don Carlo Quieti, il quale, obbediente alle norme canoniche, ha rinunciato al mandato dopo aver compiuto settantacinque anni.

 Un parroco, ha detto il vescovo, presiede all’unità della parrocchia, tanto importante in tempi di grandi novità come quello che stiamo vivendo.

 Mons. De Tora ci ha invitati a non temere i cambiamenti. Ci si deve aggiornare, secondo l’imperativo dell’ultimo Concilio ecumenico, per rispondere alla novità dei tempi, conservano però ciò che di buono è stato fatto in passato.

 Le grandi migrazioni umane, che caratterizzano la stagione storica in corso, portano gente nuova. Non dobbiamo temerla. A volte, per sentirci sicuri, tagliamo i panni addosso alla persona e con la lingua facciamo molto danno agli altri. Dobbiamo saperci aprire alla gente nuova.

  Al termine della Messa mons. Chiavarini, don Remo, come lo chiameremo familiarmente d’ora in poi, ha tenuto un  breve discorso. Ha ricordato che, quando prestava servizio in una parrocchia vicino a piazza Bologna, c’era un gruppo di universitari fuori sede che animava la Messa del sabato sera. Tra loro anche un giovane siriano, musulmano. Ad un certo punto quello studente disse che doveva tornare in Siria a sposarsi. Non conosceva la fidanzata, gliel’aveva scelta la famiglia. Andò in Siria, accompagnato da due italiani del gruppo di universitari che aveva frequentato, e si sposò. I due giovani italiani tornarono magnificando la moglie, una bellissima donna. Sicuramente, dissero, se il ragazzo siriano se la fosse scelta lui, non avrebbe trovato una moglie così bella. Per don Remo è stato un po’ così anche per lui, quando il suo vescovo, nell’aprile scorso, gli chiese di venire a San Clemente come parroco. Un matrimonio combinato. Ma si augura di fare un’esperienza simile a quel ragazzo siriano.

 Il nuovo parroco ha ricordato i suoi precedenti incarichi come viceparroco e parroco.  Iniziò la sua missione di prete nella parrocchia di San Saturnino, che anch’io frequentai da ragazzo quando andavo al liceo Giulio Cesare. In particolare ha salutato i parrocchiani dell’ultima parrocchia che ha guidato, l’Addolorata, ricordando che là aveva ben 180 bambini che frequentavano il catechismo per la Prima Comunione e tanti ragazzi all’oratorio parrocchiale.

  Ha salutato i confratelli parroci, confidandoci che con loro è veramente amico. “Si può essere amici anche tra preti, sapete!”, ci ha detto scherzosamente.

 Che cosa serve alla parrocchia?, ci ha chiesto. Volersi bene e volere bene al Signore, ha risposto.

 

  Dopo nove anni la situazione tra la gente della parrocchia è molto cambiata. Effettivamente si è arrivati a volerci bene, anche se permangono le profonde diversità di spiritualità di prima, ma senza che guastino la convivenza. Le famiglie hanno ripreso a portarci in gran numero i loro figli e le loro figlie per la formazione religiosa e ci sono state tante iniziative molto belle.

  Viviamo in una Chiesa con  l’organizzazione assolutistica che abbiamo ereditato dai due secoli passati, anche se, nell’era di papa Francesco, se ne pensa una riforma in senso sinodale, vivendo in altro modo l’autorità ministeriale, quella sì data dal Maestro, facendo spazio alla collaborazione dell’altra gente, in ciò in cui può avvenire. Per certi versi, però, l’autorità pesa come un giogo, rispetto ai costumi democratici della società intorno, ma, nel ministero esercitato da don Remo, è stato un giogo leggero, nella sequela del Maestro com’è scritto “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero [Mt 11, 29-30 – versione CEI 2008]”. La sua autorevolezza gentile ci ha conquistati, anche quando si doveva lasciare a lui l’ultima parola. In fin dei conti, lo si è fatto volentieri e poi si è visto che le sue decisioni erano state sagge.

  Direi: missione compiuta, don Remo.

  C’è chi ha lodato don Remo perché ha fatto prova di obbedienza.

  Su fatto che l’obbedienza sia ancora  una virtù ci sono diversi orientamenti. Io, ad esempio, seguo l’insegnamento di Lorenzo Milani, secondo il quale “L’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni”.

  Si ritiene che l’obbedienza, nel senso di obbedienza ai superiori ecclesiastici, sia una virtù evangelica, ma su basi che mi paiono piuttosto labili.

   Per quello che narrano i Vangeli (si veda nota in fondo), Gesù ha parlato poco di obbedienza come virtù, come anche di famiglia e di relazioni coniugali: temi che sono invece centrali nella spiritualità di un movimento presente in parrocchia dagli anni Novanta. E ne parla sempre  come obbedienza a Dio, o a lui stesso, che poi, durante il suo ministero terreno, ci si rivelò  come Figlio di Dio, e quindi, conclusero in seguito le teologie cristiane, Dio lui stesso. E lega sempre l’osservare i comandamenti all’amore per Dio. Caratteristica, invece, della sua predicazione fu l’invito alla sequela, che non si fa per obbedienza, ma, appunto, per amore.

 Non  c’è, al contrario, nelle sue parole il comando alla gente di ubbidire ad un’autorità ecclesiastica, posto che ai suoi tempi l’organizzazione propriamente ecclesiastica era ancora da venire, ed essendo il ministero degli apostoli, da lui istituito, cosa unica, irripetibile (si veda la nota 2) e del resto, pur avendo avuto essi i ministeri di insegnare, di legare e sciogliere e di perdonare i peccati, non risultando aver mai regnato  al modo come lo si fa nella nostra Chiesa, come in uno stato. E, d’altronde, il Maestro si mostrò veramente poco propenso a obbedire in tutto alle autorità religiose del giudaismo del suo tempo, che pure rispettava e delle quali riconosceva il ministero. Fu questo, appunto, uno dei principali motivi di contrasto con esse, che poi ne determinarono la cattura per essere sottoposto a processo.

  Fondamentale fu il suo appello all’obiezione di coscienza, che fu profondamente assimilato dai suoi apostoli, come risulta da questo brano degli Atti degli apostoli che è una delle parti della Bibbia cristiana più note.

 

At 5, 27-33 [versione CEI 2008]

Li condussero e li presentarono nel sinedrio; il sommo sacerdote li interrogò dicendo: "Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest'uomo". Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: "Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono". All'udire queste cose essi si infuriarono e volevano metterli a morte.

 

  Così, io penso che don Remo abbia accettato di lasciarci, pur volendoci bene e pur sapendo che gliene volevamo,  per amore, quell’amore che è alla base del suo ministero e che è, veramente, il principale comandamento divino: a Castel di Leva c’è gente che ha bisogno di lui ed è andato dove c’era più bisogno.

  E’ così bello pensare alla Chiesa come un ambiente in cui si accetta di sacrificarsi per amore di chi ha più bisogno, con sollecitudine paterna e materna insieme, piuttosto che come un organismo militare in cui si obbedisce ciecamente, al modo della mistica del fascismo mussoliniano!

 In effetti, anche il ministero del Maestro fu di muoversi verso chi aveva bisogno, non di fermarsi per sempre in una certa comunità, facendone il suo santuario. I preti sono alla sua sequela anche in questo. Noi, come comunità, non possediamo  i preti che stanno tra noi, e lo si deve accettare serenamente.

  Così non ci resta che ringraziare del dono di questi nove anni con don Remo e augurargli il successo nella sua benefica azione a Castel di Leva.

  E poi, naturalmente, di assicurare al caro don Salvatore la nostra collaborazione. Egli si è formato come sacerdote anche alla scuola di don Remo, così sono certo che farà un buon lavoro.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

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[Ricerche ChatGPT di OpenAI del 13-10-24]

1. L’obbedienza negli insegnamenti di Gesù narrati nei Vangeli

 Nei Vangeli, Gesù non parla esplicitamente e frequentemente di "obbedienza" in termini strettamente dottrinali, ma il concetto di obbedienza emerge in vari insegnamenti e momenti chiave della sua vita. Qui sono alcuni passaggi dove è possibile trovare riferimenti all'obbedienza, sia verso Dio che verso la volontà del Padre:

1. **Obbedienza alla volontà del Padre**:

   - **Matteo 26,39**: Nel Giardino del Getsemani, Gesù prega dicendo: *"Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu."* Qui Gesù esprime chiaramente la sua obbedienza alla volontà di Dio, anche di fronte alla sofferenza.

   - **Giovanni 4,34**: Gesù afferma: *"Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera."* Questa affermazione indica il suo desiderio di obbedire completamente alla missione affidatagli dal Padre.

2. **L'insegnamento dell'obbedienza ai comandamenti**:

   - **Giovanni 14,15**: Gesù dice: *"Se mi amate, osserverete i miei comandamenti."* Qui si parla implicitamente dell'obbedienza come frutto dell'amore per Gesù.

   - **Giovanni 15,10**: *"Se osservate i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore."* Gesù esprime qui il legame tra amore e obbedienza.

3. **L'obbedienza come via per essere veri discepoli**:

   - **Luca 11,28**: Gesù afferma: *"Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"* Qui si sottolinea l'importanza dell'obbedienza alla parola di Dio.

   - **Matteo 7,21**: *"Non chiunque mi dice: 'Signore, Signore', entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli."* Questo passo richiama l'obbedienza alla volontà di Dio come chiave per entrare nel Regno dei Cieli.

  Questi passaggi mostrano che l'obbedienza, per Gesù, non è un atto meramente formale, ma una manifestazione di amore e fedeltà verso Dio. L'obbedienza alla volontà del Padre è centrale alla sua missione e viene trasmessa anche ai discepoli come una via di fedeltà e amore.

2. La teologia cattolica fa una distinzione tra l'autorità degli apostoli, in particolare dei Dodici scelti direttamente da Gesù, e l'autorità dei vescovi, che sono i successori degli apostoli ma non ne possiedono esattamente la stessa funzione e dignità. Questa distinzione si riflette nella tradizione e nella dottrina ecclesiale riguardante il ministero apostolico e la successione apostolica.

 

### 1. **Autorità degli Apostoli**

Gli **apostoli**, e in particolare i **Dodici**, hanno ricevuto una missione unica e irripetibile da Gesù: annunciare il Vangelo, fondare la Chiesa e trasmettere la Rivelazione. La loro autorità era diretta e speciale, poiché venivano scelti personalmente da Cristo e investiti di poteri particolari, come il perdono dei peccati (cfr. Giovanni 20,23) e l'istituzione dei sacramenti.

 

### 2. **Autorità dei Vescovi**

Dopo la morte e resurrezione di Gesù, gli apostoli cominciarono a ordinare i **vescovi** (termine che significa "sorveglianti") come loro successori. I vescovi possiedono l'autorità di insegnare, governare e santificare nella Chiesa, ma la loro funzione è vista come **derivata** da quella degli apostoli, non come identica. La Chiesa cattolica crede nella **successione apostolica**, il che significa che i vescovi, attraverso l'ordinazione, ricevono il ministero apostolico, ma non l'autorità unica e personale degli apostoli, che non può essere ripetuta.

 

I **Dodici** sono considerati una figura fondativa e unica nella storia della Chiesa. In teologia si fa distinzione tra la **missione unica** degli apostoli e quella dei vescovi successivi, che continuano a esercitare la funzione pastorale, ma senza poter ripetere il ruolo di fondatori e testimoni oculari della vita di Gesù.

 

### Teologi che ne hanno trattato

Diversi teologi e padri della Chiesa hanno discusso questa differenza. Ecco i principali:

 

1. **San Cipriano di Cartagine** (III secolo): Ha scritto ampiamente sull'autorità della Chiesa e dei vescovi. Nel suo trattato *De Unitate Ecclesiae*, parla della collegialità e dell'unità dei vescovi come successori degli apostoli, ma distingue l'autorità carismatica e fondatrice degli apostoli.

 

2. **Sant'Agostino** (IV-V secolo): Anche Agostino tratta del ruolo degli apostoli e dei vescovi nella Chiesa, sottolineando l'importanza della successione apostolica, pur riconoscendo la natura unica dell'autorità degli apostoli. Nei suoi scritti, come in *De Doctrina Christiana*, riflette sulla trasmissione dell'autorità apostolica attraverso i vescovi.

 

3. **San Tommaso d'Aquino** (XIII secolo): Nella *Summa Theologiae*, Tommaso d'Aquino distingue tra l'autorità speciale degli apostoli e quella dei vescovi successivi, trattando del potere di insegnare e governare nella Chiesa. Vede gli apostoli come destinatari di una grazia speciale, mentre i vescovi sono successori che continuano questa missione senza possedere esattamente la stessa autorità apostolica.

 

4. **Hans Urs von Balthasar** (XX secolo): Questo teologo cattolico del XX secolo ha esplorato il ruolo dell’apostolato nella Chiesa e come la struttura gerarchica si sia sviluppata. Riconosce la continuità attraverso i vescovi ma, allo stesso tempo, riconosce la singolarità degli apostoli come figure fondative.

 

5. **Yves Congar** (XX secolo): Un altro grande teologo del XX secolo, Yves Congar, ha studiato l'ecclesiologia e ha scritto ampiamente sull'autorità nella Chiesa, distinguendo tra il ministero apostolico degli inizi e il ministero episcopale successivo. Nei suoi scritti, come *La Tradizione e le Tradizioni*, tratta dell'evoluzione dell'autorità ecclesiastica e del ruolo dei vescovi come successori apostolici.

 

In conclusione, mentre i vescovi continuano la missione della Chiesa come successori degli apostoli, la teologia cattolica riconosce che l'autorità degli apostoli, specialmente dei Dodici, era unica e fondatrice, non replicabile in senso stretto. La riflessione su questa distinzione è stata esplorata da molti grandi teologi della tradizione cattolica.