INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

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 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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domenica 6 ottobre 2024

Cattolicesimo democratico 30 - Pacifismo come lavorare per la pace: lo sviluppo della sinodalità come occasione per il pacifismo

 

Cattolicesimo democratico 30

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Pacifismo come lavorare per la pace: lo sviluppo della sinodalità come occasione per il pacifismo

 

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Nota: utilizzo il servizio di AI [artificial intelligence = intelligenza artificiale]  di OpenAI, al quale sono abbonato, per rendere più veloce l’elaborazione di contenuti. Come avverte il gestore del servizio, l’AI di ChatGPT di OpenAI, che è un sistema di ricerca, elaborazione e generazione  di testi molto evoluto in grado di colloquiare con l’utente, può talvolta generare risposte non corrette. Sono ciò che gli specialisti definiscono “allucinazioni” del sistema, analoghe a quelle vissute anche dalle menti umane. Gli utenti sono quindi invitati a verificare la correttezza delle risposte. In genere interrogo l’AI in materie in cui ho almeno un’informazione di base. Dove le risposte prodotte presentano evidenti incongruenze, ne verifico la correttezza, innanzi tutto utilizzando la stessa AI che è in grado di svolgere bene questo controllo, e poi servendomi di altre fonti, principalmente l’enciclopedia Treccani on line. Personalmente ho studiato e pratico il diritto italiano, complesso di materie in cui ho un’informazione più completa per ragioni professionali. Invito tuttavia i lettori a svolgere un lavoro analogo, approfondendo, sia quanto alle risposte generate dall’AI che trascrivo sia in genere quanto a tutto ciò che scrivo, perché, come ho osservato, anche la mente umana incontra gli stessi problemi di quella non umana, la cui architettura funzionale è modellata sulla prima. Il testo tra parentesi quadre che inserisco nella trascrizione della risposta generata dall’AI contiene mie correzioni basate su altre fonti. Le correzioni generate dalla stessa AI a seguito di mie richieste di verifica sono invece inserite nel testo senza evidenziazione.

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 Il pacifismo soffre da noi di una pessima reputazione di questi tempi e la ragione, come spiega molto bene Andrea Riccardi in Il grido della pace, San Paolo 2023, disponibile anche in E-book e Kindle, è che la guerra è stata riabilitata  nella coscienza collettiva degli europei occidentali (altrove nel mondo non aveva mai subito alcun ampio discredito popolare).

  Pacifismo  non significa essere pacifici, ma impegnarsi nella costruzione di una condizione di pace, che in genere richiede di non esserlo, perché, paradossalmente, serve lottare. Del resto, in quale altro modo si potrebbe aver ragione delle politiche di guerra? Però il pacifista lotta senza lasciarsi travolgere dalle logiche di guerra, che, come scrisse la filosofa francese Simone Weil [1909-1943], rendono schiavi della guerra coloro che se ne lasciano asservire, come storicamente è accaduto quasi sempre anche alle genti cristiane e ai loro capi civili ed ecclesiastici. E’ solo dagli anni Cinquanta del Novecento che si è iniziati veramente a cambiare, anche se ora ci si dimostra impotenti, fondamentalmente perché si esita a lottare  per la costruzione di politiche di pace, temendo l’esecrazione dei governi e dei loro sostenitori.

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[Ricerca mediante ChatGPT di OpenAI del 6-10-24]

  La storia dei movimenti pacifisti affonda le sue radici nell'Ottocento, epoca di grande fermento politico e sociale. Già in questo periodo, con il diffondersi delle idee illuministiche e la nascita delle prime organizzazioni internazionali, si sviluppano movimenti che auspicano la risoluzione pacifica dei conflitti tra le nazioni.

 ### Il pacifismo nell'Ottocento

Il primo movimento pacifista strutturato nasce nel contesto delle guerre napoleoniche, quando si iniziano a costituire gruppi che promuovono la pace come alternativa alla guerra. Nel 1815, ad esempio, viene fondata la **Society for the Promotion of Permanent and Universal Peace** in Inghilterra, che diventa un modello per associazioni simili in Europa e negli Stati Uniti. La pace viene vista in quest'epoca come il risultato del progresso morale e intellettuale dell'umanità.

Tra i primi teorici del pacifismo si distingue il filosofo tedesco **Immanuel Kant**, il quale, nella sua opera "Per la pace perpetua" (1795), sostiene che la pace duratura tra le nazioni può essere raggiunta solo attraverso la cooperazione internazionale e l'istituzione di repubbliche democratiche.

### Il pacifismo tra la fine dell'Ottocento e il Novecento

Con la crescita delle tensioni internazionali nella seconda metà dell'Ottocento, il pacifismo assume una dimensione più organizzata e politica. La creazione di **istituzioni internazionali**, come la Corte di Arbitrato dell'Aia (1899), testimonia la volontà di risolvere i conflitti tramite il diritto internazionale. Parallelamente, nascono organizzazioni come la **Women's International League for Peace and Freedom** (WILPF), fondata nel 1915 durante la Prima guerra mondiale, che mette in evidenza il ruolo delle donne nel promuovere la pace.

Tra i protagonisti di questo periodo spiccano figure come il russo **Lev Tolstoj**, che, attraverso la sua critica della violenza e la promozione della non resistenza, diventa una delle voci più influenti del pacifismo cristiano. Il suo pensiero influenzerà profondamente personaggi come **Mohandas K. Gandhi**.

### Il pacifismo e le due guerre mondiali

Durante la Prima guerra mondiale, molti pacifisti europei e americani si oppongono al conflitto, anche a costo di persecuzioni. Tra i più noti c'è **Bertrand Russell**, filosofo britannico che si distingue per la sua ferma opposizione alla guerra e per le sue battaglie a favore del disarmo.

La **Società delle Nazioni**, istituita dopo la Prima guerra mondiale, rappresenta uno dei primi tentativi concreti di garantire la pace su scala globale, anche se il suo fallimento nel prevenire la Seconda guerra mondiale evidenzia i limiti delle strutture internazionali dell'epoca.

Nel frattempo, in India, **Gandhi** porta avanti una lotta pacifista contro il colonialismo britannico attraverso la pratica della **non-violenza** (satyagraha), che diventerà un modello per molti movimenti pacifisti nel mondo. Gandhi crede che la non violenza sia non solo una strategia politica, ma un principio morale universale.

### Il pacifismo nel secondo dopoguerra

Dopo la Seconda guerra mondiale e l’orrore delle bombe atomiche, i movimenti pacifisti si riorganizzano, puntando soprattutto sul **disarmo nucleare**. Nascono così associazioni come il **Campaign for Nuclear Disarmament** (CND) nel Regno Unito, che acquisisce una grande rilevanza negli anni Cinquanta e Sessanta, e il movimento **Pugwash**, che riunisce scienziati di tutto il mondo per discutere dei pericoli legati alle armi nucleari.

In questo periodo si affermano personalità come **Martin Luther King Jr.**, leader del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, che vede nella non violenza un mezzo efficace non solo per ottenere giustizia sociale, ma anche per promuovere la pace. La sua adesione ai principi gandhiani e il suo impegno contro la guerra del Vietnam lo rendono uno dei simboli del pacifismo contemporaneo.

 

### Movimenti pacifisti e antimilitaristi negli anni '60 e '70

Negli anni '60, i movimenti pacifisti si intrecciano con quelli per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam. Il **movimento hippy** e i grandi raduni per la pace, come quello di Woodstock (1969), segnano un momento di grande visibilità per le cause pacifiste. Il messaggio di pace, amore e resistenza non violenta si diffonde tra i giovani di tutto il mondo.

Negli anni '70, il pacifismo si lega alle lotte ecologiste e antimilitariste, soprattutto in Europa. La paura della proliferazione nucleare porta milioni di persone a manifestare in tutto il mondo contro la corsa agli armamenti, culminando nelle grandi manifestazioni degli anni '80 contro la presenza di basi missilistiche statunitensi in Europa.

### Il pacifismo contemporaneo

Negli ultimi decenni, i movimenti pacifisti si sono evoluti, affrontando nuovi temi come la **globalizzazione**, il **terrorismo internazionale** e i **conflitti regionali**. Le organizzazioni internazionali per la pace continuano a svolgere un ruolo importante, con figure come **Malala Yousafzai**, premio Nobel per la pace nel 2014, che promuovono l'educazione e la non violenza come strumenti per combattere l'odio e l'oppressione.

 Un'altra figura di spicco è **Desmond Tutu**, l’arcivescovo sudafricano che ha lottato contro l’apartheid con mezzi pacifici, diventando un simbolo di riconciliazione.

[### Posizioni delle Chiese cristiane]

 Dall'Ottocento, le Chiese cristiane hanno avuto un rapporto complesso con il pacifismo. Inizialmente, le principali confessioni cristiane, in particolare la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti storiche, hanno sostenuto il concetto di **guerra giusta**, giustificando alcuni conflitti come necessari per difendere la giustizia o la patria.

   Tuttavia, all'interno delle Chiese, si sono sviluppati movimenti pacifisti ispirati al messaggio evangelico di pace. Ad esempio, i **quaccheri** (Società degli Amici), già dal XVII secolo, adottarono una posizione di rifiuto totale della violenza, influenzando in seguito altri gruppi pacifisti. Nel XIX secolo, il pensiero pacifista cristiano si sviluppa soprattutto in ambienti protestanti, con alcune correnti che promuovono la risoluzione pacifica dei conflitti e il disarmo.

  La **Chiesa cattolica** mantiene la dottrina della guerra giusta, ma inizia a considerare con maggiore attenzione la pace come ideale cristiano. Nel 1891, con l'enciclica **Rerum Novarum**, Papa Leone XIII sottolinea l'importanza della giustizia sociale come base per una pace duratura. Nel XX secolo, figure come il teologo cattolico **Dorothy Day**, fondatrice del Movimento dei lavoratori cattolici, abbracciano una visione radicalmente pacifista.

   Dopo le due guerre mondiali, le Chiese cristiane iniziano a rivalutare il pacifismo. La **Chiesa cattolica**, con il Concilio Vaticano II e l'enciclica **Pacem in Terris** (1963) di Papa Giovanni XXIII, promuove la pace come obiettivo centrale della missione cristiana. Anche molte Chiese protestanti, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, adottano posizioni critiche verso la guerra, soprattutto con l'emergere del movimento contro il nucleare e la guerra del Vietnam.

 Oggi, molte Chiese cristiane sostengono il pacifismo attivo, promuovendo la non violenza e la giustizia sociale come basi per la pace.

### Conclusioni

Il pacifismo ha attraversato diverse fasi, evolvendosi in risposta ai mutamenti storici e politici. Da un movimento inizialmente elitario e filosofico, è diventato una forza popolare che ha coinvolto milioni di persone in tutto il mondo. I suoi teorici, da Kant a Gandhi, da Russell a Martin Luther King, hanno offerto al mondo una visione alternativa basata sulla non violenza e sul dialogo, un’eredità che continua a ispirare le nuove generazioni.

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  Per quanto di solito si ritenga il contrario, nei Vangeli, i libri del nuovo Testamento originati nelle comunità cristiane delle origini in cui si narra della vita terrena del Maestro, dei suoi insegnamenti, e della sua Passione e Resurrezione, non ci sono insegnamenti pacifisti, e questo perché non c’è la politica e il pacifismo è azione politica, nella specie per influire sul governo delle società per ostacolare l’ordine di guerra e per favorire l’ordine di cessare la guerra una volta che essa sia esplosa. Il Maestro, durante il suo magistero pubblico, non si trovò a dover affrontare una guerra in corso, anche se nella Palestina dei suoi tempi la situazione politica era gravida di violenza, in particolare per le correnti dell’antico giudaismo che reagivano all’occupazione dei romani, che era seguita a quella dei greci, quest’ultima accompagnatasi ad una colonizzazione culturale mediante la cultura ellenistica.

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[Ricerca mediante ChatGPT di OpenAI del 6-10-24]

 L'ellenismo, sviluppatosi dopo le conquiste di Alessandro Magno (IV secolo a.C.), era caratterizzato dalla diffusione della cultura greca in tutto il Mediterraneo e il Medio Oriente. Portava con sé un sistema di valori basato su razionalità, individualismo, scienza, filosofia e una visione cosmopolita, unendo popoli diversi sotto l'influenza greca.

 L'antico giudaismo contrastava l'ellenismo perché minacciava l'identità religiosa e culturale ebraica. La centralità della **Legge mosaica** (Torah), il monoteismo e le pratiche rituali ebraiche entravano in conflitto con il **politeismo** greco e le usanze ellenistiche, come la partecipazione a culti pagani e il rispetto delle leggi civili greche. Questo scontro culminò nella rivolta dei Maccabei (II secolo a.C.) contro la dominazione seleucide e l'imposizione della cultura ellenistica.

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 I cristiani, alle origini, ma anche successivamente nella loro storia, in genere non rifiutarono la guerra e il servizio  militare e, soprattutto, la utilizzarono ampiamente nella loro tremenda storia nei contrasti tra di loro e con le popolazioni non cristiane, in particolare nelle colonizzazioni stragiste e addirittura genocide che furono il principale veicolo di evangelizzazione nel mondo dal Cinquecento, anche se non l’unico naturalmente.

  Alle origini, si ricorda il caso del rifiuto del servizio militare da parte di Massimiliano, che però non fu propriamente determinato da pacifismo in senso politico, ma da obiezione di coscienza per ragioni spirituali e di etica personale.

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[Ricerca mediante ChatGPT di OpenAI del 6-10-24]

San Massimiliano di Tebessa, noto semplicemente come **Massimiliano**, è un martire cristiano vissuto nel III secolo d.C., ricordato per la sua opposizione al servizio militare romano a causa della sua fede. Nato intorno al 274 d.C. a Tebessa, nell'attuale Algeria, Massimiliano era figlio di un veterano romano, Vittore, e quindi obbligato per legge a seguire la carriera militare come il padre.

  Nel 295 d.C., all'età di circa 21 anni, fu chiamato a svolgere il servizio militare nell'esercito romano. Tuttavia, quando fu presentato davanti al proconsole Dion, Massimiliano rifiutò fermamente di arruolarsi, dichiarando che la sua fede cristiana gli impediva di prendere le armi o di giurare fedeltà all'imperatore. La sua opposizione era basata sulla convinzione che il servizio militare fosse incompatibile con i principi del Vangelo, in particolare con l'insegnamento della non violenza.

  Le sue parole al proconsole furono chiare: “**Non posso servire, non posso fare del male. Sono cristiano**.” Dion cercò di convincerlo, minacciandolo e offrendogli altre possibilità, ma Massimiliano rimase fermo nelle sue convinzioni. Alla fine, fu condannato a morte per disobbedienza il 12 marzo 295 d.C.

  La sua esecuzione avvenne per decapitazione. Prima di morire, Massimiliano benedisse suo padre e incoraggiò i cristiani presenti a rimanere saldi nella fede. Le sue ultime parole furono una dichiarazione di fedeltà a Cristo e un rifiuto definitivo della guerra e della violenza.

 La testimonianza di Massimiliano fu subito riconosciuta come un esempio di **martirio cristiano** per obiezione di coscienza, facendo di lui uno dei primi obiettori di coscienza documentati nella storia. La sua memoria è venerata soprattutto nella tradizione cattolica e ortodossa. Il suo sacrificio è visto come un esempio di fedeltà ai principi cristiani di pace e non violenza, anche di fronte alla morte. La sua festa liturgica è celebrata il **12 marzo**.

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   Indubbiamente, però, quell’atteggiamento interiore, che ritroviamo tuttora, in genere, nelle espressioni del pacifismo cristiano può incidere fortemente nel motivare al pacifismo. L’interiorità cristiana è coltivata nella preghiera.

 Scrive Riccardi, nel testo che ho sopra citato:

 

   «Anche la preghiera è una rivolta contro la guerra.  E’ la convinzione di molti credenti. Scrive il biblista americano Walter Brueggemann, “alla Chiesa è offerto  un posto nel concilio del Signore dove vengono prese le decisioni  […] Gesù condivide con noi i segreti di Dio». I credenti possono chiede a Dio la fine della guerra  e la pace per il mondo. Sappiamo che Dio vuole la pace e il bene di tutti i popoli. Scrive il grande teologo riformato Karl Barth: “Dio non è sordo, ascolta, agisce. Egli non agisce nello stesso modo se preghiamo o non preghiamo. C’è  un’influenza sull’azione di Dio, sull’esistenza di Dio […] Le nostre preghiere sono fragili e misere. Ciò nonostante, quello che conta  non è che le nostre preghiere siano forti, ma che Dio le ascolti”.

 Diceva Giorgio La Pira, il sindaco di Firenze che fece della sua città il cuore del dialogo negli anni della guerra fredda: “Credo nella forza storica della preghiera”. Invitava a pregare per la pace anche i poveri che radunava alla Badia Fiorentina. La Pira è il prototipo di cristiano che lotta per la pace: aveva tra le mani la Bibbia, da cui traeva pensieri di pace e guardava alla geografia dei popoli e dei loro dolori.

 Solidarietà, preghiera, partecipazione responsabile sono l’attacco dei disarmati e dei pacifici alla guerra: il cuore dell’azione per la pace. Fare pace è ricucire la frattura tra popoli e tra persone: è curare la frattura cancerosa della guerra. La guerra comincia prima dell’inizio delle ostilità. Quando c’è ancora possibilità di agire, di limitare le fratture. E’ la “pace preventiva” quella che previene i conflitti.

 

  Non sono un teologo e sulla convinzione che la preghiera possa influire sui disegni di Dio sulla politica mi limito a prestar  fede a chi ne sa di più, anche se spero che sia proprio come dicono. Certamente la preghiera cristiana può influire molto sulla propria interiorità e questo conta quando si tratta di lottare  contro la guerra, per la pace.

 La preghiera certamente non basta. Ne parla Riccardi  nel suo libro. Occorre, scrive, «Conoscere, informarsi, seguire gli eventi», questo «è partecipare in modo ravvicinato, non voltarsi dall’altra parte […] Un’opinione pubblica viva e informata influisce sulle vicende e le determinazioni  politiche». E questo è stato storicamente dimostrato, a partire dai moti negli Stati Uniti d’America degli scorsi anni Sessanta per far cessare la guerra americana in Vietnam. In Europa ci si agitò molto quando gli Stati Uniti d’America, chiamando a raccolta altri volenterosi, decisero le due guerre contro l’Iraq dominato dal despota Saddam Hussein, e questo incise sul livello di partecipazione dell’Italia, che fu molto contenuto nella prima e non più seconda. Niente del genere si produsse quando si decise la guerra della N.A.T.O. in Afghanistan, presentata, dopo la prima fase molto cruenta,  come operazione di Peace Enforcing, quindi per spingere quella popolazione alla pace: durò vent’anni, fino alla disastrosa ritirata dell’agosto 2021. Si stima che abbia prodotto circa 170.000 morti, 47000 dei quali civili.

  Così non ci sono stati moti pacifisti allo scoppio della guerra in Ucraina, e tanto meno nell’anno precedente, quando si tennero negoziati per evitarla, fino all’inutile vertice di Ginevra del giugno 2021 tra il presidente federale statunitense Biden e quello russo Putin, il 10 giugno 2021, quando il primo rifiutò di negoziare con il secondo un trattato sull’assetto dell’Ucraina: Stati Uniti d’America e Federazione Russa sono i veri decisori dei quella guerra.

  E tanto meno il pacifismo si è manifestato in Europa dopo l’esplosione il 7-10-23 dell’efferato conflitto che ha portato all’eccidio di 1200 israeliani, in massima parte civili disarmati, e di oltre 40.000 palestinesi a Gaza, in massima parte civili disarmati, con la quasi completa distruzione delle principali città di quel territorio. E questo nonostante la certezza, nell’invasione di Israele da parte del movimento Hamas, e seri indizi, nel corso dell’invasione di Gaza da parte degli israeliani, che si sono commessi crimini di guerra e contro l’umanità, fatti sui quali la Corte penale internazionale ha aperto un’inchiesta, nella quale sono stati chiesti ordini di cattura contro capi di Hamas ed esponenti del governo israeliano.

  Ieri, una manifestazione indetta a Roma per protestare contro la guerra israeliana a Gaza è stata vietata e duramente repressa per decisione del governo italiano e delle autorità di pubblica sicurezza, a motivo che tra chi aveva annunciato la propria partecipazione c’era gruppi che avevano inneggiato agli eccidi del 7 ottobre. In questo modo tutta l’iniziativa è stata presentata come connotata da questi ultimi, anche se la maggioranza dei partecipanti non aveva espresso quell’orientamento.

  Ha scritto ieri, su La Stampa, nell’articolo dal titolo “Se anche un’idea ripugnante ha il diritto di essere manifestata” il giurista Vladimiro Zagrebelsky:

 

 «Nel valutare il divieto  va osservato che esso richiama il rischio di gruppi anche violenti, ma aggiunge  che la manifestazione esprime una volontà celebrativa della strage del 7 ottobre.

  Una celebrazione ripugnante, ma che da sola non legittima il divieto del questore, poiché  non spetta all’autorità di pubblica sicurezza  sindacare e quindi censurare idee che non approva. Potranno darsi espressioni di odio antiebraico o di apologia dei delitti commessi in quell’occasione: si tratta di reati che si devono perseguire nei confronti di chi li commette, ma la previsione che vengano compiuti non consente di per sé il divieto di un’occasione collettiva di manifestazione.»

 

 In genere i movimenti di piazza contro la guerra, anche se non veramente pacifisti (quello di ieri fondamentalmente parteggiava per una delle parti in guerra), sono molto importanti per influire sui propri governi, come dimostrato dall’esperienza storica. Tuttavia, in genere, i governi ne sono infastiditi o addirittura si mostrano loro apertamente ostili: questo perché raramente un governo decide per il pacifismo. La cosa non riesce neppure alle Chiese cristiane, e tantomeno a quella cattolica, la cui dottrina attribuisce solo ai governi di stabilire se una guerra sia giusta  o non e obbliga i cittadini ad obbedire all’ordine di mobilitazione come dovere civico. Un governo, che controlla anche una forza militare, di solito si allinea alle decisioni prese nella coalizione internazionale di cui fa parte e quello italiano alle determinazioni del governo federale statunitense. Così il pacifismo è spesso tacciato di disfattismo  o, addirittura, di intelligenza con il nemico, vale a dire di parteggiare subdolamente per quello che di volta in volta è individuato per il nemico.

  Questo in particolare in quest’epoca che stiamo vivendo, in cui, come scrisse il giornalista Domenico  Quirico nell’articolo “Iraq. 20 anni senza un perché”, pubblicato su La Stampa  del 20-3-23 e citato da Riccardi nel libro, «Se un tempo la pace era lo scopo della guerra», ormai «la guerra è diventata lo scopo della pace». La pace, insomma, è diventata una guerra con altri mezzi (mentre si era scritto che la “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi)”.

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[Ricerca mediante ChatGPT di OpenAI del 6-10-24]

La frase "la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi" è attribuita al teorico militare prussiano **Carl von Clausewitz**. Questa affermazione si trova nel suo celebre trattato **"Della guerra"** (*Vom Kriege*), pubblicato postumo nel 1832. Clausewitz intendeva dire che la guerra è uno strumento politico, utilizzato dagli Stati per raggiungere i propri obiettivi quando i mezzi diplomatici o pacifici falliscono.

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  Questo significa che la cultura della guerra ha cominciato a inquinare pesantemente anche la pace, che diventa solo un tempo di preparazione alla guerra cruenta.

  In questo modo, scrive Riccardi, la guerra si è eternizzata  e questa è un notevole differenza rispetto al passato. E’ divenuta altro rispetto al passato. Scrisse ancora Quirico in quell’articolo: «Dopo il 2003 [inizio della seconda Guerra del Golfo, contro l’Iraq] non è più possibile dare un limite cronologico alle guerre, fissare un inizio con la sua proclamazione e la fine con la vittoria e la sottomissione dello sconfitto».

  Nelle situazioni di guerra, e ora anche la pace è vissuta come situazione di guerra combattuta con altri mezzi, le masse popolari tendono ad essere emarginate da circoli molto ristretti, come accade tutte le volte che debbono essere prese, velocemente, decisioni cruciali per la vita e per la morte. E’ la conseguenza dei nostri limiti cognitivi di specie che non ci consente di afferrare il molteplice e le moltitudini, che sono sempre implicati nelle cause delle guerre. Allora si trasferiscono i poteri supremi a cerchie molto limitate di decisori. Scrive Riccardi «Quando un conflitto comincia, le sorti sono nelle mani di pochi decisori». Fu osservato, ad esempio che la Prima guerra mondiale fu decisa da una decina di persone.

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La frase secondo cui la Prima guerra mondiale sarebbe stata decisa da una "decina di persone" viene attribuita a **Fritz Fischer**, uno storico tedesco che, nel suo libro *"Griff nach der Weltmacht" [La conquista del potere mondiale]* (1961), sostenne che una ristretta élite politica e militare tedesca avesse pianificato la guerra per raggiungere obiettivi imperialistici. Fischer sottolineava che furono poche persone, tra cui leader militari e politici, a prendere decisioni cruciali che portarono allo scoppio del conflitto, influenzando l'intera Europa.

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 Un antidoto alla guerra è quindi quello di coinvolgere le masse nella decisione di impegnarvi lo stato. Questo, naturalmente, solo però se l’informazione pubblica non è stata asservita ai governi, come accade nei sistemi politici che da democrazie  vanno trasformandosi in democrature, vale a dire in istituzioni che conservano le procedure formali di elezione del ceto politico ma privando la gente dei più importanti diritti civili, tra i quali quello di esprimere pubblicamente il proprio pensiero e di riunirsi per manifestare pacificamente, anche per criticare il proprio governo ed opporsi alle sue politiche.

  Nell’Europa contemporanea si sta organizzando un gigantesco conflitto tra la N.A.T.O., egemonizzata da statunitensi e britannici, e la Federazione Russa. I segni premonitori sono evidenti e non consistono solo nella guerra già in corso in Ucraina. Si sono interrotti quasi del tutto le relazioni economiche con i russi, dai quali l’Unione Europea traeva grande vantaggio, innanzi tutto potendo disporre di immense riserve di energia venduta a basso prezzo e senza i pericoli derivanti dall’instabilità politica di altri fornitori.  Si sono quasi del tutto le relazioni di collaborazione culturale, in particolare nel campo della ricerca. Da ambo le parti si fanno piani per colpire l’avversario, ormai considerato come nemico. In un documento che avrà vasta eco nei ceti dirigenti dell’Unione Europa, il rapporto Draghi sulla competitività europea, la competitività non è più configurata solo tra imprese di produzione e commercio, ma tra sistemi politici, in particolare tra Unione Europea e Federazione russa, prologo evidente ad una intensificazione della situazione di conflitto già in atto.

   In questa allarmante condizione la nostra gerarchia ecclesiastica si affida alla propria diplomazia, una istituzione propria degli stati e che non dovrebbe trovare spazio in una Chiesa, se non in una Chiesa come quella cattolica che si è fatta stato (non sono un teologo e non riesco proprio a capire  come teologicamente lo si possa giustificare), e ai fedeli riserva la preghiera, mantenendo ancora l’obsoleta dottrina della guerra giusta che impone loro di obbedire ai governi che ordinano la guerra. Il cattolicesimo democratico tende ad andare oltre, cercando di portarsi dietro anche la struttura ecclesiastica, nella quale però, dato il suo attuale ordinamento assolutistico, decidono in pochi. Tuttavia quei pochi, come anche i governi, non sono insensibili a ciò che si agita nelle masse, sempre che si agitino, siano attive. Lo ha dimostrato l’esperienza storica quanto all’atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche sulla questione sociale e, appunto, sul tema della guerra.

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[Ricerca ChatGPT di OpenAI del 6-10-24]

L'espressione "questione sociale" si riferisce all'insieme dei problemi economici, politici e sociali emersi con l'industrializzazione, soprattutto nell'Ottocento. Essa riguarda le condizioni di vita dei lavoratori, in particolare la povertà, lo sfruttamento, la disoccupazione, e la mancanza di diritti. La questione sociale poneva l'attenzione sulle disuguaglianze tra classi sociali e sulla necessità di riforme che migliorassero il benessere delle masse, influenzando movimenti politici e sindacali, nonché la nascita di leggi sul lavoro e la protezione sociale.

  L'evoluzione della **dottrina sociale cattolica** sulla "questione sociale" inizia con l'enciclica **Rerum Novarum** di Papa Leone XIII (1891), che affronta le ingiustizie derivanti dall'industrializzazione e propone la giustizia sociale, il rispetto per la dignità del lavoro, e il diritto alla proprietà privata, ma con limiti per il bene comune.

  Nel XX secolo, altre encicliche, come la **Quadragesimo Anno** (1931) di Pio XI e la **Populorum Progressio** (1967) di Paolo VI, sviluppano ulteriormente queste idee, promuovendo la giustizia economica e il principio di solidarietà.

  Il Concilio Vaticano II e la **Gaudium et Spes** (1965) aggiornano la dottrina alla luce delle nuove sfide globali, come il sottosviluppo e la disuguaglianza.

  Giovanni Paolo II, con **Laborem Exercens** (1981) e **Centesimus Annus** (1991), richiama l'importanza del lavoro umano e critica sia il capitalismo sfrenato che il comunismo.

  Infine, sotto Papa Francesco, con **Laudato Si'** (2015) e **Fratelli Tutti** (2020), la dottrina si espande per includere temi come la cura del creato, la globalizzazione e l'integrazione dei migranti, promuovendo un'ecologia integrale e una fraternità universale.

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  Il metodo migliore per formarsi ad un pacifismo cristiano per manifestare nella società un movimento di massa capace di influenzare le decisioni dei vertici del governo del proprio stato e anche quello ecclesiastico è quello di riunirsi  per capire meglio e realisticamente (quindi oltre la mitologia religiosa) ciò che accade e decidere iniziative, necessariamente d’intesa con le altre formazioni sociali di medesimo orientamento. Questo riunirsi  a quel fine nel gergo ecclesiale si chiama sinodalità.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli