Cattolicesimo democratico 30
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Pacifismo come lavorare per la pace:
lo sviluppo della sinodalità come occasione per il pacifismo
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Nota: utilizzo il servizio di AI [artificial intelligence = intelligenza
artificiale] di OpenAI, al quale
sono abbonato, per rendere più veloce l’elaborazione di contenuti. Come avverte
il gestore del servizio, l’AI di ChatGPT di OpenAI, che è un sistema di
ricerca, elaborazione e generazione di
testi molto evoluto in grado di colloquiare con l’utente, può talvolta generare
risposte non corrette. Sono ciò che gli specialisti definiscono “allucinazioni”
del sistema, analoghe a quelle vissute anche dalle menti umane. Gli utenti sono
quindi invitati a verificare la correttezza delle risposte. In genere interrogo
l’AI in materie in cui ho almeno un’informazione di base. Dove le risposte
prodotte presentano evidenti incongruenze, ne verifico la correttezza, innanzi
tutto utilizzando la stessa AI che è in grado di svolgere bene questo controllo,
e poi servendomi di altre fonti, principalmente l’enciclopedia Treccani on
line. Personalmente ho studiato e pratico il diritto italiano, complesso di
materie in cui ho un’informazione più completa per ragioni professionali.
Invito tuttavia i lettori a svolgere un lavoro analogo, approfondendo, sia
quanto alle risposte generate dall’AI che trascrivo sia in genere quanto a
tutto ciò che scrivo, perché, come ho osservato, anche la mente umana incontra
gli stessi problemi di quella non umana, la cui architettura funzionale è
modellata sulla prima. Il testo tra parentesi quadre che inserisco nella
trascrizione della risposta generata dall’AI contiene mie correzioni basate su
altre fonti. Le correzioni generate dalla stessa AI a seguito di mie richieste
di verifica sono invece inserite nel testo senza evidenziazione.
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Il pacifismo soffre da noi di una pessima
reputazione di questi tempi e la ragione, come spiega molto bene Andrea
Riccardi in Il grido della pace, San Paolo 2023, disponibile anche in E-book
e Kindle, è che la guerra è stata riabilitata nella coscienza collettiva degli europei
occidentali (altrove nel mondo non aveva mai subito alcun ampio discredito popolare).
Pacifismo non significa essere pacifici, ma
impegnarsi nella costruzione di una condizione di pace, che in genere richiede
di non esserlo, perché, paradossalmente, serve lottare. Del resto, in quale
altro modo si potrebbe aver ragione delle politiche di guerra? Però il
pacifista lotta senza lasciarsi travolgere dalle logiche di guerra, che, come
scrisse la filosofa francese Simone Weil [1909-1943], rendono schiavi della
guerra coloro che se ne lasciano asservire, come storicamente è accaduto quasi
sempre anche alle genti cristiane e ai loro capi civili ed ecclesiastici. E’
solo dagli anni Cinquanta del Novecento che si è iniziati veramente a cambiare,
anche se ora ci si dimostra impotenti, fondamentalmente perché si esita a lottare
per la costruzione di politiche di
pace, temendo l’esecrazione dei governi e dei loro sostenitori.
[Ricerca
mediante ChatGPT di OpenAI del 6-10-24]
La storia dei movimenti pacifisti affonda le
sue radici nell'Ottocento, epoca di grande fermento politico e sociale. Già in
questo periodo, con il diffondersi delle idee illuministiche e la nascita delle
prime organizzazioni internazionali, si sviluppano movimenti che auspicano la
risoluzione pacifica dei conflitti tra le nazioni.
### Il pacifismo nell'Ottocento
Il
primo movimento pacifista strutturato nasce nel contesto delle guerre
napoleoniche, quando si iniziano a costituire gruppi che promuovono la pace
come alternativa alla guerra. Nel 1815, ad esempio, viene fondata la **Society
for the Promotion of Permanent and Universal Peace** in Inghilterra, che
diventa un modello per associazioni simili in Europa e negli Stati Uniti. La
pace viene vista in quest'epoca come il risultato del progresso morale e
intellettuale dell'umanità.
Tra
i primi teorici del pacifismo si distingue il filosofo tedesco **Immanuel
Kant**, il quale, nella sua opera "Per la pace perpetua" (1795),
sostiene che la pace duratura tra le nazioni può essere raggiunta solo
attraverso la cooperazione internazionale e l'istituzione di repubbliche
democratiche.
###
Il pacifismo tra la fine dell'Ottocento e il Novecento
Con
la crescita delle tensioni internazionali nella seconda metà dell'Ottocento, il
pacifismo assume una dimensione più organizzata e politica. La creazione di
**istituzioni internazionali**, come la Corte di Arbitrato dell'Aia (1899),
testimonia la volontà di risolvere i conflitti tramite il diritto
internazionale. Parallelamente, nascono organizzazioni come la **Women's
International League for Peace and Freedom** (WILPF), fondata nel 1915 durante
la Prima guerra mondiale, che mette in evidenza il ruolo delle donne nel
promuovere la pace.
Tra
i protagonisti di questo periodo spiccano figure come il russo **Lev Tolstoj**,
che, attraverso la sua critica della violenza e la promozione della non
resistenza, diventa una delle voci più influenti del pacifismo cristiano. Il
suo pensiero influenzerà profondamente personaggi come **Mohandas K. Gandhi**.
###
Il pacifismo e le due guerre mondiali
Durante
la Prima guerra mondiale, molti pacifisti europei e americani si oppongono al
conflitto, anche a costo di persecuzioni. Tra i più noti c'è **Bertrand
Russell**, filosofo britannico che si distingue per la sua ferma opposizione
alla guerra e per le sue battaglie a favore del disarmo.
La
**Società delle Nazioni**, istituita dopo la Prima guerra mondiale, rappresenta
uno dei primi tentativi concreti di garantire la pace su scala globale, anche
se il suo fallimento nel prevenire la Seconda guerra mondiale evidenzia i
limiti delle strutture internazionali dell'epoca.
Nel
frattempo, in India, **Gandhi** porta avanti una lotta pacifista contro il
colonialismo britannico attraverso la pratica della **non-violenza**
(satyagraha), che diventerà un modello per molti movimenti pacifisti nel mondo.
Gandhi crede che la non violenza sia non solo una strategia politica, ma un
principio morale universale.
###
Il pacifismo nel secondo dopoguerra
Dopo
la Seconda guerra mondiale e l’orrore delle bombe atomiche, i movimenti
pacifisti si riorganizzano, puntando soprattutto sul **disarmo nucleare**.
Nascono così associazioni come il **Campaign for Nuclear Disarmament** (CND)
nel Regno Unito, che acquisisce una grande rilevanza negli anni Cinquanta e
Sessanta, e il movimento **Pugwash**, che riunisce scienziati di tutto il mondo
per discutere dei pericoli legati alle armi nucleari.
In
questo periodo si affermano personalità come **Martin Luther King Jr.**, leader
del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, che vede nella non
violenza un mezzo efficace non solo per ottenere giustizia sociale, ma anche
per promuovere la pace. La sua adesione ai principi gandhiani e il suo impegno
contro la guerra del Vietnam lo rendono uno dei simboli del pacifismo
contemporaneo.
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Movimenti pacifisti e antimilitaristi negli anni '60 e '70
Negli
anni '60, i movimenti pacifisti si intrecciano con quelli per i diritti civili
e contro la guerra in Vietnam. Il **movimento hippy** e i grandi raduni per la
pace, come quello di Woodstock (1969), segnano un momento di grande visibilità
per le cause pacifiste. Il messaggio di pace, amore e resistenza non violenta
si diffonde tra i giovani di tutto il mondo.
Negli
anni '70, il pacifismo si lega alle lotte ecologiste e antimilitariste,
soprattutto in Europa. La paura della proliferazione nucleare porta milioni di
persone a manifestare in tutto il mondo contro la corsa agli armamenti,
culminando nelle grandi manifestazioni degli anni '80 contro la presenza di
basi missilistiche statunitensi in Europa.
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Il pacifismo contemporaneo
Negli
ultimi decenni, i movimenti pacifisti si sono evoluti, affrontando nuovi temi
come la **globalizzazione**, il **terrorismo internazionale** e i **conflitti
regionali**. Le organizzazioni internazionali per la pace continuano a svolgere
un ruolo importante, con figure come **Malala Yousafzai**, premio Nobel per la
pace nel 2014, che promuovono l'educazione e la non violenza come strumenti per
combattere l'odio e l'oppressione.
Un'altra figura di spicco è **Desmond Tutu**,
l’arcivescovo sudafricano che ha lottato contro l’apartheid con mezzi pacifici,
diventando un simbolo di riconciliazione.
[###
Posizioni delle Chiese cristiane]
Dall'Ottocento, le Chiese cristiane hanno
avuto un rapporto complesso con il pacifismo. Inizialmente, le principali
confessioni cristiane, in particolare la Chiesa cattolica e le Chiese
protestanti storiche, hanno sostenuto il concetto di **guerra giusta**,
giustificando alcuni conflitti come necessari per difendere la giustizia o la
patria.
Tuttavia, all'interno delle Chiese, si sono
sviluppati movimenti pacifisti ispirati al messaggio evangelico di pace. Ad
esempio, i **quaccheri** (Società degli Amici), già dal XVII secolo, adottarono
una posizione di rifiuto totale della violenza, influenzando in seguito altri
gruppi pacifisti. Nel XIX secolo, il pensiero pacifista cristiano si sviluppa
soprattutto in ambienti protestanti, con alcune correnti che promuovono la
risoluzione pacifica dei conflitti e il disarmo.
La **Chiesa cattolica** mantiene la dottrina
della guerra giusta, ma inizia a considerare con maggiore attenzione la pace
come ideale cristiano. Nel 1891, con l'enciclica **Rerum Novarum**, Papa Leone
XIII sottolinea l'importanza della giustizia sociale come base per una pace
duratura. Nel XX secolo, figure come il teologo cattolico **Dorothy Day**,
fondatrice del Movimento dei lavoratori cattolici, abbracciano una visione
radicalmente pacifista.
Dopo le due guerre mondiali, le Chiese
cristiane iniziano a rivalutare il pacifismo. La **Chiesa cattolica**, con il
Concilio Vaticano II e l'enciclica **Pacem in Terris** (1963) di Papa Giovanni
XXIII, promuove la pace come obiettivo centrale della missione cristiana. Anche
molte Chiese protestanti, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, adottano
posizioni critiche verso la guerra, soprattutto con l'emergere del movimento
contro il nucleare e la guerra del Vietnam.
Oggi, molte Chiese cristiane sostengono il
pacifismo attivo, promuovendo la non violenza e la giustizia sociale come basi
per la pace.
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Conclusioni
Il
pacifismo ha attraversato diverse fasi, evolvendosi in risposta ai mutamenti
storici e politici. Da un movimento inizialmente elitario e filosofico, è
diventato una forza popolare che ha coinvolto milioni di persone in tutto il
mondo. I suoi teorici, da Kant a Gandhi, da Russell a Martin Luther King, hanno
offerto al mondo una visione alternativa basata sulla non violenza e sul
dialogo, un’eredità che continua a ispirare le nuove generazioni.
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Per quanto
di solito si ritenga il contrario, nei Vangeli, i libri del nuovo Testamento
originati nelle comunità cristiane delle origini in cui si narra della vita
terrena del Maestro, dei suoi insegnamenti, e della sua Passione e Resurrezione,
non ci sono insegnamenti pacifisti, e questo perché non c’è la politica e il
pacifismo è azione politica, nella specie per influire sul governo delle società
per ostacolare l’ordine di guerra e per favorire l’ordine di cessare la guerra
una volta che essa sia esplosa. Il Maestro, durante il suo magistero pubblico,
non si trovò a dover affrontare una guerra in corso, anche se nella Palestina
dei suoi tempi la situazione politica era gravida di violenza, in particolare
per le correnti dell’antico giudaismo che reagivano all’occupazione dei romani,
che era seguita a quella dei greci, quest’ultima accompagnatasi ad una
colonizzazione culturale mediante la cultura ellenistica.
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[Ricerca
mediante ChatGPT di OpenAI del 6-10-24]
L'ellenismo, sviluppatosi dopo le conquiste di
Alessandro Magno (IV secolo a.C.), era caratterizzato dalla diffusione della
cultura greca in tutto il Mediterraneo e il Medio Oriente. Portava con sé un
sistema di valori basato su razionalità, individualismo, scienza, filosofia e
una visione cosmopolita, unendo popoli diversi sotto l'influenza greca.
L'antico giudaismo contrastava l'ellenismo
perché minacciava l'identità religiosa e culturale ebraica. La centralità della
**Legge mosaica** (Torah), il monoteismo e le pratiche rituali ebraiche
entravano in conflitto con il **politeismo** greco e le usanze ellenistiche,
come la partecipazione a culti pagani e il rispetto delle leggi civili greche.
Questo scontro culminò nella rivolta dei Maccabei (II secolo a.C.) contro la
dominazione seleucide e l'imposizione della cultura ellenistica.
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I cristiani, alle origini, ma anche
successivamente nella loro storia, in genere non rifiutarono la guerra e il
servizio militare e, soprattutto, la
utilizzarono ampiamente nella loro tremenda storia nei contrasti tra di loro e
con le popolazioni non cristiane, in particolare nelle colonizzazioni stragiste
e addirittura genocide che furono il principale veicolo di evangelizzazione nel
mondo dal Cinquecento, anche se non l’unico naturalmente.
Alle origini, si ricorda il caso del rifiuto
del servizio militare da parte di Massimiliano, che però non fu propriamente
determinato da pacifismo in senso politico, ma da obiezione di coscienza per ragioni
spirituali e di etica personale.
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[Ricerca
mediante ChatGPT di OpenAI del 6-10-24]
San
Massimiliano di Tebessa, noto semplicemente come **Massimiliano**, è un martire
cristiano vissuto nel III secolo d.C., ricordato per la sua opposizione al
servizio militare romano a causa della sua fede. Nato intorno al 274 d.C. a
Tebessa, nell'attuale Algeria, Massimiliano era figlio di un veterano romano,
Vittore, e quindi obbligato per legge a seguire la carriera militare come il
padre.
Nel 295 d.C., all'età di circa 21 anni, fu
chiamato a svolgere il servizio militare nell'esercito romano. Tuttavia, quando
fu presentato davanti al proconsole Dion, Massimiliano rifiutò fermamente di
arruolarsi, dichiarando che la sua fede cristiana gli impediva di prendere le
armi o di giurare fedeltà all'imperatore. La sua opposizione era basata sulla
convinzione che il servizio militare fosse incompatibile con i principi del
Vangelo, in particolare con l'insegnamento della non violenza.
Le sue parole al proconsole furono chiare:
“**Non posso servire, non posso fare del male. Sono cristiano**.” Dion cercò di
convincerlo, minacciandolo e offrendogli altre possibilità, ma Massimiliano
rimase fermo nelle sue convinzioni. Alla fine, fu condannato a morte per
disobbedienza il 12 marzo 295 d.C.
La sua esecuzione avvenne per decapitazione.
Prima di morire, Massimiliano benedisse suo padre e incoraggiò i cristiani
presenti a rimanere saldi nella fede. Le sue ultime parole furono una
dichiarazione di fedeltà a Cristo e un rifiuto definitivo della guerra e della
violenza.
La testimonianza di Massimiliano fu subito
riconosciuta come un esempio di **martirio cristiano** per obiezione di
coscienza, facendo di lui uno dei primi obiettori di coscienza documentati
nella storia. La sua memoria è venerata soprattutto nella tradizione cattolica
e ortodossa. Il suo sacrificio è visto come un esempio di fedeltà ai principi
cristiani di pace e non violenza, anche di fronte alla morte. La sua festa
liturgica è celebrata il **12 marzo**.
§§§§§§§§§
Indubbiamente, però, quell’atteggiamento interiore,
che ritroviamo tuttora, in genere, nelle espressioni del pacifismo cristiano
può incidere fortemente nel motivare al pacifismo. L’interiorità cristiana è
coltivata nella preghiera.
Scrive Riccardi, nel testo che ho sopra
citato:
«Anche
la preghiera è una rivolta contro la guerra. E’ la convinzione di molti credenti. Scrive il
biblista americano Walter Brueggemann, “alla Chiesa è offerto un posto nel concilio del Signore dove
vengono prese le decisioni […]
Gesù condivide con noi i segreti di Dio». I credenti possono chiede a Dio
la fine della guerra e la pace per il
mondo. Sappiamo che Dio vuole la pace e il bene di tutti i popoli. Scrive il
grande teologo riformato Karl Barth: “Dio non è sordo, ascolta, agisce. Egli
non agisce nello stesso modo se preghiamo o non preghiamo. C’è un’influenza sull’azione di Dio, sull’esistenza
di Dio […] Le nostre preghiere sono fragili e misere. Ciò nonostante, quello che
conta non è che le nostre preghiere
siano forti, ma che Dio le ascolti”.
Diceva Giorgio La Pira, il sindaco di Firenze
che fece della sua città il cuore del dialogo negli anni della guerra fredda: “Credo
nella forza storica della preghiera”. Invitava a pregare per la pace anche i
poveri che radunava alla Badia Fiorentina. La Pira è il prototipo di cristiano
che lotta per la pace: aveva tra le mani la Bibbia, da cui traeva pensieri di
pace e guardava alla geografia dei popoli e dei loro dolori.
Solidarietà, preghiera, partecipazione responsabile
sono l’attacco dei disarmati e dei pacifici alla guerra: il cuore dell’azione per
la pace. Fare pace è ricucire la frattura tra popoli e tra persone: è curare la
frattura cancerosa della guerra. La guerra comincia prima dell’inizio delle ostilità.
Quando c’è ancora possibilità di agire, di limitare le fratture. E’ la “pace
preventiva” quella che previene i conflitti.
Non
sono un teologo e sulla convinzione che la preghiera possa influire sui disegni
di Dio sulla politica mi limito a prestar fede a chi ne sa di più, anche se spero che
sia proprio come dicono. Certamente la preghiera cristiana può influire molto
sulla propria interiorità e questo conta quando si tratta di lottare contro la guerra, per la pace.
La preghiera certamente non basta. Ne
parla Riccardi nel suo libro. Occorre,
scrive, «Conoscere, informarsi, seguire gli eventi», questo «è partecipare in
modo ravvicinato, non voltarsi dall’altra parte […] Un’opinione pubblica viva e
informata influisce sulle vicende e le determinazioni politiche». E questo è stato storicamente
dimostrato, a partire dai moti negli Stati Uniti d’America degli scorsi anni
Sessanta per far cessare la guerra americana in Vietnam. In Europa ci si agitò
molto quando gli Stati Uniti d’America, chiamando a raccolta altri volenterosi,
decisero le due guerre contro l’Iraq dominato dal despota Saddam Hussein, e questo
incise sul livello di partecipazione dell’Italia, che fu molto contenuto nella
prima e non più seconda. Niente del genere si produsse quando si decise la guerra
della N.A.T.O. in Afghanistan, presentata, dopo la prima fase molto cruenta, come operazione di Peace Enforcing, quindi
per spingere quella popolazione alla pace: durò vent’anni, fino alla disastrosa
ritirata dell’agosto 2021. Si stima che abbia prodotto circa 170.000 morti,
47000 dei quali civili.
Così non ci sono stati moti pacifisti allo
scoppio della guerra in Ucraina, e tanto meno nell’anno precedente, quando si
tennero negoziati per evitarla, fino all’inutile vertice di Ginevra del giugno
2021 tra il presidente federale statunitense Biden e quello russo Putin, il 10 giugno
2021, quando il primo rifiutò di negoziare con il secondo un trattato sull’assetto
dell’Ucraina: Stati Uniti d’America e Federazione Russa sono i veri decisori
dei quella guerra.
E tanto meno il pacifismo si è manifestato in
Europa dopo l’esplosione il 7-10-23 dell’efferato conflitto che ha portato all’eccidio
di 1200 israeliani, in massima parte civili disarmati, e di oltre 40.000 palestinesi a Gaza, in massima parte civili disarmati, con la quasi completa
distruzione delle principali città di quel territorio. E questo nonostante la
certezza, nell’invasione di Israele da parte del movimento Hamas, e seri
indizi, nel corso dell’invasione di Gaza da parte degli israeliani, che si sono
commessi crimini di guerra e contro l’umanità, fatti sui quali la Corte penale
internazionale ha aperto un’inchiesta, nella quale sono stati chiesti ordini di
cattura contro capi di Hamas ed esponenti del governo israeliano.
Ieri, una manifestazione indetta a Roma per
protestare contro la guerra israeliana a Gaza è stata vietata e duramente repressa
per decisione del governo italiano e delle autorità di pubblica sicurezza, a motivo
che tra chi aveva annunciato la propria partecipazione c’era gruppi che avevano
inneggiato agli eccidi del 7 ottobre. In questo modo tutta l’iniziativa è stata
presentata come connotata da questi ultimi, anche se la maggioranza dei
partecipanti non aveva espresso quell’orientamento.
Ha scritto
ieri, su La Stampa, nell’articolo dal titolo “Se anche un’idea ripugnante
ha il diritto di essere manifestata” il giurista Vladimiro Zagrebelsky:
«Nel
valutare il divieto va osservato che
esso richiama il rischio di gruppi anche violenti, ma aggiunge che la manifestazione esprime una volontà
celebrativa della strage del 7 ottobre.
Una celebrazione ripugnante, ma che da sola
non legittima il divieto del questore, poiché
non spetta all’autorità di pubblica sicurezza sindacare e quindi censurare idee che non
approva. Potranno darsi espressioni di odio antiebraico o di apologia dei
delitti commessi in quell’occasione: si tratta di reati che si devono
perseguire nei confronti di chi li commette, ma la previsione che vengano
compiuti non consente di per sé il divieto di un’occasione collettiva di
manifestazione.»
In genere i movimenti di piazza contro la
guerra, anche se non veramente pacifisti (quello di ieri
fondamentalmente parteggiava per una delle parti in guerra), sono molto
importanti per influire sui propri governi, come dimostrato dall’esperienza storica.
Tuttavia, in genere, i governi ne sono infastiditi o addirittura si mostrano
loro apertamente ostili: questo perché raramente un governo decide per il
pacifismo. La cosa non riesce neppure alle Chiese cristiane, e tantomeno a
quella cattolica, la cui dottrina attribuisce solo ai governi di stabilire se una
guerra sia giusta o non e obbliga
i cittadini ad obbedire all’ordine di mobilitazione come dovere civico. Un governo,
che controlla anche una forza militare, di solito si allinea alle decisioni
prese nella coalizione internazionale di cui fa parte e quello italiano alle determinazioni
del governo federale statunitense. Così il pacifismo è spesso tacciato di disfattismo
o, addirittura, di intelligenza
con il nemico, vale a dire di parteggiare subdolamente per quello che di
volta in volta è individuato per il nemico.
Questo in particolare in quest’epoca che
stiamo vivendo, in cui, come scrisse il giornalista Domenico Quirico nell’articolo “Iraq. 20 anni senza
un perché”, pubblicato su La Stampa del 20-3-23 e citato da Riccardi nel libro, «Se
un tempo la pace era lo scopo della guerra», ormai «la guerra è diventata lo scopo
della pace». La pace, insomma, è diventata una guerra con altri mezzi (mentre si
era scritto che la “la guerra è la continuazione della politica con altri
mezzi)”.
§§§§§§§§§
[Ricerca
mediante ChatGPT di OpenAI del 6-10-24]
La
frase "la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi" è
attribuita al teorico militare prussiano **Carl von Clausewitz**. Questa
affermazione si trova nel suo celebre trattato **"Della guerra"**
(*Vom Kriege*), pubblicato postumo nel 1832. Clausewitz intendeva dire che la
guerra è uno strumento politico, utilizzato dagli Stati per raggiungere i
propri obiettivi quando i mezzi diplomatici o pacifici falliscono.
§§§§§§§§§
Questo
significa che la cultura della guerra ha cominciato a inquinare pesantemente
anche la pace, che diventa solo un tempo di preparazione alla guerra cruenta.
In questo modo, scrive Riccardi, la guerra si
è eternizzata e questa è un notevole
differenza rispetto al passato. E’ divenuta altro rispetto al passato. Scrisse
ancora Quirico in quell’articolo: «Dopo il 2003 [inizio della seconda Guerra
del Golfo, contro l’Iraq] non è più possibile dare un limite cronologico
alle guerre, fissare un inizio con la sua proclamazione e la fine con la
vittoria e la sottomissione dello sconfitto».
Nelle situazioni di guerra, e ora anche la
pace è vissuta come situazione di guerra combattuta con altri mezzi, le masse popolari
tendono ad essere emarginate da circoli molto ristretti, come accade tutte le
volte che debbono essere prese, velocemente, decisioni cruciali per la vita e
per la morte. E’ la conseguenza dei nostri limiti cognitivi di specie che non
ci consente di afferrare il molteplice e le moltitudini, che sono sempre implicati
nelle cause delle guerre. Allora si trasferiscono i poteri supremi a cerchie
molto limitate di decisori. Scrive Riccardi «Quando un conflitto comincia, le
sorti sono nelle mani di pochi decisori». Fu osservato, ad esempio che la Prima
guerra mondiale fu decisa da una decina di persone.
La
frase secondo cui la Prima guerra mondiale sarebbe stata decisa da una
"decina di persone" viene attribuita a **Fritz Fischer**, uno storico
tedesco che, nel suo libro *"Griff nach der Weltmacht" [La conquista
del potere mondiale]* (1961), sostenne che una ristretta élite politica e
militare tedesca avesse pianificato la guerra per raggiungere obiettivi
imperialistici. Fischer sottolineava che furono poche persone, tra cui leader
militari e politici, a prendere decisioni cruciali che portarono allo scoppio
del conflitto, influenzando l'intera Europa.
§§§§§§§§§
Un
antidoto alla guerra è quindi quello di coinvolgere le masse nella decisione di
impegnarvi lo stato. Questo, naturalmente, solo però se l’informazione pubblica
non è stata asservita ai governi, come accade nei sistemi politici che da democrazie
vanno trasformandosi in democrature,
vale a dire in istituzioni che conservano le procedure formali di elezione del
ceto politico ma privando la gente dei più importanti diritti civili, tra i quali
quello di esprimere pubblicamente il proprio pensiero e di riunirsi per manifestare
pacificamente, anche per criticare il proprio governo ed opporsi alle sue politiche.
Nell’Europa contemporanea si sta organizzando
un gigantesco conflitto tra la N.A.T.O., egemonizzata da statunitensi e
britannici, e la Federazione Russa. I segni premonitori sono evidenti e non consistono
solo nella guerra già in corso in Ucraina. Si sono interrotti quasi del tutto le
relazioni economiche con i russi, dai quali l’Unione Europea traeva grande vantaggio,
innanzi tutto potendo disporre di immense riserve di energia venduta a basso
prezzo e senza i pericoli derivanti dall’instabilità politica di altri fornitori.
Si sono quasi del tutto le relazioni di
collaborazione culturale, in particolare nel campo della ricerca. Da ambo le
parti si fanno piani per colpire l’avversario, ormai considerato come nemico.
In un documento che avrà vasta eco nei ceti dirigenti dell’Unione Europa, il
rapporto Draghi sulla competitività europea, la competitività non è più configurata
solo tra imprese di produzione e commercio, ma tra sistemi politici, in particolare
tra Unione Europea e Federazione russa, prologo evidente ad una intensificazione
della situazione di conflitto già in atto.
In
questa allarmante condizione la nostra gerarchia ecclesiastica si affida alla
propria diplomazia, una istituzione propria degli stati e che non dovrebbe trovare
spazio in una Chiesa, se non in una Chiesa come quella cattolica che si è fatta
stato (non sono un teologo e non riesco proprio a capire come teologicamente lo si possa giustificare),
e ai fedeli riserva la preghiera, mantenendo ancora l’obsoleta dottrina della guerra
giusta che impone loro di obbedire ai governi che ordinano la guerra. Il
cattolicesimo democratico tende ad andare oltre, cercando di portarsi dietro
anche la struttura ecclesiastica, nella quale però, dato il suo attuale
ordinamento assolutistico, decidono in pochi. Tuttavia quei pochi, come anche i
governi, non sono insensibili a ciò che si agita nelle masse, sempre che si agitino,
siano attive. Lo ha dimostrato l’esperienza storica quanto all’atteggiamento delle
gerarchie ecclesiastiche sulla questione sociale e, appunto, sul tema
della guerra.
§§§§§§§§§
[Ricerca
ChatGPT di OpenAI del 6-10-24]
L'espressione
"questione sociale" si riferisce all'insieme dei problemi economici,
politici e sociali emersi con l'industrializzazione, soprattutto
nell'Ottocento. Essa riguarda le condizioni di vita dei lavoratori, in
particolare la povertà, lo sfruttamento, la disoccupazione, e la mancanza di
diritti. La questione sociale poneva l'attenzione sulle disuguaglianze tra
classi sociali e sulla necessità di riforme che migliorassero il benessere
delle masse, influenzando movimenti politici e sindacali, nonché la nascita di
leggi sul lavoro e la protezione sociale.
L'evoluzione della **dottrina sociale
cattolica** sulla "questione sociale" inizia con l'enciclica **Rerum
Novarum** di Papa Leone XIII (1891), che affronta le ingiustizie derivanti
dall'industrializzazione e propone la giustizia sociale, il rispetto per la
dignità del lavoro, e il diritto alla proprietà privata, ma con limiti per il
bene comune.
Nel XX secolo, altre encicliche, come la
**Quadragesimo Anno** (1931) di Pio XI e la **Populorum Progressio** (1967) di
Paolo VI, sviluppano ulteriormente queste idee, promuovendo la giustizia
economica e il principio di solidarietà.
Il Concilio Vaticano II e la **Gaudium et
Spes** (1965) aggiornano la dottrina alla luce delle nuove sfide globali, come
il sottosviluppo e la disuguaglianza.
Giovanni Paolo II, con **Laborem Exercens**
(1981) e **Centesimus Annus** (1991), richiama l'importanza del lavoro umano e
critica sia il capitalismo sfrenato che il comunismo.
Infine, sotto Papa Francesco, con **Laudato
Si'** (2015) e **Fratelli Tutti** (2020), la dottrina si espande per includere
temi come la cura del creato, la globalizzazione e l'integrazione dei migranti,
promuovendo un'ecologia integrale e una fraternità universale.
§§§§§§§§§
Il metodo migliore per formarsi ad un pacifismo
cristiano per manifestare nella società un movimento di massa capace di influenzare
le decisioni dei vertici del governo del proprio stato e anche quello ecclesiastico
è quello di riunirsi per capire
meglio e realisticamente (quindi oltre la mitologia religiosa) ciò che accade e
decidere iniziative, necessariamente d’intesa con le altre formazioni sociali
di medesimo orientamento. Questo riunirsi a quel fine nel gergo ecclesiale si chiama sinodalità.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli